IL CAPITALE

LIBRO III

SEZIONE V

SUDDIVISIONE DEL PROFITTO IN INTERESSE
E GUADAGNO D’IMPRENDITORE.

IL CAPITALE PRODUTTIVO D’INTERESSE.

CAPITOLO 36

CONDIZIONI PRECAPITALISTICHE

Il capitale produttivo d’interesse, o il capitale usurario come noi possiamo designarlo nella sua forma più antica, appartiene con il suo fratello gemello, il capitale commerciale, alle forme antidiluviane del capitale che precedono di gran lunga il modo di produzione capitalistico e che si trovano nelle formazioni economiche più diverse della società.

L’esistenza del capitale usurario richiede semplicemente che almeno una parte dei prodotti si trasformi in merci e che contemporaneamente al commercio delle merci si sia sviluppato anche il denaro nelle sue diverse funzioni.

Lo sviluppo del capitale usurario si riallaccia a quello del capitale commerciale e specialmente del capitale del commercio di denaro. Nella Roma antica, a partire dagli ultimi tempi della Repubblica, quando la manifattura si trovava molto al di sotto dello sviluppo medio dell’antichità, il capitale commerciale, il capitale del commercio di denaro ed il capitale usurario, avevano toccato il loro massimo sviluppo nei limiti dell’antica forma.

Si è visto che con il denaro appare necessariamente anche la tesaurizzazione. Il tesaurizzatore di professione acquista tuttavia importanza solo quando si trasforma in usuraio.

Il commerciante prende a prestito del denaro per conseguire con esso un profitto, per impiegarlo, ossia spenderlo come capitale. Anche nelle forme sociali più antiche chi presta il denaro si trova di fronte al commerciante nello stesso rapporto come col capitalista moderno. Questo specifico rapporto fu intuito anche dalle università cattoliche. «Le Università di Alcalà, di Salamanca, di Ingolstadt, di Friburgo in Brisgovia, di Magonza, di Colonia e di Treviri riconobbero una dopo l’altra la legittimità dell’interesse per i prestiti commerciali. Le prime cinque di queste approvazioni sono state depositate negli archivi del Consolato della città di Lione e stampate nell’appendice del Traité de l’usure et des intérets Lione, Bruyset Ponthus» (M. AUGIER, Du Crédit public etc., Parigi, 1842, p. 206). In tutte le forme in cui l’economia schiavistica (non del tipo patriarcale, ma quella esistente nei periodi posteriori presso i Greci ed i Romani), serve come un mezzo di arricchimento, ovunque quindi il denaro sia un mezzo per appropriarsi lavoro altrui, con l’acquisto di schiavi, di terra ecc., il denaro diventa valorizzabile come capitale produttivo d’interesse, proprio perché può essere investito in questo modo.

Le forme caratteristiche, tuttavia, sotto le quali si presenta il capitale usurario nelle epoche che precedono il modo di produzione capitalistico, sono due. Dico forme caratteristiche, perché queste stesse forme si ripetono sulla base della produzione capitalistica, ma semplicemente come forme subordinate. Esse non rappresentano più qui le forme che determinano il carattere del capitale produttivo d’interesse.

Queste due forme sono:

primo, l’usura mediante prestito di denaro a dissipatori altolocati, principalmente ai proprietari terrieri;

secondo, l’usura mediante prestito di denaro ai piccoli produttori, che si trovano in possesso delle loro condizioni di lavoro, fra cui l’artigiano, ma soprattutto il contadino, poiché in generale, nelle condizioni pre capitalistiche, nella misura in cui queste ammettono piccoli produttori individuali autonomi, la classe contadina deve costituire la grande maggioranza.

La rovina del ricco proprietario terriero per opera dell’usuraio e il dissanguamento dei piccoli produttori portano entrambi alla formazione ed alla concentrazione di grandi capitali monetari. In quale misura questo processo dissolva l’antico modo di produzione, come si è verificato nella moderna Europa e se lo sostituisca col modo di produzione capitalistico, dipende interamente dal grado dello sviluppo storico e dalle circostanze concomitanti.

Il capitale usurario, in quanto forma caratteristica del capitale produttivo d’interesse, corrisponde al prevalere della piccola produzione, dei contadini che lavorano in proprio, dei piccoli artigiani. Quando al lavoratore, come si verifica nel modo di produzione capitalistico sviluppato, le condizioni di lavoro ed il prodotto del lavoro si contrappongono come capitale, egli non ha bisogno di prendere in prestito il denaro come produttore. Quando egli lo prende in prestito, lo fa per i suoi bisogni personali, per es. al monte dei pegni. Dove invece il lavoratore è proprietario nominale o effettivo delle sue condizioni di lavoro e del suo prodotto, egli come produttore entra in rapporto con il capitale di chi dà il denaro in prestito e questo capitale sta di fronte a lui come capitale usurario.

Newman esprime la cosa molto debolmente, quando dice che il banchiere è stimato mentre l’usuraio è odiato e disprezzato perché quello presta ai ricchi, questo ai poveri (F. W. NEWMAN, Lectures on Political Economy, Londra 1851, p. 44). Egli non vede che si tratta qui di una differenza fra due modi di produzione sociali e dei corrispondenti ordinamenti sociali e che la cosa non è risolta con il contrasto fra ricchi e poveri. In realtà l’usuraio che succhia il sangue dei piccoli produttori poveri si accompagna all’usura che succhia il sangue al ricco latifondista.

Non appena l’usura dei patrizi romani ebbe rovinato completamente i plebei romani, ossia i piccoli contadini, questa forma di sfruttamento ebbe termine e l’economia schiavistica pura subentrò a quella dei piccoli contadini.

L’usuraio può qui, sotto forma d’interesse, divorare tutto ciò che supera i mezzi di sussistenza più necessari (l’ammontare dei salari in tempi posteriori) del produttore (ciò che più tardi appare come profitto e rendita fondiaria) ed è quindi assolutamente assurdo paragonare il livello di questo interesse che assorbe tutto il plusvalore, ad eccezione di quello che tocca allo Stato, con il livello dell’interesse moderno che, almeno quando è normale, costituisce solo una parte di questo plusvalore. Si dimentica con ciò che il lavoratore salariato produce e cede al capitalista che lo impiega il profitto, l’interesse e la rendita fondiaria, in breve tutto il plusvalore. Carey fa questo confronto assurdo per mostrare come sia vantaggioso per l’operaio lo sviluppo del capitale e la diminuzione del saggio dell’interesse che l’accompagna. Se l’usuraio inoltre non si accontenta di spremere il pluslavoro della sua vittima e, poco per volta, acquista per sé il titolo di proprietà sulle sue condizioni di lavoro, casa, terra ecc, e continuamente si sforza di espropriarlo, si dimentica di nuovo che questa totale espropriazione del lavoratore dalle sue condizioni di lavoro, non è un risultato a cui tende il modo di produzione capitalistico, ma la premessa compiuta da cui esso parte. Lo schiavo del salario, esattamente come lo schiavo reale, si trova nella posizione che gli impedisce di diventare schiavo del creditore, almeno nella sua qualità di produttore; egli può eventualmente diventarlo solo nella sua qualità di consumatore. Il capitale usurario in questa forma in cui si appropria in realtà tutto il pluslavoro dei produttori diretti senza modificare il modo di produzione, in cui la proprietà, il possesso delle condizioni di lavoro, — e la piccola produzione isolata che vi corrisponde — da parte dei produttori è una premessa essenziale, in cui quindi il capitale non assoggetta a sé direttamente il lavoro e non si contrappone perciò al lavoro in quanto capitale industriale, questo capitale usurario impoverisce questo modo di produzione, paralizza le forze produttive anziché svilupparle e perpetua al tempo stesso questa situazione lamentevole, in cui la produttività sociale del lavoro non è sviluppata, a spese del lavoro stesso, come accade nella produzione capitalistica.

Da un lato l’usura mina e sconvolge in tal modo la ricchezza e la proprietà dell’antichità del feudalesimo, d’altro lato distrugge lentamente e rovina la produzione dei piccoli contadini e dei piccoli borghesi, in breve tutte le forme in cui il produttore appare ancora come proprietario dei suoi mezzi di produzione.

Nel modo di produzione capitalistico sviluppato il lavoratore non è il proprietario delle condizioni della produzione, del campo che egli coltiva, della materia prima che egli lavora, ecc. Ma a questa estraniazione delle condizioni della produzione dal produttore, corrisponde qui una effettiva rivoluzione del modo stesso di produzione. I lavoratori prima isolati sono riuniti in grandi laboratori, in una attività suddivisa, concatenata; lo strumento di lavoro si trasforma in macchina. Il modo di produzione stesso non consente più il frazionamento degli strumenti della produzione che si trova connesso con la piccola proprietà, allo stesso modo come non consente più l’isolamento dei lavoratori. Nella produzione capitalistica l’usura non può più separare le condizioni della produzione dal produttore, poiché questa separazione è già avvenuta.

L’usura centralizza i patrimoni monetari, là dove i mezzi di produzione sono frazionati. Non modifica il modo di produzione, ma vi si attacca come un parassita e lo rende miserevole. Lo dissangua, lo debilita e costringe la riproduzione a proseguire in condizioni sempre più misere. Di qui l’odio popolare contro l’usuraio che raggiunge il suo culmine nel mondo antico, in cui la proprietà delle condizioni di produzione da parte del produttore è al tempo stesso base dei rapporti politici, della indipendenza del cittadino.

Nella misura in cui domina la schiavitù, o nella misura in cui il plusprodotto è consumato dal signore feudale e dal suo seguito, ed i proprietari di schiavi o i signori feudali diventano vittime del l’usura, il modo di produzione rimane lo stesso; soltanto diventa più duro per il lavoratore. Il proprietario di schiavi o signore feudale che si trova indebitato succhia maggiormente, essendo a sua volta maggiormente dissanguato. Oppure egli finisce col cedere il posto all’usuraio, che diventa esso stesso proprietario terriero o padrone di schiavi, come il cavaliere nell’antica Roma. In luogo degli antichi sfruttatori, il cui sfruttamento aveva un carattere più o meno patriarcale, rappresentando in gran parte un mezzo di potenza politica, subentrarono nuovi ricchi, crudeli e avidi di denaro. Ma il modo stesso di produzione non viene mutato.

In tutti i modi di produzione pre capitalistici l’usura esercita un’azione rivoluzionaria solo in quanto distrugge e dissolve quelle forme di proprietà, sulla cui solida base e riproduzione costante nella stessa forma poggia l’ordinamento politico.

Nelle forme asiatiche l’usura può durare lungamente, senza provocare altre conseguenze che non siano la decadenza economica e la corruzione politica. Soltanto dove e quando sussistono le altre condizioni del modo di produzione capitalistico, l’usura costituisce uno dei fattori che concorrono alla formazione del nuovo modo di produzione, rovinando da un lato i signori feudali e la piccola produzione, d’altro lato centralizzando le condizioni del lavoro e trasformandole in capitale.

Nel Medioevo non esisteva in nessun paese un saggio generale dell’interesse. La Chiesa proibiva a priori qualsiasi operazione comportante un interesse. Leggi e tribunali proteggevano scarsamente i prestiti. Tanto più elevato era il saggio dell’interesse nei singoli casi. La circolazione monetaria ristretta, la necessità di effettuare la maggior parte dei pagamenti in contanti, costringevano a prendere denaro a prestito ed in misura tanto maggiore quanto meno sviluppato era il traffico cambiario. Vi era una grande differenza sia nei saggi d’interesse che nel concetto dell’usura. Ai tempi di Carlo Magno veniva considerato usuraio chi prendeva un interesse del 100%. A Lindau, sul lago di Costanza, gli abitanti del paese prendevano nell’anno 1344 un interesse del 216 e 2/3%. A Zurigo il consiglio comunale fissò l’interesse legale al 43 e 1/3%. In Italia si pagava qualche volta persino il 40%, quantunque nei secoli XII-XIV il saggio ordinario non superasse il 20%. Verona fissava come saggio legale il 12 e 1/2%. L’imperatore Federico II lo fissò al 10%, ma soltanto per gli ebrei. Dei cristiani egli preferiva non parlare. Già nel secolo XIII, nella Renania tedesca il saggio dell’interesse normale era del 10% (HULLMANN, Geschichte des Stàdtewesens, Bonn 1826, Il, pp. 55-57).

Il capitale usurario possiede il modo di sfruttamento del capitale senza averne il modo di produzione. Questa situazione si ripete anche nell’ambito della economia borghese, per quei rami industriali che sono arretrati o per quelli che si oppongono al passaggio al modo di produzione moderno. Se si vuole ad es. fare un confronto fra il saggio dell’interesse inglese e quello indiano, non si deve prendere il saggio d’interesse della Banca d’Inghilterra, ma quello di coloro che per es. danno a prestito piccole macchine ai piccoli produttori della industria domestica.

In contrapposizione alla ricchezza consumatrice, l’usura ha una importanza storica in quanto costituisce essa stessa un processo che genera il capitale.

Capitale usurario e capitale commerciale rendono possibile la costituzione di un patrimonio monetario indipendente dalla proprietà terriera.

Quanto meno è sviluppato il carattere del prodotto come merce, quanto meno il valore di scambio si è impadronito della produzione in tutta la sua estensione e profondità, tanto più il denaro appare come la vera ricchezza in quanto tale, come la ricchezza universale, rispetto alla sua rappresentazione limitata sotto forma di valori d’uso. In ciò consiste la base della tesaurizzazione. Prescindendo dal denaro in quanto moneta mondiale e tesoro, è soprattutto nella forma di mezzo di pagamento che esso si presenta quale forma assoluta della merce. Ed è particolarmente la sua funzione di mezzo di pagamento che sviluppa l’interesse e di conseguenza il capitale monetario. Ciò che la ricchezza prodiga e corruttrice vuole è il denaro in quanto denaro, denaro come mezzo per acquistare qualsiasi cosa (anche per pagare i debiti). Il piccolo produttore invece ha bisogno del denaro soprattutto per pagare (la conversione delle prestazioni e dei tributi in natura al proprietario terriero o allo Stato in rendita monetaria ed imposte monetarie assume qui una grande importanza). In entrambi i casi il denaro viene usato come denaro.

D’altro lato la tesaurizzazione soltanto ora diventa reale e realizza il suo sogno solo nell’usura. Ciò che al tesaurizzatore si richiede non è capitale, ma denaro in quanto denaro; ma tramite l’interesse egli trasforma questo tesoro monetario in capitale per uso suo — in un mezzo che gli permette di impadronirsi di tutto o di una parte del pluslavoro  ed anche di una parte delle stesse condizioni della produzione, anche se nominalmente continuino a sussistere di fronte a lui come proprietà altrui. L’usura sembra vivere nei pori della produzione come gli dei di Epicuro vivevano negli intermundia. È tanto più difficile procurarsi denaro quanto meno la merce è la forma generale del prodotto. L’usuraio non conosce quindi nessun limite che non sia la capacità o il potere di resistenza di coloro che hanno bisogno del denaro. Nella piccola produzione contadina e nella piccola produzione borghese, il denaro viene usato come mezzo di acquisto principalmente ogniqualvolta il lavoratore (che in questi modi di produzione è ancora in larga misura il proprietario delle sue condizioni di produzione) perde le sue condizioni di produzione per casi fortuiti o perturbazioni straordinarie o almeno non è in grado di ricostituirle nel corso normale della riproduzione. I mezzi di sussistenza e le materie prime costituiscono una parte essenziale di queste condizioni di produzione. Il fatto che essi rincarino di prezzo può rendere impossibile la loro ricostituzione con il ricavato della vendita del prodotto, proprio come dei semplici raccolti cattivi possono impedire al contadino di ricostituire in natura il suo grano da semina. Le stesse guerre con le quali i patrizi romani rovinavano i plebei, costringendo questi ultimi ai servizi bellici, impedendo loro di riprodurre le loro condizioni di lavoro e impoverendoli quindi (e l’impoverimento, il deperimento e la perdita delle condizioni di riproduzione costituiscono qui la forma dominante) riempivano i granai e le cantine dei patrizi con rame predato, denaro del tempo. Anziché dare ai plebei direttamente le merci di cui essi avevano bisogno: grano, cavalli, bestiame cornuto, essi davano loro in prestito questo rame di cui essi stessi non potevano fare uso e sfruttavano questa situazione per spremere enormi interessi usurari e fare in tal modo dei plebei i loro schiavi per debiti. Sotto Carlo Magno i contadini franchi furono parimenti rovinati dalle guerre, così che ad essi non rimaneva altra scelta che diventare, da debitori, servi della gleba. Nell’impero romano, come è noto, non di rado la carestia portava alla vendita dei figli e alla vendita volontaria di uomini liberi come schiavi ai ricchi. Tutto ciò per i periodi di svolta di carattere generale. Nei casi particolari, per quanto riguarda i piccoli produttori, la conservazione e la perdita delle loro condizioni di produzione dipende da mille circostanze e ciascuna di queste circostanze o perdite significa impoverimento e diventa un punto su cui il parassita dell’usura si può installare. Per il piccolo contadino è sufficiente che muoia una mucca perché egli si trovi nella impossibilità di ricominciare la sua riproduzione nelle dimensioni precedenti. In conseguenza egli diventa preda dell’usura, ed una volta che ciò accade, non riuscirà più a liberarsi.

Ora il campo peculiare tipico dell’usura, dove essa opera largamente, è costituito dalla funzione del denaro come mezzo di pagamento. Ogni impegno finanziario a scadenza determinata, canone d’affitto, tributo, imposta, ecc. porta con sé la necessità di un pagamento in denaro. Per questo dal tempo degli antichi romani a quello moderno, l’usura si attacca soprattutto agli appaltatori delle imposte,fermiers généraux, receveurs généraux (Appaltatori, ricevitori delle imposte). In seguito insieme col commercio e con il generalizzarsi della produzione mercantile si sviluppa la separazione nel tempo fra acquisto e pagamento. Il denaro deve essere versato a scadenze determinate. Le moderne crisi monetarie dimostrano come ciò possa ancora oggi portare a situazioni in cui il capitalista monetario e l’usuraio si fondono insieme. La stessa usura, tuttavia, diventa uno dei mezzi principali per sviluppare ulteriormente la necessità del denaro come mezzo di pagamento, indebitando il produttore sempre più profondamente e privandolo dei suoi usuali mezzi di pagamento in quanto gli diviene perfino impossibile, per il gravame degli interessi, continuare la sua riproduzione regolare. In questo caso l’usura germoglia dal denaro in quanto mezzo di pagamento ed estende questa funzione del denaro, suo dominio peculiare.

Lo sviluppo del sistema creditizio si compie come reazione contro l’usura.

Ma ciò non deve essere frainteso, e non deve essere assolutamente interpretato nel senso degli antichi scrittori, dei padri della chiesa, di Lutero o dei primi socialisti. Significa né più né meno che la subordinazione del capitale produttivo d’interesse alle condizioni e alle esigenze del modo di produzione capitalistico.

Nel moderno sistema creditizio il capitale produttivo d’interesse viene adattato nell’insieme alle condizioni della produzione capitalistica. L’usura in quanto tale non solo continua ad esistere, ma presso i popoli a produzione capitalistica sviluppata viene liberata dai vincoli che tutte le antiche legislazioni le avevano imposto. Il capitale produttivo d’interesse conserva la forma di capitale usurario nei confronti di quelle persone, classi o nelle condizioni che escludono la possibilità di un prestito corrispondente al modo di produzione capitalistico; quando si prende a prestito per bisogno personale come nel Monte dei Pegni; quando il ricco gaudente prende a prestito per i suoi sperperi; quando il produttore è un produttore non capitalistico, piccolo contadino, artigiano, ecc, quindi ancora in quanto produttore diretto, possessore delle proprie condizioni di produzione; infine quando lo stesso produttore capitalistico opera su una scala talmente ridotta da avvicinarsi a quei produttori che prendono direttamente parte al lavoro.

Ciò che distingue il capitale produttivo d’interesse, in quanto elemento essenziale del modo di produzione capitalistico, dal capitale usurario, non è affatto la natura o il carattere di questo capitale stesso.

Sono soltanto le mutate condizioni nelle quali esso opera e quindi anche la figura completamente mutata di chi prende a prestito nei confronti di chi dà il denaro a prestito. Anche nel caso in cui un uomo privo di beni ottenga del credito in quanto industriale o commerciante, ciò avviene unicamente nella convinzione che egli opererà come capitalista, che si approprierà, con il denaro preso a prestito, lavoro non pagato. Gli viene concesso del credito nella sua qualità di capitalista potenziale. Questa circostanza, che costituisce oggetto di tanta ammirazione da parte degli economisti apologeti, ossia che un uomo senza ricchezza, ma dotato di energia, di solidità, capacità e competenza commerciale, si possa così trasformare in un capitalista — e il valore commerciale di ogni individuo è in generale più o meno giustamente valutato nel modo di produzione capitalistico — sebbene porti continuamente in campo e in concorrenza con i capitalisti individuali già esistenti una schiera non gradita di nuovi cavalieri di fortuna, rafforza la supremazia del capitale stesso, ne amplia le basi e gli permette di reclutare al suo servizio sempre nuove forze dagli strati più bassi della società. Precisamente come la circostanza che la Chiesa cattolica nel Medioevo costituiva la sua gerarchia con i migliori cervelli del popolo senza preoccuparsi del ceto, della nascita, del censo, costituiva uno dei mezzi principali per consolidare la supremazia dei preti ed opprimere i laici. Quanto più una classe dominante è capace di assimilare gli uomini più eminenti delle classi dominate, tanto più solida e pericolosa è la sua dominazione.

Non è quindi dall’anatema contro il capitale produttivo di interesse, ma al contrario dal suo riconoscimento che partono gli iniziatori del moderno sistema creditizio.

Non parliamo qui di quelle reazioni contro l’usura, che cercavano di proteggere il povero contro di essa, quali i Monts de piété (a Sarlins nella Franca Contea nel 1350, poi a Perugia e Savona in Italia, nel 1400 e 1479). Esse vanno ricordate solo perché mostrano l’ironia della storia, in virtù della quale le pie intenzioni si convertono proprio nel loro contrario non appena vengono realizzate. La classe operaia inglese paga, secondo un calcolo moderato, il 100% agli istituti di pegno, derivazione dei Monts de piété  (L’interesse di pegno diventa così esorbitante per il fatto che il medesimo oggetto viene spesso impegnato e disimpegnato nello stesso mese, e che un oggetto viene frequentemente impegnato al fine di riscattarne un altro e riceverne in pari tempo una piccola differenza in denaro. A Londra vi sono 240 possessori di agenzie di pegno autorizzate, e in provincia circa 1450. Il capitale impegnato è valutato a circa un milione. Questo capitale compie almeno tre rotazioni all’anno ed ogni volta alla media del 33 e 1/3 %; così che le classi povere d’Inghilterra pagano annualmente il 100% per l’anticipo temporaneo di un milione, a prescindere dagli oggetti dati in pegno che vanno perduti perché è scaduto il termine di disimpegno [J. D. Tuckett: A History of the Past and Present State of the Labouring Population, Londra, 1846, I, p. 114).

E non parliamo delle utopie creditizie, ad es. di (in dott. Hugh Chamberleyne oppure di John Briscoe, che nell’ultimo decennio del secolo XVII tentarono di emancipare l’aristocrazia inglese dall’usura, creando una banca agricola con moneta cartacea garantita dalla proprietà terriera.

Le associazioni creditizie che si costituirono a Venezia e a Genova nel XII e XIV secolo, ebbero origine dal bisogno del commercio marittimo, e del commercio all’ingrosso fondato su quello, di liberarsi dalla tirannia dell’usura, che ormai aveva fatto il suo tempo, e dal monopolio del commercio del denaro. Se è vero che le banche vere e proprie, fondate in queste città-repubbliche, assumono al tempo stesso l’aspetto di istituti di credito pubblico, dai quali lo Stato prendeva anticipi sulle imposte da percepire, non si deve dimenticare che i commercianti che formavano tali associazioni erano essi stessi i cittadini più eminenti di questi Stati ed erano parimenti interessati a emancipare il loro governo come se stessi dall’usura per avere così nello stesso tempo più saldamente lo Stato nelle proprie mani. Quando si prometteva la creazione della Banca d’Inghilterra, i tories obiettarono che «le banche sono istituzioni repubblicane. Banche fiorenti esistevano a Venezia, Genova, Amsterdam e Amburgo. Chi mai ha sentito parlare di una banca in Francia o in Spagna?».

La Banca di Amsterdam del 1609, al pari di quella di Amburgo del 1619, non segna una tappa decisiva nello sviluppo del moderno sistema creditizio. Essa non era una semplice banca di deposito. Gli assegni che la banca emetteva non erano in realtà che ricevute per il metallo prezioso depositato, coniato e non coniato, e circolavano unicamente con la girata di chi li riceveva. Ma in Olanda, contemporaneamente al commercio e alla manifattura, si era sviluppato il credito commerciale, e il commercio del denaro e il capitale produttivo d’interesse era stato subordinato al capitale commerciale e industriale dal corso stesso dello sviluppo. Ciò si rispecchiava già nel basso saggio dell’interesse. Ma l’Olanda era considerata nel XVII secolo come il paese modello dello sviluppo economico, precisamente come ora l’Inghilterra. Il monopolio dell’antico usuraio, che si fondava sulla povertà, in questo paese si era già eliminato spontaneamente.

Durante l’intero secolo XVIII — e la legislazione opera in questo senso — si reclama a gran voce una riduzione forzosa del saggio dell’interesse sull’esempio dell’Olanda, per subordinare il capitale produttivo d’interesse al capitale commerciale e industriale, invece del contrario. Il principale portavoce di questo movimento è Sir Josiah Child, il padre della comune banca privata inglese. Egli si scaglia contro il monopolio degli usurai proprio come la sartoria di confezioni in serie Moses & Son protesta a gran voce contro il monopolio dei «sarti privati». Questo Josiah Child è al tempo stesso il padre della stock jobbery (Speculazione di borsa ). Così egli, autocrate della compagnia delle Indie, difende in nome della libertà del commercio il monopolio di questa società. Contro Thomas Manley (Interest of Money mistaken, Londra, 1668) egli dice: «Come propugnatore della banda paurosa e tremante degli usurai, egli punta le sue batterie sull’argomento che io ho già dichiarato essere il più debole.., egli nega proprio il fatto che il basso saggio dell’interesse sia la causa della ricchezza e afferma che ne è unicamente la sua conseguenza» (Traités suir le Commerce ecc., 1669, trad. Amsterdam e Berlino, 1754). «Se è il commercio ciò che arricchisce un paese e se la diminuzione dell’interesse fa accrescere il commercio, allora una diminuzione dell’interesse o la limitazione dell’usura è senza dubbio una delle cause principali della ricchezza di una nazione. Non è affatto privo di senso dire che la medesima cosa può essere al tempo stesso causa, in determinate circostanze, ed effetto in altre circostanze» (ivi, p. 55).

«L’uovo produce la gallina e la gallina produce l’uovo. La riduzione dell’interesse può causare un accrescimento della ricchezza e l’accrescimento della ricchezza un’ancora più forte riduzione dell’interesse» (ivi, p. 156). «Io sono il difensore dell’industria ed il mio avversario sostiene la pigrizia e l’ozio» (p. 179).

Questa lotta violenta contro l’usuraio, questa richiesta per la subordinazione del capitale produttivo d’interesse al capitale industriale, non è che il preannuncio delle creazioni organiche che stabiliscono queste condizioni della produzione capitalistica nel moderno sistema bancario, il quale da un lato toglie al capitale monetario il suo monopolio, concentrando tutte le sue riserve monetarie inutilizzate per gettarle sul mercato, d’altro lato limita il monopolio degli stessi metalli preziosi con la creazione della moneta di credito.

In tutti gli scritti che si occupano del sistema bancario inglese nell’ultimo trentennio del sec. XVII e all’inizio del sec. XVIII, troviamo la stessa opposizione all’usura, la stessa richiesta di emancipare il commercio, l’industria e lo Stato dall’usura, che noi riscontriamo qui nel caso di Child. Si affacciano al tempo stesso colossali illusioni sugli effetti miracolosi del credito, l’abolizione del monopolio dei metalli preziosi, la loro sostituzione con la .carta, ecc. Lo scozzese William Paterson, il fondatore della Banca d’Inghilterra e della Banca di Scozia, è senza alcun dubbio il primo Law.

«Tutti gli orefici e coloro che concedono prestiti su pegno levarono urli di rabbia» contro la Banca d’Inghilterra (MACAULAY, The History of England [1854-57], IV, p. 499) «Nei primi dieci anni la Banca dovette lottare contro grandi difficoltà; grandi ostilità provenienti dall’ambiente esterno; le sue banconote non venivano accettate che molto al di sotto del loro valore nominale... gli orefici» (nelle cui mani il commercio dei metalli preziosi serviva da base per una attività bancaria primitiva) «intrigavano largamente contro la Banca perché questa riduceva la loro attività, abbassava lo sconto, e gli affari che essi facevano con il governo sarebbero finiti in mano a questa avversaria» (J. Francis, History of the Bank of England, p. 73).

Già prima della fondazione della Banca d’Inghilterra era stato proposto nel 1683 il progetto di una National Bank of Credit, avente fra l’altro lo scopo «che i commercianti, quando possiedono una considerevole quantità di merci, possano con l’assistenza di questa banca, depositare le loro merci e ricevere un credito sulle loro scorte giacenti, tenere occupati i loro dipendenti e aumentare i loro affari, fino a che essi non trovino un buon mercato, invece di essere costretti a vendere in perdita». Dopo molte difficoltà questa Bank of Credit fu aperta a Devonshire House, in Bishopsgate Street. Essa concedeva prestiti in cambiali agli industriali ed ai commercianti, su garanzia delle merci depositate, per un ammontare fino a tre quarti del valore delle merci stesse. Perché queste cambiali avessero corso, un numero di persone per ogni ramo di affari fu organizzato in una società, i cui membri in possesso di tali cambiali dovevano ricevere in contropartita delle merci con la stessa facilità con cui le avrebbero ottenute con il pagamento a contanti. La Banca non fece affari fiorenti. Il meccanismo era troppo complicato, il rischio relativo al deprezzamento delle merci troppo forte.

Se ci soffermiamo sul contenuto reale di quegli scritti che accompagnano e promuovono teoricamente la formazione del moderno sistema creditizio in Inghilterra, non troviamo in essi, come una delle sue condizioni, altro se non la richiesta che capitale produttivo d’interesse e mezzi di produzione prestabiliti in generale vengano subordinati al modo capitalistico di produzione. Se ci si ferma alla semplice terminologia, si rimane sovente sorpresi dalla concordanza di questi scritti, persino nel modo di esprimersi, con le illusioni bancarie e creditizie dei seguaci di Saint-Simon. Come presso i fisiocrati il cultivateur non corrisponde all’agricoltore vero e proprio, ma al grosso affittuario, così il travailleur di Saint-Simon, come lo troviamo poi sempre presso i suoi seguaci, non è il lavoratore, ma il capitalista commerciale e industriale: «Un travailleur a besoin d’aides, de seconds, d’ouvriers; il les clierche intelligents, habiles, dévoués; il les met à l’oeuvre, et leurs travaux sont productifs (Un lavoratore ha bisogno di aiutanti, di assistenti, di operai; egli li cerca intelligenti, abili, devoti; li mette all’opera ed i loro lavori sono produttivi)» ( Religion Saint-Simonienne, Économie politique el Politique, Parigi, 1831, p. 104).

Non si deve dimenticare che è soltanto nel suo ultimo lavoro, il Nouveau Christianisme, che Saint-Simon si presenta direttamente come portavoce della classe lavoratrice e dichiara che l’emancipazione di tale classe costituisce lo scopo della sua lotta. Tutti i suoi scritti precedenti non sono in realtà che la glorificazione della società borghese moderna opposta a quella feudale, o degli industriali o dei banchieri contro i marescialli e i legulei dell’epoca napoleonica. Quale differenza quando si fa un confronto con gli scritti di Owen deI medesimo periodo!

Anche presso i suoi epigoni, come dimostra il passo già citato, il capitalista industriale rimane il travailleur par excellence. Se si leggono i loro scritti con spirito critico, non ci si può meravigliare che la realizzazione dei loro sogni creditizi e bancari fosse il Crédit mobilier fondato dall’ex sansimoniano Émile Pereire, una forma che del resto non poteva prevalere che in un paese come la Francia, in cui né il sistema creditizio, né l’industria avevano raggiunto un grado di sviluppo moderno. In Inghilterra e in America qualche cosa di simile sarebbe stato impossibile. — Nei seguenti passi della Doctrine de St. Simon. Exposition. Première année, 1828-29, 3a ediz., Parigi, 1831, si trova già il germe del Crédit mobilier: naturalmente il banchiere può fare anticipi a condizioni migliori del capitalista e dell’usuraio privato. A questi banchieri è dunque «possibile procurare agli industriali gli strumenti di lavoro molto più a basso prezzo, ossia a un interesse più basso di quanto non possano fare i proprietari terrieri e i capitalisti, che possono essere più facilmente ingannati nella scelta di coloro ai quali danno a prestito». (p. 202).

Ma gli autori aggiungono in una nota: «il vantaggio che dovrebbe derivare dalla mediazione del banchiere fra gli oziosi e i travailleurs è sovente controbilanciato, e anche annullato, dall’occasione che la nostra società disorganizzata offre all’egoismo, di farsi valere sotto le diverse forme dell’inganno e della ciarlataneria; spesso i banchieri si intrufolano fra i travailleurs e gli oziosi per sfruttarli entrambi a danno della società».

Travailleur significa qui capitaliste industriel. È inoltre inesatto considerare i mezzi di cui la banca moderna dispone esclusivamente come mezzi degli oziosi. È innanzitutto quella parte del capitale che gli industriali ed i commercianti conservano momentaneamente inoperosa sotto forma monetaria, quindi come riserva monetaria o come capitale, che deve essere investita: dunque capitale in ozio, non capitale di oziosi. In secondo luogo quella parte di tutti i redditi e di tutti i risparmi che è destinata all’accumulazione per un periodo transitorio o permanente. E questi due fatti son entrambi essenziali per il carattere del sistema bancario.

Non si deve mai dimenticare innanzitutto che il denaro — sotto forma di metalli preziosi — rimane la base da cui il sistema creditizio per sua natura non può mai liberarsi. In secondo luogo che il sistema creditizio ha come premessa che il monopolio dei mezzi di produzione sociali (nella forma di capitale e di proprietà fondiaria si trova fra le mani di privati, che esso stesso costituisce da un lato una forma immanente del sistema capitalistico di produzione e dall’altro lato, una forza motrice del suo sviluppo verso la sua ultima forma più elevata possibile.

Il sistema bancario, per quanto riguarda la sua centralizzazione e organizzazione formale, è il prodotto più elaborato e più perfezionati a cui porta il modo di produzione capitalistico in generale, fatti questo già indicato nel 1697 in Some Thoughts of the Interests o England. Da ciò deriva l’enorme potere che un istituto quale la Banca d’Inghilterra esercita sul commercio e sull’industria, sebbene il loro effettivo movimento rimanga completamente al di fuori del suo ambito, ed essa si mantenga passiva di fronte a tale movimento.

Con tutto questo si crea, è vero, la forma di una contabilità generale e di una distribuzione dei mezzi di produzione su scala sociale, ma soltanto la forma.

Abbiamo visto che il profitto medio del capitalista singolo, o di ogni capitale individuale, non è determinato dal pluslavoro che questo capitale si appropria di prima mano, ma dalla quantità di pluslavoro complessivo che il capitale complessivo si appropria e da cui ogni capitale individuale, unicamente come parte proporzionale del capitale complessivo, trae i suoi dividendi. Questo carattere sociale del capitale è reso possibile e attuato integralmente dal pieno sviluppo del sistema creditizio e bancario. D’altro lato questo sistema va oltre e mette a disposizione dei capitalisti commerciali e industriali tutto il capitale disponibile e anche potenziale della società, nella misura in cui esso non è stato già attivamente investito, così che né chi dà a prestito, né chi impiega questo capitale ne è proprietario o produttore. Esso elimina con ciò il carattere privato del capitale e contiene in sé, ma solamente in sé, la soppressioni del capitale stesso.

Con il sistema bancario la ripartizione del capitali è sottratta alle mani dei privati e degli usurai, come una attività particolare, come una funzione sociale. Ma la banca e il credito in par tempo divengono così il mezzo più potente per spingere la produzione capitalistica al di là dei suoi limiti, e uno dei veicoli più efficaci delle crisi e della speculazione.

Sostituendo il denaro con le diverse forme del credito circolante, il sistema bancario mostra inoltre che il denaro non è altro in realtà se non una particolare espressione del carattere sociale del lavoro e dei suoi prodotti, che tuttavia, in opposizione alla base della produzione privata, deve sempre apparire in ultima istanza come una cosa, come una merce particolare accanto alle altre merci.

Infine non v’è dubbio che il sistema creditizio servirà da leva potente, durante il periodo di transizione dal modo di produzione capitalistico al modo di produzione del lavoro associato; ma solo come un elemento in connessione con altre grandi trasformazioni organiche dello stesso modo di produzione.

Per contro le illusioni sul potere prodigioso del sistema creditizio bancario in senso socialista provengono dalla ignoranza assoluta del modo di produzione capitalistico e del sistema creditizio come una delle sue forme.

Allorché i mezzi di produzione hanno cessato di trasformarsi in capitale (e in questo processo è compresa anche la soppressione della proprietà privata della terra) il credito in quanto tale non ha più significato, fatto questo che è compreso dagli stessi sansimoniani. Fino a che d’altro lato continua ad esistere il modo di produzione capitalistico, il capitale produttivo d’interesse si mantiene come una delle sue forme e costituisce in realtà la base del suo sistema creditizio. Soltanto Proudhon, questo scrittore a sensazione, che voleva lasciar sussistere la produzione mercantile e sopprimere il denaro, poteva sognare il mostro di un crédit gratuit, questa pretesa realizzazione dei pii desideri piccolo-borghesi.

In Religion Saint-Sirnonienne. Èconornie politique et Politique, è detto, a p. 45: «In una società in cui gli uni posseggono gli strumenti dell’industria senza la capacità o la volontà di utilizzarli, e altre persone industriose non posseggono gli strumenti di lavoro, il credito ha lo scopo di trasferire questi strumenti, nel modo più facile possibile, dalle mani dei primi, cioè dei loro possessori, nelle mani degli altri, che sanno utilizzarli. Osserviamo che, secondo questa definizione, il credito è una conseguenza della struttura della proprietà».

Quindi il credito sparisce con questa struttura della proprietà.

Si legge inoltre a p. 98: Le banche attuali «si considerano come destinate a seguire il movimento determinato dalle transazioni effettuate al di fuori del loro ambito, senza però dargli impulso; in altre parole le banche adempiono rispetto ai travailleurs, ai quali esse anticipano capitali, la funzione di capitalisti».

Nell’idea secondo cui le banche devono assumere esse stesse la direzione e distinguersi «per il numero e l’utilità degli établissement sovvenzionati e dei lavori da esse promossi» (p. 101), è latente il crédi mobilier. Del pari Charles Pecqueur chiede che le banche (ciò che i sansimoniani chiamano système général des banques) «dirigano la produzione». In generale Pecqueur è essenzialmente sansimoniano quantunque più radicale. Egli vuole che «l’istituto di credito... diriga tutto il movimento della produzione nazionale». «Provatevi a creare un istituto nazionale di credito che sovvenzioni il talento e il merito che non ha mezzi, senza legare forzatamente i sovvenzionati con una stretta solidarietà nella produzione e nel consumo, ma al contrario in modo tale che essi stessi determinino i loro scambi e le loro produzioni. Per questa via otterreste soltanto ciò che hanno ottenuto finora le banche private, l’anarchia, la sproporzione fra la produzione ed il consumo la rovina subitanea degli uni e l’arricchimento subitaneo degli altri; di modo che il vostro istituto non riuscirà ma a far nulla di meglio che produrre una somma di prosperità per gli uni identica alla somma di rovina sopportata dagli altri.., voi avrete soltanto offerto ai salariati da voi sovvenzionati i mezzi per farsi fra di loro la stessa concorrenza che si fanno attualmente i loro padroni     capitalistici» (Ch. PECQUEUR, Théorie Nouvelle d’Économie Social et Politique, Parigi, 1842, p. [$33] 434).

Abbiamo visto che il capitale commerciale e il capitale produttivo d’interesse sono le forme più antiche del capitale. Ma è naturale che il capitale produttivo d’interesse si presenti nella concezione popolare come la forma del capitale par excellence. Nel capitale commerciale si verifica un’attività intermediaria, venga essa interpretata come frode o lavoro, o altro. Invece nel capitale produttivo d’interesse il carattere autoriproduttivo del capitale, il valore che si valorizza, la produzione del plusvalore, si presenta in forma pura come qualità occulta. La conseguenza di ciò è che anche una parte degli economisti particolarmente in quei paesi in cui il capitale industriale non ha ancora raggiunto il suo completo sviluppo, come in Francia, persistono nel considerarlo la forma fondamentale del capitale, e concepiscono ad esempio, la rendita fondiaria semplicemente come un’altra sua forma, predominando anche qui la forma del prestito. Si misconosce in tal modo completamente la struttura interna del modo di produzione capitalistico e si trascura del tutto il fatto che la terra, al pari del capitale, non viene prestata che a capitalisti. Invece del denaro possono essere naturalmente dati in prestito mezzi di produzione in natura, come macchine, fabbricati, ecc. Ma essi rappresentano allora una determinata somma di denaro e il fatto che, oltre all’interesse, viene pagata una parte per il logorio, deriva dal valore d’uso, dalla forma naturale specifica di questi elementi del capitale. Anche qui ciò che è decisivo è se essi vengono dati in prestito ai produttori diretti, il che presuppone la non esistenza del modo di produzione capitalistico, almeno nella sfera in cui ciò si verifica; oppure se vengono dati in prestito ai capitalisti industriali, il che è appunto il presupposto, sulla base del sistema capitalistico di produzione. Ancora più assurdo e privo di significato è far intervenire il prestito, di case ecc., per consumo individuale. Che la classe operaia venga sfruttata anche in queste forme e in un modo vergognoso, è evidente, ma ciò viene fatto anche dal dettagliante che le fornisce i mezzi di sussistenza. E’ questo uno sfruttamento secondario, parallelo all’originario, che avviene direttamente nel processo di produzione. La distinzione tra vendita e prestito è qui soltanto formale, senza importanza e, come già si è mostrato, appare essenziale solo a coloro che ignorano completamente i rapporti reali.

Sia l’usura che il commercio sfruttano un modo di produzione dato, non lo creano, hanno con esso un rapporto esterno. L’usura cerca di sostenerlo direttamente, per poterlo sfruttare sempre di nuovo, è conservatrice, lo rende soltanto più miserabile. Quanto meno gli elementi della produzione entrano ed escono come merci dal processo della produzione, tanto più la loro genesi dal denaro appare come un atto particolare. Quanto più insignificante è la parte che la circolazione ha nella riproduzione sociale, tanto più fiorente è l’usura.

Dire che la ricchezza monetaria si sviluppa come forma particolare della ricchezza, significa, per quanto riguarda il capitale usurario, che tutti i suoi crediti hanno la forma di crediti monetari. Esso si sviluppa tanto più in un paese quanto più la massa della produzione è limitata a prestazioni in natura ecc., ossia a valori d’uso.

In quanto ha un duplice effetto, cioè in primo luogo crea, accanto al capitale commerciale, una ricchezza monetaria indipendente, e in secondo luogo si appropria le condizioni di lavoro, ossia rovina il proprietario delle antiche condizioni di lavoro, l’usura costituisce una leva potente per la creazione delle premesse del capitale industriale.

L’INTERESSE NEL MEDIOEVO.

«Nel Medioevo la popolazione era puramente agricola. E allora, come durante il regime feudale, non vi può essere che poco commercio e quindi anche poco profitto. Le leggi sull’usura erano quindi nel Medioevo giustificate. A ciò si aggiunge che, in un paese agricolo, raramente qualcuno si trova nella necessità di farsi prestare denaro, a meno che non sia caduto in completa miseria... Enrico VIII limita l’interesse al 10%, Giacomo I all’8%, Carlo II al 6%, Anna al 5%... In questa epoca coloro che davano denaro in prestito erano monopolisti, se non di diritto, di fatto, ed era quindi necessario sottometterli a restrizioni come altri monopolisti. Ai nostri giorni il saggio del profitto regola il saggio dell’interesse: in quei tempi il saggio dell’interesse regolava il saggio del profitto. Se chi dava denaro in prestito imponeva al commerciante un saggio d’interesse elevato, il commerciante doveva gravare le sue merci di un saggio di profitto elevato. In conseguenza una forte somma di denaro veniva prelevata dalla tasca dei compratori e passava nelle tasche di coloro che prestavano il denaro» (GILBART, History and Principles of Banking, pp. 164,165).

«Mi si dice che ora annualmente si prendono dieci fiorini ad ogni fiera di Lipsia, il che fa il 30 per cento e alcuni aggiungono la fiera di Neunburg e ciò fa il 40%: non so se non è anche di più. Vergogna, dove diavolo si vuole arrivare ?... Chiunque a Lipsia possiede 100 fiorini, ne prende ora quaranta all’anno, ciò significa divorare un contadino o un borghese in un anno. Se poi egli ha mille fiorini, ne prende ogni anno quattrocento. Ciò significa divorare in un anno un cavaliere o un ricco nobile. Se egli ne ha diecimila, ne prende ogni anno quattromila, e divora in un anno un ricco conte. Se possiede centomila formi, come deve essere presso i grossi commercianti, ne prende ogni anno quarantamila: ciò significa divorare in un anno un potente e ricco principe. Se egli ha un milione di fiorini, ne prende ogni anno quattrocentomila, e divora in un anno un grande re. E per di più senza nessun pericolo, senza lavorare, siede vicino alla stufa e fa cuocere le mele: quindi un ladruncolo potrebbe starsene a casa e divorare in dieci anni il mondo intero» (il passo è tolto da An die Pfarrherrn  wider den Wucher zu predigen dell’anno 1540, LUTERO, Opere, Wittenberg, 1589, VI parte [p316]).

«Quindici anni fa, quando ho scritto contro l’usura, essa aveva già messo radici tali, per cui non nutrivo alcuna speranza di miglioramento. Da allora essa si è così nobilitata che non vuole più essere un vizio, un peccato, una vergogna, ma si fa esaltare come pura virtù e onore, proprio come se rendesse alla gente sevizi caritatevoli e cristiani. A che cosa servirebbe dare consigli ora che l’ignominia è diventata onore e il vizio virtù?» (An die Pfarrherrn wider den Wucher zu predigen, Wittenberg, 1540 [ p306]).

«Giudei, Lombardi, usurai e altre sanguisughe furono i nostri primi banchieri, i nostri primi trafficanti di banca. Il loro carattere poteva definirsi quasi infame... Ad essi si associarono in seguito gli orefici di Londra. Nell’insieme.., i nostri banchieri originali costituivano una società molto cattiva, erano usurai rapaci, sfruttatori dal cuore di pietra» (D. HARDCASTLE, Banks and Bankers, 2a ed., Londra, 1843, pp. 19-20).

«L’esempio dato da Venezia (la creazione di una banca) fu imitato quindi rapidamente: tutte le città marittime ed in generale tutte le città che si erano fatte un nome per la loro indipendenza e il loro commercio, fondarono le loro prime banche. Il ritorno dei loro battelli, che si faceva qualche volta attendere per molto tempo, portava inevitabilmente alla consuetudine d’accordare credito, consuetudine che veniva rafforzata in seguito dalla scoperta dell’America e dal commercio con questa». (Questo è un punto fondamentale). «I noleggi dei navigli costringevano a prendere forti anticipi, cosa che già si era verificata nell’antichità ed in Grecia. Nel 1308 la città anseatica di Bruges fondò una compagnia di assicurazioni» (M. AUGIER, Du crédit public ecc., Parigi, 1842, pp. 202, 203).

Fino a qual punto il concedere prestiti ai proprietari fondiari e quindi in generale ai ricchi gaudenti prevalesse ancora in Inghilterra nell’ultimo terzo del XVII sec., prima dello sviluppo del moderno sistema creditizio, si può desumere tra l’altro da quanto dice Sir Dudley North, non solo uno dei più importanti commercianti inglesi ma anche uno dei più notevoli teorici dell’economia del suo tempo. «Il denaro dato da noi a prestito a interesse fra il nostro popolo non viene distribuito neppure per la decima parte a commercianti, perché possano con ciò gestire i loro affari: esso viene dato a prestito per la maggior parte per articoli di lusso e per le spese di persone che, quantunque grandi proprietari terrieri, spendono il denaro più rapidamente di quanto la loro proprietà non ne apporti; e poiché essi non vogliono vendere i loro beni, preferiscono ipotecarli» ([Sir DUDLEY NORTH] Discourses upon Trade, Londra 1691, pp. 6, 7).

Nel XVIII secolo in Polonia: «Varsavia faceva un grande traffico di tratte  che tuttavia aveva principalmente per base e per fine l’usura dei suoi banchieri. Al fine di procurarsi del denaro da poter prestar ai grandi dissipatori all’8 e più per cento, essi cercavano e trovavano fuori del paese un credito cambiario in bianco, ossia che non aveva come base il commercio di merci, o cambiali che il tartassato straniero accettava pazientemente fino a tanto che le rimesse create dalla speculazione creditizia venivano pagate regolarmente. Tuttavia essi fecero amara penitenza di ciò per la bancarotta di uomini quali Tepper e di altri grossi noti banchieri di Varsavia» (J. G. BUSCH, Theoretisch praktische Darstellung der Handlung ecc., 3a ed., Amburgo, 1808 voi. TI, pp. 232, 233).

VANTAGGI DERIVANTI ALLA CHIESA DALLA INTERDIZIONE DELL’INTERESSE.

«La Chiesa aveva proibito di prendere degli interessi; ma non di vendere le proprietà per togliersi dal bisogno; né di cederle, per un tempo determinato o anche fino al rimborso, a chi prestava i denaro, non solo perché questo avesse in tal modo una garanzia ma anche perché durante il periodo del possesso potesse usufruire servendosene, di qualcosa che sostituisse il denaro di cui si era privato... La Chiesa stessa o le comunità che le appartenevano e pia corpora  (Corporazioni religiose) trassero grandi benefici da questa interdizione, soprattutto al tempo delle Crociate. Così tanta parte della ricchezza nazionale passò a costituire la cosiddetta “mano morta”, tanto più che l’ebreo non poteva, in questa direzione, fare dell’usura, perché il possesso di ipoteche così solide non poteva rimanere nascosto... Senza l’interdizione dell’interesse la Chiesa ed i monasteri non avrebbero mai potuto diventare così ricchi» (ivi, p. 55).

 

AVVERTENZA PER IL LETTORE

Il testo del III libro del Capitale che viene qui riportato NON È UNA DELLE TRADUZIONI INTEGRALI DEL TESTO ORIGINALE che sono disponibili: esso infatti è una rivisitazione delle traduzioni esistenti (in italiano ed in francese) a cui sono state apportate le seguenti modifiche:

1 – non sono state riportate le note che Marx ed Engels richiamano nel testo (fatte salve alcune eccezioni);

2 – sono state introdotte delle modifiche per quanto riguarda gli esempi numerici in cui, per facilitare la lettura;

a – sono state cambiate le unità di misura e le grandezze;

b – diversi dati richiamati nella forma di testo sono stati trasformati in tabelle;

c – in alcuni esempi numerici le cifre decimali sono state limitate a due e nel caso di numeri periodici, ad esempio 1/3 o 2/3, la cifra periodica è stata indicata con un apice (‘).

Ci rendiamo conto che leggere un testo del Capitale in cui Marx formula esempi in Euro (€) invece che in Lire Sterline (Lst) o scellini potrebbe far sorridere e far pensare ad uno scherzo o ad una manipolazione che ha  travisato il pensiero dell’Autore, avvertiamo invece il lettore che il testo è assolutamente fedele al pensiero originale  e che ci siamo permessi di introdurre alcune “varianti” per consentire a coloro che non hanno dimestichezza con le unità di misura e monetarie inglesi di non bloccarsi di fronte a questa difficoltà e di facilitarne così la lettura o lo studio.

In altre parti si sono invece mantenute le unità di misura e monetarie inglesi originali perchè la lettura non creava problemi di comprensione o per ragioni di fedeltà storica.

Ci facciamo altresì carico dell’osservazione che Engels ha formulato nelle “considerazioni supplementari” poste all’inizio del III Libro, laddove, di fronte alle molteplici interpretazioni del testo che vennero fatte dopo la prima edizione, sostiene: “Nella presente edizione ho cercato innanzitutto di comporre un testo il più possibile autentico, di presentare, nel limite del possibile, i nuovi risultati acquisiti da Marx, usando i termini stessi di Marx, intervenendo unicamente quando era assolutamente necessario, evitando che, anche in quest’ultimo caso, il lettore potesse avere dei dubbi su chi gli parla. Questo sistema è stato criticato; si è pensato che io avrei dovuto trasformare il materiale a mia disposizione in un libro sistematicamente elaborato, en faire un livre, come dicono i francesi, in altre parole sacrificare l’autenticità del testo alla comodità del lettore. Ma non è in questo senso che io avevo interpretato il mio compito. Per una simile rielaborazione mi mancava qualsiasi diritto; un uomo come Marx può pretendere di essere ascoltato per se stesso, di tramandare alla posterità le sue scoperte scientifiche nella piena integrità della sua propria esposizione. Inoltre non avevo nessun desiderio di farlo: il manomettere in questo modo perchè dovevo considerare ciò una manomissione l’eredità di un uomo di statura così superiore, mi sarebbe sembrato una mancanza di lealtà. In terzo luogo sarebbe stato completamente inutile. Per la gente che non può o non vuole leggere, che già per il primo Libro si è data maggior pena a interpretarlo male di quanto non fosse necessario a interpretarlo bene — per questa gente è perfettamente inutile sobbarcarsi a delle fatiche”.

Marx ed Engels non ce ne vogliano, ma posti di fronte alle molteplici “fughe” dallo studio da parte di persone che non possedevano una cultura accademica, fughe che venivano imputate alla difficoltà presentate dal testo, abbiamo deciso di fare uno “strappo” alle osservazioni di Engels, intervenendo in alcune parti  avendo altresì cura di toccare il testo il meno possibile. Nel fare questo “strappo” eravamo tuttavia confortati dal fatto che, a differenza  della situazione in cui Engels si trovava, oggi chi vuole accedere al testo “originale”, dispone di diverse edizioni in varie lingue.

Coloro che volessero accostarsi al testo originale in lingua italiana si consigliano le seguenti edizioni:

  • Il capitale, Le Idee, Editori Riuniti, traduzione di Maria Luisa Boggeri;
  • Il capitale, Edizione Einaudi, traduzione di Maria Luisa Boggeri;
  • Il capitale, Edizione integrale - I mammut – Newton Compton, a cura di Eugenio Sbardella.

Chi volesse accedere ad edizioni del Capitale e di altri testi di Marx in lingue estere, si propone di consultare il sito internet di seguito riportato:

http://www.marxists.org/xlang/marx.htm