IL CAPITALE LIBRO III SEZIONE VI TRASFORMAZIONE DEL PLUSPROFITTO IN RENDITA FONDIARIA CAPITOLO 46 RENDITA DI AREE FABBRICABILI. RENDITA MINERARIA. PREZZO DELLA TERRA. Dovunque esista in generale una rendita, appare la rendita differenziale e segue le medesime leggi della rendita differenziale agricola. Dovunque le forze naturali possano essere monopolizzate e garantiscono all’industriale che le utilizza un plusprofitto, si tratti di cascate o di ricche miniere o di acque da pesca, oppure di terreni fabbricabili in buona posizione, colui che, godendo di un titolo che gli dà diritto a una porzione del globo, ha il marchio di proprietario di questi beni naturali, sottrae al capitale operante questo plusprofitto sotto forma di rendita. Per quanto riguarda la terra destinata a costruzioni, Adam Smith ha spiegato che la base della sua rendita come quella di tutte le terre non agricole, è regolata dalla rendita agricola vera e propria ([Wealth of Nations], Libro I, cap. XI, 2 e 3). Questa forma di rendita si distingue innanzi tutto per la influenza predominante che la posizione esercita qui sulla rendita differenziale (una influenza che è molto importante, ad esempio, nella coltura dei vigneti e nelle aree fabbricabili delle grandi città); in secondo luogo per le tangibile e totale passività del proprietario, la cui attività consiste unicamente (soprattutto nelle miniere) nello sfruttare il progresso dello sviluppo sociale al quale egli non contribuisce e per il quale non rischia nulla, come tuttavia fa il capitalista industriale e infine per la preponderanza del prezzo di monopolio in molti casi, particolarmente per lo sfruttamento assolutamente spudorato della miseria (poiché la miseria è per la rendita ricavata dalle abitazioni una fonte più lucrosa di quanto non lo siano mai state le miniere del Potosì per la Spagna) e per il tremendo potere che questa proprietà fondiaria conferisce, quando è unita al capitale industriale nella stessa persona, che permette praticamente di escludere i lavoratori in lotta per i salari dalla terra dove abitano. Una parte della società pretende qui dall’altra un tributo per il diritto di poter abitare la terra, come in generale nella proprietà fondiaria è incluso il diritto del proprietario di sfruttare la terra, le viscere della terra, l’aria e quindi la conservazione e lo sviluppo della vita. Non soltanto l’incremento della popolazione e con ciò l’accresciuto bisogno di abitazioni, ma anche lo sviluppo del capitale fisso, che si incorpora alla terra o mette radici in essa, ha la sua base su di essa, come tutti gli edifici industriali, le ferrovie, i magazzini, le fabbriche, i docks ecc., necessariamente accresce la rendita edilizia. Confondere la pigione in quanto interesse e ammortamento del capitale investito nelle case e la rendita per il semplice terreno, in questo caso non è possibile, con tutta la buona volontà di un Carey, soprattutto quando, come in Inghilterra, il proprietario fondiario e lo speculatore edilizio sono due persone completamente distinte. Due elementi dovrebbero essere qui considerati: da un lato lo sfruttamento della terra al fine della riproduzione o dell’estrazione, dall’altro lato lo spazio richiesto come elemento di ogni produzione e di ogni attività umana. E la proprietà fondiaria reclama il suo tributo in entrambe le direzioni. La domanda di aree fabbricabili accresce il valore del suolo in quanto spazio e fondamento, mentre al tempo stesso si accresce con ciò la domanda per gli elementi contenuti nella terra, che servono come materiali da costruzione. Già nel Libro II, cap. XII, abbiamo mostrato, citando la deposizione di un grande speculatore edilizio londinese, Edward Capps, davanti alla Commissione Bancaria del 1857, che è la rendita del suolo e non la casa che costituisce propriamente l’oggetto principale della speculazione edilizia nelle città in rapido sviluppo, particolarmente in quelle, come Londra, in cui l’edilizia è esercitata con sistemi industriali. Lì egli dice, n. 5435: «Io credo che un uomo che desideri farsi la sua strada nel mondo, non può pensare di riuscirci mantenendosi nell’ambito di un’attività onesto (fair trade)... egli deve inoltre necessariamente costruire su speculazione e far ciò su vasta scala; poiché l’imprenditore trae un profitto molto piccolo dalle costruzioni stesse, ma trae il suo principale profitto dalle rendite fondiarie accresciute. Egli prende, ad esempio, un pezzo di terra e paga per esso 72.000 €. annui. Se vi erige sopra, in base a un accurato piano di costruzione, il tipo giusto di case, può riuscire a ricavare annualmente 96.000 o 108.000 €. e il suo profitto consisterebbe molto di più nell’accresciuta rendita fondiaria di 24.000 o 36.000 €. annui che nel profitto derivante dalle costruzioni, che in molti casi egli non considera neppure». Per di più non si deve dimenticare che, trascorso il periodo del contratto di affitto, abitualmente di 99 anni, il terreno con tutti gli edifici che vi si trovano sopra e con la rendita fondiaria che nel frattempo in generale è più che raddoppiata o triplicata, ritorna dallo speculatore edilizio o dal suo successore all’originario proprietario fondiario che per ultimo l’ha dato in affitto. La rendita mineraria propriamente detta è determinata precisamente come la rendita agricola. «Vi sono alcune miniere il cui prodotto basta appena a pagare il lavoro e a sostituire il capitale in esse investito insieme con il prodotto usuale. Esse fruttano un po’ di profitto all’imprenditore, ma nessuna rendita al proprietario fondiario. Possono essere sfruttate con profitto solo dal proprietario fondiario che, essendo egli stesso imprenditore, ricava dal suo capitale investito il profitto usuale. Molte miniere di carbone in Scozia vengono sfruttate in questo modo e non possono essere sfruttate diversamente. Il proprietario fondiario non permetterà a nessun altro di sfruttarle senza il pagamento di una rendita, ma nessuno può pagare una rendita per esse» (A. SMITH: [Wealth of Nations] Libro I, cap. XI, 20. [ Ediz. Wakefield, Londra, 1835-39, vol. II, p. 36 sg.]). Bisogna distinguere se la rendita deriva da un prezzo di monopolio perché esiste un prezzo di monopolio dei prodotti o dei suolo indipendentemente da essa, o se i prodotti vengono venduti a un prezzo di monopolio perché esiste una rendita. Quando parliamo di prezzo di monopolio, intendiamo in generale un prezzo che è determinato solo da desiderio di acquistare e dalla capacità di pagare del compratore, indipendentemente sia dal prezzo che è determinato dal prezzo generale di produzione che da quello determinato dal valore del prodotto. Una vigna che produce vino di qualità assolutamente straordinaria, vino che in generale può essere prodotto soltanto in quantità relativamente scarsa, frutta un prezzo di monopolio. Il coltivatore della vigna verrebbe a realizzare un plusprofitto considerevole da questo prezzo di monopolio, la cui eccedenza sopra il valore del prodotto sarebbe esclusivamente determinata dalla ricchezza e dalla preferenza dei bevitori altolocati. Questo plusprofitto, che qui sgorga da un prezzo di monopolio, si trasforma in rendita e in questa forma finisce in mano al proprietario fondiario, grazie al suo titolo che gli dà diritto a questa porzione della terra dotata di particolari qualità. In questo caso, quindi, il prezzo di monopolio crea la rendita. Al contrario la rendita verrebbe a creare il prezzo di monopolio se il grano venisse venduto non solo al di sopra del suo prezzo di produzione, ma anche al di sopra del suo valore, in conseguenza della barriera che la proprietà fondiaria oppone all’investimento di capitale in terreno non coltivato senza pagamento di rendita. Il fatto che solo il titolo alla proprietà del globo terrestre permetta a un certo numero di persone di appropriarsi come tributo una parte del pluslavoro della società e di appropriarsela in una quantità che cresce di pari passo con lo sviluppo della produzione, è celato dalla circostanza che la rendita capitalizzata, quindi proprio questo tributo capitalizzato, appare come il prezzo della terra, la quale può essere venduta come qualsiasi altro articolo del commercio. Il compratore di conseguenza non ha l’impressione che il suo diritto alla rendita sia stato ottenuto gratuitamente e senza lavoro, il rischio e lo spirito d’intrapresa del capitale, ma ritiene piuttosto di aver pagato per esso un giusto equivalente. Al compratore, come abbiamo prima osservato, la rendita appare semplicemente come interesse del capitale, con cui egli ha acquistato la terra e quindi il suo diritto alla rendita. Allo stesso modo, a un padrone di schiavi che ha comperato un nero, la sua proprietà sul nero non appare acquisita in virtù dell’istituzione della schiavitù in quanto tale, ma in virtù della compravendita di merce. Ma il titolo stesso è solamente trasferito, non creato dalla vendita. Il titolo deve esistere prima di poter essere venduto e, al pari di una singola vendita, così neppure una serie di vendite, la loro continua ripetizione, può creare questo titolo. Questo titolo è stato creato in realtà dai rapporti di produzione. Non appena questi sono giunti a un punto in cui devono mutar volto, la fonte materiale del titolo e di tutte le operazioni fondate su di esso, giustificata economicamente e storicamente e derivante dal processo di creazione sociale della vita, viene meno. Dal punto di vista di una più elevata formazione economica della società, la proprietà privata del globo terrestre da parte di singoli individui apparirà così assurda come la proprietà privata di un uomo da parte di un altro uomo. Anche un’intera società, una nazione e anche tutte le società di una stessa epoca prese complessivamente, non sono proprietarie della terra. Sono soltanto i suoi possessori, i suoi usufruttuari e hanno il dovere di tramandarla migliorata, come boni patres familias, alle generazioni successive. Nella seguente analisi del prezzo della terra facciamo astrazione da tutte le fluttuazioni di concorrenza, da tutte le speculazioni fondiarie e anche dalla piccola proprietà fondiaria in cui la terra costituisce lo strumento principale dei produttori che devono, quindi, acquistarla a qualunque prezzo. I. Il prezzo della terra può aumentare senza che la rendita aumenti; precisamente: · 1) per una semplice diminuzione del saggio dell’interesse, per effetto della quale la rendita sia venduta più cara, così che la rendita capitalizzata, il prezzo della terra, aumenta; · 2) perché aumenta l’interesse del capitale incorporato nella terra. II. Il prezzo della terra può aumentare perché aumenta la rendita. La rendita può aumentare, perché aumenta il prezzo del prodotto del suolo, nel qual caso il saggio della rendita differenziale aumenta sempre, sia che la rendita sul peggiore terreno coltivato sia grande, piccola o che non esista. Per saggio intendiamo il rapporto fra la parte del plusvalore che si converte in rendita e il capitale anticipato che produce il prodotto agricolo. Ciò differisce dal rapporto tra il plusprodotto e il prodotto complessivo, poiché il prodotto complessivo non comprende l’intero capitale anticipato, cioè non comprende il capitale fisso che continua ad esistere accanto al prodotto. Ma qui si sottintende che nei tipi di terreno che fruttano una rendita differenziale una parte crescente del prodotto si trasforma in plusprodotto eccedente. Sul terreno peggiore l’aumento di prezzo dei prodotti del suolo crea prima la rendita e poi, di conseguenza, il prezzo della terra. Ma la rendita può anche aumentare senza che aumenti il prezzo del prodotto del suolo. Il prezzo può rimanere costante o anche diminuire. Se il prezzo rimane costante, la rendita può aumentare soltanto (fatta astrazione dai prezzi di monopolio) in due casi: in un caso, perché, mentre il medesimo ammontare di capitale rimane investito nelle vecchie terre, vengono coltivate nuove terre di qualità migliore, che tuttavia riescono a coprire la accresciuta domanda, così che il prezzo di mercato regolatore rimane invariato. In questo caso il prezzo delle vecchie terre non aumenta, ma il prezzo delle terre di nuova coltivazione è maggiore di quello delle vecchie. Nel secondo caso la rendita aumenta, perché aumenta la massa del capitale che sfrutta la terra, mentre la produttività relativa ed il prezzo di mercato rimangono invariati. Sebbene la rendita rimanga in questo caso la stessa in rapporto al capitale anticipato, la sua massa, ad esempio, può essersi raddoppiata perché il capitale stesso si è raddoppiato. Poiché non si è verificata nessuna diminuzione di prezzo, il secondo investimento di capitale produce, al pari del primo, un plusprofitto, che si trasforma parimenti in rendita, trascorso il termine del contratto. La massa della rendita si accresce qui, perché si accresce la massa di capitale che produce rendita. Affermare che diversi investimenti successivi di capitale sullo stesso appezzamento di terra possono produrre una rendita soltanto nella misura in cui il loro prodotto è disuguale, così che sorga una rendita differenziale e equivale ad affermare che, quando due capitali di 240.000 €. ciascuno sono investiti su due campi di uguale produttività, soltanto uno dei due può produrre una rendita, sebbene entrambi questi campi appartengano al migliore tipo di terreno che frutta una rendita differenziale. (La massa della rental, la rendita complessiva di un paese, si accresce quindi con la massa del capitale investito senza che necessariamente aumentino il prezzo degli appezzamenti di terra, o il saggio della rendita, o la massa della rendita sugli appezzamenti individuali di terra; la massa della rental si accresce in questo caso se la coltivazione si estende su una area più vasta. Ciò può accompagnarsi perfino alla diminuzione della rendita sui possedimenti individuali). Altrimenti questa affermazione equivarrebbe a dire che l’investimento di capitale su due diversi appezzamenti di terra contigui segue leggi diverse dagli investimenti di capitale successivi sul medesimo appezzamento di terra, mentre la rendita differenziale è precisamente derivata dalla identità della legge in entrambi i casi, vale a dire dalla accresciuta produttività dell’investimento di capitale sul medesimo terreno o su terreni diversi. L’unica differenza che qui esiste e che non è presa in considerazione, è che investimenti di capitali successivi, se vengono impiegati su appezzamenti di terra diversi, incontrano la barriera della proprietà fondiaria, il che non avviene nel caso di investimenti di capitale successivi sul medesimo appezzamento di terra. Da ciò deriva pure l’azione contrapposta di queste due diverse forme di investimento, in virtù della quale esse si limitano reciprocamente nella pratica. In nessun caso si manifesta qui una differenza nel capitale. Se rimangono invariati sia la composizione del capitale che il saggio del plusvalore, il saggio del profitto non cambia, così che la massa del profitto si raddoppia quando il capitale si raddoppia. Anche il saggio della rendita, nelle condizioni da noi presupposte, rimane invariato. Se un capitale di 240.000 €. frutta una rendita x, un capitale di 480.000 €., alle condizioni che abbiamo presupposto, frutta una rendita di 2x. Ma, calcolato in rapporto alla superficie della terra, che è rimasta invariata, poiché, secondo le premesse, il capitale raddoppiato opera nel medesimo campo, il livello della rendita è aumentato perché é aumentata la sua massa. Il medesimo acro che fruttava una rendita di 480 €. frutta ora 960 €. Il rapporto tra una parte del plusvalore, la rendita in denaro — poiché il denaro è l’espressione autonoma del valore — e la terra è di per se stesso assurdo e irrazionale, poiché le grandezze che sono qui messe a confronto — un determinato valore d’uso, un pezzo di terra di tot metri quadrati, da un lato e valore, precisamente plusvalore, dall’altro — sono incommensurabili. Ciò in realtà significa soltanto che, nelle condizioni date, la proprietà dei metri quadrati di terra permette al proprietario fondiario di carpire una certa quantità di lavoro non pagato, che il capitale ha realizzato grufolando nei metri quadrati come un maiale nelle patate (il manoscritto reca qui tra parentesi, ma cancellato: Liebig [F E.]). Prima facie è come se uno parlasse del rapporto tra un biglietto da cinque sterline e il diametro della terra. Tuttavia i nessi delle forme irrazionali, in cui si manifestano e si riassumono praticamente determinati rapporti economici, non toccano i concreti rappresentanti di questi rapporti nella loro vita quotidiana; e poiché essi sono abituati a muoversi nel loro ambito, non trovano in esse nulla di strano. Una contraddizione totale non ha quindi nulla di misterioso per essi. Nelle manifestazioni assurde estraniate dal loro legame interno e prese isolatamente, essi si sentono a loro agio come un pesce nell’acqua. Qui vale ciò che Hegel dice riferendosi a certe formule matematiche, ossia ciò che sembra irrazionale al senso comune è razionale e ciò che ad esso sembra razionale è l’irrazionalità stessa. Considerato in rapporto alla superficie stessa del terreno un aumento della massa della rendita si esprime quindi allo stesso modo di un aumento del saggio della rendita e ciò spiega l’imbarazzo che nasce quando le condizioni che spiegherebbero un caso sono assenti nell’altro. Ma il prezzo della terra può salire, anche quando il prezzo dei prodotti del suolo diminuisce. In questo caso la rendita differenziale e con essa il prezzo delle terre migliori, può essersi accresciuta in virtù di ulteriori differenziazioni. Oppure, se non è così, il prezzo dei prodotti del suolo può diminuire a causa di una accresciuta produttività del lavoro, ma in modo tale che questa diminuzione viene più che compensata dall’accresciuta produzione. Si supponga che 1 qle sia costato 720 €. Ora, se il medesimo acro, con il medesimo capitale, producesse 2 qli anziché uno e il prezzo di 1 qle scendesse a 480 €, allora 2 qli renderebbero 960 € così che il valore del prodotto del medesimo capitale sul medesimo acro aumenterebbe di un terzo, nonostante il prezzo per quintale fosse diminuito di un terzo. Come ciò sia possibile senza che il prodotto venga venduto al di sopra del suo prezzo di produzione o al di sopra del suo valore, si è mostrato analizzando la rendita differenziale. In realtà ciò è possibile solo in due modi: se il terreno peggiore è eliminato dalla concorrenza, ma il prezzo del terreno migliore si accresce con l’accrescersi della rendita differenziale, per il fatto che il miglioramento generale influisce in diversa misura sui vari tipi di terreno; oppure se il medesimo prezzo di produzione (e il medesimo valore, nel caso venga pagata rendita assoluta) si esprime sul terreno peggiore in una massa maggiore di prodotti, in virtù del l’accresciuta produttività del lavoro. Il prodotto rappresenta, sia prima che dopo, il medesimo valore, ma il prezzo delle sue parti aliquote è diminuito, mentre il loro numero si è accresciuto. Questo è impossibile quando si impiega il medesimo capitale; poiché in questo caso in qualsiasi quantità di prodotti si esprime sempre il medesimo valore. È tuttavia possibile, quando vi è stata un’aggiunta di capitale per solfati, guano, ecc., in altre parole per miglioramenti il cui effetto si protrae per più anni. La condizione è che il prezzo del singolo quintale diminuisce, ma non nella stessa proporzione in cui s’accresce il numero dei quintali. III. Queste diverse condizioni in base alle quali la rendita può aumentare e con essa può aumentare il prezzo della terra in generale o di particolari tipi di terra, possono in parte concorrere, mentre in parte si escludono reciprocamente e possono agire solo alternativamente. Da quanto abbiamo esposto, consegue però che non si può senz’altro giungere alla conclusione che un aumento del prezzo della terra significhi anche un aumento della rendita e che un aumento della rendita, che sempre comporta un aumento nel prezzo della terra, significhi anche un aumento nel prezzo dei prodotti della terra. Invece di richiamarsi alle effettive cause naturali che portano ad un esaurimento della terra e che del resto erano sconosciute a tutti gli economisti che hanno scritto sulla rendita differenziale, a causa dell’arretratezza della chimica agraria a quei tempi, si è fatto ricorso alla banale concezione che in uno spazio di terra limitato non può essere investita qualsiasi massa di capitale. Ad esempio, la Westminster Review sosteneva, contro Richard Jones, che tutta l’Inghilterra non poteva essere nutrita coltivando Soho Square. Se ciò è considerato un particolare svantaggio dell’agricoltura, è vero precisamente il contrario. Si possono qui fare successivi investimenti di capitali redditizi, perché la terra stessa opera come mezzo di produzione, il che non si verifica o si verifica soltanto entro limiti molto ristretti per una fabbrica, in cui la terra serve soltanto come fondamento, come area, come base spaziale di operazioni. Si può, è vero, — e lo fa la grande industria — concentrare in uno spazio ristretto, in confronto all’artigianato spezzettato e disperso, un grande complesso produttivo. Ma a un dato grado di sviluppo della forza produttiva è pur sempre necessario un determinato spazio e il costruire in altezza ha pure i suoi determinati limiti pratici. Oltre questo limite un ampliamento della produzione richiede anche una espansione della superficie di terra. Il capitale fisso investito in macchine ecc., non si migliora con l’uso, al contrario si logora. In seguito a nuove scoperte possono essere apportati anche qui singoli perfezionamenti, ma, presupposto un dato sviluppo della forza produttiva, la macchina può solo deteriorarsi. Se la forza produttiva si sviluppa rapidamente, tutto il vecchio macchinario deve essere sostituito da uno più vantaggioso, quindi andare perduto. La terra invece, se viene lavorata razionalmente, migliora di continuo. Il vantaggio della terra, per cui successivi investimenti di capi tale possono essere redditizi senza che i precedenti vadano perduti, implica al tempo stesso la possibilità che questi successivi investimenti di capitale abbiano una differente produttività. |
AVVERTENZA PER IL LETTORE Il testo del III libro del Capitale che viene qui riportato NON È UNA DELLE TRADUZIONI INTEGRALI DEL TESTO ORIGINALE che sono disponibili: esso infatti è una rivisitazione delle traduzioni esistenti (in italiano ed in francese) a cui sono state apportate le seguenti modifiche: 1 – non sono state riportate le note che Marx ed Engels richiamano nel testo (fatte salve alcune eccezioni); 2 – sono state introdotte delle modifiche per quanto riguarda gli esempi numerici in cui, per facilitare la lettura; a – sono state cambiate le unità di misura e le grandezze; b – diversi dati richiamati nella forma di testo sono stati trasformati in tabelle; c – in alcuni esempi numerici le cifre decimali sono state limitate a due e nel caso di numeri periodici, ad esempio 1/3 o 2/3, la cifra periodica è stata indicata con un apice (‘). Ci rendiamo conto che leggere un testo del Capitale in cui Marx formula esempi in Euro (€) invece che in Lire Sterline (Lst) o scellini potrebbe far sorridere e far pensare ad uno scherzo o ad una manipolazione che ha travisato il pensiero dell’Autore, avvertiamo invece il lettore che il testo è assolutamente fedele al pensiero originale e che ci siamo permessi di introdurre alcune “varianti” per consentire a coloro che non hanno dimestichezza con le unità di misura e monetarie inglesi di non bloccarsi di fronte a questa difficoltà e di facilitarne così la lettura o lo studio. In altre parti si sono invece mantenute le unità di misura e monetarie inglesi originali perchè la lettura non creava problemi di comprensione o per ragioni di fedeltà storica. Ci facciamo altresì carico dell’osservazione che Engels ha formulato nelle “considerazioni supplementari” poste all’inizio del III Libro, laddove, di fronte alle molteplici interpretazioni del testo che vennero fatte dopo la prima edizione, sostiene: “Nella presente edizione ho cercato innanzitutto di comporre un testo il più possibile autentico, di presentare, nel limite del possibile, i nuovi risultati acquisiti da Marx, usando i termini stessi di Marx, intervenendo unicamente quando era assolutamente necessario, evitando che, anche in quest’ultimo caso, il lettore potesse avere dei dubbi su chi gli parla. Questo sistema è stato criticato; si è pensato che io avrei dovuto trasformare il materiale a mia disposizione in un libro sistematicamente elaborato, en faire un livre, come dicono i francesi, in altre parole sacrificare l’autenticità del testo alla comodità del lettore. Ma non è in questo senso che io avevo interpretato il mio compito. Per una simile rielaborazione mi mancava qualsiasi diritto; un uomo come Marx può pretendere di essere ascoltato per se stesso, di tramandare alla posterità le sue scoperte scientifiche nella piena integrità della sua propria esposizione. Inoltre non avevo nessun desiderio di farlo: il manomettere in questo modo perchè dovevo considerare ciò una manomissione l’eredità di un uomo di statura così superiore, mi sarebbe sembrato una mancanza di lealtà. In terzo luogo sarebbe stato completamente inutile. Per la gente che non può o non vuole leggere, che già per il primo Libro si è data maggior pena a interpretarlo male di quanto non fosse necessario a interpretarlo bene — per questa gente è perfettamente inutile sobbarcarsi a delle fatiche”. Marx ed Engels non ce ne vogliano, ma posti di fronte alle molteplici “fughe” dallo studio da parte di persone che non possedevano una cultura accademica, fughe che venivano imputate alla difficoltà presentate dal testo, abbiamo deciso di fare uno “strappo” alle osservazioni di Engels, intervenendo in alcune parti avendo altresì cura di toccare il testo il meno possibile. Nel fare questo “strappo” eravamo tuttavia confortati dal fatto che, a differenza della situazione in cui Engels si trovava, oggi chi vuole accedere al testo “originale”, dispone di diverse edizioni in varie lingue. Coloro che volessero accostarsi al testo originale in lingua italiana si consigliano le seguenti edizioni:
Chi volesse accedere ad edizioni del Capitale e di altri testi di Marx in lingue estere, si propone di consultare il sito internet di seguito riportato:http://www.marxists.org/xlang/marx.htm |