MANIFESTO DEL PARTITO COMUNISTA
Karl Marx – Friedrich Engels
NOTA AI TESTI
Prefazione all'edizione tedesca del 1872
La Lega dei comunisti1, un'associazione internazionale di lavoratori, che a
quell'epoca non poteva che essere segreta, incaricò i sottoscritti, nel corso
del congresso tenuto a Londra nel novembre del 1847, di redigere un
approfondito programma teorico e pratico del partito, rivolto all'opinione
pubblica. Nacque così il seguente Manifesto, il cui manoscritto viaggiò verso
Londra per essere stampato poche settimane prima della rivoluzione di
febbraio2. Dapprima pubblicato in tedesco, è stato stampato in questa lingua in
almeno dodici diverse edizioni in Germania, Inghilterra e America. In inglese è
uscito per la prima volta nel 1850 a Londra, sul "Red Republican",
tradotto da Helen Macfarlane, e nel 1871 in almeno tre diverse traduzioni in
America. In francese è uscito dapprima a Parigi poco prima della insurrezione
di giugno del 18483, poi di nuovo in "Le Socialiste" di New York. Si
sta preparando una nuova traduzione. In polacco il Manifesto è apparso a Londra
poco dopo la sua prima edizione tedesca. In russo, a Ginevra negli anni
Sessanta. Anche in danese è stato tradotto poco dopo la sua pubblicazione.
Per quanto la situazione sia cambiata negli ultimi venticinque anni, i
fondamenti generali sviluppati in questo Manifesto conservano grosso modo anche
oggi la loro piena pregnanza. Qualcosa si potrebbe migliorare qua e là.
L'applicazione pratica di tali fondamenti, afferma lo stesso Manifesto,
dipenderà dovunque e sempre dalle condizioni storiche date. Non va dunque
assolutamente conferito un peso particolare alle misure rivoluzionarie proposte
alla fine della parte II. Oggi tale passo suonerebbe diversamente sotto molti
aspetti. Questo programma è oggi parzialmente invecchiato rispetto all'immenso
sviluppo della grande industria negli ultimi venticinque anni e al parallelo
progresso dell'organizzazione di partito dei lavoratori, rispetto alle
esperienze pratiche, dapprima della rivoluzione di febbraio e molto più ancora
della Comune di Parigi, quando, per due mesi, il proletariato ha esercitato per
la prima volta il potere politico. In particolare, la Comune ha dimostrato che
"la classe operaia non può semplicemente prendere possesso dell'apparato
statale così com'è e metterlo al servizio dei propri fini" (si veda La
guerra civile in Francia. Indirizzo del Consiglio generale dell'Associazione
Internazionale dei Lavoratori, edizione tedesca, p. 19, dove tale concetto è
ulteriormente sviluppato). È poi ovvio che la critica della letteratura
socialista è oggi lacunosa, giacché arriva solo al 1847; così anche le
osservazioni sulla posizione dei comunisti rispetto ai vari partiti di opposizione
(parte IV), seppure tuttora valide nelle linee generali, sono però invecchiate
nella loro esposizione, se non altro perché la situazione politica è totalmente
cambiata e lo sviluppo storico ha eliminato la maggior parte dei partiti colà
citati.
Il Manifesto è tuttavia un documento storico che noi non abbiamo più il diritto
di modificare. Una successiva edizione potrà forse uscire con un'introduzione
che colmi la distanza che ci separa dal 1847; questa ristampa è giunta per noi
troppo inattesa per lasciarcene il tempo.
Londra, 24 giugno 1872
Karl Marx, Friedrich Engels
Prefazione all'edizione tedesca del 1883
La prefazione alla presente edizione devo purtroppo firmarla da solo. Marx -
l'uomo cui l'intera classe operaia d'Europa e d'America deve più che a chiunque
altro - Marx riposa nel cimitero di Highgate, e sulla sua tomba cresce già la
prima erba4. Dopo la sua morte non ha più alcun senso parlare di una
rielaborazione o di un completamento del Manifesto. Tanto più necessario
considero stabilire nuovamente ciò che segue.
Il pensiero di fondo che ricorre nel Manifesto - che la produzione economica e
l'articolazione sociale che ne consegue necessariamente in ogni epoca
costituisce il fondamento della storia politica e intellettuale di tale epoca;
che quindi (dopo l'abolizione dell'arcaica proprietà comune della terra) tutta
la storia è stata una storia di lotte di classe, lotte fra sfruttati e
sfruttatori, classi oppresse e oppressive nei diversi stadi dello sviluppo
sociale; che però oggi questa lotta ha raggiunto uno stadio in cui la classe
sfruttata e oppressa (il proletariato) non si può più liberare dalla classe che
la sfrutta e opprime (la borghesia) senza insieme liberare per sempre l'intera
società da sfruttamento, oppressione e lotte di classe - questo pensiero di
fondo appartiene solo e unicamente a Marx5.
L'ho già affermato molte volte; tanto più oggi però conviene che questa
affermazione stia qui come premessa al Manifesto stesso.
Londra, 28 giugno 1883
Friedrich Engels
Prefazione 6 all'edizione inglese del 1888
Il Manifesto venne pubblicato come piattaforma programmatica della "Lega
dei comunisti", associazione di lavoratori dapprima esclusivamente
tedesca, poi internazionale, e - date le condizioni politiche del Continente
prima del 1848 - società inevitabilmente segreta. Nel corso di un congresso
della Lega tenutosi a Londra nel novembre 1847, Marx ed Engels vennero
incaricati di preparare per la pubblicazione un completo programma teorico e
pratico di partito. Redatto in tedesco nel gennaio 1848, il manoscritto fu
spedito in tipografia a Londra alcune settimane prima della rivoluzione
francese del 24 febbraio. Una traduzione francese fu pubblicata a Parigi poco
prima dell'insurrezione del giugno 1848, mentre la prima traduzione inglese, a opera
di Helen Macfarlane, apparve a Londra sul "Red Republican" di George
Julian Harney, nel 1850. Vennero pubblicate anche un'edizione danese e una
polacca.
La sconfitta dell'insurrezione parigina del giugno 1848 - la prima grande
battaglia tra proletariato e borghesia - spinse da capo in secondo piano, per
un certo tempo, le aspirazioni sociali e politiche della classe operaia
europea. Da allora in poi la lotta per la supremazia fu di nuovo, come lo era
stata prima della rivoluzione di febbraio, soltanto tra gruppi diversi della
classe possidente; la classe operaia fu costretta a battagliare per la propria
libertà di manovra, e a ricoprire la posizione di ala estrema dei radicali del
ceto medio. Ovunque i movimenti proletari indipendenti continuassero a manifestare
segni di vita, essi venivano inesorabilmente perseguitati. Così la polizia
prussiana scovò il comitato centrale della Lega comunista, stabilitasi allora a
Colonia: i membri vennero arrestati e, dopo diciotto mesi di prigione,
processati nell'ottobre del 1852. Questo famoso "processo comunista di
Colonia" si protrasse dal 4 ottobre fino 12 novembre; a sette prigionieri
furono comminate pene dai tre ai sei anni. Subito dopo la sentenza la Lega
venne formalmente sciolta dai restanti membri. Per quanto riguarda il
Manifesto, sembrava da allora in poi condannato all'oblio.
Allorché la classe operaia europea recuperò forza sufficiente per un altro
attacco contro le classi dominanti, sorse l'Associazione Internazionale dei
Lavoratori7. Tale associazione però, formata con lo scopo dichiarato di saldare
in un unico corpo l'intero proletariato militante di Europa e America, non poté
immediatamente proclamare i princìpi formulati nel Manifesto. L'Internazionale
era tenuta a redigere un programma sufficientemente ampio da poter essere
accettato dalle Trade Unions inglesi, dai seguaci di Proudhon in Francia,
Belgio, Italia e Spagna, e dai lassalliani8 in Germania9. Marx, che stese tale
programma per la soddisfazione di tutti i partiti, confidava interamente nello
sviluppo intellettuale della classe operaia, che doveva di sicuro risultare
dall'azione congiunta e dalla reciproca discussione. Gli stessi eventi e
vicissitudini della lotta contro il Capitale, le sconfitte ancor più delle
vittorie, non potevano fare a meno di persuadere gli uomini dell'insufficienza
dei loro vari toccasana prediletti, e di preparare la strada per una più
completa comprensione delle effettive condizioni atte a favorire
l'emancipazione della classe operaia. E Marx aveva ragione. I lavoratori
lasciati dall'Internazionale al suo scioglimento nel 1874 erano uomini alquanto
differenti da quelli che essa aveva trovato nel 1864. Il proudhonismo in
Francia, il lassallismo in Germania stavano scomparendo, e persino le
conservatrici Trade Unions inglesi, sebbene molte di loro avessero da tempo
troncato la loro relazione con l'Internazionale, stavano avanzando gradualmente
verso il punto in cui, lo scorso anno a Swansea, il loro presidente poteva
affermare nel loro nome "Il socialismo continentale non è più uno
spauracchio per noi". In effetti i princìpi del Manifesto avevano
registrato considerevoli progressi tra i lavoratori di tutti i paesi.
Lo stesso Manifesto tornò alla ribalta. Dal 1850 il testo tedesco è stato
ristampato parecchie volte in Svizzera, Inghilterra e America. Nel 1872 è stato
tradotto in inglese a New York e pubblicato sul "Woodhull and Claflin's
Weekly". Da questa versione inglese ne è stata tratta una francese sul
"Le Socialiste" di New York. Da allora almeno due altre traduzioni inglesi,
più o meno mutilate, sono state date alle stampe in America, e una di esse è
stata ristampata in Inghilterra. La prima traduzione russa, eseguita da
Bakunin10, è stata pubblicata nella tipografia del "Kolokol"11 di
Herzen a Ginevra intorno al 1863; una seconda, ad opera dell'eroica Vera
Zasuli(12, ancora a Ginevra, nel 1882. Una nuova edizione danese si trova sulla
"Socialdemokratisk Bibliothek", Copenhagen 1885; una nuova traduzione
francese sul "Le Socialiste", Parigi 1885. Da quest'ultima è stata
preparata una versione spagnola, pubblicata a Madrid nel 1886. Non si possono
contare le ristampe tedesche: ce ne sono state almeno dodici. Una traduzione
armena, che doveva essere pubblicata a Costantinopoli alcuni mesi fa, non ha
visto la luce - mi si dice - perché l'editore ha avuto paura di far uscire un
libro con sopra il nome di Marx, e il traduttore si è rifiutato di farla
apparire come una propria opera. Ho sentito di ulteriori traduzioni in altre
lingue, ma non le ho vedute. La storia del Manifesto riflette così, in larga
misura, la storia del movimento della moderna classe operaia; al momento è
senza dubbio il prodotto più diffuso e più internazionale di tutta la
letteratura socialista, la piattaforma comune riconosciuta da milioni di
lavoratori dalla Siberia alla California.
Eppure, quando fu scritto, non avremmo potuto chiamarlo un "Manifesto
socialista". Nel 1847 con "socialisti" si intendevano, da un
lato, i seguaci dei vari sistemi utopici - gli owenisti in Inghilterra, i
fourieristi in Francia, gli uni e gli altri già ridotti al rango di mere sette,
e sulla via di una graduale estinzione -; dall'altro lato, i più svariati
ciarlatani sociali che, con ogni sorta di rabberciamenti, dichiaravano di
riparare, senza alcun pericolo per il capitale e per il profitto, ogni genere
di ingiustizia sociale. In entrambi i casi si trattava di uomini esterni al
movimento dei lavoratori, e che contavano anzi sull'appoggio delle classi
"colte". Qualunque porzione della classe operaia si fosse convinta
dell'insufficienza delle mere rivoluzioni politiche e proclamasse la necessità
di un cambiamento sociale totale, era quella che si dichiarava
"comunista". Era un tipo di comunismo appena abbozzato, grossolano,
puramente istintivo; ciò nonostante toccava il punto cardinale ed era
sufficientemente potente tra la classe operaia da produrre il comunismo
utopistico, in Francia, di Cabet13, e di Weitling14 in Germania. Nel 1847 il
socialismo era perciò un movimento della classe media15, mentre il comunismo un
movimento della classe operaia. Il socialismo era, almeno nel Continente,
"rispettabile"; il comunismo era l'esatto opposto. E poiché il nostro
punto di vista, sin dall'inizio, era che "l'emancipazione della classe
operaia deve essere un atto della classe operaia stessa", non ci poteva
essere alcun dubbio su quale dei due nomi dovevamo assumere. Oltre a ciò, da
allora ci siamo ben guardati dal ripudiarlo.
Sebbene il Manifesto sia un nostro comune prodotto, ci tengo a dichiarare che
l'idea fondamentale, che forma il suo nucleo, appartiene a Marx. L'idea è
che in ogni epoca storica il modo prevalente di produzione e scambio economici,
e l'organizzazione sociale che necessariamente ne scaturisce, forma la base su
cui viene edificata, e da cui soltanto può essere spiegata, la storia politica
e intellettuale di quell'epoca; che di conseguenza l'intera storia dell'umanità
(dalla dissoluzione della società tribale primitiva, caratterizzata dal
possesso comune delle terre) è stata una storia di lotte di classe, di
conflitti tra classi sfruttatrici e sfruttate, dominanti e oppresse; che la
storia di tali lotte di classe forma una serie evolutiva in cui, al giorno
d'oggi, si è raggiunto uno stadio dove la classe sfruttata e oppressa - il
proletariato - non può conseguire la propria emancipazione dal dominio della
classe sfruttatrice e dominante - la borghesia - senza, allo stesso tempo, e
una volta per tutte, emancipare la società nel suo insieme da qualsiasi
sfruttamento, oppressione, distinzioni di classe e lotte di classe.
A questa idea che, è mia opinione, è destinata a rappresentare per la
storia ciò che la teoria di Darwin ha rappresentato per la biologia, ci eravamo
gradualmente avvicinati, tutt'e due, alcuni anni prima del 1845. La misura in
cui mi ci ero avvicinato io in maniera indipendente lo mostra nel modo migliore
il mio scritto La condizione della classe operaia in Inghilterra16. Ma quando
rividi Marx a Bruxelles nella primavera del 1845, egli l'aveva compiutamente
elaborata, e me l'aveva esposta, in termini quasi altrettanto chiari di quelli
che io ho usato qui.
Dalla nostra comune Prefazione all'edizione tedesca del 1872 riprendo quanto
segue:
[...] 17
La presente traduzione è dovuta a Samuel Moore, il traduttore della maggior
parte del Capitale di Marx. L'abbiamo rivista insieme, e ho aggiunto alcune
note esplicative di carattere storico.
Londra, 30 gennaio 1888
Friedrich Engels
Al lettore italiano
Si può dire che la pubblicazione del Manifesto del Partito Comunista coincise
esattamente con il 18 marzo 1848, con le rivoluzioni di Milano e di Berlino,
che rappresentarono la sollevazione delle due nazioni situate al centro, l'una
del continente europeo, l'altra del Mare Mediterraneo; due nazioni fino a quel
momento indebolite dalla frammentazione territoriale e dalle diatribe interne,
e di fatto assoggettate al dominio straniero. Mentre l'Italia era soggetta
all'imperatore d'Austria, la Germania doveva sopportare, pur se non altrettanto
direttamente, il non meno efficace giogo dello zar di tutte le Russie. Il risultato
del 18 marzo 1848 fu di liberare Italia e Germania da tale oltraggio; se tra il
1848 e il 1871 queste due grandi nazioni furono ricostruite e in un certo senso
restituite a se stesse, ciò accadde, come disse Marx, perché gli stessi uomini
che avevano represso la rivoluzione del 1848 ne divennero poi gli involontari
esecutori testamentari.
Questa rivoluzione fu fatta dovunque dalla classe operaia; fu la classe operaia
a erigere le barricate e a rischiare la vita. Solo gli operai di Parigi avevano
l'intento esplicito di abbattere il dominio della borghesia, quando fecero
cadere il governo. Ma per quanto fossero anche coscienti dell'ineluttabile
antagonismo fra la loro classe e la borghesia, né lo sviluppo economico del
paese né lo sviluppo della coscienza delle masse operaie francesi avevano
raggiunto quella misura che avrebbe permesso una ricostruzione della società. I
frutti della rivoluzione furono quindi in ultima analisi raccolti dalla classe
capitalistica. Negli altri paesi, in Italia, in Germania, in Austria, i
lavoratori non fecero in fondo altro che portare la borghesia al potere. Ma in
nessun paese il dominio della borghesia è possibile senza l'indipendenza
nazionale. Sicché la rivoluzione del 1848 doveva comportare l'unità e
l'indipendenza di quelle nazioni in cui era scoppiata: Italia, Germania,
Ungheria; la Polonia seguirà a suo tempo.
Se dunque la rivoluzione del 1848 non fu una rivoluzione socialista, nondimeno
essa le aprì la strada e le preparò il terreno. Grazie all'impulso che il
regime borghese ha dato in tutti i paesi alla grande industria, in questi
ultimi 45 anni esso ha creato dovunque un proletariato numeroso, coeso e forte;
in tal modo il regime borghese, per usare un'espressione del Manifesto, ha
prodotto i suoi stessi becchini. Senza la ricostituzione dell'indipendenza e
dell'unità di ogni nazione non si sarebbe potuta compiere né l'unificazione
internazionale del proletariato né la pacifica, intelligente collaborazione di
queste nazioni per raggiungere obiettivi comuni. Si provi solo a immaginare una
comune iniziativa internazionale dei lavoratori italiani, ungheresi, tedeschi,
polacchi, russi nelle condizioni politiche di prima del 1848!
Sicché le battaglie del 1848 non furono inutili; e anche i 45 anni che ci
separano da quella tappa rivoluzionaria non sono trascorsi vanamente. I frutti
maturano, e tutto ciò che mi auguro è che la pubblicazione di questa traduzione
italiana sia un buon viatico per la vittoria del proletariato italiano, così
come la pubblicazione dell'originale lo è stata per la rivoluzione
internazionale.
Il Manifesto riconosce appieno il ruolo rivoluzionario giocato nel passato
dal capitalismo. La prima nazione capitalistica è stata
l'Italia. La conclusione del Medioevo feudale e l'inizio della moderna
era capitalistica sono segnate da una figura grandiosa : è un italiano, Dante,
l'ultimo poeta medievale e insieme il primo poeta della modernità. Come nel
1300, una nuova era è oggi in marcia. Sarà l'Italia a darci un nuovo Dante, che
annuncerà la nascita di questa nuova era, l'era proletaria?
Londra, 1° febbraio 1893
Friedrich Engels
IL MANIFESTO DEL PARTITO COMUNISTA
Uno
spettro si aggira per l'Europa: lo spettro del comunismo. Tutte le potenze
della vecchia Europa si sono coalizzate in una sacra caccia alle streghe contro
questo spettro: il papa e lo zar, Metternich e Guizot, radicali francesi e
poliziotti tedeschi.
Dov'è il partito di opposizione che non sia stato bollato di comunismo dai suoi
avversari al governo, dove il partito di opposizione che non abbia ritorto
l'infamante accusa di comunismo sia contro gli esponenti più progressisti
dell'opposizione che contro i suoi avversari reazionari?
Di qui due conseguenze.
Il comunismo viene ormai riconosciuto da tutte le potenze europee come una
potenza.
È gran tempo che i comunisti espongano apertamente a tutto il mondo la loro
prospettiva, i loro scopi, le loro tendenze, e oppongano alla favola dello
spettro del comunismo un manifesto del partito.
A questo scopo si sono radunati a Londra comunisti delle più diverse
nazionalità e hanno redatto il seguente manifesto, che viene pubblicato in
lingua inglese, francese, tedesca, italiana, fiamminga e danese.
I - BORGHESI E PROLETARI
La storia di ogni società è stata finora la storia di lotte di classe.
Uomo libero e schiavo, patrizio e plebeo, barone e servo della gleba,
membro di una corporazione e artigiano, in breve oppressore e oppresso si sono
sempre reciprocamente contrapposti, hanno combattuto una battaglia
ininterrotta, aperta o nascosta, una battaglia che si è ogni volta conclusa con
una trasformazione rivoluzionaria dell'intera società o con il comune tramonto
delle classi in conflitto.
Nelle precedenti epoche storiche noi troviamo dovunque una suddivisione
completa della società in diversi ceti e una multiforme strutturazione delle
posizioni sociali. Nell'antica Roma abbiamo patrizi, cavalieri, plebei,
schiavi; nel Medioevo, feudatari, vassalli, membri delle corporazioni,
artigiani, servi della gleba, e ancora, in ciascuna di queste classi, ulteriori
specifiche classificazioni.
La moderna società borghese, sorta dal tramonto della società feudale, non
ha superato le contrapposizioni di classe. Ha solo creato nuove classi al posto
delle vecchie, ha prodotto nuove condizioni dello sfruttamento, nuove forme
della lotta fra le classi.
La nostra epoca, l'epoca della borghesia, si caratterizza però per la
semplificazione delle contrapposizioni di classe. L'intera società si divide
sempre più in due grandi campi nemici, in due grandi classi che si fronteggiano
direttamente: borghesia e proletariato.
Dai servi della gleba del Medioevo sorse il popolo minuto delle prime città; da
questo popolo minuto si svilupparono i primi elementi della borghesia.
La scoperta dell'America, il periplo dell'Africa crearono un nuovo terreno per
la borghesia rampante. Il mercato delle Indie orientali e quello cinese, la
colonizzazione dell'America, il commercio con le colonie, la moltiplicazione
dei mezzi di scambio e delle stesse merci diedero un impulso fino ad allora
sconosciuto al commercio, alla navigazione, all'industria, e quindi favorirono
un rapido sviluppo dell'elemento rivoluzionario nella decadente società
feudale.
L'attività industriale fino ad allora vincolata a moduli feudali o corporativi
non poteva più fronteggiare le crescenti aspettative prodotte dai nuovi
mercati. Al suo posto comparve la manifattura. I maestri artigiani vennero
soppiantati dal ceto medio industriale; la divisione del lavoro tra le varie
corporazioni scomparve di fronte alla divisione del lavoro nella stessa singola
officina.
Ma i mercati continuavano a crescere e con essi le aspettative. Anche la
manifattura non bastava più. Il vapore e le macchine rivoluzionavano la
produzione industriale. Al posto della manifattura si affermò la grande industria
moderna, al posto del ceto medio industriale apparvero gli industriali
milionari, i comandanti di intere armate industriali, i moderni borghesi.
La grande industria ha creato il mercato mondiale, il cui avvento era stato
preparato dalla scoperta dell'America. Il mercato mondiale ha dato uno
smisurato impulso allo sviluppo del commercio, della navigazione, delle
comunicazioni terrestri. Tale sviluppo ha a sua volta retroagito sulla
crescita dell'industria. E nella stessa misura in cui crescevano industria,
commercio, navigazione, ferrovie si sviluppava anche la borghesia. Ed essa
accresceva i suoi capitali e metteva in ombra tutte le classi di origine
medievale.
Noi vediamo dunque come la stessa borghesia moderna sia il prodotto di un lungo
processo di sviluppo, di una serie di trasformazioni nel modo di produzione e
di scambio.
Ciascuno di questi stadi di sviluppo della borghesia era accompagnato da un
corrispondente progresso politico . Ceto oppresso sotto il dominio dei
signori feudali, associazioni armate e autonome nell'età dei Comuni , qui
repubblica cittadina indipendente , là terzo stato tributario della monarchia ,
poi al tempo della manifattura contrappeso alla nobiltà nella monarchia cetuale
o in quella assoluta e ancora pilastro fondamentale delle grandi monarchie, la
borghesia si conquistò infine l'assoluto dominio politico dopo la nascita della
grande industria e del mercato mondiale nel moderno Stato rappresentativo. Il
potere statale moderno è solo un comitato che amministra gli affari comuni
dell'intera classe borghese.
La borghesia ha giocato nella storia un ruolo altamente rivoluzionario.
La borghesia ha distrutto i rapporti feudali, patriarcali, idillici dovunque
abbia preso il potere. Essa ha spietatamente stracciato i variopinti lacci feudali
che legavano la persona al suo superiore naturale, e non ha salvato nessun
altro legame fra le singole persone che non sia il nudo interesse, il crudo
"puro rendiconto". Essa ha affogato nelle gelide acque del calcolo
egoistico i sacri fremiti della pia infatuazione, dell'entusiasmo cavalleresco,
della malinconia filistea. Essa ha dissolto la dignità personale nel valore di
scambio, e al posto delle innumerevoli libertà patentate e ben meritate ha
affermato l'unica libertà, quella di commerciare, una libertà senza scrupoli.
In una parola, al posto dello sfruttamento celato dalle illusioni religiose e
politiche ha instaurato lo sfruttamento aperto, senza vergogna, diretto, secco.
La borghesia ha spogliato delle loro sacre apparenze tutte le attività fino ad
allora onorevoli e considerate con pia umiltà. Essa ha trasformato il medico,
il giurista, il prete, il poeta, l'uomo di scienza in suoi salariati.
La borghesia ha strappato alle relazioni familiari il loro toccante velo
sentimentale per ricondurle a una pura questione di denaro.
La borghesia ha rivelato come la brutale esibizione di forza, quella
caratteristica del Medioevo che tanto piace alla reazione, abbia trovato il suo
congruo complemento nella più inerte pigrizia. Solo la borghesia ha dimostrato
che cosa l'attività umana può produrre. Essa ha realizzato meraviglie ben
diverse dalle piramidi egizie, dagli acquedotti romani e dalle cattedrali
gotiche, si è lanciata in ben altre avventure che non le migrazioni dei popoli
e le crociate.
La borghesia non può esistere senza rivoluzionare continuamente gli
strumenti di produzione, dunque i rapporti di produzione, dunque tutti i
rapporti sociali. La prima condizione di esistenza di tutte le precedenti
classi industriali era invece la conservazione immutata del vecchio modo di
produzione. L'ininterrotta trasformazione della produzione, il continuo
sconvolgimento di tutte le istituzioni sociali, l'eterna incertezza e l'eterno
movimento distinguono l'epoca della borghesia da tutte le epoche precedenti8. Vengono
quindi travolti tutti i rapporti consolidati, arrugginiti, con il loro codazzo
di rappresentazioni e opinioni da tempo in onore. E tutti i nuovi rapporti
invecchiano prima di potersi strutturare. Tutto ciò che è istituito, tutto ciò
che sta in piedi evapora, tutto ciò che è sacro viene sconsacrato, e gli uomini
sono finalmente costretti a considerare con sobrietà il loro posto nella vita,
i loro rapporti reciproci.
La necessità di uno sbocco sempre più vasto per i suoi prodotti lancia la
borghesia alla conquista dell'intera sfera terrestre. Bisogna annidarsi
dappertutto, dovunque occorre consolidarsi e stabilire collegamenti.
La borghesia ha strutturato in modo cosmopolitico la produzione e il consumo di
tutti i paesi grazie allo sfruttamento del mercato mondiale. Con grande
dispiacere dei reazionari essa ha sottratto all'industria il suo fondamento
nazionale. Antichissime industrie nazionali sono state distrutte e continuano a
esserlo ogni giorno. Nuove industrie le soppiantano, industrie la cui nascita
diventa una questione vitale per tutte le nazioni civili, industrie che non
lavorano più le materie prime di casa ma quelle provenienti dalle regioni più
lontane, e i cui prodotti non vengono utilizzati solo nel paese stesso ma,
insieme, in tutte le parti del mondo. Al posto dei vecchi bisogni, soddisfatti
dai prodotti nazionali, se ne affermano di nuovi, che per essere soddisfatti
esigono i prodotti delle terre e dei climi più lontani. Al posto dell'antica
autosufficienza e delimitazione locale e nazionale si sviluppano traffici in
tutte le direzioni, si stringe una reciproca interdipendenza universale fra le
nazioni. E ciò sia nella produzione materiale che in quella spirituale. Le
conquiste spirituali delle singole nazioni divengono bene comune. L'unilateralità
e la delimitazione nazionale diventano sempre meno possibili e dalle varie
letterature nazionali e locali si costruisce una letteratura mondiale.
La borghesia trascina verso la civiltà persino le nazioni più barbariche,
grazie al rapido miglioramento di tutti gli strumenti di produzione, grazie al
continuo progresso delle comunicazioni. I prezzi ben calibrati delle sue merci
sono l'artiglieria pesante con cui essa atterra qualsiasi muraglia cinese, con
cui essa costringe alla capitolazione financo la più ostinata xenofobia dei
barbari. La borghesia costringe tutte le nazioni a far proprio il modo di
produzione borghese, se non vogliono affondare; la borghesia le costringe a
introdurre esse stesse la cosiddetta civiltà, cioè a diventare borghesi. In una
parola, la borghesia si costruisce un mondo a sua immagine e somiglianza.
La borghesia ha sottomesso la campagna al dominio della città. Essa ha creato
enormi città, ha notevolmente aumentato la popolazione urbana rispetto a quella
delle campagne, strappando così all'idiotismo della vita di campagna una parte
importante della popolazione. Come ha reso dipendente la campagna dalla città,
così ha reso dipendenti i paesi barbarici o semibarbarici da quelli
civilizzati, i popoli contadini da quelli borghesi, l'Oriente dall'Occidente.
La borghesia tende sempre più a superare la frammentazione dei mezzi di
produzione, della proprietà e della popolazione. Essa ha agglomerato la
popolazione, centralizzato i mezzi di produzione e concentrato la proprietà in
poche mani. La conseguenza necessaria era la centralizzazione politica.
Province indipendenti, quasi solo alleate, con interessi, leggi, governi e
dogane differenti, sono state riunite in un'unica nazione, un unico governo,
un'unica legge, un unico interesse di classe nazionale, un'unica barriera
doganale.
La borghesia ha prodotto, nel corso del suo nemmeno centenario dominio di
classe, forze produttive più massicce e colossali di tutte le altre generazioni
messe insieme. Controllo delle forze della natura, macchine, impiego della
chimica nell'industria e nell'agricoltura, navigazione a vapore, ferrovie,
telegrafi elettrici, dissodamento di interi continenti, navigabilità dei fiumi,
popolazioni intere fatte nascere dal nulla: quale secolo passato sospettava che
tali forze produttive giacessero nel grembo del lavoro sociale?
Noi però abbiamo visto che i mezzi di produzione e di scambio sul cui
fondamento si è sviluppata la borghesia furono creati nella società feudale. A
un certo stadio dello sviluppo di questi mezzi di produzione e di scambio, i
rapporti entro cui la società feudale produceva e scambiava, l'organizzazione
feudale dell'agricoltura e della manifattura, in una parola i rapporti feudali
di proprietà, non rappresentavano più lo sviluppo raggiunto dalle forze
produttive. Più che stimolare la produzione, tali rapporti la ostacolavano.
Tanto da trasformarsi in altrettante catene. Dovevano essere spezzati e furono
spezzati.
Al loro posto subentrò la libera concorrenza con la costituzione sociale e
politica che le è propria, con il dominio economico e politico della classe
borghese.
Simile è lo sviluppo che si sta svolgendo sotto i nostri occhi. I rapporti
borghesi di produzione e di scambio, i rapporti borghesi di proprietà, insomma
la moderna società borghese, che ha come per incantesimo prodotto mezzi di
produzione e di scambio tanto potenti, è come l'apprendista stregone incapace
di controllare le potenze sotterranee da lui stesso evocate. La storia
dell'industria e del commercio è ormai da decenni solo la storia della
sollevazione delle moderne forze produttive contro i moderni mezzi di
produzione, contro i rapporti di proprietà che esprimono le condizioni di
esistenza e di dominio della borghesia. Basta citare le crisi commerciali, che
nel loro minaccioso ricorrere ciclico mettono sempre più in questione
l'esistenza dell'intera società borghese. Nelle crisi commerciali viene
regolarmente distrutta una grande parte non solo dei prodotti ma persino delle
forze produttive già costituite. Nelle crisi scoppia un'epidemia sociale che in
tutte le altre epoche sarebbe stata considerata un controsenso: l'epidemia
della sovrapproduzione. La società si trova improvvisamente ricacciata in uno
stato di momentanea barbarie; una carestia, una guerra di annientamento11 totale
sembrano sottrarle ogni mezzo di sussistenza; l'industria, il commercio
appaiono distrutti, e perché? Perché la società ha incorporato troppa civiltà,
troppi mezzi di sussistenza, troppa industria, troppo commercio. Le forze
produttive di cui essa dispone non servono più allo sviluppo della civiltà
borghese e (12) dei rapporti borghesi di proprietà; al contrario, esse sono
diventate troppo potenti per quei rapporti, ne sono frenate, e non appena
superano questo ostacolo gettano nel caos l'intera società borghese, mettono in
pericolo l'esistenza della proprietà borghese. I rapporti borghesi sono
diventati troppo angusti per contenere la ricchezza che essi stessi hanno
prodotto. Come supera le crisi la borghesia? Da una parte con l'annientamento
coatto di una massa di forze produttive; dall'altra conquistando nuovi mercati
e sfruttando più a fondo quelli vecchi. In che modo, insomma? Provocando crisi
più generalizzate e più violente e riducendo i mezzi necessari a prevenirle.
Le armi con cui la borghesia ha annientato il feudalesimo si rivoltano ora
contro la borghesia stessa.
Ma la borghesia non ha solo forgiato le armi che la uccidono; ha anche
prodotto gli uomini che imbracceranno queste armi: i lavoratori moderni, i
proletari.
Nella stessa misura in cui si sviluppa la borghesia, cioè il capitale, si
sviluppa anche il proletariato, la moderna classe dei lavoratori, i quali
vivono solo fin quando trovano lavoro e trovano lavoro solo in quanto il loro
lavoro accresce il capitale. Questi lavoratori, che devono vendersi un poco
alla volta, sono una merce come qualsiasi altro articolo in commercio e sono
perciò ugualmente esposti a tutte le alterne vicende della concorrenza, a tutte
le oscillazioni del mercato.
Il lavoro dei proletari ha perso ogni tratto di autonomia e quindi ogni
stimolo per il lavoratore a causa dell'espansione delle macchine e della
divisione del lavoro. Il lavoratore diventa un mero accessorio della macchina.
Da lui si pretende solamente il più facile, il più monotono, il più elementare
movimento. Il suo costo è limitato quasi esclusivamente ai mezzi di
sostentamento di cui egli necessita per sopravvivere e per garantire il futuro
della sua razza. Il prezzo di una merce, dunque anche del lavoro13, è però pari
ai suoi costi di produzione. Più il lavoro è ripugnante, più diminuisce per
conseguenza il salario. Meglio: più si sviluppano le macchine e la divisione
del lavoro, più cresce il volume (14) del lavoro, sia per l'aumento dell'orario
di lavoro, sia per l'aumento del lavoro richiesto in un dato periodo di tempo,
per la cresciuta velocità delle macchine, ecc.
L'industria moderna ha trasformato il piccolo laboratorio del maestro
patriarcale nella grande fabbrica del capitalista industriale. Le masse dei
lavoratori compresse nella fabbrica vengono organizzate militarmente. Come
soldati semplici dell'industria esse vengono sottoposte alla vigilanza di una
gerarchia completa di sottufficiali e ufficiali. I lavoratori non sono solo
schiavi della classe borghese, dello Stato borghese, ogni giorno e ogni ora
essi sono asserviti dalla macchina, dal sorvegliante e soprattutto dallo stesso
singolo fabbricante borghese. Tale dispotismo è tanto più gretto, odioso,
amaro, quanto più apertamente erige il profitto a suo ultimo scopo.
Quanto meno il lavoro manuale richiede abilità e forza, cioè quanto più si
sviluppa l'industria moderna, tanto più il lavoro degli uomini viene sostituito
da quello delle donne e dei bambini . Per la classe operaia le differenze di
sesso e di età non hanno più alcuna rilevanza sociale. Non esistono ormai che
strumenti di lavoro, distinti per il diverso costo relativo all'età e al sesso.
Se lo sfruttamento del lavoratore da parte del proprietario della fabbrica
cessa nel momento in cui egli riceve il suo compenso in contanti, ecco che su
di lui si gettano le altre parti della borghesia, il proprietario della casa,
il bottegaio, lo strozzino, ecc.
I piccoli ceti medi, i piccoli industriali, commercianti e detentori di
rendita, gli artigiani e i contadini, tutte queste classi sprofondano nel
proletariato in parte perché il loro esiguo capitale non basta per mandare
avanti una grande industria e quindi soggiace alla concorrenza dei grandi
capitalisti, in parte perché il loro talento è svalutato da nuovi modi di
produzione. Sicché il proletariato è reclutato in tutte le classi della
popolazione.
Il proletariato passa attraverso diverse fasi di sviluppo. La sua lotta contro
la borghesia comincia dalla nascita.
All'inizio a lottare sono i singoli lavoratori, poi i lavoratori di una
fabbrica, poi quelli di un ramo produttivo in un luogo specifico contro il
singolo borghese che li sfrutta direttamente. Essi contestano non solo i
rapporti di produzione borghesi ma gli stessi strumenti di produzione;
distruggono le merci concorrenti che provengono dall'estero, fanno a pezzi le
macchine, incendiano le fabbriche, cercano di riconquistarsi17 la vecchia
posizione di cui come lavoratori godevano nel Medioevo.
In questo stadio i lavoratori costituiscono una classe dispersa in tutto il
paese e divisa dalla concorrenza. Una loro resistenza più massiccia ancora non
deriva dalla capacità di unirsi in autonomia, ma dall'unità della borghesia, la
quale per raggiungere i propri obiettivi politici deve - e ancora può - mettere
in movimento l'intero proletariato. In questo stadio dunque i proletari non
combattono i loro nemici, ma i nemici dei propri nemici, i residui della
monarchia assoluta, i proprietari terrieri, i borghesi non industriali, i
piccoli borghesi. L'intero movimento storico è in tal modo concentrato nelle
mani della borghesia; ogni vittoria così ottenuta è una vittoria della
borghesia.
Ma con lo sviluppo dell'industria il proletariato non solo cresce di numero;
esso si coagula in grandi masse, diventa più forte e più consapevole della sua
forza. Gli interessi, le condizioni di vita dei proletari diventano sempre più
simili, poiché le macchine annientano le differenze nel lavoro e precipitano il
salario quasi dappertutto verso una stessa modesta soglia. La crescente
concorrenza tra borghesi e le crisi commerciali che ne derivano rendono il
salario dei lavoratori sempre più labile; l'evoluzione delle macchine, in
continuo sempre più rapido sviluppo, ne rende l'esistenza sempre più insicura;
gli scontri tra il singolo lavoratore e il singolo borghese acquistano sempre
più il carattere di scontro fra due classi. I lavoratori cominciano a formare
coalizioni (18) contro il borghese; si uniscono per difendere il salario. Fino
a costituire associazioni permanenti, in modo da prepararsi per queste
periodiche battaglie. In qualche caso la lotta si muta in rivolta.
Qualche volta i lavoratori riescono a vincere, ma solo provvisoriamente. Il
vero risultato delle loro lotte non è il successo immediato, ma il
rafforzamento dell'unità dei lavoratori. Essa è facilitata dallo sviluppo dei
mezzi di comunicazione prodotti dalla grande industria, che mettono in contatto
lavoratori delle più varie località. C'è bisogno di questo collegamento per
dare la stessa impronta alle molte battaglie locali che esplodono un po' dappertutto,
per centralizzarle in una lotta nazionale, in una lotta di classe. Ma ogni
lotta di classe è una lotta politica. E i moderni proletari realizzano in pochi
anni grazie alle ferrovie quell'unità che gli uomini medievali crearono nei
secoli con le loro strade vicinali.
Questa organizzazione dei proletari in classe, e quindi in partito politico,
viene ad ogni istante nuovamente distrutta dalla concorrenza fra gli stessi
lavoratori. Ma essa rinasce sempre di nuovo, più forte, più solida, più
potente. Essa impone il riconoscimento per legge di singoli interessi dei
lavoratori, sfruttando le divisioni nella borghesia. È il caso della legge
delle dieci ore in Inghilterra.
Gli scontri nel corpo della vecchia società favoriscono in vario modo la
crescita del proletariato. La borghesia è sempre in lotta: dapprima contro
l'aristocrazia; più tardi contro quelle sue stesse parti i cui interessi si
rivelano di ostacolo allo sviluppo dell'industria; e perennemente contro la
borghesia di tutti i paesi stranieri. In tutte queste lotte essa si sente
costretta a fare appello al proletariato, a prendere in considerazione il suo
aiuto e a immetterlo così nel circuito politico. La borghesia forgia così gli
strumenti19 dello sviluppo del proletariato, produce cioè le armi con cui sarà
combattuta.
Inoltre, come abbiamo visto, lo sviluppo dell'industria getta parti
fondamentali della classe dominante nella condizione proletaria, o quanto meno
ne minaccia il livello di vita. Anche queste parti di borghesia declassata
offrono al proletariato una quantità di fattori di sviluppo .
In tempi in cui la lotta di classe si avvicina infine allo scontro decisivo,
il processo di dissolvimento della classe dominante, dell'intera vecchia
società, assume un carattere così veemente, così acuto, che una piccola parte
della vecchia società se ne emancipa per unirsi alla classe rivoluzionaria,
alla classe cui appartiene il futuro. Come una volta parte della nobiltà
passò con la borghesia, così oggi parte della borghesia va con il proletariato,
e segnatamente una parte degli ideologi borghesi, che si sono innalzati alla
comprensione teorica dell'intero movimento storico.
Tra tutte le classi che oggi si contrappongono alla borghesia, solo il
proletariato è una vera classe rivoluzionaria. Le altre classi vanno in rovina
e tramontano con la grande industria; il proletariato ne è il prodotto più
proprio.
I ceti medi, i piccoli industriali, il piccolo commerciante, l'artigiano, il
contadino: tutti costoro combattono la borghesia per assicurarsi l'esistenza
come ceti medi. Essi non sono quindi rivoluzionari, ma conservatori. Di più,
essi sono reazionari, giacché tentano di riportare indietro la ruota della
storia. Se sono rivoluzionari, lo sono in rapporto al loro prossimo passaggio
al proletariato. In tal senso, essi non difendono i loro interessi attuali ma
quelli futuri, e quindi abbandonano la posizione loro propria per incardinarsi
in quella del proletariato.
Il sottoproletariato , questa marcescenza passiva dei ceti infimi della vecchia
società, viene in qualche caso trascinato da una rivoluzione proletaria, ma per
tutta la sua esistenza sarà più incline a vendersi ai reazionari intriganti.
Le condizioni di vita della vecchia società sono già distrutte nelle condizioni
di vita del proletariato. Il proletario è senza proprietà; il suo rapporto con
la moglie e i figli non ha più niente in comune con la famiglia borghese; il
lavoro industriale moderno, il moderno assoggettamento al capitale, identico in
Inghilterra e in Francia, in America e in Germania, gli ha sottratto ogni
carattere nazionale. Le leggi, la morale, la religione sono per lui altrettanti
pregiudizi borghesi, dietro i quali si nascondono altrettanti interessi
borghesi.
Una volta conquistato il potere, tutte le classi precedenti cercarono di garantirsi
le condizioni di vita appena ottenute sottomettendo l'intera società alle
regole della loro conquista. I proletari possono impossessarsi delle forze
produttive sociali solo eliminando il loro stesso modo di acquisizione della
ricchezza e quindi l'intero modo di acquisizione della ricchezza finora
vigente. I proletari non hanno nulla di proprio da difendere, devono
distruggere ogni forma di sicurezza privata e di assicurazione privata
esistente.
Tutti i movimenti sono stati finora movimenti di minoranze o nell'interesse di
minoranze. Il movimento proletario è il movimento autonomo della stragrande
maggioranza nell'interesse della stragrande maggioranza. Il proletariato, ceto
infimo dell'attuale società, non si può sollevare, non può elevarsi, senza far
saltare in aria l'intera costruzione dei ceti che formano la società ufficiale.
Non nel contenuto, ma nella forma, la lotta del proletariato contro la
borghesia è dapprima nazionale. Per prima cosa il proletariato di ogni paese
deve naturalmente far fuori la sua borghesia.
Descrivendo le fasi più generali dello sviluppo del proletariato, abbiamo
osservato la più o meno nascosta guerra civile all'interno dell'attuale società
fino al punto in cui scoppia un'aperta rivoluzione e il proletariato afferma il
suo dominio grazie alla liquidazione violenta della borghesia.
Ogni società si è finora fondata, come abbiamo visto, sulla contrapposizione
fra classi di oppressori e di oppressi. Ma per opprimere una classe, occorre
assicurarle condizioni tali da permetterle almeno di sopravvivere in schiavitù.
Il servo della gleba si è elevato a membro del Comune continuando a lavorare
come servo della gleba, così come il piccolo borghese si è fatto borghese sotto
il giogo dell'assolutismo feudale. Al contrario, il lavoratore moderno,
invece di elevarsi con il progresso dell'industria, tende a impoverirsi
rispetto alle condizioni di vita della sua classe. Il lavoratore diventa
povero, e la povertà si sviluppa più rapidamente della popolazione e della
ricchezza. Emerge così chiaramente che la borghesia non è in grado di restare
ancora a lungo la classe dominante nella società e di dettarvi legge alle sue
condizioni. La borghesia è incapace di governare perché non è in grado di
garantire l'esistenza ai suoi schiavi all'interno del suo stesso schiavismo,
perché è costretta a lasciarli sprofondare in una condizione che la costringe a
nutrirli, anziché esserne nutrita. La società non può più vivere sotto la
borghesia, insomma l'esistenza della borghesia non è più compatibile con quella
della società.
La condizione essenziale per l'esistenza e per il dominio della borghesia è
l'accumulazione della ricchezza nelle mani di privati, la formazione e la
moltiplicazione del capitale. La condizione necessaria a creare il capitale è
il lavoro salariato. Il lavoro salariato riposa esclusivamente sulla
concorrenza fra i lavoratori. Il progresso dell'industria, di cui la borghesia è
portatrice involontaria e passiva, produce, invece dell'isolamento dei
lavoratori prodotto dalla concorrenza, la loro unificazione rivoluzionaria
sotto forma di associazione. Con lo sviluppo della grande industria viene
dunque sottratta sotto i piedi della borghesia la base stessa su cui essa
produce e si appropria dei prodotti. Essa produce soprattutto i suoi propri becchini.
Il suo tramonto e la vittoria del proletariato sono ugualmente inevitabili.
II - PROLETARI E COMUNISTI
Qual
è il rapporto tra comunisti e proletari?
I comunisti non sono un partito a sé fra gli altri partiti dei lavoratori.
Essi non hanno interessi separati da quelli dell'intero proletariato.
Essi non propongono particolari princìpi su come modellare il movimento
proletario.
I comunisti si distinguono dai restanti partiti
proletari solo perché, d'un lato, nelle diverse lotte nazionali dei proletari
essi pongono in evidenza e affermano gli interessi comuni di tutto il
proletariato, indipendentemente dalla nazionalità; dall'altro, perché essi
esprimono sempre l'interesse complessivo del movimento nelle diverse fasi in
cui si sviluppa la lotta fra proletariato e borghesia.
I comunisti sono pertanto nella pratica la parte più decisa e più
avanzata dei partiti operai di ogni paese, e dal punto di vista teorico essi
sono anticipatamente consapevoli delle condizioni, del corso e dei risultati
complessivi del movimento proletario.
Il primo compito dei comunisti è identico a quello di tutti gli altri
partiti proletari: costituzione del proletariato in classe, annientamento del
dominio della borghesia, conquista del potere politico da parte del
proletariato.
Le formulazioni teoriche dei comunisti non riposano affatto su idee, su
princìpi scoperti da questo o quel riformatore del mondo.
Essi sono solo l'espressione generale di rapporti effettivi di una lotta di
classe che esiste, di un movimento storico che si svolge sotto i nostri occhi.
L'eliminazione di rapporti di proprietà finora vigenti non è qualcosa di
specificamente comunista.
Tutti i rapporti di proprietà sono stati soggetti nel corso della storia a un
cambiamento continuo.
Ad esempio, la Rivoluzione francese abolì la proprietà feudale a vantaggio di
quella borghese.
Ciò che distingue il comunismo non è l'eliminazione della proprietà in quanto
tale, bensì l'abolizione della proprietà borghese.
Ma la moderna proprietà privata borghese è l'ultima e più compiuta espressione
della creazione e dell'appropriazione dei prodotti fondata su contrapposizioni
di classe, sullo sfruttamento degli uni da parte degli altri .
In tal senso i comunisti possono riassumere la loro
teoria in questa singola espressione: abolizione della proprietà privata.
Si è rimproverato a noi comunisti di voler abolire la proprietà
personale, ottenuta con il proprio lavoro; la proprietà che costituirebbe la
base di ogni libertà, attività e indipendenza personale.
Proprietà guadagnata con il proprio lavoro! Parlate della proprietà
piccolo-borghese, piccolo-contadina, che ha preceduto la proprietà borghese?
Non abbiamo bisogno di abolirla, è lo sviluppo dell'industria che l'ha abolita
e l'abolisce giorno per giorno.
Oppure parlate della moderna proprietà privata borghese?
Ma il lavoro salariato, il suo lavoro, dà al proletario una proprietà? Niente
affatto. Esso crea il capitale, cioè la proprietà che sfrutta il lavoro
salariato, che può accrescersi solo a condizione di produrre nuovo lavoro
salariato, per sfruttarlo di nuovo. Nella sua forma attuale, la proprietà
deriva dalla contrapposizione di capitale e lavoro salariato. Osserviamo i due
lati di questa opposizione.
Essere capitalista significa assumere nella produzione una posizione non solo
puramente personale, ma sociale. Il capitale è un prodotto collettivo e può
essere messo in moto solo grazie a una comune attività di molti, anzi in ultima
istanza di tutti i membri della società.
Il capitale non è quindi un potere solo personale, è un potere sociale.
Se allora il capitale viene trasformato in proprietà collettiva, che appartiene
a tutti i membri della società, in tal modo non si muta una proprietà privata
in una proprietà collettiva. Cambia solo il carattere sociale della proprietà.
Essa perde il suo carattere di classe.
Veniamo al lavoro salariato.
Il prezzo medio del lavoro salariato è il minimo del compenso lavorativo,
cioè la somma dei mezzi di sussistenza necessari a mantenere in vita il
lavoratore in quanto lavoratore. Ciò di cui dunque il lavoratore si
appropria attraverso la sua attività, basta appena per ricreare le condizioni
minime per sopravvivere. Noi non vogliamo affatto abolire questa appropriazione
personale dei prodotti del lavoro necessari a ricostituire le condizioni minime
di sopravvivenza, un'appropriazione da cui non deriva alcun ricavo che potrebbe
conferire potere sul lavoro altrui. Noi vogliamo solo eliminare il carattere
miserevole di tale appropriazione, in cui il lavoratore vive solo per
accrescere il capitale, e continua a vivere solo in quanto lo esige l'interesse
della classe dominante.
Nella società borghese il lavoro vivo è solo un
mezzo per accrescere il lavoro accumulato. Nella società comunista il lavoro
accumulato è solo un mezzo per ampliare, arricchire e migliorare la vita dei
lavoratori.
Nella società borghese è dunque il passato che domina
sul presente, in quella comunista è il presente che domina sul passato. Nella
società borghese il capitale è indipendente e personale, mentre l'individuo
attivo è dipendente e impersonale.
E l'abolizione di questo rapporto la borghesia la chiama abolizione della
personalità e della libertà! E a ragione. Si tratta però dell'abolizione della
personalità, indipendenza e libertà borghesi.
Con "libertà" si intende nell'ambito degli attuali
rapporti borghesi di produzione il libero commercio, la libertà di acquistare e
di vendere.
Ma se scompare il traffico, allora scompare anche il libero traffico. Gli
stereotipi a proposito del libero traffico, come tutte le ulteriori bravate
liberali del nostro borghese, hanno un senso solo nei confronti del traffico
vincolato, nei confronti del cittadino medievale asservito, ma non nei
confronti dell'abolizione comunista del traffico, dei rapporti borghesi di produzione
e della stessa borghesia.
Voi inorridite perché noi vogliamo eliminare la proprietà privata. Ma nella
vostra società esistente la proprietà privata è abolita per i nove decimi dei
suoi membri; anzi, essa esiste proprio in quanto non esiste per quei nove
decimi. Voi ci accusate dunque di voler abolire una proprietà che verte
necessariamente sulla mancanza di proprietà della stragrande maggioranza della
popolazione.
In una parola, voi ci accusate di voler abolire la vostra proprietà. È proprio
quello che vogliamo.
Dal momento in cui il lavoro non può più essere trasformato in capitale,
denaro, rendita fondiaria - in breve, in un potere sociale monopolizzabile -,
cioè dal momento in cui la proprietà personale non può tramutarsi in proprietà
borghese, da quel momento voi dichiarate che ad essere abolita è la persona.
Voi ammettete così di considerare come persona nient'altro che il borghese, il
proprietario borghese. Epperò questa persona deve essere abolita.
Il comunismo non impedisce a nessuno di appropriarsi dei prodotti della
società, impedisce solo di sottomettere il lavoro altrui per mezzo di tale
appropriazione.
Si è obiettato che con l'abolizione della proprietà privata ogni attività
cesserebbe e si affermerebbe una pigrizia generalizzata.
Secondo una simile interpretazione la società borghese dovrebbe essere già da
tempo scomparsa per colpa dell'indolenza, giacché coloro che vi lavorano non
guadagnano, e coloro che vi guadagnano non lavorano. Tutta questa riflessione
porta alla tautologia per cui il lavoro salariato cessa di esistere nel momento
in cui non esiste più il capitale.
Tutte le obiezioni rivolte contro il modo comunista di appropriazione e di
produzione dei prodotti materiali sono state sviluppate allo stesso titolo nei
confronti dell'appropriazione e della produzione dei prodotti spirituali. Come
per il borghese la fine della proprietà di classe significa la fine della
produzione stessa, così per lui la fine della cultura di classe è identica alla
fine della cultura in quanto tale.
La cultura di cui egli lamenta la perdita è per l'enorme maggioranza la
preparazione a diventare una macchina.
Ma non dibattete con noi misurando la liquidazione della proprietà borghese in
base alle vostre concezioni borghesi della libertà, della cultura, del diritto
e così via. Le vostre idee stesse derivano dai rapporti di produzione e di
proprietà borghesi, così come il vostro diritto non è altro che la
codificazione della volontà della vostra classe, volontà il cui contenuto è
dato dalle condizioni materiali di esistenza della vostra classe.
Voi condividete con tutte le classi dominanti tramontate la concezione
interessata grazie alla quale affermate come leggi eterne della natura e della
ragione i vostri rapporti di produzione e di proprietà, frutto di rapporti
storici, rapporti che evolvono nel corso della produzione. Ciò che voi
intendete come proprietà antica, ciò che voi intendete come proprietà feudale,
non lo potete più intendere come proprietà borghese.
Abolizione della famiglia! Persino i più radicali si indignano per
questo scandaloso intento dei comunisti.
Su che cosa poggia la famiglia attuale, la famiglia borghese? Sul capitale, sul
reddito privato. In senso pieno essa esiste solo per la borghesia; ma essa
trova il suo completamento nell'imposizione ai proletari di non avere una
famiglia e nella prostituzione pubblica.
La famiglia del borghese decade naturalmente con l'eliminazione di questo suo
proprio completamento ed entrambi scompaiono con la scomparsa del capitale.
Voi ci rimproverate di voler abolire lo sfruttamento dei bambini da parte dei
loro genitori? Confessiamo questo crimine.
Ma voi dite che noi aboliamo i rapporti più cari sostituendo con l'educazione
sociale quella impartita a domicilio.
E forse che la vostra stessa educazione non è determinata dalla società? Dai
rapporti sociali nel cui ambito voi educate, dall'interferenza più o meno
diretta o indiretta della società per mezzo della scuola e così via? Non sono i
comunisti a inventare l'intervento della società nell'educazione; ne cambiano
solo il carattere, sottraggono l'educazione all'influsso di una classe
dominante.
Gli stereotipi borghesi sulla famiglia e sull'educazione, sull'affettuoso
rapporto fra genitori e figli, diventano tanto più nauseanti quanto più per i
proletari vengono spezzati tutti i vincoli familiari e i figli sono trasformati
in semplici articoli di commercio e strumenti di lavoro.
"Ma voi comunisti volete introdurre la comunanza delle donne!",
strepita in coro contro di noi l'intera borghesia.
Il borghese vede in sua moglie un puro strumento di produzione. Egli sente dire
che gli strumenti di produzione devono essere sfruttati in comune e non può
naturalmente fare a meno di pensare che il destino della comunanza toccherà
anche alle donne.
Non gli viene in mente che si tratta proprio di abolire la posizione delle
donne come puri strumenti di produzione.
D'altronde non c'è nulla di più ridicolo del moralissimo orrore del nostro
borghese per la pretesa comunanza ufficiale delle donne fra i comunisti. I
comunisti non hanno bisogno di introdurre la comunanza delle donne, giacché
essa è quasi sempre esistita.
Non contento del fatto che le mogli e le figlie dei suoi proletari siano a sua
disposizione - per tacere della prostituzione ufficiale - i nostri borghesi
trovano sommo piacere nel sedurre reciprocamente le rispettive mogli.
In realtà, il matrimonio borghese è la comunanza delle mogli. Al massimo, si
potrebbe rimproverare ai comunisti di voler sostituire una comunanza delle
mogli ufficiale, aperta, a una comunanza ipocritamente nascosta. Eppoi va da sé
che con l'abolizione dei rapporti di produzione vigenti sparisce per
conseguenza anche la comunanza delle donne che ne deriva, cioè la prostituzione
ufficiale e ufficiosa.
Si è inoltre rimproverato ai comunisti di voler liquidare la patria, la
nazionalità.
I lavoratori non hanno patria. Non si può togliere loro ciò che non hanno.
Dovendo anzitutto conquistare il potere politico, elevarsi a classe nazionale ,
costituirsi in nazione, il proletariato resta ancora nazionale, ma per nulla
affatto nel senso in cui lo è la borghesia.
Le divisioni e gli antagonismi nazionali fra i popoli tendono sempre più a
scomparire già con lo sviluppo della borghesia, con la libertà del commercio,
con il mercato mondiale, con l'uniformità della produzione industriale e delle
condizioni di vita che ne derivano.
Il potere proletario li farà scomparire ancora di più. L'azione comune almeno
dei paesi più civilizzati è una delle prime condizioni della sua liberazione.
In tanto in quanto viene eliminato lo sfruttamento del singolo individuo da
parte di un altro, svanisce anche lo sfruttamento di una nazione da parte di
un'altra.
Con l'antagonismo delle classi all'interno delle nazioni cade la reciproca
ostilità fra le nazioni.
Alle accuse contro il comunismo rivolte in genere sulla base di punti di
vista religiosi, filosofici e ideologici non serve opporre più dettagliata
risposta.
È necessario un profondo sforzo intellettuale per capire che anche le
concezioni, le opinioni e i concetti - in una parola, la coscienza - di
ciascuno cambiano insieme alle sue condizioni di vita, alle sue relazioni
sociali, alla sua collocazione nella società?
La storia delle idee dimostra che la produzione spirituale si conforma alla
produzione materiale. In ogni epoca hanno sempre dominato le idee della classe
dominante.
Si parla di idee che rivoluzionano un'intera società; così non si fa che
esprimere il fatto che all'interno della vecchia società si sono formati gli
elementi di una società nuova, che la dissoluzione dei vecchi modi di vita va
di pari passo con la dissoluzione delle vecchie idee.
Quando il mondo antico fu per tramontare, le religioni dell'antichità furono
vinte dal cristianesimo. Quando, nel XVIII secolo, le idee cristiane
soccombettero alle idee dell'illuminismo, la società feudale ingaggiò la sua
lotta con l'allora rivoluzionaria borghesia. Le idee di libertà di coscienza e
di religione non esprimevano altro che il dominio della libera concorrenza nel
campo coscienziale .
Si opporrà che le idee religiose, morali, filosofiche, politiche, giuridiche,
ecc., si sono modificate lungo il corso della storia. Eppure in questi
cambiamenti la religione, la morale, la filosofia, la politica, il diritto si
sono conservati.
Ci sono poi verità eterne come la libertà, la giustizia, ecc., comuni a tutte
le condizioni sociali. Ma il comunismo liquida le verità eterne, liquida la
religione, la morale, invece di dar loro nuova forma - esso dunque contraddice
il corso della storia così come si è finora sviluppato.
A che cosa si riduce questa accusa? L'intera storia della società si è
sviluppata finora attraverso le contrapposizioni di classe, diverse a seconda
delle diverse epoche.
Ma qualunque forma assumesse, lo sfruttamento di una parte della società da
parte dell'altra è un fatto comune a tutti i secoli passati. Nessuna sorpresa
dunque che la coscienza sociale di qualsiasi secolo, malgrado ogni varietà e
diversificazione, si muova in determinate forme comuni - forme di coscienza -
che si estinguono completamente solo a seguito della totale scomparsa della
contrapposizione di classe.
La rivoluzione comunista è la rottura più radicale con i rapporti
tradizionali di proprietà. Non meraviglia dunque che nel suo sviluppo essa
rompa nel modo più radicale con le idee tradizionali.
Ma lasciamo stare le obiezioni della borghesia contro il comunismo.
Abbiamo già visto sopra che il primo passo nella rivoluzione dei lavoratori è
l'elevazione del proletariato a classe dominante, la conquista della
democrazia.
Il proletariato userà il suo potere politico per strappare progressivamente
alla borghesia tutti i suoi capitali, per centralizzare tutti gli strumenti di
produzione nelle mani dello Stato, dunque del proletariato organizzato in
classe dominante, e per moltiplicare il più rapidamente possibile la massa
delle forze produttive.
In un primo momento ciò può accadere solo per mezzo di interventi dispotici sul
diritto di proprietà e sui rapporti di produzione borghesi, insomma attraverso
misure che appaiono economicamente insufficienti e inconsistenti, ma che nel
corso del movimento si spingono oltre i propri limiti e sono inevitabili
strumenti di trasformazione dell'intero modo di produzione.
Queste misure saranno naturalmente differenti da paese a paese.
Per i paesi più sviluppati potranno comunque essere molto generalmente prese le
misure seguenti:
1) Espropriazione della proprietà fondiaria e impiego della proprietà fondiaria
per le spese dello Stato.
2) Forte imposta progressiva.
3) Abolizione del diritto di successione.
4) Confisca della proprietà di tutti gli emigrati e ribelli.
5) Centralizzazione del credito nelle mani dello Stato attraverso una banca
nazionale dotata di capitale di Stato e monopolio assoluto.
6) Centralizzazione di ogni mezzo di trasporto nelle mani dello Stato.
7) Moltiplicazione delle fabbriche nazionali, degli strumenti di produzione,
dissodamento e miglioramento dei terreni secondo un piano sociale.
8) Uguale obbligo di lavoro per tutti, costituzione di eserciti industriali,
specialmente per l'agricoltura.
9) Unificazione dell'esercizio dell'agricoltura e dell'industria, misure volte
ad abolire gradualmente la contrapposizione di città e campagna.
10) Educazione pubblica e gratuita di tutti i bambini. Abolizione del lavoro
dei bambini nelle fabbriche nella sua forma attuale. Fusione di educazione e
produzione materiale, ecc., ecc.
Una volta sparite, nel corso di questa evoluzione, le differenze di classe,
e una volta concentrata tutta la produzione nelle mani degli individui
associati, il potere pubblico perderà il suo carattere politico. Il potere
pubblico in senso proprio è il potere organizzato di una classe per soggiogarne
un'altra. Quando il proletariato inevitabilmente si unifica nella lotta contro
la borghesia, erigendosi a classe egemone in seguito a una rivoluzione, e
abolendo con la violenza, in quanto classe egemone, i vecchi rapporti di
produzione, insieme a quei rapporti di produzione esso abolisce anche le
condizioni di esistenza della contrapposizione di classe, delle classi in
genere, e così anche il suo proprio dominio in quanto classe.
Al posto della vecchia società borghese con le sue
classi e le sue contrapposizioni di classe, subentra un'associazione in cui il
libero sviluppo di ciascuno è condizione del libero sviluppo di tutti.
III - LETTERATURA SOCIALISTA E COMUNISTA
1. Il socialismo reazionario
a) Il socialismo feudale
L'aristocrazia francese e inglese era spinta dalla sua posizione storica a
produrre dei pamphlet contro la moderna società borghese. Nella rivoluzione
francese del luglio 1830 e nel movimento riformatore inglese l'aristocrazia era
stata ancora una volta sconfitta dall'aborrito nuovo venuto. Non restava più
traccia di un serio conflitto politico. Restava solo il conflitto letterario.
Ma sul terreno letterario i vecchi stereotipi della restaurazione28 erano
diventati obsoleti. Per conquistarsi delle simpatie, l'aristocrazia doveva far
finta di perdere di vista i propri interessi per formulare il proprio atto di
accusa contro la borghesia nell'interesse esclusivo dei lavoratori. Si preparava
così la soddisfazione di poter intonare invettive contro il suo nuovo signore,
e di soffiargli nell'orecchio profezie più o meno disastrose.
Nacque così il socialismo feudale, metà lamentazione, metà libello; metà eco
del passato, metà incombere del futuro; colpiva la borghesia al cuore con
giudizi amari e spiritosamente laceranti, ma con un effetto curioso, derivante
dalla totale incapacità di capire il corso della storia moderna.
Questi aristocratici sventolavano la proletaria bisaccia da mendicante come
fosse la loro bandiera, cercando di radunare il popolo dietro le loro parole
d'ordine. Ma ogni volta che seguiva il richiamo degli aristocratici, il popolo
scopriva sui loro posteriori le vecchie insegne feudali e li abbandonava fra
acuti e irrispettosi sghignazzi.
Una parte dei legittimisti francesi e la Giovane Inghilterra hanno espresso le
punte più alte di questa messinscena.
Quando i feudatari dimostrano che il loro sistema di sfruttamento era
strutturato in modo diverso da quello borghese, dimenticano però che loro
sfruttavano in condizioni completamente diverse e ormai superate. Quando
dimostrano che sotto il loro dominio non esisteva il moderno proletariato,
dimenticano però che proprio la borghesia moderna è un erede necessario del
loro ordine sociale.
D'altronde essi celano così poco il carattere reazionario della loro critica
che la loro accusa principale contro la borghesia è che sotto il suo regime si
sviluppa una classe che farà saltare in aria tutto il vecchio ordine sociale.
Di più, essi accusano la borghesia di produrre un proletariato rivoluzionario,
non un proletariato tout court.
Nella prassi politica gli aristocratici partecipano dunque a tutte le misure di
forza contro la classe lavoratrice, e nella vita quotidiana, malgrado i loro
torniti stereotipi, si adattano a cogliere le mele d'oro31, e a scambiare
fedeltà, amore, onore col commercio della lana di pecora, della barbabietola e
della grappa .
Come il sacerdote è sempre andato d'accordo con il feudatario, così il
socialismo pretesco si accompagna a quello feudale.
Non c'è nulla di più facile che dare all'ascetismo cristiano un tocco
socialistico. Forse che il cristianesimo non si è mobilitato anch'esso contro
la proprietà privata, contro il matrimonio, contro lo Stato? Non ha forse
predicato, al loro posto, la beneficenza, la carità, il celibato e la
mortificazione della carne, la vita monacale e la Chiesa? Il socialismo sacro è
solo l'acquasanta con cui il sacerdote benedice l'ira degli aristocratici.
b) Il socialismo piccolo-borghese
L'aristocrazia feudale non è l'unica classe ad essere stata rovesciata dalla
borghesia e le cui condizioni di vita siano deperite e poi estinte nella
moderna società borghese. La piccola borghesia medievale e i piccoli contadini
sono stati i precursori della moderna borghesia. Nei paesi meno sviluppati
industrialmente e commercialmente questa classe continua a vegetare accanto
alla borghesia in ascesa.
Nei paesi in cui si è sviluppata la civiltà moderna, si è formata una nuova
piccola borghesia che oscilla fra il proletariato e la borghesia e che si
ricostituisce sempre di nuovo come complemento della società borghese. Ma i
piccoli borghesi vengono regolarmente risospinti dalla concorrenza verso il
proletariato, anzi, con lo sviluppo della grande industria essi si avvicinano
al punto in cui spariranno del tutto come elemento autonomo della società
moderna e verranno rimpiazzati - nel commercio, nella manifattura e
nell'agricoltura - da sorveglianti di fabbrica e da servitori.
In paesi come la Francia, dove i contadini sono assai più della metà della
popolazione, era ovvio che gli intellettuali schieratisi per il proletariato
contro la borghesia usassero il metro del piccolo borghese e del piccolo
contadino e prendessero partito per i lavoratori dal punto di vista
piccolo-borghese. Così si formò il socialismo piccolo-borghese. Il più alto
esponente di questa letteratura è Sismondi , non solo in Francia ma anche in
Inghilterra.
Questo socialismo ha scandagliato con somma acribia le contraddizioni dei rapporti
di produzione moderni. Ha smascherato gli ipocriti abbellimenti degli
economisti. Ha dimostrato irrefutabilmente gli effetti distruttivi delle
macchine e della divisione del lavoro, la concentrazione dei capitali e della
proprietà fondiaria, la sovrapproduzione, le crisi, il necessario tramonto dei
piccoli borghesi e dei piccoli contadini, la miseria del proletariato,
l'anarchia della produzione, le stridenti sproporzioni nella distribuzione
della ricchezza, la guerra industriale di sterminio tra le nazioni, la
liquidazione dei vecchi costumi, dei vecchi rapporti familiari, delle vecchie
nazionalità.
In termini positivi questo socialismo vuole però o ricostituire gli antichi
mezzi di produzione e di scambio e con essi gli antichi rapporti di proprietà e
la vecchia società, o rinserrare nuovamente, di forza, entro i vincoli dei
vecchi rapporti di proprietà, i moderni mezzi di produzione e di scambio che
liquidano e non potevano non liquidare proprio quei vecchi rapporti. In
entrambi i casi questo socialismo è reazionario e utopistico.
Corporazioni nella manifattura ed economia patriarcale nelle campagne: queste
sono le sue ultime parole.
Nel suo ulteriore sviluppo questa corrente, dopo tanta eccitazione, si è spenta
in una vile atonia35.
c) Il socialismo tedesco, ovverosia il "vero" socialismo
La letteratura socialista e comunista francese, sorta sotto la pressione della
borghesia egemone, e che è l'espressione letteraria della lotta contro questa
egemonia, fu importata in Germania proprio quando la borghesia cominciava la
sua lotta contro l'assolutismo feudale.
Filosofi tedeschi, mezzi filosofi e anime belle si impadronirono avidamente di
quella letteratura, solo dimenticando che le condizioni di vita francesi non
erano immigrate in Germania insieme a quegli scritti. Nell'impatto con la
situazione tedesca la letteratura francese perse ogni significato pratico
immediato e assunse un aspetto puramente letterario, fino a dover apparire come
oziosa speculazione sulla società vera36, sulla realizzazione dell'essere
umano. Allo stesso modo le rivendicazioni della prima rivoluzione francese
avevano avuto per il filosofo tedesco del XVIII secolo solo il senso di
rivendicazioni generali della "ragion pratica", e l'espressione della
volontà della borghesia rivoluzionaria francese aveva per loro il senso di
leggi della pura volontà, della volontà come deve essere, della volontà
veramente umana.
Il lavoro dei letterati tedeschi si risolse nell'accordare le nuove idee
francesi con la loro vecchia coscienza filosofica, o anzi nell'appropriarsi
delle idee francesi dal loro punto di vista filosofico.
Tale appropriazione avvenne nel modo in cui ci si impadronisce di una lingua
straniera, con la traduzione.
È noto come i monaci annotassero con insipide storie cattoliche di santi i
manoscritti che recavano i classici dell'antico mondo pagano. I letterati
tedeschi fecero l'opposto con la letteratura francese profana. Scrissero le
loro sciocchezze dietro l'originale francese. Per esempio dietro la critica
francese dei rapporti patrimoniali essi scrissero "alienazione dell'essere
umano", dietro la critica francese dello Stato borghese scrissero
"abolizione del dominio dell'universale astratto", e così via.
Essi battezzarono questa insinuazione delle loro espressioni filosofiche nel contesto
francese come "filosofia dell'azione", "vero socialismo",
"scienza tedesca del socialismo", "fondazione filosofica del
socialismo", ecc.
La letteratura francese socialista e comunista fu così perfettamente evirata. E
poiché in mano tedesca essa cessava di esprimere la lotta di una classe contro
l'altra, il tedesco era conscio di aver superato la "unilateralità
francese", d'essersi fatto interprete non dei bisogni veri, ma del bisogno
della verità, non degli interessi proletari, ma di quelli del genere umano,
dell'uomo in assoluto, dell'uomo che non appartiene ad alcuna classe, meno che
mai alla realtà, ma solo al nebuloso cielo della fantasia filosofica.
Questo socialismo tedesco, che tanto seriamente aveva preso le sue goffe
esercitazioni scolastiche e tanto sguaiatamente le strombazzava, perdette
tuttavia, a poco a poco, la sua pedante innocenza.
La lotta della borghesia tedesca, in particolare di quella prussiana, contro i
feudatari e contro l'assolutismo regio - in una parola: il movimento liberale -
divenne più seria.
Venne così offerta al "vero" socialismo l'auspicata possibilità di
opporre le rivendicazioni socialiste al movimento politico, di scagliare i
tradizionali anatemi contro il liberalismo, contro lo Stato rappresentativo,
contro la concorrenza borghese, contro la libertà di stampa borghese, il
diritto borghese, la libertà e l'uguaglianza borghese, e di predicare alla
massa del popolo che essa non aveva nulla da guadagnare ma tutto da perdere da
questo movimento borghese. Il socialismo tedesco dimenticò per tempo che la
critica francese, di cui esso rappresentava l'ottusa eco, presuppone la società
moderna borghese con le sue proprie condizioni materiali di esistenza e la
corrispondente costituzione politica, tutti presupposti per la cui conquista in
Germania la lotta era appena cominciata.
Il "vero" socialismo servì ai governi assoluti tedeschi con il loro
codazzo di pretonzoli, maestrucoli, nobilastri e burocrati come gradito
spauracchio contro la borghesia minacciosamente in marcia.
Esso rappresentò il complemento dolciastro delle aspre scudisciate e delle
schioppettate con cui quegli stessi governi trattavano le sollevazioni dei
lavoratori tedeschi.
Il "vero" socialismo diventava così un'arma nelle mani dei governi
contro la borghesia tedesca, e allo stesso tempo difendeva anche direttamente
un interesse reazionario, l'interesse della piccola borghesia tedesca . In
Germania la piccola borghesia rappresenta l'effettivo bastione sociale della
società attuale, una piccola borghesia costituitasi nel XVI secolo e da allora
sempre riaffiorante in forme diverse.
La sua conservazione è la conservazione dell'attuale società tedesca. Essa teme
di essere ineluttabilmente distrutta dall'egemonia industriale e politica della
borghesia, sia per effetto della concentrazione del capitale che per il sorgere
di un proletariato rivoluzionario. Le parve che il "vero" socialismo
le prendesse due piccioni con una fava. Esso si diffondeva come un'epidemia.
La veste tessuta di ragnatela speculativa, ornata di fiori retorici da anime
belle, imbevuta di rugiada sentimentale ebbra d'amore, questa veste di
esaltazione nella quale i socialisti tedeschi avvolgevano un paio di
scheletriche "verità eterne" non fece che moltiplicare lo spaccio
della loro merce presso quel pubblico.
Da parte sua il socialismo tedesco riconobbe sempre più la sua vocazione di
altezzoso rappresentante di questa piccola borghesia.
Esso ha proclamato la nazione tedesca nazione normale, il borghesuccio38
tedesco uomo normale. Esso ha conferito a ogni abiezione di costui un nascosto
alto senso socialistico, sicché l'abiezione significava l'opposto di se stessa.
Fino a trarre le estreme conseguenze, insorgendo direttamente contro la
"rozza tendenza distruttiva" del comunismo e affermando la sua imparziale
superiorità rispetto a tutte le lotte di classe. Con pochissime eccezioni,
quanto circola in Germania di pretesi scritti socialisti e comunisti appartiene
all'ambito di questa sporca indisponente letteratura39.
2. Il socialismo conservatore, ovverosia borghese
Una parte della borghesia conta di rimediare alle ingiustizie sociali per
garantire l'esistenza della società borghese.
È il caso di economisti, filantropi, umanitari, miglioratori della condizione
delle classi lavoratrici, benefattori, protettori degli animali, promotori di
associazioni di temperanza, riformatori di ogni risma e colore. E questo
socialismo borghese è stato elaborato in interi sistemi.
Come esempio prendiamo la Philosophie de la misère di Proudhon .
I socialisti borghesi vogliono le condizioni di esistenza della società moderna
ma senza le lotte e i pericoli che pure ne sono necessaria conseguenza.
Vogliono la società attuale ma senza gli elementi intesi a rivoluzionarla ed
eliminarla. Vogliono la borghesia senza il proletariato. La borghesia si
rappresenta il mondo in cui domina come il migliore dei mondi possibili. Il
socialismo borghese elabora questa rappresentazione consolatoria sotto forma di
un mezzo o di un intero sistema. Quando esorta il proletariato a realizzare i
suoi sistemi per41 irrompere nella nuova Gerusalemme, in fondo non fa che
pretendere dal proletariato di restare confitto nella società attuale
rinunciando però alle odiose idee che se ne è fatto.
Una seconda forma di questo socialismo, meno sistematica e più pratica, cercava
di togliere alla classe lavoratrice ogni tentazione rivoluzionaria, sostenendo
che a giovarle avrebbe potuto essere non un qualsiasi mutamento politico, ma
solo un mutamento delle condizioni materiali di esistenza, dunque dei rapporti
economici. Per mutamento delle condizioni materiali di esistenza questo tipo di
socialismo non intende però in alcun modo l'abolizione dei rapporti borghesi di
produzione, possibile solo con la rivoluzione, ma miglioramenti amministrativi
che restino sul terreno di questi rapporti di produzione; che dunque non
tocchino affatto il rapporto tra capitale e lavoro salariato, ma che semmai nel
migliore dei casi alleggeriscano alla borghesia i costi del suo dominio e
semplifichino il bilancio del suo Stato.
Il socialismo borghese corrisponde al suo proprio carattere solo quando diventa
pura figura retorica.
"Libero commercio!" nell'interesse della classe lavoratrice;
"dazi protettivi!" nell'interesse della classe lavoratrice;
"carcere cellulare!" nell'interesse della classe operaia: questa è
l'ultima parola, l'unica detta sul serio, del socialismo borghese.
Il loro socialismo consiste appunto nella tesi che i borghesi sono borghesi
nell'interesse della classe operaia.
3. Il socialismo e comunismo critico-utopistici
Non parliamo qui della letteratura che in tutte le grandi rivoluzioni moderne
ha espresso le rivendicazioni del proletariato (scritti di Babeuf43 e così
via).
I primi tentativi del proletariato di imporre il suo proprio interesse di
classe in un'epoca di sommovimento generale, nel periodo della liquidazione del
dominio feudale, fallirono necessariamente a causa della forma immatura del
proletariato stesso, e anche perché mancavano le condizioni materiali per la
sua emancipazione, appunto prodotte solo nell'età borghese. La letteratura
rivoluzionaria che accompagnò queste prime apparizioni del movimento proletario
è per il suo contenuto inevitabilmente reazionaria. Essa postula un ascetismo
generale e un rozzo egualitarismo.
I sistemi propriamente socialisti e comunisti, i sistemi di Saint-Simon , di
Fourier , di Owen , ecc., emergono nella prima e non sviluppata fase della
lotta fra proletariato e borghesia, di cui abbiamo trattato sopra (si veda
"Borghesi e proletari").
I fondatori di quei sistemi colgono certo la contrapposizione fra le classi,
come pure l'efficacia degli elementi dissolventi in seno alla stessa classe
egemone. Ma non colgono affatto l'autonomo ruolo storico del proletariato, non
colgono alcun movimento politico proprio del proletariato.
Poiché lo sviluppo della contrapposizione fra le classi procede di pari passo
con lo sviluppo dell'industria, essi non trovano neppure le condizioni
materiali per l'emancipazione del proletariato e si lanciano allora alla
ricerca di una scienza sociale, di leggi sociali utili a creare tali
condizioni.
Al posto dell'attività sociale deve subentrare la loro propria inventiva
personale, al posto delle condizioni storiche dell'emancipazione del
proletariato devono subentrare condizioni immaginarie, al posto della graduale
organizzazione del proletariato in classe deve subentrare un'organizzazione
della società da loro stessi escogitata. Per costoro la storia universale a
venire si dissolve nella propaganda e nella realizzazione pratica dei loro
progetti sociali.
Non che essi non siano consapevoli di sostenere nei loro progetti anzitutto
l'interesse della classe lavoratrice in quanto classe che soffre. Il
proletariato esiste per loro solo sotto questo aspetto di classe che soffre.
Essi sono però spinti dalla forma non sviluppata della lotta di classe come
pure dalla loro stessa condizione esistenziale a considerarsi molto superiori a
quella contrapposizione di classe. Essi vogliono migliorare le condizioni di
vita di tutti i membri della società, anche dei più agiati. Fanno perciò
continuamente appello alla società intera, senza distinzioni, anzi
prevalentemente alla classe dominante. Basta solo capire il loro sistema per
riconoscervi il miglior progetto possibile per la migliore delle società
possibili.
Sicché essi rifiutano ogni azione politica, in particolare ogni azione
rivoluzionaria. Puntano a raggiungere il loro obiettivo per via pacifica e
tentano di aprire la strada al nuovo vangelo sociale con il potere
dell'esempio, attraverso piccoli esperimenti che naturalmente sono destinati a
fallire.
Questa rappresentazione fantastica della società futura - in un'epoca in cui il
proletariato è ancora pochissimo sviluppato e dunque si rappresenta la propria
posizione in modo fantasioso - rispecchia il primo impulso del proletariato che
presagisce una trasformazione complessiva della società.
Gli scritti socialisti e comunisti contengono però anche elementi critici. Essi
attaccano tutte le fondamenta della società esistente. Hanno perciò offerto
materiali molto apprezzabili per la maturazione dei lavoratori. Le loro
affermazioni positive sulla società futura, cioè l'abolizione della
contrapposizione di città e campagna, della famiglia, del guadagno privato, del
lavoro salariato, l'annuncio dell'armonia sociale, la trasformazione dello
Stato in pura amministrazione della produzione, tutte queste loro affermazioni
esprimono semplicemente la scomparsa della contrapposizione fra le classi che
proprio allora comincia a svilupparsi e che essi conoscono solo nella sua prima
informe indeterminatezza. Sicché queste affermazioni hanno un senso puramente
utopistico.
L'importanza del socialismo e comunismo critico-utopistici è inversamente
proporzionale allo sviluppo storico. Nella stessa misura in cui la lotta di
classe si sviluppa e prende forma, quel fantasticato elevarsi al di sopra di
essa, quella immaginaria lotta contro di essa perde ogni valore pratico e ogni
giustificazione teorica. Se anche i fondatori di quei sistemi erano dunque
sotto diversi aspetti dei rivoluzionari, i loro allievi non fanno che formare
ogni volta delle sette reazionarie. Si aggrappano alle vecchie tesi dei maestri
contro il progressivo sviluppo storico del proletariato. Epperciò cercano di
smussare di nuovo la lotta di classe e di mediare fra gli estremi. Continuano
pur sempre a sognare la realizzazione sperimentale delle loro utopie sociali,
l'istituzione di singoli falansteri, la fondazione di colonie in patria, la
creazione di una piccola Icaria - la copia in dodicesimo della nuova
Gerusalemme -, e per l'edificazione di tutti questi castelli spagnoli debbono
appellarsi alla filantropia dei cuori e dei portafogli borghesi. A poco a poco
cadono nella categoria dei summenzionati socialisti reazionari o conservatori,
differendo da questi solo per una più sistematica pedanteria, per la fede
fanatica e superstiziosa nei meravigliosi effetti della loro scienza sociale.
Essi dunque si oppongono aspramente a ogni movimento politico dei lavoratori,
che non potrebbe non derivare che da cieca miscredenza nel nuovo vangelo.
Gli owenisti in Inghilterra, i fourieristi in Francia, reagiscono lì contro i
cartisti, qui contro i riformisti.
IV - POSIZIONE DEI COMUNISTI NEI CONFRONTI DEI DIVERSI PARTITI DI OPPOSIZIONE
In base a quanto affermato nel secondo capitolo, il rapporto dei comunisti
verso i partiti dei lavoratori che si sono appena costituiti, cioè verso i
cartisti in Inghilterra e verso i riformatori agrari nell'America del Nord,
appare evidente.
Essi lottano per raggiungere gli scopi e per servire gli interessi più immediati
della classe lavoratrice, ma nel movimento attuale rappresentano anche il
futuro del movimento. In Francia i comunisti si uniscono al partito socialista
democratico51 contro la borghesia conservatrice e radicale, senza perciò
rinunciare al diritto di atteggiarsi criticamente verso gli stereotipi e le
illusioni tramandate dalla tradizione rivoluzionaria.
In Svizzera essi sostengono i radicali, senza dimenticare che questo partito si
compone di elementi contraddittori, in parte di socialisti democratici in senso
francese, in parte di borghesi radicali.
Tra i polacchi i comunisti sostengono il partito che fa della rivoluzione
agraria la condizione della liberazione nazionale; lo stesso partito che chiamò
all'insurrezione di Cracovia nel 1846.
In Germania il partito comunista lotta insieme alla borghesia - in tanto in
quanto la borghesia si presenta come rivoluzionaria - contro la monarchia
assoluta, la proprietà fondiaria feudale e il piccolo borghesume.
Ma esso non trascura nemmeno per un istante di promuovere nei lavoratori una
coscienza - la più chiara possibile - della contrapposizione mortale di
borghesia e proletariato, in modo che i lavoratori tedeschi possano subito
rivoltare, come altrettante armi contro la borghesia, le condizioni sociali e
politiche che la borghesia deve affermare insieme alla propria egemonia, e in
modo che immediatamente dopo il crollo delle classi reazionarie in Germania
possa subito cominciare la lotta contro la stessa borghesia.
I comunisti concentrano il massimo di attenzione sulla Germania, perché la
Germania è alla vigilia di una rivoluzione borghese, e perché essa porta a
compimento questo rivolgimento nel contesto di una civiltà europea più
progredita e con un proletariato molto più evoluto che non l'Inghilterra nel
XVII e la Francia nel XVIII secolo. La rivoluzione borghese tedesca può dunque
essere solo l'immediato preludio di una rivoluzione proletaria.
In una parola, i comunisti sostengono dovunque ogni movimento rivoluzionario
diretto contro le condizioni sociali e politiche esistenti.
In tutti questi movimenti i comunisti mettono in rilievo la questione della
proprietà - qualsiasi forma, più o meno sviluppata, essa abbia preso - come
questione centrale del movimento.
Infine, i comunisti lavorano dovunque al collegamento e al rafforzamento dei
partiti democratici di tutti i paesi.
I comunisti sprezzano l'idea di nascondere le proprie opinioni e intenzioni.
Essi dichiarano apertamente di poter raggiungere i loro obiettivi solo con il
rovesciamento violento di ogni ordinamento sociale finora esistente. Che le
classi dominanti tremino al pensiero di una rivoluzione comunista. I
proletari non hanno da perdervi altro che le proprie catene. Da guadagnare
hanno un mondo.
Proletari di tutti i paesi, unitevi!