CRITICA DEL PROGRAMMA DI GOTHA
Karl Marx
Prefazione di Friedrich Engels
Il manoscritto
qui pubblicato - tanto la lettera di accompagnamento a Bracke come la critica
del progetto di programma - fu mandato a Bracke nel 1875, poco prima del
Congresso di unificazione di Gotha, perchè lo comunicasse a Geib, Auer, Bebel,
e Liebknecht e quindi lo rinviasse a Marx. Poiché il Congresso del partito di
Halle ha messo all'ordine del giorno del partito la discussione del programma
di Gotha, crederei di commettere un atto illecito se sottraessi ancora più a
lungo alla pubblicità questo importante documento, anzi il più importante
documento relativo alla discussione attuale.
Ma il
manoscritto ha anche un'altra e ben maggiore importanza. Per la prima volta è
esposta qui in modo chiaro e netto la posizione di Marx di fronte all'indirizzo
seguito da Lassalle dal suo ingresso nel movimento, e tanto per ciò che
riguarda i principi economici quanto per ciò che riguarda la tattica di
Lassalle.
La severità
senza riguardi con cui viene esaminato qui il progetto di programma,
l'inesorabilità con cui vengono esposti i risultati ottenuti e messi in luce i
difetti del progetto - tutto questo non può più offendere oggi, dopo quindici
anni. Lassalliani veri e propri esistono soltanto più all'estero, come rovine
isolate, e il programma di Gotha è stato abbandonato ad Halle persino dai suoi
autori come assolutamente insufficiente.
Ho tuttavia
omesso e sostituito con dei puntini, dove ciò si poteva fare senza nuocere alla
sostanza, alcune espressioni e alcuni giudizi aspri, relativi a singole
persone. Marx stesso lo farebbe, se pubblicasse oggi il manoscritto. Il suo
linguaggio, qua e là violento, fu dettato da due circostanze. In primo luogo
Marx ed io eravamo intimamente legati e cresciuti col movimento tedesco più che
con qualsiasi altro; il decisivo passo indietro che veniva annunziato in questo
progetto di programma doveva toccarci dunque in modo particolarmente vivo. Ma
in secondo luogo eravamo impegnati allora, appena due anni dopo il Congresso
dell'Aia dell'Internazionale, nella lotta più violenta contro Bakunin e i suoi
anarchici, che ci rendevano responsabili di tutto ciò che accadeva in Germania
nel movimento operaio. Dovevamo dunque attenderci che ci si attribuisse anche
la segreta paternità di questo programma. Queste considerazioni ora non hanno
più ragion di essere, e con esse non ha più ragion d'essere la necessità dei
passi in questione.
Anche per
ragioni relative alla legge sulla stampa alcuni passaggi sono stati sostituiti
da puntini. Ove ho dovuto scegliere un'espressione più attenuata, l'ho messa in
parentesi quadre. Nel resto, la riproduzione del manoscritto è letterale.
Londra, 6
gennaio 1891
Lettera a Wilhelm
Brake
Londra, 5
maggio 1875
Caro Bracke!
Le seguenti note
critiche in margine al programma di unificazione debbono essere comunicate,
dopo averle lette, a Geib e Auer, Bebel e Liebknecht, perché ne prendano
conoscenza. Sono sovraccarico di lavoro e debbo già superare di molto la
quantità di lavoro che i medici mi hanno prescritto. Perciò non è stato punto
un "piacere" per me lo scrivere uno scartafaccio così lungo. Ma la
cosa era necessaria, affinché i passi che io dovrò fare in seguito non vengano
fraintesi dagli amici del partito, a cui è destinata questa comunicazione. -
Alludo al fatto che dopo il Congresso di unificazione Engels ed io
pubblicheremo una breve dichiarazione, in cui dichiareremo che non condividiamo
i principi del suddetto programma e che non abbiamo niente a che fare con esso.
Ciò è assolutamente
necessario, perché all'estero si diffonde premurosamente l'opinione, alimentata
dai nemici del partito - e opinione assolutamente falsa - che noi dirigeremmo
segretamente di qui il movimento del cosiddetto partito eisenacchiano. Ancora
in uno scritto russo, pubblicato poco tempo fa, Bakunin, per esempio, mi rende
responsabile non solo di tutti i programmi, ecc. di quel partito, ma persino di
ogni passo fatto da Liebknecht dal momento della sua cooperazione col partito
del popolo.
Prescindendo da
questo è mio dovere non riconoscere nemmeno con un silenzio diplomatico un
programma che, secondo la mia convinzione, deve essere assolutamente respinto e
che demoralizza il partito.
Ogni passo di
movimento reale è più importante di una dozzina di programmi. Se non si poteva
dunque - e le circostanze non lo permettevano - andare oltre il
programma di Eisenach, si sarebbe dovuto semplicemente concludere un accordo
per l'azione contro il nemico comune. Ma se si fanno dei programmi di principio
(invece di rinviarli sino al momento in cui un programma sia stato preparato da
una più lunga attività comune), si elevano al cospetto di tutto il mondo le
pietre miliari dalle quali si giudica il livello del movimento di partito. I
capi dei lassalliani sono venuti a noi perchè le circostanze li hanno
costretti. Se si fosse loro dichiarato in anticipo che non si sarebbe fatto
alcun traffico ai principi, si sarebbero dovuti accontentare di un programma di
azione o di un piano di organizzazione per un'azione comune. Invece si permette
loro di intervenire armati ai mandati e si riconoscono questi mandati come
obbligatori; si fa quindi una resa a discrezione a quelli che hanno bisogno di
aiuto. Per coronar l'opera, essi tengono ancora un congresso prima del
congresso di compromesso, mentre il partito vero tiene il suo congresso post
festum. E' evidente che si voleva evitare ogni critica e non permettere al
proprio partito di riflettere. Si sa che il semplice fatto dell'unificazione
appaga gli operai, ma si sbaglia pensando che questo successo momentaneo non
sia stato comprato a un prezzo troppo caro.
Del resto il
programma non ha nessun valore anche prescindendo dal fatto che consacra il
credo lassalliano.
Nei prossimi
giorni vi manderò gli ultimi fascicoli dell'edizione francese del Capitale, La
continuazione della stampa è stata per lungo tempo impedita dal divieto del
governo francese. Si finirà in settimana o all'inizio della settimana seguente.
Avete ricevuto i sei precedenti fascicoli? Inviatemi per favore anche
l'indirizzo di Bernardo Becker a cui voglio pure inviare gli ultimi fascicoli.
La libreria del
Volksstaat ha maniere sue speciali.
Così per
esempio, sino ad ora, non mi ha fatto avere nemmeno un solo esemplare della
ristampa del Processo dei comunisti a Colonia.
Con i migliori
saluti
Vostro Karl
Marx
Note in margine al
programma del Partito operaio tedesco
I
l. "Il
lavoro è la fonte di ogni ricchezza e di ogni civiltà, e poichè un
lavoro utile è possibile solo nella società e mediante la società, il frutto
del lavoro appartiene integralmente, a ugual diritto, a tutti i membri della
società"
Prima parte del
paragrafo. "Il lavoro è la fonte di ogni ricchezza e di ogni
civiltà."
Il lavoro non
è la fonte di ogni ricchezza. La natura è la fonte dei valori d'uso
(e in questi consiste la ricchezza effettiva!) altrettanto quanto il lavoro,
che esso stesso, è soltanto la manifestazione di una forza naturale, la
forza-lavoro umana. Quella frase si trova in tutti i sillabari, e intanto è
giusta in quanto è sottinteso che il lavoro si esplica con i mezzi e con
gli oggetti che si convengono. Ma un programma socialista non deve indulgere a
tali espressioni borghesi tacendo le condizioni che solo danno loro un
senso. E il lavoro dell'uomo diventa fonte di valori d'uso, e quindi anche di
ricchezze, in quanto l'uomo entra preventivamente in rapporto, come
proprietario, con la natura, fonte prima di tutti i mezzi e oggetti di lavoro,
e la tratta come cosa che gli appartiene. I borghesi hanno i loro buoni motivi
per attribuire al lavoro una forza creatrice soprannaturale; perchè
dalle condizioni naturali del lavoro ne consegue che l'uomo, il quale non ha
altra proprietà all'infuori della sua forza-lavoro, deve essere, in tutte le condizioni
di società e di civiltà, lo schiavo di quegli uomini che si sono resi
proprietari delle condizioni materiali del lavoro. Egli può lavorare solo col
loro permesso, e quindi può vivere solo col loro permesso.
Lasciamo ora la
proposizione come essa è e scorre, o piuttosto come essa zoppica. Che cosa se
ne sarebbe atteso come conseguenza? Evidentemente questo:
"Poichè il
lavoro è la fonte di ogni ricchezza, anche nella società nessuno si può
appropriare ricchezza se non come prodotto del lavoro. Se dunque un membro
della società non lavora egli stesso, vuol dire che egli vive di lavoro altrui
e che si appropria anche della propria cultura a spese di lavoro altrui."
Invece di
questo, col giro di parole: "e poichè" viene aggiunta una
seconda proposizione per trarre una conclusione da essa e non dalla prima.
Seconda parte
del paragrafo: "Un lavoro utile è possibile solo nella società e
mediante la società."
Secondo la
prima proposizione il lavoro era la fonte di ogni ricchezza e di ogni civiltà,
e quindi nessuna società era possibile senza lavoro. Ora veniamo a sapere,
viceversa, che nessun lavoro "utile" è possibile senza società.
Si sarebbe
potuto dire ugualmente bene che solo nella società un lavoro inutile, e persino
dannoso alla società stessa, può diventare una fonte di guadagno, che solo
nella società si può vivere di ozio, ecc., ecc., - si sarebbe potuto, in breve,
trascrivere tutto Rousseau.
E che cosa è
lavoro "utile"? Solo il lavoro che porta l'effetto utile voluto. Un
selvaggio - e l'uomo è un selvaggio, dopo che ha cessato di essere una scimmia
- che abbatte un animale con un sasso, che raccoglie frutti, ecc., compie un
lavoro "utile."
In terzo luogo:
la conclusione: "E poichè un lavoro utile è possibile solo nella
società e mediante la società, il frutto del lavoro appartiene integralmente, a
ugual diritto, a tutti i membri della società."
Bella
conclusione! Se il lavoro utile è possibile solo nella società e mediante la
società, il frutto del lavoro appartiene alla società - e al singolo lavoratore
ne tocca solo quel tanto che non è necessario per mantenere la
"condizione" del lavoro, la società.
In realtà
questa proposizione è stata sostenuta in ogni tempo dai difensori del regime
sociale esistente. In prima linea vengono le pretese del governo, con tutto
ciò che vi sta attaccato, perchè esso è l'organo della società per il
mantenimento dell'ordine sociale; indi vengono le pretese delle diverse specie
di proprietà privata, poichè le diverse specie di proprietà privata sono le
basi della società, e così via. Si vede che queste frasi vuote si possono
girare e rigirare come si vuole.
La prima e la
seconda parte del paragrafo hanno un costrutto intelligibile solo in questa
redazione:
"Il lavoro
diventa fonte della ricchezza e della civiltà solo come lavoro sociale" o,
ciò che è lo stesso, "nella società e mediante la società."
Questa
proposizione è indiscutibilmente esatta, perchè se anche il lavoro isolato
(premesse le sue condizioni oggettive) può creare valori d'uso, esso non può
creare né ricchezze né civiltà.
Ma ugualmente
inoppugnabile è l'altra proposizione:
"Nella
misura in cui il lavoro si sviluppa socialmente e in questo modo diviene fonte
di ricchezza e di civiltà, si sviluppano povertà e indigenza dal lato
dell'operaio, ricchezza e civiltà dal lato di chi non lavora."
Questa è la
legge di tutta la storia sinora vissuta. Quindi, invece di fare delle frasi
generiche sul "lavoro" e sulla "società," bisognava
dimostrare concretamente come nella odierna società capitalistica si sono
finalmente costituite le condizioni materiali, ecc., che abilitano e obbligano
gli operai a spezzare quella maledizione sociale.
Ma in realtà
l'intero paragrafo, sbagliato nella forma e nel contenuto, è stato inserito
soltanto per poter scrivere come rivendicazione sulla bandiera del partito la
formula di Lassalle sul "frutto integrale del lavoro." Tornerò in
seguito sul "frutto del lavoro," sull'"ugual diritto,"
ecc., poichè la stessa cosa ritorna in forma alquanto diversa.
2. "Nella
società presente, i mezzi di lavoro sono monopolio della classe dei
capitalisti. La dipendenza della classe operaia da ciò determinata è la causa
della miseria e dell'asservimento in tutte le forme."
Questa
proposizione, presa dallo Statuto internazionale è, in questa edizione
"corretta," falsa.
Nella società
presente i mezzi di lavoro sono monopolio dei proprietari fondiari (il
monopolio della proprietà fondiaria è anzi base del monopolio del capitale) e
dei capitalisti. Lo Statuto internazionale non menziona nel passo relativo né
l'una né l'altra classe dei monopolizzatori. Esso parla del "monopolio
dei mezzi di lavoro, cioè delle fonti dell'esistenza." L'aggiunta
"fonti dell'esistenza" mostra a sufficienza che la terra è
compresa nei mezzi di lavoro.
La correzione
fu portata perchè Lassalle, per ragioni ora universalmente note, attaccava solo
la classe dei capitalisti, non i proprietari fondiari. In Inghilterra il
capitalista, per lo più, non è in pari tempo proprietario del suolo su cui sorge
la sua fabbrica.
3.
"L'emancipazione del lavoro richiede la elevazione dei mezzi di lavoro a
proprietà comune della società e l'organizzazione collettiva del lavoro
complessivo con giusta ripartizione del frutto del lavoro."
Invece di
"elevazione dei mezzi di lavoro a proprietà comune" sarebbe meglio
dire loro "trasformazione in proprietà comune"; ma la cosa è
d'importanza secondaria.
Che cosa è
"frutto del lavoro"? Il prodotto del lavoro o il suo valore? E,
nell'ultimo caso, il valore complessivo del prodotto o solo quella parte di
valore, che il lavoro ha aggiunto al valore dei mezzi di produzione consumati?
"Frutto
del lavoro" è una rappresentazione vaga, che Lassalle ha messo al posto di
concetti economici determinati.
Che cosa è
"giusta ripartizione"?
Non affermano i
borghesi che l'odierna ripartizione è "giusta"? E non è essa in
realtà l'unica ripartizione "giusta" sulla base dell'odierno modo di
produzione? Sono i rapporti economici regolati da concetti giuridici oppure non
sgorgano, al contrario, i rapporti giuridici da quelli economici? Non hanno
forse i membri delle sètte socialiste le più diverse concezioni della
"giusta" ripartizione?
Per sapere che
cosa si deve intendere in questo caso sotto la frase "giusta
ripartizione," dobbiamo confrontare il primo paragrafo con questo.
Quest'ultimo paragrafo suppone una società in cui "i mezzi di lavoro sono
proprietà comune e il lavoro complessivo è organizzato su una base
collettiva," mentre nel primo paragrafo vediamo che "il frutto del
lavoro appartiene integralmente, a ugual diritto, a tutti i membri della
società."
"A tutti i
membri della società"? Anche a quelli che non lavorano? E dove se ne va
allora il "frutto integrale del lavoro"? Solo ai membri della società
che lavorano? E dove se ne va, allora, "l'ugual diritto" di tutti i
membri della società?
Ma "tutti
i membri della società" e "l'ugual diritto" sono evidentemente
solo modi di dire. Il nocciolo sta in questo, che in questa società comunista
ogni operaio deve ricevere un lassalliano "frutto del lavoro"
"integrale."
Se prendiamo la
parola "frutto del lavoro" nel senso del prodotto del lavoro, il
frutto del lavoro sociale è il prodotto sociale complessivo.
Ma da questo si
deve detrarre:
Primo: quel che
occorre per reintegrare i mezzi di produzione consumati.
Secondo: una parte
supplementare per l'estensione della produzione.
Terzo: un fondo di
riserva o di assicurazioni contro infortuni, danni causati da avvenimenti
naturali, ecc. Queste detrazioni dal "frutto integrale del lavoro"
sono una necessità economica, e la loro entità deve essere determinata in parte
con un calcolo di probabilità in base ai mezzi e alle forze presenti, ma non si
possono in alcun modo calcolare in base alla giustizia.
Rimane l'altra
parte del prodotto complessivo, destinata a servire come mezzo di consumo.
Prima di venire
alla ripartizione individuale, anche qui bisogna detrarre:
Primo: le spese
d'amministrazione generale che non rientrano nella produzione.
Questa parte è
ridotta sin dall'inizio nel modo più notevole rispetto alla società attuale, e
si ridurrà nella misura in cui la nuova società si verrà sviluppando.
Secondo: ciò che è
destinato alla soddisfazione di bisogni sociali, come scuole, istituzioni
sanitarie, ecc.
Questa parte
aumenta sin dall'inizio notevolmente rispetto alla società attuale e aumenterà
nella misura in cui la nuova società si verrà sviluppando.
Terzo: un fondo
per gli inabili al lavoro, ecc., in breve, ciò che oggi appartiene alla
cosiddetta assistenza ufficiale dei poveri.
Soltanto ora
arriviamo a quella "ripartizione," che è la sola che, sotto
l'influenza di Lassalle, grettamente viene presa in considerazione dal
programma, cioè la ripartizione di quella parte dei mezzi di consumo che viene
ripartita tra i produttori individuali della comunità.
Il "frutto
integrale del lavoro" si è già nel frattempo cambiato nel frutto del
lavoro "ridotto," benchè ciò che viene sottratto al producente nella
sua qualità di privato torni a suo vantaggio nella sua qualità di membro della
società.
Come è
scomparsa la frase del "frutto integrale del lavoro," scompare ora la
frase del "frutto del lavoro" in generale.
Nell'interno
della società collettivista, basata sulla proprietà comune dei mezzi di
produzione, i produttori non scambiano i loro prodotti; tanto meno il lavoro
trasformato in prodotti appare qui come valore di questi prodotti, come
una proprietà reale da essi posseduta, poichè ora, in contrapposto alla società
capitalistica, i lavori individuali non diventano più parti costitutive del
lavoro complessivo attraverso un processo indiretto, ma in modo diretto.
L'espressione "frutto del lavoro," che anche oggi è da respingere a
causa della sua ambiguità, perde così ogni senso.
Quella con cui
abbiamo da far qui, è una società comunista, non come si è sviluppata
sulla sua propria base, ma viceversa, come sorge dalla società
capitalistica; che porta quindi ancora sotto ogni rapporto, economico, morale,
spirituale, le impronte materne della vecchia società dal cui seno essa è uscita.
Perciò il produttore singolo riceve - dopo le detrazioni - esattamente ciò che
dà. Ciò che egli ha dato alla società è la sua quantità individuale di lavoro.
Per esempio: la giornata di lavoro sociale consta della somma delle ore di
lavoro individuale; il tempo di lavoro individuale del singolo produttore è la
parte della giornata di lavoro sociale conferita da lui, la sua partecipazione
alla giornata di lavoro sociale. Egli riceve dalla società uno scontrino da cui
risulta che egli ha prestato tanto lavoro (dopo la detrazione del suo lavoro
per i fondi comuni), e con questo scontrino egli ritira dal fondo sociale tanti
mezzi di consumo quanto equivale a un lavoro corrispondente. La stessa quantità
di lavoro che egli ha dato alla società in una forma, la riceve in un'altra.
Domina qui
evidentemente lo stesso principio che regola lo scambio delle merci in quanto è
scambio di valori uguali. Contenuto e forma sono mutati, perchè nella nuova
situazione nessuno può dare niente all'infuori del suo lavoro, e perchè d'altra
parte niente può diventare proprietà dell'individuo all'infuori dei mezzi di
consumo individuali. Ma per ciò che riguarda la ripartizione di questi ultimi
tra i singoli produttori, domina lo stesso principio che nello scambio di merci
equivalenti: si scambia una quantità di lavoro in una forma contro una uguale
quantità in un'altra.
L'uguale
diritto è qui perciò sempre, secondo il principio, diritto borghese,
benchè principio e pratica non si accapiglino più, mentre l'equivalenza delle
cose scambiate nello scambio di merci esiste solo nella media, non per
il caso singolo.
Nonostante
questo processo, questo ugual diritto è ancor sempre
contenuto entro un limite borghese. Il diritto dei produttori è proporzionale alle loro
prestazioni di lavoro, l'uguaglianza consiste nel fatto che esso viene misurato
con una misura uguale, il lavoro.
Ma l'uno è
fisicamente o moralmente superiore all'altro, e fornisce quindi nello stesso
tempo più lavoro, oppure può lavorare durante un tempo più lungo; e il lavoro,
per servire come misura, dev'essere determinato secondo la durata o
l'intensità, altrimenti cessa di essere misura. Questo diritto uguale è
un diritto disuguale, per lavoro disuguale. Esso non riconosce nessuna
distinzione di classe, perchè ognuno è soltanto operaio come tutti gli altri,
ma riconosce tacitamente l'ineguale attitudine individuale e quindi la capacità
di rendimento come privilegi naturali. Esso è perciò, pel suo contenuto, un
diritto della disuguaglianza, come ogni diritto. Il diritto può consistere
soltanto, per sua natura, nell'applicazione di un'uguale misura; ma gli
individui disuguali (e non sarebbero individui diversi se non fossero
disuguali) sono misurabili con uguale misura solo in quanto vengono sottomessi
a un uguale punto di vista, in quanto vengono considerati soltanto secondo un
lato determinato: per esempio in questo caso, soltanto come operai,
e si vede in loro soltanto questo, prescindendo da ogni altra cosa. Inoltre: un
operaio è ammogliato, l'altro no; uno ha più figli dell'altro, ecc. ecc.
Supposti uguali il rendimento e quindi la partecipazione al fondo di consumo
sociale, l'uno riceve dunque più dell'altro, l'uno è più ricco dell'altro e
così via. Per evitare tutti questi inconvenienti, il diritto, invece di essere
uguale, dovrebbe essere disuguale.
Ma questi
inconvenienti sono inevitabili nella prima fase della società comunista, quale è
uscita dopo i lunghi travagli del parto dalla società capitalistica. Il diritto
non può essere mai più elevato della configurazione economica e dello sviluppo
culturale da essa condizionato, della società.
In una fase più
elevata della società comunista, dopo che è scomparsa la subordinazione servile
degli individui alla divisione del lavoro, e quindi anche il contrasto di
lavoro intellettuale e corporale; dopo che il lavoro non è divenuto soltanto
mezzo di vita, ma anche il primo bisogno della vita; dopo che con lo sviluppo
generale degli individui sono cresciute anche le forze produttive e tutte le
sorgenti delle ricchezze sociali scorrono in tutta la loro pienezza, - solo
allora l'angusto orizzonte giuridico borghese può essere superato, e la società
può scrivere sulle sue bandiere: - Ognuno secondo le sue capacità; a ognuno
secondo i suoi bisogni!
Mi sono
occupato ampiamente del "frutto integrale del lavoro" da una parte,
dall'altra parte dell'"ugual diritto," della "giusta
ripartizione," per mostrare quanto si vaneggia, allorchè da un lato si
vogliono nuovamente imporre come dogmi al nostro partito concetti, che in un
certo momento avevano un senso, ma che ora sono diventati frasi antiquate; e,
dall'altro lato, quanto la concezione realistica, così faticosamente acquisita
al partito ma che ora si è radicata in esso, viene di nuovo deformata con
fandonie ideologiche di carattere giuridico e simili, così comuni tra i
democratici e i socialisti francesi.
Prescindendo da
quanto si è detto sin qui, era soprattutto sbagliato fare della cosiddetta ripartizione
l'essenziale e porre su di essa l'accento principale.
La ripartizione
dei mezzi di consumo è in ogni caso soltanto conseguenza della ripartizione dei
mezzi di produzione. Ma quest'ultima ripartizione è un carattere del modo
stesso di produzione. Il modo di produzione capitalistico, per esempio, poggia
sul fatto che le condizioni materiali della produzione sono a disposizione dei
non operai sotto forma di proprietà del capitale e proprietà della terra,
mentre la massa è soltanto proprietaria della condizione personale della
produzione, della forza-lavoro. Essendo gli elementi della produzione così
ripartiti, ne deriva da se l'odierna ripartizione dei mezzi di consumo. Se i
mezzi di produzione materiali sono proprietà collettiva degli operai, ne deriva
ugualmente una ripartizione dei mezzi di consumo diversa dall'attuale. Il
socialismo volgare ha preso dagli economisti borghesi (e a sua volta da lui una
parte della democrazia), l'abitudine di considerare e trattare la distribuzione
come indipendente dal modo di produzione, e perciò di rappresentare il
socialismo come qualcosa che si aggiri principalmente attorno alla
distribuzione. Dopo che il rapporto reale è stato da molto tempo messo in
chiaro, perchè tornare nuovamente indietro?
4.
"L'emancipazione del lavoro dev'essere l'opera della classe operaia, di
fronte alla quale tutte le altre classi costituiscono una sola massa
reazionaria."
La prima strofa
è presa dalle parole introduttive degli Statuti internazionali, ma in forma
"migliorata." Ivi si dice: "L'emancipazione della classe
operaia, dev'essere l'opera degli operai stessi." Qui invece "la
classe operaia" ha da liberare: che cosa? "Il lavoro." Capisca
chi può.
In cambio
l'antistrofa è una citazione di Lassalle della più bell'acqua: "di fronte
alla quale (alla classe operaia) tutte le altre classi costituiscono una
sola massa reazionaria."
Nel Manifesto
comunista si dice:
"Di tutte
le classi, che oggi stanno di fronte alla borghesia, solo il proletariato è una
classe veramente rivoluzionaria. Le altre classi decadono e periscono
colla grande industria, mentre il proletariato ne è il prodotto più
genuino."
La borghesia è
concepita qui come classe rivoluzionaria - in quanto organizzatrice della
grande industria - rispetto alle classi feudali e ai ceti medi, i quali
vogliono difendere tutte le posizioni sociali che sono l'immagine di modi di
produzione antiquati. Queste ultime classi non costituiscono dunque insieme
alla borghesia una sola massa reazionaria.
D'altra parte
il proletariato è rivoluzionario rispetto alla borghesia, perchè, cresciuto
egli stesso sul terreno della grande industria, si sforza di strappare alla
produzione il carattere capitalistico, che la borghesia cerca di eternare. Ma
il Manifesto aggiunge, che "i ceti medi... diventano rivoluzionari in
vista della loro imminente caduta nelle condizioni del proletariato."
Anche da questo
punto di vista è dunque un assurdo affermare che esse costituiscano insieme
alla borghesia e ai feudali, per giunta, "una sola massa reazionaria"
rispetto alla classe operaia.
Nelle ultime
elezioni si è forse detto agli artigiani, ai piccoli industriali, ecc. e ai contadini:
di fronte a noi voi costituite insieme ai borghesi e ai feudali una sola massa
reazionaria?
Lassalle sapeva
a memoria il Manifesto comunista, come i suoi credenti le scritture
sacre redatte da lui. Se egli dunque lo ha falsato in modo così grossolano, ciò
è stato fatto soltanto allo scopo di giustificare la sua alleanza con gli
avversari assolutisti e feudali contro la borghesia.
Nel paragrafo
che stiamo esaminando, inoltre, la sua sapiente sentenza viene citata a
sproposito, senza alcun legame con la citazione deturpata dello Statuto
dell'Internazionale. Si tratta dunque qui semplicemente di un'impertinenza, e
tale da non dispiacere al signor Bismarck; una di quelle vigliaccherie a buon
mercato, quali ne ha il Marat di Berlino.
5. "La
classe operaia agisce per la propria liberazione anzitutto nell'ambito
dell'odierno Stato nazionale, essendo consapevole che il necessario
risultato del suo sforzo, che è comune agli operai di tutti i paesi civili,
sarà l'affratellamento internazionale dei popoli."
In opposizione
al Manifesto comunista e a tutto il socialismo precedente, Lassalle
aveva concepito il movimento operaio dal più angusto punto di vista nazionale.
Si va dietro a lui in questo, e ciò dopo l'azione dell'Internazionale!
S'intende da
sé, che per poter combattere, in generale, la classe operaia si deve
organizzare nel proprio paese, in casa propria, come classe, e che
l'interno di ogni paese è il campo immediato della sua lotta. Per questo la sua
lotta di classe è nazionale, come dice il Manifesto comunista, non per
il contenuto, ma "per la forma." Ma "l'ambito dell'odierno Stato
nazionale," per esempio del Reich tedesco, si trova, a sua volta,
economicamente "nell'ambito" del mercato mondiale, politicamente
"nell'ambito" del sistema degli Stati. Ogni buon commerciante sa che
il commercio tedesco è al tempo stesso commercio estero, e la grandezza del
signor Bismarck consiste appunto in una specie di politica internazionale.
E a che cosa il
Partito operaio tedesco riduce il suo internazionalismo? Alla coscienza che il
risultato del suo sforzo "sarà l'affratellamento internazionale dei
popoli," - frase presa a prestito dalla Lega borghese della libertà e
della pace, e che deve passare come equivalente dell'affratellamento
internazionale delle classi operaie, nella lotta comune contro le classi
dominanti e i loro governi. Nemmeno una parola, dunque delle funzioni
internazionali della classe operaia tedesca! E così essa deve far fronte
alla propria borghesia, affratellata, contro di essa, con la borghesia di tutti
gli altri paesi, e alla politica di cospirazione internazionale del signor
Bismarck.
In realtà
l'internazionalismo del programma è infinitamente al di sotto perfino di
quello del partito del libero scambio. Anche questo partito sostiene che il
risultato del suo sforzo è "l'affratellamento internazionale dei
popoli." Ma esso fa pure qualche cosa per rendere internazionale il
commercio e non si accontenta di sapere che tutti i popoli, nel proprio paese,
a casa loro, fanno del commercio.
L'attività
internazionale delle classi operaie non dipende in alcun modo dall'esistenza
della "Associazione internazionale degli Operai." Questa fu soltanto
il primo tentativo di creare un organo centrale di quella attività; tentativo
che, con l'impulso che dette, ebbe un risultato permanente, ma, nella sua prima
forma storica, non poteva più essere continuato a lungo dopo la caduta
della Comune di Parigi.
La Norddeutsche
di Bismarck era completamente nel suo diritto quando annunciava, con
soddisfazione del suo padrone, che il partito operaio tedesco ha ripudiato, nel
nuovo programma, l'internazionalismo.
II
"Prendendo
le mosse da questi principi, il Partito operaio tedesco si sforza di
raggiungere con tutti i mezzi legali lo Stato libero - e - la
società socialista; l'eliminazione del sistema del salario con la legge
bronzea del salario - e - dello sfruttamento sotto ogni aspetto; la
eliminazione di ogni disuguaglianza sociale e politica."
Sullo Stato
"libero" ritornerò più tardi.
Dunque, per
l'avvenire, il Partito operaio tedesco dovrà credere alla "legge bronzea
del salario" di Lassalle! Perchè essa non vada perduta, si commette
l'assurdo di parlare dell'"eliminazione del sistema del salario" (si
doveva dire: sistema del lavoro salariato) con la "legge bronzea
del salario." Se elimino il lavoro salariato, elimino, naturalmente anche
le sue leggi, siano esse "bronzee" oppure flosce. Ma la lotta di
Lassalle contro il lavoro salariato si aggira quasi esclusivamente attorno a
questa cosiddetta legge. Per provare, dunque, che la sètta lassalliana ha
vinto, si deve eliminare il "sistema del salario con la legge
bronzea del salario" e non senza di essa.
Della
"legge bronzea del salario," com'è noto, a Lassalle non appartiene
che la parola "bronzea," che egli ha preso a prestito dalle
"eterne, grandi, bronzee leggi" di Goethe. La parola bronzea è
un sigillo a cui gli ortodossi si riconoscono tra di loro. Ma se accetto la
legge con la impronta di Lassalle, e perciò nel senso che egli le ha dato,
debbo accettarla anche con la sua giustificazione. E quale è questa
giustificazione? - Come ha dimostrato Lange subito dopo la morte di Lassalle, è
la teoria della popolazione di Malthus (predicata dallo stesso Lange). Ma se
questo è esatto io non posso eliminare la legge, se anche elimino cento
volte il sistema del lavoro salariato, perchè in questo caso la legge non
regola soltanto il sistema del lavoro salariato, ma ogni sistema
sociale. Ed è precisamente poggiandosi su questo che gli economisti hanno
dimostrato da cinquant'anni e più che il socialismo non può eliminare la
miseria essendo questa di origine naturale, ma può solo renderla
generale, distribuirla su tutta la superficie della società ad un tempo.
Ma tutto questo
non è la cosa principale. Prescindendo completamente dalla falsa
concezione della legge da parte di Lassalle, il vero rivoltante regresso consiste
in questo:
Dopo la morte
di Lassalle si è fatto strada nel nostro partito il criterio scientifico
che il salario non è ciò che sembra essere, cioè il valore e
rispettivamente il prezzo del lavoro, ma solo una forma
mascherata del valore, rispettivamente del prezzo della forza-lavoro.
Con ciò tutta la vecchia concezione borghese del salario, come la critica
finora diretta contro di essa, è stata una volta per sempre gettata a mare e si
è messo in chiaro che l'operaio salariato ha il permesso di lavorare per la sua
propria vita, cioè di vivere, solo in quanto lavora, per un certo tempo,
gratuitamente, per il capitalista (e quindi anche per quelli che insieme col
capitalista consumano il plusvalore); che tutto il sistema di produzione
capitalistico si aggira attorno al problema di prolungare questo lavoro
gratuito prolungando la giornata di lavoro o sviluppando la produttività cioè
con una maggiore tensione della forza-lavoro, ecc,; che dunque il sistema del
lavoro salariato è un sistema di schiavitù, e di una schiavitù che diventa
sempre più dura nella misura in cui si sviluppano le forze produttive sociali
del lavoro, tanto se l'operaio è pagato meglio, quanto se è pagato peggio. E
dopo che questo criterio si è fatto sempre più e più strada nel nostro partito,
si ritorna ai dogmi di Lassalle, benchè ormai si debba sapere che Lassalle non
sapeva ciò che è il salario, ma, seguendo gli economisti borghesi, prendeva
la parvenza per la sostanza della cosa.
E' come se tra
gli schiavi venuti finalmente a capo del mistero della schiavitù e diventati
ribelli, uno schiavo prigioniero di concetti antiquati scrivesse nel programma
della ribellione: la schiavitù dev'essere abolita, perchè il mantenimento degli
schiavi nel sistema della schiavitù non può sorpassare un certo massimo poco
elevato!
Il semplice
fatto che i rappresentanti del nostro partito sono stati capaci di commettere
un così enorme attentato al criterio diffuso nella massa del partito, mostra da
solo con quale insolente leggerezza, con quale mancanza di coscienza essi si
sono accinti alla redazione del programma di compromesso!
Invece
dell'indeterminata frase conclusiva del paragrafo "l'eliminazione di ogni
disuguaglianza politica e sociale," si doveva dire che con l'abolizione
delle distinzioni di classe, scompaiono da sé tutte le disuguaglianze sociali e
politiche che ne derivano.
III
"Il
Partito operaio tedesco, per spianare la via alla soluzione della questione
sociale, chiede l'istituzione di cooperative di produzione con l'aiuto
dello Stato, sotto il controllo democratico del popolo lavoratore. Le
cooperative di produzione si debbono creare, per l'industria e per
l'agricoltura, in tali proporzioni, che da esse sorga l'organizzazione
socialista del lavoro complessivo."
Dopo la
"legge bronzea del salario" di Lassalle, lo specifico del profeta. La
via viene "spianata" in degna maniera. In luogo della esistente lotta
di classi, subentra una frase da giornalista: "la questione
sociale" alla cui "soluzione" si "spiana la
via." Invece che da un processo di trasformazione rivoluzionaria della
società l'"organizzazione socialista del lavoro complessivo" -
"sorge" dall'"aiuto dello Stato," che lo Stato dà a
cooperative di produzione, che esso, e non l'operaio, "crea."
Che si possa costruire con l'aiuto dello Stato una nuova società, come si
costruisce una nuova ferrovia, è degno dell'immaginazione di Lassalle.
Per un resto di
pudore l'"aiuto dello Stato" viene posto sotto il controllo
democratico del "popolo lavoratore."
In primo luogo,
"il popolo lavoratore" in Germania consta nella sua maggioranza di
contadini e non di proletari.
In secondo
luogo, "democratico" significa in tedesco "secondo la volontà
del popolo" (volksherrschaftlich). Ma che cosa vuol dire "il
controllo secondo la volontà del popolo esercitato dal popolo lavoratore"?
E per un popolo di lavoratori, poi, il quale ponendo allo Stato queste
rivendicazioni dimostra di avere piena coscienza di non essere al potere e di
non essere maturo per il potere!
E' superfluo
estendersi qui sulla critica della ricetta data da Buchez sotto Luigi Filippo,
in antitesi ai socialisti francesi e accettata dagli operai reazionari
dell'Atelier. La cosa principale inoltre non consiste nell'avere fatto
entrare nel programma questa cura specifica miracolosa, ma nell'essere andati
indietro dalla posizione del movimento di classe a quella del movimento delle
sètte.
Il fatto che
gli operai vogliono instaurare le condizioni della produzione cooperativa su
una scala sociale, e per cominciare nel loro paese, su una scala nazionale,
significa soltanto che essi lavorano al rivolgimento delle attuali condizioni
di produzione, e non ha niente di comune con la fondazione di società
cooperative con l'aiuto dello Stato. Ma, per ciò che riguarda le odierne
società cooperative, esse hanno un valore soltanto in quanto sono
creazioni operaie indipendenti, non protette né dai governi né dai borghesi.
IV
Vengo ora al
capitolo democratico.
A. "Base
libera dello Stato."
Dapprima,
secondo il II capitolo, il Partito operaio tedesco mira allo "Stato
libero."
Stato libero:
che cosa è questo?
Non è punto
scopo degli operai, che si sono liberati dal gretto spirito di sudditanza, di
rendere libero lo Stato. Nel Reich tedesco lo "Stato" è
"libero" quasi come in Russia. La libertà, consiste nel mutare lo
Stato da organo sovrapposto alla società in organo assolutamente subordinato ad
essa, e anche oggigiorno le forme dello Stato sono più libere o meno libere
nella misura in cui limitano la "libertà dello Stato."
Il Partito
operaio tedesco - almeno se fa proprio il programma - mostra come in esso non
sono penetrate a fondo le idee socialiste; perchè, invece di trattare la
società presente (e ciò vale anche per ogni società futura) come base dello
Stato esistente (e futuro per la futura società), tratta piuttosto lo Stato
come un ente indipendente, che ha le sue proprie basi spirituali e morali
libere.
E ora veniamo
al deplorevole abuso che il programma fa delle parole "Stato odierno"
"società odierna" e al manifesto ancora più deplorevole, che esso
crea circa lo Stato a cui dirige le sue rivendicazioni!
La
"società odierna" è la società capitalistica, che esiste in tutti i
paesi civili, più o meno libera di appendici medioevali, più o meno modificata
dallo speciale svolgimento storico di ogni paese, più o meno evoluta. Lo
"Stato odierno," invece, muta con il confine di ogni paese. Nel Reich
tedesco-prussiano esso è diverso che in Svizzera; in Inghilterra è diverso che
negli Stati Uniti. "Lo Stato odierno" è dunque una finzione.
Tuttavia i
diversi Stati dei diversi paesi civili, malgrado le loro variopinte differenze
di forma, hanno tutti in comune il fatto che stanno sul terreno della moderna
società borghese, che è soltanto più o meno evoluta dal punto di vista capitalistico.
Essi hanno perciò in comune anche alcuni caratteri essenziali. In questo senso
si può parlare di uno "Stato odierno," in contrapposto al futuro, in
cui la presente radice dello Stato, la società borghese, sarà perita.
Si domanda
quindi: quale trasformazione subirà lo Stato in una società comunista? In altri
termini: quali funzioni sociali persisteranno ivi ancora, che siano analoghe
alle odierne funzioni dello Stato? A questa questione si può rispondere solo
scientificamente, e componendo migliaia di volte la parola popolo con la parola
Stato non ci si avvicina alla soluzione del problema neppure di una spanna.
Tra la società
capitalistica e la società comunista vi è il periodo della trasformazione
rivoluzionaria dell'una nell'altra. Ad esso corrisponde anche un periodo
politico transitorio, il cui Stato non può essere altro che la dittatura
rivoluzionaria del proletariato.
Ma il programma
non si occupa né di quest'ultima né del futuro Stato della società comunista.
Le sue
rivendicazioni politiche non contengono nulla oltre all'antica ben nota litania
democratica: suffragio universale, legislazione diretta, diritto del popolo,
armamento del popolo, ecc. Esse sono una pura eco del partito popolare
borghese, della Lega per la pace e la libertà. Esse sono tutte rivendicazioni
che, nella misura in cui non sono esagerate da una rappresentazione fantastica,
sono già realizzate. Ma lo Stato in cui esse sono realizzate non si trova entro
i confini del Reich tedesco, ma nella Svizzera, negli Stati Uniti, ecc. Questa
specie di "Stato futuro" è uno Stato odierno benché esistente fuori
"dell'ambito" del Reich tedesco.
Si è però
dimenticata una cosa. Poichè il Partito operaio tedesco dichiara espressamente
di muoversi entro "l'odierno Stato nazionale" e quindi entro il suo
Stato, entro il Reich tedesco-prussiano - altrimenti le sue rivendicazioni
sarebbero in massima parte prive di senso, perchè si rivendica solo ciò che non
si ha - esso non dovrebbe dimenticare la cosa principale, e cioè che tutte quelle
belle cosette poggiano sul riconoscimento della cosiddetta sovranità del popolo
e perciò sono a posto solo in una repubblica democratica.
Poichè non si
ha il coraggio - e saviamente, giacchè le circostanze impongono prudenza - di
chiedere la repubblica democratica, come fecero i programmi operai francesi
sotto Luigi Filippo e sotto Luigi Napoleone, non si sarebbe dovuto ricorrere
alla finta, che non è né "onesta" né "dignitosa," di
richiedere cose, che hanno senso solo in una repubblica democratica, ad uno
Stato che non è altro se non un dispotismo militare, mascherato di forme
parlamentari, mescolato con appendici feudali, influenzato già dalla borghesia,
tenuto assieme da una burocrazia, difeso con metodi polizieschi; e per giunta
assicurare solennemente a questo Stato che ci si immagina di strappargli
qualcosa di simile con "mezzi legali."
La stessa
democrazia volgare, che vede nella repubblica democratica il regno millenario e
non si immagina nemmeno che appunto in questa ultima forma statale della società
borghese si deve decidere definitivamente con le armi la lotta di classe - la
stessa democrazia volgare sta ancora infinitamente al di sopra di questa specie
di democratismo entro i confini di ciò che è permesso dalla polizia e non è
permesso dalla logica.
Che, in realtà,
s'intende per "Stato" la macchina del governo, ossia lo Stato, in
quanto costituisce un organismo a sé, separato dalla società in seguito a una
divisione del lavoro, lo mostrano già le parole: "il Partito operaio
tedesco richiede come base economica dello Stato un'imposta progressiva unica
sul reddito, ecc." Le imposte sono la base economica della macchina del
governo e niente altro. Nello Stato futuro esistente nella Svizzera questa
rivendicazione è quasi soddisfatta. Una imposta sul reddito presuppone le
diverse fonti di reddito delle diverse classi sociali, quindi la società
capitalistica. Non vi è quindi nulla di sorprendente nel fatto che i fautori
della riforma finanziaria di Liverpool - dei borghesi col fratello di Gladstone
alla testa avanzino la stessa rivendicazione.
B. "Il
Partito operaio tedesco chiede come base spirituale e morale dello Stato:
l. Educazione
popolare generale ed uguale per tutti per opera dello Stato. Istruzione
generale obbligatoria, insegnamento gratuito."
Educazione
popolare uguale per tutti? Che cosa ci si immagina con queste parole? Si crede
forse che nella società odierna (e solo di essa si tratta) l'educazione possa
essere uguale per tutte le classi? Oppure si vuole che anche le classi
superiori debbano essere coattivamente ridotte a quella modesta educazione - la
scuola popolare - che sola è compatibile con le condizioni economiche, non solo
degli operai salariati, ma anche dei contadini?
"Istruzione
generale obbligatoria. Insegnamento gratuito." La prima esiste anche in
Germania, il secondo nella Svizzera e negli Stati Uniti per le scuole popolari.
Se in alcuni Stati dell'America del Nord anche gli istituti di istruzione
superiore sono "gratuiti," in linea di fatto ciò significa soltanto
che si sopperisce alle spese per l'educazione delle classi dirigenti coi mezzi
forniti in generale dalle imposte. Lo stesso vale, per giunta, per
l'"assistenza giuridica gratuita" richiesta al paragrafo A. 5. La
giustizia criminale è dappertutto gratuita. La giustizia civile si aggira quasi
esclusivamente intorno a conflitti di proprietà; tocca quindi quasi
esclusivamente le classi possidenti. Debbono esse fare le loro cause a spese
della tasca del popolo?
Il paragrafo
sulle scuole avrebbe dovuto per lo meno chiedere delle scuole tecniche
(teoriche e pratiche) in unione con la scuola popolare.
E'
assolutamente da respingere una "educazione del popolo per opera dello
Stato." Fissare con una legge generale i mezzi delle scuole popolari, la
qualifica del personale insegnante, i rami d'insegnamento, ecc., e, come accade
negli Stati Uniti, sorvegliare per mezzo di ispettori dello Stato l'adempimento
di queste prescrizioni legali, è qualcosa di affatto diverso dal nominare lo
Stato educatore del popolo! Piuttosto si debbono ugualmente escludere governo e
Chiesa da ogni influenza sulla scuola. Nel Reich tedesco-prussiano (e non si
ricorra alla vana scappatoia di dire che si parla di uno "Stato
futuro"; abbiamo veduto come stanno le cose a questo proposito) è lo
Stato, al contrario, che ha bisogno di un'assai rude educazione da parte del
popolo.
Ma l'intiero
programma, nonostante tutta la fanfara democratica, è continuamente ammorbato
dallo spirito di fede servile nello Stato, proprio della sètta lassalliana, o,
ciò che non è meglio, dalla fede democratica nei miracoli, o è piuttosto un
compromesso tra queste due specie di fede nei miracoli, entrambe ugualmente
lontane dal socialismo.
"Libertà
della scienza," dice un paragrafo della Costituzione prussiana. Perchè
dunque parlarne qui!
"Libertà
di coscienza!" Se in questo periodo di Kulturkampf si volessero ricordare
al liberalismo le sue vecchie parole d'ordine, ciò si potrebbe fare solo in
questa forma: ognuno deve poter soddisfare tanto i suoi bisogni religiosi
quanto i suoi bisogni materiali senza che la polizia vi ficchi il naso. Ma il
partito operaio doveva pure in questa occasione esprimere la sua convinzione
che la "libertà di coscienza" borghese non è altro che la tolleranza
di ogni specie possibile di libertà di coscienza religiosa, e che il partito
operaio si sforza, invece, di liberare le coscienze dallo spettro della
religione. Ma si preferisce non andare oltre il limite.
Sono giunto
alla fine, perchè l'appendice che segue nel programma, non costituisce un
elemento caratteristico di esso. Perciò mi esprimerò qui assai brevemente.
2.
"Giornata di lavoro normale."
Nessun partito
operaio di nessun altro paese si è limitato ad una tale rivendicazione
indeterminata, ma tutti hanno sempre fissato la lunghezza della giornata di
lavoro che considerano normale nelle circostanze del momento.
3.
"Limitazione del lavoro delle donne e divieto del lavoro dei
fanciulli."
Il regolamento
della giornata di lavoro deve già includere la limitazione del lavoro delle
donne, in quanto si riferisce a durata, interruzioni, ecc. della giornata di
lavoro; altrimenti può solo significare esclusione del lavoro delle donne da
rami di lavoro che sono specialmente nocivi per l'organismo femminile o
incompatibili col sesso femminile per la moralità. Se si pensava a questo
bisognava dirlo.
"Proibizione
del lavoro dei fanciulli." Qui era assolutamente necessario dare i limiti
d'età.
La proibizione
generale del lavoro dei fanciulli è incompatibile con l'esistenza della grande
industria, ed è perciò un vano, pio desiderio. La sua realizzazione - quando
fosse possibile - sarebbe reazionaria, perchè se si regola severamente la
durata del lavoro secondo le diverse età e si prendono altre misure
precauzionali per la protezione dei fanciulli, il legame precoce tra il lavoro
produttivo e la istruzione è uno dei più potenti mezzi di trasformazione della
odierna società.
4.
"Sorveglianza da parte dello Stato dell'industria di fabbrica, artigiana e
casalinga."
Trattandosi
dello Stato tedesco-prussiano si doveva chiedere concretamente che gli
ispettori possano venir licenziati solo per via giudiziaria; che ogni operaio
possa denunziarli ai tribunali per violazione del loro dovere; che debbano
essere dei medici.
5.
"Regolamento del lavoro carcerario."
Domanda piccina
in un programma generale operaio. In ogni caso bisognava dire chiaramente che
non si vuole, per paura della concorrenza, che i delinquenti comuni siano
trattati come bestiame e che si tolga loro l'unico mezzo di correggersi, il
lavoro produttivo. Eppure questo era il minimo che si potesse attendere da
socialisti.
6. "Una
efficace legge sulla responsabilità."
Si doveva dire
che cosa s'intende per legge "efficace" sulla responsabilità.
Si osservi
inoltre come, trattando della giornata normale di lavoro, si è trascurata
quella parte della legislazione di fabbrica che riguarda le misure sanitarie e
la protezione contro i pericoli, ecc. La legge sulla responsabilità entra in
azione soltanto quando vengono violate queste prescrizioni.
In breve, anche
quest'appendice si distingue per la sua redazione trasandata.
Dixi et salvavi
animam meam.
Lettera ad August
Bebel
Londra, 18 (28)
marzo 1875
Caro Bebel!
Ho ricevuto la
vostra lettera del 23 febbraio e sono contento che stiate così bene di salute.
Mi chiedete
qual è la mia opinione circa la questione dell'unità. Purtroppo ci siamo
trovati nella stessa situazione di voi. Né Liebknecht né alcun altro ci ha
fatto una comunicazione qualunque, e perciò anche noi conosciamo soltanto ciò
che vi è sui giornali, e sui giornali non vi è stato niente; fino a che otto
giorni fa non ci è giunto il progetto di programma. Esso ha destato in noi non
poco stupore.
Il nostro
partito ha così spesso steso la mano ai lassalliani per una conciliazione o per
lo meno per un'alleanza, ed è stato così spesso e così sprezzantemente respinto
dagli Hasenclever, Hasselmann e Tölckes, che ogni bambino poteva tirarne la
conclusione che se questi uomini oggi vengono a noi e offrono di mettersi d'accordo,
si debbono trovare in un terribile frangente. Ma considerando il ben noto
carattere di costoro, noi siamo in dovere di sfruttare questo frangente per
strappare tutte le garanzie possibili affinchè essi non possano a scapito del
nostro partito ristabilire agli occhi dell'opinione pubblica operaia la loro
posizione scossa. Si dovrebbe riceverli in modo estremamente freddo e con
diffidenza, far dipendere l'unificazione dal grado della loro buona
disposizione a lasciar cadere le loro parole d'ordine settarie e il loro aiuto
statale, e accettare in sostanza il programma di Eisenach del 1869 o una sua
edizione corretta, adattata alla situazione odierna. Il nostro partito non ha
assolutamente nulla da imparare dai lassalliani nel campo teorico, cioè in ciò
che è decisivo per il programma; i lassalliani invece hanno molto da imparare
dal nostro partito. La prima condizione della fusione avrebbe dovuto essere che
cessassero di essere settari, lassalliani; che dunque rinunciassero prima di
tutto alla panacea universale dell'aiuto statale, o per lo meno lo riducessero
ad una misura transitoria subordinata, accanto e dopo molte altre. Il progetto
di programma dimostra che i nostri, cento volte superiori ai capi lassalliani
teoricamente sono cento volte inferiori a loro per scaltrezza politica; ancora
una volta gli "onesti" sono stati duramente gabbati dai disonesti.
Prima di tutto,
si accetta la frase lassalliana sonora, ma storicamente falsa, che rispetto
alla classe operaia tutte le altre classi costituirebbero una sola massa
reazionaria. Questa affermazione è vera solo in singoli casi eccezionali, per
esempio in una rivoluzione del proletariato come la Comune, o in un paese in
cui non soltanto la borghesia ha foggiato a propria immagine lo Stato e la
società, ma dopo di essa anche la piccola borghesia democratica ha portato
questa trasformazione sino alle sue ultime conseguenze. Se per esempio in
Germania la piccola borghesia democratica appartenesse a questa massa
reazionaria, come avrebbe potuto il Partito socialdemocratico operaio procedere
per anni in stretta alleanza con essa, cioè col partito del popolo? E come può
il Volksstaat prendere quasi tutto il suo contenuto politico dalla democratica
piccolo-borghese Frankfurter Zeitung? E come si possono includere in questo
stesso programma non meno di sette rivendicazioni che coincidono direttamente e
letteralmente col programma del partito del popolo e della democrazia
piccolo-borghese? Intendo le sette rivendicazioni politiche da l a 5 , e da l a
2, di cui non ve ne è una sola che non sia democratico-borghese.
In secondo
luogo, il principio del carattere internazionale del movimento operaio viene
per il presente completamente negato nella pratica degli uomini che per cinque
anni e nelle circostanze più difficili hanno difeso questo principio nel modo
più glorioso. La posizione degli operai tedeschi alla testa del movimento
europeo riposa essenzialmente sul loro atteggiamento schiettamente
internazionalistico durante la guerra; nessun altro proletariato si sarebbe
condotto così bene. Ed ora questo principio dovrebbe essere negato da loro nel
momento in cui dappertutto all'estero gli operai gli danno tanto più rilievo
quanto più i governi si sforzano di soffocare ogni loro tentativo di attuarlo
in una organizzazione! E che cosa rimane in sostanza dell'internazionalismo del
movimento operaio? La pallida prospettiva, non di una futura cooperazione degli
operai europei per la loro liberazione, no, ma di una futura "fratellanza
internazionale dei popoli," degli "Stati uniti d'Europa" dei
borghesi della Lega della pace!
Naturalmente
non era necessario parlare dell'Internazionale come tale. Ma per lo meno non si
doveva fare nessun passo addietro rispetto al programma del 1869 e dire, ad
esempio, che benchè il partito operaio tedesco operi innanzi tutto entro i
confini statali che gli sono posti (esso non ha nessun diritto di parlare a
nome del proletariato europeo, e specialmente di dire delle cose sbagliate),
esso è cosciente della sua solidarietà con gli operai di tutti i paesi e sarà
sempre pronto ad adempiere nell'avvenire, come ha fatto sino ad ora, gli
obblighi impostigli da questa solidarietà. Simili obblighi esistono anche senza
che ci si proclami o consideri parte dell'"Internazionale"; e
consistono ad esempio in aiuti materiali e nella lotta contro il crumiraggio in
caso di sciopero, nel curare che gli organi di partito mantengano gli operai
tedeschi informati del movimento estero, nel condurre un'agitazione contro
minaccianti o scoppiate guerre di gabinetto, nel comportarsi nel corso di esse
così come si è dato mirabile esempio nel 1870 e 1871.
In terzo luogo,
i nostri si sono lasciata imporre la "legge bronzea del salario"
lassalliana, che riposa su una concezione economica del tutto antiquata, cioè
che l'operaio riceve in media solo il minimo del salario e precisamente perchè
secondo la teoria della popolazione di Malthus vi sono sempre troppi operai
(questa era la dimostrazione lassalliana). Orbene, Marx ha ampiamente
dimostrato nel Capitale che le leggi che regolano il salario sono molto
complicate; che a seconda della situazione prevale ora l'una, ora l'altra di
esse, che esse non sono quindi per niente bronzee, ma al contrario molto
elastiche; e che il problema non può affatto venire risolto con un paio di parole,
come si immaginava Lassalle. La dimostrazione malthusiana della legge che
Lassalle ha copiato da Malthus e da Ricardo (falsificando quest'ultimo),
com'essa si trova citata ad esempio nel Libro di lettura per operai, pagina 5,
da un altro opuscolo di Lassalle, è stata ampiamente confutata da Marx nel
capitolo sul "processo di accumulazione del capitale." Facendo
propria la "legge bronzea del salario" di Lassalle si sono quindi
accettati un principio falso e una falsa dimostrazione di esso.
In quarto luogo,
il programma presenta come rivendicazione sociale unica l'aiuto statale
lassalliano nella sua, forma più sfacciata, come Lassalle l'aveva rubato a
Buchez, e ciò dopo che Bracke ha dimostrato molto bene tutta la inconsistenza
di questa rivendicazione; dopo che quasi tutti, se non tutti, gli oratori del
nostro partito nella lotta contro i lassalliani sono stati costretti a prendere
posizione contro questo "aiuto statale." Il nostro partito non poteva
umiliarsi di più. L'internazionalismo abbassato al livello di Armand Gögg, il
socialismo al livello del repubblicano borghese Buchez, che avanzava questa
rivendicazione contro i socialisti, per batterli!
Nel migliore
dei casi però l'"aiuto statale" nel senso lassalliano è solo una tra
le numerose misure per raggiungere lo scopo, che qui viene indicato con
l'espressione insipida: "Per avviarsi alla soluzione della questione
sociale," come se per noi esistesse ancora una questione sociale
teoricamente insoluta! Se dunque si dicesse: il partito operaio tedesco lotta
per la soppressione del lavoro salariato e quindi delle differenze di classe
mediante l'introduzione della produzione collettiva nell'industria e
nell'agricoltura e su scala nazionale; esso sostiene ogni misura atta a
raggiungere questo scopo - nessun lassalliano potrebbe avere qualcosa da
obiettare.
In quinto
luogo, non si fa parola dell'organizzazione della classe operaia come classe a
mezzo dei sindacati di mestiere. E questo è un punto molto essenziale, perchè
questa è la vera organizzazione di classe del proletariato, in cui esso
combatte le sue lotte quotidiane contro il capitale, in cui si addestra, e che
oggi nemmeno la peggiore reazione (come ora a Parigi) non è più in grado di
distruggere. Data l'importanza che questa organizzazione assume anche in
Germania, noi pensiamo che sarebbe assolutamente necessario ricordarla nel
programma, e possibilmente farle un posto nell'organizzazione del partito.
Tutto questo
hanno fatto i nostri per far piacere ai lassalliani. E che cosa hanno concesso
gli altri? Che figuri nel programma un mucchio di rivendicazioni puramente
democratiche abbastanza confuse, di cui alcune non sono altro che oggetti di
moda, come per esempio la "legislazione da parte del popolo," che
esiste nella Svizzera e reca più danno che utile, se pure reca in generale
qualche cosa. Amministrazione da parte del popolo, almeno significherebbe
qualche cosa. Manca egualmente la prima condizione di ogni libertà: che tutti
gli impiegati siano responsabili delle azioni compiute nell'esercizio delle
loro funzioni rispetto ad ogni cittadino davanti ai tribunali comuni e secondo
il diritto comune. E non voglio indugiarmi sul fatto che rivendicazioni come la
libertà della scienza e la libertà di coscienza figurano in ogni programma
liberale borghese e qui appaiono un po' fuori di luogo.
Lo Stato
popolare libero si è trasformato in Stato libero. Secondo il senso grammaticale
di queste parole, uno Stato libero è quello che è libero verso i suoi
cittadini, cioè è uno Stato con un governo dispotico. Sarebbe ora di farla
finita con tutte queste chiacchiere sullo Stato, specialmente dopo la Comune,
che non era più uno Stato nel senso proprio della parola. Gli anarchici ci
hanno abbastanza rinfacciato lo "Stato popolare," benchè già il libro
di Marx contro Proudhon e in seguito il Manifesto comunista dicano
esplicitamente che con l'instaurazione del regime sociale socialista lo Stato
si dissolve da sé e scompare. Non essendo lo Stato altro che un'istituzione
temporanea di cui ci si deve servire nella lotta, nella rivoluzione, per
schiacciare con la forza i propri nemici, parlare di uno "Stato popolare
libero" è pura assurdità: finchè il proletariato ha ancora bisogno dello
Stato, ne ha bisogno non nell'interesse della libertà, ma nell'interesse dello
schiacciamento dei suoi avversari, e quando diventa possibile parlare di
libertà, allora lo Stato come tale cessa di esistere. Noi proporremmo quindi di
mettere ovunque invece della parola "Stato," la parola
"Comune," una vecchia eccellente parola tedesca, che corrisponde alla
parola francese "Commune."
"Eliminazione
di ogni disuguaglianza sociale e politica" è anche una frase molto dubbia
invece di: "Soppressione di tutte le differenze di classe." Tra paese
e paese, tra provincia e provincia persino tra località e località sussisterà
sempre una certa disuguaglianza di condizioni di esistenza, che si potrà
ridurre a un minimo, ma non si potrà mai sopprimere del tutto. Gli abitanti
delle Alpi avranno sempre condizioni di vita diverse da quelle degli abitanti
della pianura. La rappresentazione della società socialista come regno
dell'uguaglianza è una rappresentazione francese unilaterale, derivante dal
vecchio "libertà, uguaglianza, fratellanza". E' una rappresentazione
che era giustificata a suo tempo e a suo luogo come una determinata tappa dello
sviluppo; ma che oggi dovrebbe essere superata come tutte le unilateralità
delle vecchie scuole socialiste, perchè esse creano soltanto confusione e
perchè si sono trovate forme più precise di esposizione della questione.
Termino, benchè
quasi ogni parola sarebbe da criticare in questo programma, che inoltre è
redatto in modo fiacco e scolorito. Esso è tale che, se verrà approvato, Marx
od io non potremmo mai considerarci aderenti al nuovo partito creato su questa
base, e dovremmo riflettere molto esso - anche pubblicamente. Tenete conto che
all'estero si considera noi come responsabili di ogni parola e di ogni atto del
Partito socialdemocratico operaio tedesco. Così fa seriamente alla posizione
che dovremmo assumere verso di Bakunin nel suo scritto Politica e anarchia, in
cui ci fa carico di ogni parola inconsiderata detta o scritta da Liebknecht
dalla fondazione del Demokratisches Wochenblatt. La gente si immagina che noi
dirigiamo tutto di qui a bacchetta, mentre voi sapete quanto me che noi non ci
siamo mai menomamente immischiati nelle questioni interne di partito, e se lo
abbiamo fatto è stato solo per correggere, possibilmente, errori che a nostro
modo di vedere si erano commessi, e per giunta soltanto nel campo teorico. Comprenderete
però voi stesso, che questo programma costituisce una svolta che potrebbe molto
facilmente costringerci a respingere da noi ogni responsabilità per il partito
che lo accetterà.
In generale il
programma ufficiale di un partito ha minore importanza di ciò che esso fa. Ma
un nuovo programma è sempre una bandiera innalzata pubblicamente, e il mondo
esteriore da esso giudica il partito. Perciò esso non dovrebbe contenere in
nessun caso un passo indietro, come il progetto in considerazione di fronte al
programma di Eisenach. Si dovrebbe anche riflettere a ciò che diranno di questo
programma gli operai degli altri paesi; quale impressione farà questa
capitolazione di tutto il proletariato socialista tedesco davanti al
lassallianismo.
Sono inoltre convinto
che una unità su questa base non durerà un anno. Le migliori teste del nostro
partito dovrebbero prestarsi a rimasticare le frasi lassalliane imparate a
memoria sulla legge bronzea dei salari e sull'aiuto statale? Vorrei ben vedervi
voi a farlo! E se lo faceste, i vostri uditori vi fischierebbero. D'altra parte
sono convinto che i lassalliani insistono precisamente su questi punti del
programma, come lo strozzino Shylock per avere la sua libbra di carne. Si verrà
alla scissione; ma avremo restaurato l'"onore" di Hasselmann,
Hasenclever, Tölcke, e consorti; noi usciremo dalla scissione più deboli e i
lassalliani più forti; il nostro partito avrà perduto la sua verginità politica
e non potrà mai più combattere di buon animo contro le frasi lassalliane, che
esso avrà già scritto per un periodo di tempo sulla sua stessa bandiera; e
quando i lassalliani ripeteranno di essere l'unico genuino partito operaio e i
nostri dei borghesi, il programma sarà là per dimostrarlo. Tutte le misure
socialiste nel programma appartengono a loro, e il nostro partito non vi ha
aggiunto altro che rivendicazioni della democrazia piccolo-borghese, la quale
però è anch'essa designata da lui nel programma stesso come parte della
"massa reazionaria"!
Avevo
trattenuto la lettera, perchè sarete messo in libertà il 1° aprile in onore del
compleanno di Bismarck, e non volevo esporla al rischio di essere sequestrata
in un tentativo di farla giungere di contrabbando. Ed ecco arriva una lettera
di Bracke, che ha anche lui dei dubbi seri sul programma e vuole conoscere la
nostra opinione. Perciò mando a lui la lettera da trasmettervi, affinchè egli
la legga e io non debba riscrivere ancora una volta tutta la storia. Mi sono
del resto espresso chiaramente anche con Ramm; a Liebknecht ho scritto soltanto
brevemente, Non gli posso perdonare che di tutta questa faccenda egli non ci
abbia comunicato una sola parola (mentre Ramm ed altri credevano che egli ci
avesse esattamente informati), sino a che non è stato, per così dire, troppo
tardi. E' vero che egli ha sempre fatto così, e di qui l'ampio carteggio
sgradevole che noi, Marx ed io, abbiamo avuto con lui, ma questa volta ce l'ha
fatta troppo grossa e ci rifiutiamo decisamente di seguirlo.
Fate in modo di
venire qui in estate. Naturalmente abiterete con me e se il tempo sarà bello
potremo andare un paio di giorni ai bagni di mare, il che vi farà certamente
bene dopo il lungo stare rinchiuso.
Amichevolmente
vostro
F. E
Lettera a Karl Kautsky
Londra, 23
febbraio 1891
Caro Kautsky,
Avrai ricevuto
le mie rapide congratulazioni dell'altro ieri. Torniamo quindi allo stesso
argomento, alla lettera di Marx
.
La paura che
essa desse un' arma agli avversari è apparsa ingiustificata. Insinuazioni
maligne possono naturalmente essere diffuse a proposito di ciascuno e di ogni
cosa, ma nel complesso gli avversari sono stati assolutamente sbalorditi da
questa critica spietata e hanno pensato: quale forza interiore deve possedere
un partito che si può concedere una cosa simile! Ciò risulta dai fogli
avversari che mi hai mandato (mille grazie!), e da quelli che ho ricevuto per
altra via. A dire il vero, questo era pure lo scopo per cui ho pubblicato il
documento. Sapevo che sulle prime avrebbe suscitato qua e là un'impressione
molto sgradevole, ma ciò era inevitabile e il contenuto era per me di gran
lunga più importante. Sapevo che il partito è abbastanza forte per sopportare
questa reazione, e contavo che oggi esso è in grado di tollerare anche il
linguaggio sincero di quindici anni or sono; che con giusto orgoglio si sarebbe
potuto riferirsi a questa prova di forze e dire: dov'è un altro partito che osi
fare lo stesso? Invece si è lasciato dire questo alla Arbeiter Zeitung
di Sassonia e di Vienna, e alla Züricher Post.
Se nel N. 21
della Neue Zeit prendi su di te la responsabilità della pubblicazione, è
una bella prova di coraggio da parte tua; non dimenticare però che la prima
spinta l'ho data io e che inoltre in un certo senso ti ho costretto a farlo.
Rivendico perciò la responsabilità principale per me. Per quanto riguarda i
particolari, su di essi si può sempre essere di diverse opinioni. Ho cancellato
e cambiato tutto ciò che tu e Dietz avete richiesto, e anche se Dietz avesse
cancellato di più, avrei anche potuto lasciar fare; ve ne ho già dato parecchie
prove. Ma per quanto concerne l'essenziale, era mio dovere pubblicare il
documento appena il programma fosse venuto in discussione. E ora poi, dopo il
rapporto di Liebknecht a Halle, in cui in parte egli utilizza con disinvoltura
i suoi estratti come proprietà sua, in parte invece polemizza contro il
documento senza citarlo, Marx avrebbe certamente contrapposto a elaborazione
l'originale; e al suo posto io ero obbligato a fare lo stesso. Disgraziatamente
allora non avevo sotto mano il documento; lo trovai solo più tardi, dopo lunghe
ricerche.
Tu dici che
Bebel ti scrive che il modo come Marx tratta Lassalle ha irritato i vecchi
lassalliani. Può darsi. Costoro non conoscono però la storia vera, e sembra che
non si è neanche fatto nulla per chiarir loro le cose. Se essi non sanno che
tutta la grandezza di Lassalle si basava sul fatto che Marx gli permise per
anni di farsi bello dei risultati delle ricerche di Marx come fossero i suoi
propri, e per soprappiù di falsarli per deficienza di preparazione economica,
la colpa non è mia. Ma io sono l'esecutore testamentario letterario di Marx e
come tale ho anche i miei doveri.
Lassalle
appartiene da ventisei anni alla storia. Se nel periodo delle leggi eccezionali
la critica storica su di lui è stata lasciata in disparte, verrà finalmente il
momento in cui essa riprenderà i suoi diritti e si farà la luce sulla posizione
di Lassalle verso Marx. La leggenda che avvolge e divinizza la vera figura di
Lassalle non può essere per il partito un articolo di fede. Per quanto si
apprezzino altamente i meriti di Lassalle verso il movimento, la sua funzione
storica rimane equivoca. Il socialista Lassalle è accompagnato a passo a passo
dal demagogo Lassalle. Dietro l'agitatore e l'organizzatore fa capolino
dappertutto l'avvocato che diresse il processo Hatzfeld. Lo stesso cinismo
nella scelta dei mezzi, la stessa tendenza a circondarsi di gente sospetta e
corrotta, che si può adoprare e gettar via come semplice strumento. Rimasto
fino al 1862 praticamente un democratico volgare specificamente prussiano con
molte tendenze bonapartistiche (ho rivisto poco fa le sue lettere a Marx), egli
cambiò fronte improvvisamente per puri motivi personali e incominciò la sua
agitazione. Appena due anni dopo esigeva che gli operai prendessero le parti
della monarchia contro la borghesia, e insieme con Bismarck, a lui affine di
carattere, tesseva tali intrighi che avrebbero dovuto portarlo a tradire
veramente il movimento, se per sua fortuna non fosse stato ucciso a tempo. Nei
suoi scritti di agitazione, le idee giuste che egli prende a prestito da Marx,
si intrecciano in tal modo con le considerazioni sue proprie, lassalliane, e
regolarmente false, che è quasi impossibile separarle. Quella parte degli
operai che si sente offesa per il giudizio di Marx, non conosce altro di
Lassalle che i due anni di agitazione, e anche questi li vede attraverso una
lente colorata. Ma la critica storica non si può arrestare a lungo, col
cappello in mano, davanti a questi pregiudizi. Io avevo il diritto di mettere
in chiaro una volta per sempre i rapporti tra Marx e Lassalle. Adesso questo è
fatto, e per ora me ne posso accontentare. Inoltre io stesso ho ora altro da
fare. E la pubblicazione del giudizio spietato di Marx su Lassalle avrà già da
sola il suo effetto e incoraggerà altri. Ma se fossi costretto a farlo, non mi
rimarrebbe via di scelta: dovrei sbarazzare il terreno una volta per sempre
della leggenda lassalliana.
Che nel gruppo
parlamentare si sia parlato di sottoporre a censura la Neue Zeit è molto
bello. Di che si tratta, di un fantasma della dittatura del gruppo parlamentare
del tempo della legge contro i socialisti (dittatura che era necessaria e fu
esercitata egregiamente), o di reminiscenze dell'organizzazione un tempo rigida
di Schweitzer? E' in verità un'idea brillante quella di sottoporre la scienza
socialista tedesca, dopo la sua liberazione dalle leggi di Bismarck contro i
socialisti, a una nuova legge contro i socialisti da fabbricarsi e applicarsi
dalle istanze stesse del partito socialdemocratico. Del resto la natura stessa
pensa a che gli alberi non crescano fino al cielo.
L'articolo del Vorwärts
mi lascia indifferente. Aspetterò che Liebknecht racconti la storia a modo suo
e poi risponderò nel tono più amichevole possibile a entrambi. Nell'articolo
del Vorwärts vi sono solo alcune inesattezze da correggere (per esempio,
che noi saremmo stati contrari all'unità, che gli avvenimenti avrebbero dato
torto a Marx, ecc.) e vi sono delle cose evidenti da confermare. Con questa
risposta penso di chiudere la discussione da parte mia, a meno che non sia
costretto a nuovi passi da nuovi attacchi o da affermazioni inesatte.
Comunica a
Dietz che sto lavorando alla Origine. Ma proprio oggi mi scrive Fischer
chiedendomi tre nuove prefazioni!
Tuo F. E.