IL CAPITALE

LIBRO III

SEZIONE VII

I REDDITI E LE LORO FONTI

CAPITOLO 51

RAPPORTI DI DISTRIBUZIONE E RAPPORTI DI PRODUZIONE

Il valore aggiunto annualmente ex novo, dal lavoro aggiunto ex novo — e quindi anche quella parte del prodotto annuo, in cui questo valore è rappresentato e che può essere estratta dalla produzione complessiva e da essa separata — si suddivide quindi in tre parti, che assumono tre diverse forme di reddito, in forme che indicano che una parte di questo valore appartiene o va al possessore della forza-lavoro, una parte al possessore del capitale ed una terza parte al possessore della proprietà fondiaria. Si tratta quindi di rapporti o forme della distribuzione, poiché esprimono i rapporti in cui il valore complessivo prodotto ex novo è ripartito fra i possessori dei diversi fattori della produzione.

Alla concezione corrente questi rapporti di distribuzione appaiono come rapporti naturali, come rapporti che scaturiscono dalla natura di tutta la produzione sociale, dalle leggi della produzione umana in generale. Non si può, è vero, negare che società pre capitalistiche mostrino altri modi di distribuzione, ma questi vengono interpretati come modi non sviluppati, imperfetti e camuffati, diversamente coloriti, dei rapporti normali di distribuzione, modi che non hanno raggiunto la loro più pura espressione e la loro forma più alta.

In questa concezione vi è di vero solo quanto segue: presupponendo che esista una produzione sociale di qualsiasi tipo (ad esempio, quelle delle primitive comunità indiane, o quelle del più artificialmente sviluppato comunismo dei peruviani), può essere sempre fatta una distinzione fra quella parte del lavoro i cui prodotti entrano direttamente nel consumo individuale dei produttori e delle loro famiglie — indipendentemente dalla parte che è consumata produttivamente — e quella parte del lavoro che è sempre pluslavoro, il cui prodotto serve sempre al soddisfacimento dei bisogni sociali generali, quale che possa essere il modo di distribuzione di questo plusprodotto, e chiunque possa esercitare la funzione di rappresentante di questi bisogni sociali. L’identità dei diversi modi di distribuzione si riduce quindi al fatto che essi sono identici, se si astrae dalle loro differenze e forme specifiche, avendo riguardo soltanto ai loro elementi comuni in contrasto con le loro differenze.

Una mente più evoluta, più critica, ammette tuttavia che i rapporti di distribuzione si sviluppano storicamente, ma si aggrappa d’altra parte ancora più tenacemente al carattere costante dei rapporti di produzione stessi, derivante dalla natura umana e indipendente quindi da qualsiasi sviluppo storico.

L’analisi scientifica del modo di produzione capitalistico dimostra al contrario che esso è un modo di produzione di tipo particolare, specificamente definito dallo sviluppo storico; che, al pari di qualsiasi altro definito modo di produzione, presuppone un certo livello delle forze produttive sociali e delle loro forme di sviluppo, come loro condizione storica; condizione, che è essa stessa il risultato storico ed il prodotto di un processo precedente, e da cui il nuovo modo di produzione prende le mosse in quanto suo fondamento dato; che i rapporti di produzione corrispondenti a questo specifico modo di produzione, storicamente determinato — rapporti, in cui gli uomini entrano nel loro processo di vita sociale, nella creazione della loro vita sociale —, hanno un carattere specifico, storico, transitorio; e che, infine, i rapporti di distribuzione sono in sostanza identici a questi rapporti di produzione, costituiscono il rovescio di questi ultimi, così che gli uni e gli altri hanno lo stesso carattere storicamente transitorio.

Nello studio dei rapporti di distribuzione, si prendono le mosse dalla pretesa constatazione di fatto secondo cui il prodotto annuo si distribuisce come salario, profitto e rendita fondiaria. Ma in tali termini, la constatazione è falsa. Il prodotto si ripartisce da un lato, in capitale, dall’altro in redditi. Uno dei questi redditi, il salario, non assume mai la forma di un reddito, il reddito dell’operaio, se non dopo essersi contrapposto all’operaio stesso nella forma di capitale. Il contrapporsi delle condizioni di lavoro prodotte e dei prodotti di lavoro in generale, in quanto capitale, ai produttori diretti, include a priori un carattere sociale definito delle condizioni di lavoro materiali rispetto agli operai e con ciò un rapporto determinato, in cui essi entrano nella produzione stessa con i possessori delle condizioni di lavoro e fra loro stessi. La trasformazione di queste condizioni di lavoro in capitale implica a sua volta l’espropriazione della terra appartenente ai produttori diretti, e quindi una determinata forma della proprietà fondiaria.

Se una parte del prodotto non si trasformasse in capitale, l’altra non assumerebbe le forme di salario, profitto e rendita.

D’altro lato, se il modo di produzione capitalistico presuppone questa forma sociale determinata delle condizioni di produzione, le riproduce anche continuamente. Non riproduce solamente i prodotti materiali, ma riproduce continuamente i rapporti di produzione, nell’ambito dei quali quelli vengono prodotti, e con essi anche i rapporti di distribuzione corrispondenti.

Possiamo dire, è vero, che il capitale (e la proprietà fondiaria che esso implica come sua antitesi) presuppone a sua volta una ripartizione, precisamente l’espropriazione degli operai dalle condizioni di lavoro, la concentrazione di queste condizioni in mano di una minoranza di individui, l’esclusiva proprietà della terra da parte di altri individui, in breve tutti quei rapporti che sono stati descritti nella sezione riguardante l’accumulazione originaria (Libro I, cap. 24).  Ma questa distribuzione è completamente distinta da quella che si intende per rapporti di distribuzione, quando si rivendica a questi, in contrasto con i rapporti di produzione, un carattere storico. Questi vengono intesi come l’insieme dei vari titoli che si riferiscono a quella parte del prodotto che è destinata al consumo individuale. I rapporti di distribuzione, ai quali abbiamo accennato sopra, costituiscono invece fondamenti di specifiche funzioni sociali che nel l’ambito dello stesso rapporto di produzione spettano a determinati agenti dello stesso in contrasto ai produttori diretti. Essi danno alle condizioni di produzione stesse ed ai loro rappresentanti una qualità sociale specifica. Essi determinano tutto il carattere e tutto il movimento della produzione.

Il modo di produzione capitalistico si contraddistingue a priori per due tratti caratteristici.

Primo. Esso produce i suoi prodotti come merci. Il produrre merci non lo distingue dagli altri modi di produzione; lo distingue invece il fatto che il carattere prevalente e determinante del sua prodotto è quello di essere merce. Ciò implica, in primo luogo, che l’operaio stesso si presenta unicamente nella veste di venditore di merci, quindi di libero lavoratore salariato, cosi che il lavoro in generale si presenta come lavoro salariato. Dopo quanto abbiamo esposto nella nostra analisi, non è necessario dimostrare di nuovo che il rapporto fra capitale e lavoro salariato determina tutto il carattere del modo di produzione. I principali agenti di questo modo di produzione stesso, il capitalista e il lavoratore salariato, sono in quanto tali, semplicemente incarnazioni, personificazioni del capitale e del lavoro salariato; sono caratteri sociali determinati, che il processo di produzione sociale imprime agli individui; sono prodotti di questi determinati rapporti sociali di produzione.

Il carattere 1) del prodotto in quanto merce, e 2) della merce in quanto prodotto del capitale, implica già tutti i rapporti di circolazione, vale a dire, un processo sociale determinato, che i prodotti devono compiere e durante il quale assumono caratteri sociali determinati. Implica rapporti altrettanto determinati degli agenti della produzione, da cui sono determinati la valorizzazione del loro prodotto e la sua ri-trasformazione sia in mezzi di sussistenza che in mezzi di produzione. Ma anche senza tener conto di ciò, dai due caratteri sopra menzionati del prodotto in quanto merce, o della merce in quanto merce prodotta capitalisticamente, risulta tutta la determinazione del valore e la regolazione di tutta la produzione da parte del valore. In questa forma assolutamente specifica del valore, il lavoro appare da un lato solamente come lavoro sociale, d’altro lato la ripartizione di questo valore sociale e la reciproca integrazione, il ricambio organico dei suoi prodotti, la subordinazione al meccanismo sociale e l’inserimento in esso, sono lasciati alle azioni casuali, che si annullano reciprocamente, dei singoli produttori capitalistici. Poiché questi si trovano l’uno di fronte all’altro soltanto come possessori di merci, ed ognuno cerca di vendere la sua merce il più caro possibile (potendo apparentemente regolare a piacimento la produzione stessa) la legge interna impone se stessa semplicemente per mezzo della loro concorrenza, della loro reciproca pressione, tramite le quali gli spostamenti si compensano a vicenda. La legge del valore agisce qui solo come legge interna, come cieca legge di natura nei confronti di singoli agenti e impone l’equilibrio sociale della produzione in mezzo alle sue fluttuazioni accidentali.

Inoltre, l’esistenza di merci ed ancora di più di merci in quanto prodotto di capitale, implica l’oggettivazione delle determinazioni sociali della produzione e la soggettivazione dei fondamenti materiali della produzione, che caratterizzano l’intero modo di produzione capitalistico.

Il secondo tratto caratteristico, che contraddistingue specifica mente il modo di produzione capitalistico, è la produzione del plusvalore come scopo diretto e motivo determinante della produzione. Il capitale produce essenzialmente capitale e fa ciò solamente nella misura in cui produce plusvalore. Abbiamo visto nella nostra analisi riguardante il plusvalore relativo, ed ancora di più in quella riguardante la trasformazione del plusvalore in profitto, come abbia qui le sue radici un modo di produzione proprio del periodo capitalistico, una forma particolare dello sviluppo delle forze produttive sociali del lavoro, ma in quanto forze autonomizzate del capitale rispetto all’operaio e quindi in contrasto diretto con lo sviluppo proprio dell’operaio. La produzione per il valore e il plusvalore implica, come abbiamo visto nel corso della nostra analisi ulteriore, la tendenza sempre attiva a ridurre il tempo di lavoro necessario per la produzione di una merce, ossia il suo valore, al di sotto della media sociale data di volta in volta. Il desiderio di ridurre il prezzo di costo al suo minimo diventa la leva più forte per l’aumento della forza produttiva sociale del lavoro, che tuttavia appare qui soltanto come un aumento continuo della forza produttiva del capitale.

L’autorità assunta dal capitalista in quanto personificazione del capitale nel diretto processo di produzione, la funzione sociale che egli riveste nella sua qualità di dirigente e di dominatore della produzione, è sostanzialmente diversa dall’autorità avente come base la produzione con schiavi, servi della gleba, ecc.

Mentre, sulla base della produzione capitalistica, alla massa dei produttori diretti si contrappone il carattere sociale della loro produzione, nella forma di una autorità rigorosamente normativa e di un meccanismo sociale del processo lavorativo articolato in una gerarchia completa, — autorità però che spetta ai suoi depositari in quanto personificazioni delle condizioni di lavoro rispetto al lavoro, non, come nelle precedenti forme di produzione, in quanto dominatori politici o teocratici — fra i depositari di questa autorità, fra i capitalisti stessi, che si contrappongono l’uno all’altro soltanto come possessori di merci, regna una anarchia completa, nel quadro della quale la struttura sociale della produzione si afferma solo come una soverchiante legge naturale nei confronti dell’arbitrio individuale.

Solo perché il lavoro nella forma di lavoro salariato e i mezzi di produzione nella forma di capitale sono dati come presupposti — quindi solo per effetto di questa specifica forma sociale di questi due fattori essenziali della produzione — una parte del valore (prodotto) si presenta come plusvalore e questo plusvalore come profitto (rendita), come guadagno del capitalista, come ricchezza addizionale disponibile, che gli appartiene. Ma soltanto perché tale parte si presenta così come suo profitto, i mezzi di produzione addizionali, che sono destinati all’allargamento della riproduzione e che costituiscono una parte del profitto, si presentano come nuovo capitale addizionale e l’allargamento del processo di riproduzione in generale come un processo di accumulazione capitalistica.

Quantunque la forma del lavoro come lavoro salariato determini la configurazione dell’intero processo e lo specifico modo della produzione stessa, non è il lavoro salariato che determina il valore. Nella determinazione del valore ciò che conta è il tempo sociale di lavoro in generale, la quantità di lavoro che la società in generale ha a sua disposizione ed il cui assorbimento relativo da parte dei diversi prodotti determina in certo qual modo il peso sociale rispettivo di questi stessi prodotti. La forma determinata in cui il tempo di lavoro sociale si afferma nella determinazione del valore delle merci è tuttavia connessa alla forma del lavoro in quanto lavoro salariato e alla corrispondente forma dei mezzi di produzione in quanto capitale, per il fatto che la produzione delle merci solo su questa base diventa la forma generale di produzione.

Ma consideriamo ora i cosiddetti rapporti di distribuzione. Il salario presuppone il lavoro salariato, il profitto presuppone il capitale. Queste forme determinate di distribuzione presuppongono quindi determinate caratteristiche sociali delle condizioni della produzione e determinati rapporti sociali fra gli agenti della produzione. Un determinato rapporto di distribuzione è, di conseguenza, solo l’espressione di un rapporto di produzione storicamente determinato.

Prendiamo ora il profitto. Questa forma determinata del plusvalore è il presupposto necessario perché la nuova creazione dei mezzi di produzione si svolga nella forma della produzione capitalistica; quindi un rapporto che domina la riproduzione, quantunque il singolo capitalista abbia l’impressione di potere in fondo consumare il suo intero profitto come rendita. Ma egli trova dei limiti, che si ergono dinanzi a lui già nella forma di fondo di assicurazione e di riserva, di legge della concorrenza ecc., e gli dimostrano praticamente che il profitto non è una semplice categoria di distribuzione del prodotto per il consumo individuale. Tutto il processo di produzione capitalistico è inoltre regolato dai prezzi dei prodotti. Ma i prezzi di produzione regolatori sono a loro volta regolati dal livellamento del saggio del profitto e dalla distribuzione del capitale tra le varie sfere sociali di produzione in corrispondenza con questo livellamento. Il profitto appare quindi qui come fattore principale non della distribuzione dei prodotti, ma della loro produzione stessa, come una parte della distribuzione dei capitali e del lavoro stesso fra le diverse sfere di produzione. La scissione del profitto in guadagno d’imprenditore e interesse appare come distribuzione di uno stesso reddito. Ma essa deriva primariamente dallo sviluppo del capitale quale valore che si autovalorizza, valore che crea plusvalore, deriva da questa forma sociale determinata del processo di produzione dominante. Essa sviluppa dal suo seno il credito e le istituzioni di credito, e con ciò la forma della produzione. Nell’interesse ecc, le pretese forme di distribuzione entrano nel prezzo come momenti di produzione determinanti.

Per quanto riguarda la rendita fondiaria potrebbe sembrare che essa costituisca una pura e semplice forma di distribuzione, per il fatto che la proprietà fondiaria in quanto tale non compie nessuna funzione, o almeno nessuna funzione normale nel processo di produzione. Ma il fatto che 1)la rendita sia limitata all’eccedenza sul profitto medio, 2)il proprietario fondiario sia ridotto da dirigente e dominatore del processo di produzione e dell’intero processo di vita sociale alla posizione di un semplice locatore di terra che esercita l’usura con la terra e si limita ad incassare la rendita; questo fatto è uno specifico risultato storico del modo di produzione capitalistico. Il fatto che la terra abbia assunto la forma di proprietà fondiaria è un presupposto storico di questo modo di produzione. Il fatto che la proprietà fondiaria assuma forme che permettono nell’agricoltura la gestione capitalistica è un prodotto del carattere specifico di questo modo di produzione. Il reddito del proprietario fondiario può essere chiamato rendita anche sotto altre forme di società. Ma differisce essenzialmente dalla rendita così come appare nel modo di produzione capitalistico.

I cosiddetti rapporti di distribuzione corrispondono, quindi, a forme storicamente determinate, specificamente sociali, del pro cesso di produzione e dei rapporti in cui gli uomini entrano nel processo di riproduzione della loro vita e derivano da queste forme. Il carattere storico di questi rapporti di distribuzione è il carattere storico dei rapporti di produzione, dei quali essi esprimono soltanto un aspetto. La distribuzione capitalistica è distinta dalle forme di distribuzione che derivano da altri modi di produzione, ed ogni forma di distribuzione scompare insieme con la forma di produzione determinata a cui essa corrisponde e da cui deriva.

La concezione che considera storicamente solo i rapporti di distribuzione, ma non i rapporti di produzione è una critica iniziale, ancora timida, dell’economia borghese. D’altro lato essa si fonda sulla confusione e sulla identificazione del processo sociale di produzione, con il processo lavorativo semplice, che deve compiere anche un uomo artificiosamente isolato, senza alcun aiuto, sociale. In quanto il processo lavorativo è soltanto un processo fra l’uomo e la natura, i suoi elementi semplici rimangono identici in tutte le forme dell’evoluzione sociale. Ma ogni determinata forma storica di questo processo ne sviluppa la base materiale e le forme sociali Quando è raggiunto un certo grado di maturità, la forma storica determinata viene lasciata cadere e cede il posto ad un’altra più elevata. Si riconosce che è giunto il momento di una tale crisi quando guadagnano in ampiezza e in profondità la contraddizione e il contrasto tra i rapporti di distribuzione e quindi anche la forma storica determinata dei rapporti di produzione ad essi corrispondenti, da un lato, e le forze produttive, capacità produttiva e sviluppo dei loro fattori dall’altro. Subentra allora un conflitto fra lo sviluppo materiale della produzione e la sua forma sociale.

 

AVVERTENZA PER IL LETTORE

Il testo del III libro del Capitale che viene qui riportato NON È UNA DELLE TRADUZIONI INTEGRALI DEL TESTO ORIGINALE che sono disponibili: esso infatti è una rivisitazione delle traduzioni esistenti (in italiano ed in francese) a cui sono state apportate le seguenti modifiche:

1 – non sono state riportate le note che Marx ed Engels richiamano nel testo (fatte salve alcune eccezioni);

2 – sono state introdotte delle modifiche per quanto riguarda gli esempi numerici in cui, per facilitare la lettura;

a – sono state cambiate le unità di misura e le grandezze;

b – diversi dati richiamati nella forma di testo sono stati trasformati in tabelle;

c – in alcuni esempi numerici le cifre decimali sono state limitate a due e nel caso di numeri periodici, ad esempio 1/3 o 2/3, la cifra periodica è stata indicata con un apice (‘).

Ci rendiamo conto che leggere un testo del Capitale in cui Marx formula esempi in Euro (€) invece che in Lire Sterline (Lst) o scellini potrebbe far sorridere e far pensare ad uno scherzo o ad una manipolazione che ha  travisato il pensiero dell’Autore, avvertiamo invece il lettore che il testo è assolutamente fedele al pensiero originale  e che ci siamo permessi di introdurre alcune “varianti” per consentire a coloro che non hanno dimestichezza con le unità di misura e monetarie inglesi di non bloccarsi di fronte a questa difficoltà e di facilitarne così la lettura o lo studio.

In altre parti si sono invece mantenute le unità di misura e monetarie inglesi originali perchè la lettura non creava problemi di comprensione o per ragioni di fedeltà storica.

Ci facciamo altresì carico dell’osservazione che Engels ha formulato nelle “considerazioni supplementari” poste all’inizio del III Libro, laddove, di fronte alle molteplici interpretazioni del testo che vennero fatte dopo la prima edizione, sostiene: “Nella presente edizione ho cercato innanzitutto di comporre un testo il più possibile autentico, di presentare, nel limite del possibile, i nuovi risultati acquisiti da Marx, usando i termini stessi di Marx, intervenendo unicamente quando era assolutamente necessario, evitando che, anche in quest’ultimo caso, il lettore potesse avere dei dubbi su chi gli parla. Questo sistema è stato criticato; si è pensato che io avrei dovuto trasformare il materiale a mia disposizione in un libro sistematicamente elaborato, en faire un livre, come dicono i francesi, in altre parole sacrificare l’autenticità del testo alla comodità del lettore. Ma non è in questo senso che io avevo interpretato il mio compito. Per una simile rielaborazione mi mancava qualsiasi diritto; un uomo come Marx può pretendere di essere ascoltato per se stesso, di tramandare alla posterità le sue scoperte scientifiche nella piena integrità della sua propria esposizione. Inoltre non avevo nessun desiderio di farlo: il manomettere in questo modo perchè dovevo considerare ciò una manomissione l’eredità di un uomo di statura così superiore, mi sarebbe sembrato una mancanza di lealtà. In terzo luogo sarebbe stato completamente inutile. Per la gente che non può o non vuole leggere, che già per il primo Libro si è data maggior pena a interpretarlo male di quanto non fosse necessario a interpretarlo bene — per questa gente è perfettamente inutile sobbarcarsi a delle fatiche”.

Marx ed Engels non ce ne vogliano, ma posti di fronte alle molteplici “fughe” dallo studio da parte di persone che non possedevano una cultura accademica, fughe che venivano imputate alla difficoltà presentate dal testo, abbiamo deciso di fare uno “strappo” alle osservazioni di Engels, intervenendo in alcune parti  avendo altresì cura di toccare il testo il meno possibile. Nel fare questo “strappo” eravamo tuttavia confortati dal fatto che, a differenza  della situazione in cui Engels si trovava, oggi chi vuole accedere al testo “originale”, dispone di diverse edizioni in varie lingue.

Coloro che volessero accostarsi al testo originale in lingua italiana si consigliano le seguenti edizioni:

  • Il capitale, Le Idee, Editori Riuniti, traduzione di Maria Luisa Boggeri;
  • Il capitale, Edizione Einaudi, traduzione di Maria Luisa Boggeri;
  • Il capitale, Edizione integrale - I mammut – Newton Compton, a cura di Eugenio Sbardella.

Chi volesse accedere ad edizioni del Capitale e di altri testi di Marx in lingue estere, si propone di consultare il sito internet di seguito riportato:

http://www.marxists.org/xlang/marx.htm