IL CAPITALE

LIBRO III

SEZIONE V

SUDDIVISIONE DEL PROFITTO IN INTERESSE
E GUADAGNO D’IMPRENDITORE.

IL CAPITALE PRODUTTIVO D’INTERESSE.

CAPITOLO 32

CAPITALE MONETARIO E CAPITALE EFFETTIVO (3)
(Fine)

La massa del denaro che deve così essere ritrasformata in capitale è il risultato del processo di riproduzione in massa, ma, considerata in sé, come capitale monetario da prestito, non rappresenta essa stessa una massa di capitale riproduttivo.

Il punto più importante che risulta da quanto siamo venuti fino ad ora esaminando, è che l’espansione di quella parte del reddito che è destinata al consumo (non viene a questo proposito considerato l’operaio, essendo il suo reddito uguale al capitale variabile; si presenta in primo luogo come accumulazione di capitale monetario L’accumulazione del capitale monetario comprende, quindi, un elemento che è sostanzialmente distinto dalla accumulazione effettiva del capitale industriale; poiché quella parte del prodotto annuo che è destinata al consumo in nessun modo diventa capitale. Una parte di essa sostituisce capitale, ossia il capitale costante dei produttori dei mezzi di consumo, ma, nella misura in cui si trasforma effettivamente in capitale, essa esiste nella forma naturale di reddito dei produttori di questo capitale costante. Lo stesso denaro che rappresenta il reddito, che serve da semplice intermediario del consumo, si trasforma sistematicamente, per un certo tempo, in capitale monetario da prestito. Nella misura in cui questo denaro rappresenta salario, esso è al tempo stesso la forma monetaria del capitale variabile; e nella misura in cui esso sostituisce il capitale costante dei produttori dei mezzi di consumo, esso è la forma  momentanea assunta temporaneamente dal loro capitale costante e serve all’acquisto degli elementi naturali del loro capitale costante che essi devono sostituire. Né sotto l’una né sotto l’altra forma esso esprime di per sé l’accumulazione, quantunque la sua massa cresca con l’estensione del processo di riproduzione. Ma esso assolve per un certo tempo la funzione di denaro da prestito, quindi di capitale monetario. Sotto questo aspetto quindi l’accumulazione del capitale monetario deve sempre riflettere una accumulazione di capitale maggiore di quella effettivamente esistente, in quanto l’ampliamento del consumo individuale, essendo mediato dal denaro, appare come una accumulazione di capitale monetario, perché fornisce la forma monetaria per l’accumulazione propriamente detta, per il denaro che dischiude nuovi investimenti di capitale.

L’accumulazione del capitale monetario da prestito esprime quindi in parte unicamente il fatto che tutto il denaro in cui si tra sforma il capitale nel corso del suo ciclo, non assume la forma di denaro che i capitalisti riproduttivi anticipano, ma di denaro che essi prendono in prestito; cosicché in realtà l’anticipo del denaro, che deve aver luogo nel processo di riproduzione, appare come anticipo di denaro prestato. In realtà, sulla base del credito commerciale, l’uno presta all’altro il denaro di cui ha bisogno nel processo di riproduzione. Ma tutto ciò avviene in una forma tale che il banchiere, presta a una parte dei capitalisti riproduttivi quanto ha ricevuto in prestito da altri capitalisti riproduttivi, assumendo la veste di benefattore; ed al tempo stesso in una forma tale che la disponibilità di questo capitale viene ad accentrarsi completamente nelle mani dei banchieri, quali intermediari.

Si devono ancora menzionare alcune forme particolari dell’accumulazione del capitale monetario.

Il capitale viene reso libero, in seguito, per esempio, ad una caduta del prezzo degli elementi della produzione, materie prime ecc. Se l’industriale non può estendere immediatamente il suo processo di riproduzione, una parte del suo capitale monetario viene eliminato dalla circolazione come eccedente e si trasforma in capitale monetario da prestito. In secondo luogo il capitale nella forma monetaria viene reso libero, particolarmente presso il commerciante, non appena subentrano delle interruzioni negli affari. Se il commerciante ha terminato una serie di transazioni e in seguito a tale interruzione non può immediata mente iniziarne una nuova serie, il denaro realizzato rappresenta per lui unicamente un tesoro, del capitale. eccedente. Ma al tempo stesso esso rappresenta direttamente una accumulazione di capitale monetario da prestito. Nel primo caso, l’accumulazione del capitale monetario esprime la ripetizione del processo di riproduzione sotto condizioni più favorevoli, una effettiva liberazione di una parte del capitale precedentemente vincolato, quindi, la possibilità di espandere il processo di riproduzione con gli stessi mezzi monetari. Nell’altro caso esprime invece una semplice interruzione nel flusso delle transazioni. Ma in entrambi i casi il denaro si trasforma in capitale monetario da prestito, rappresenta accumulazione dello stesso, agisce parimenti sul mercato monetario e sul saggio dell’interesse, sebbene esprima qui un’accelerazione, là un rallentamento dell’effettivo processo di accumulazione. Alla accumulazione del capitale monetario contribuiscono, infine, coloro che hanno racimolato un gruzzoletto e si ritirano dalla riproduzione. E quanto maggiore è il profitto che è stato realizzato nel corso del ciclo industriale, tanto maggiore è il numero di queste persone. L’accumulazione del capitale monetario da prestito esprime qui, da un lato, una accumulazione effettiva (considerando il suo volume relativo) e dall’altro lato soltanto la misura della trasformazione dei capitalisti industriali in semplici capitalisti monetari.

Per quanto riguarda l’altra parte del profitto, che non è destinata ad essere consumata come reddito, essa si trasforma in capitale monetario unicamente quando non può essere immediatamente impiegata per l’ampliamento dell’impresa nella sfera della produzione in cui essa è stata conseguita. Ciò può esser dovuto a due cause. Questa sfera è satura di capitale. Oppure l’accumulazione, per poter operare come capitale, deve aver raggiunto prima una certa consistenza, in rapporto alle proporzioni dell’investimento del capitale nuovo nell’impresa data. L’accumulazione si trasforma quindi dapprima in capitale monetario da prestito e serve all’espansione della produzione in altre sfere. Presupponendo invariate tutte le altre circostanze, la massa di profitto destinata ad essere ritrasformata in capitale dipenderà dalla massa del profitto conseguito e quindi dall’espansione del processo di riproduzione stesso. Ma se l’impiego di questa nuova accumulazione incontra delle difficoltà, se mancano le sfere di investimento e si ha di conseguenza una saturazione dei rami di produzione ed una eccessiva offerta di capitale da prestito, questa pletora di capitale monetario da prestito attesta semplicemente i limiti della produzione capitalistica. La speculazione creditizia che ne segue prova che non esiste nessun ostacolo positivo all’impiego di questo capitale eccedente. Vi è tuttavia un ostacolo dovuto alle leggi della sua valorizzazione, ai limiti in cui il capitale può valorizzarsi in quanto capitale. Una pletora di capitale monetario in quanto tale non esprime necessariamente una sovrapproduzione, ma può indicare semplicemente anche una mancanza di sfere di investimento per il capitale.

L’accumulazione del capitale da prestito consiste semplicemente nel fatto che il denaro si deposita come denaro da prestito. Questo processo è molto diverso dall’effettiva trasformazione in capitale; è semplicemente l’accumulazione di denaro in una forma in cui può venire trasformato in capitale. Ma questa accumulazione può, come abbiamo visto, esprimere degli elementi che sono assolutamente distinti dalla accumulazione effettiva. Se l’accumulazione effettiva si allarga continuamente, questa accumulazione allargata di capitale monetario può essere in parte il risultato di questo processo, in parte il risultato di elementi che l’accompagnano, ma che sono da esso sostanzialmente distinti, in parte, infine, anche il risultato di arresti della accumulazione effettiva. Già per il fatto che l’accumulazione del capitale da prestito si estende per effetto di tali elementi indipendenti dalla accumulazione effettiva, ma che tuttavia l’accompagnano, si deve creare in determinate fasi del ciclo una costante pletora di capitale monetario e questa pletora deve svilupparsi con il perfezionarsi del credito. Con essa si deve quindi contemporaneamente accentuare la necessità di spingere il processo di produzione al di là dei suoi limiti capitalistici: eccesso di commercio, eccesso di produzione, eccesso di credito. Contemporaneamente ciò deve assumere sempre delle forme che provocano una reazione.

È inutile soffermarsi qui sulla accumulazione del capitale monetario proveniente dalla rendita fondiaria, dal salario ecc. Occorre mettere in rilievo unicamente che il compito del risparmio effettivo e della rinuncia (da parte di tesaurizzatori), in quanto fornisce elementi di accumulazione, viene lasciato, tramite la divisione del lavoro che si manifesta nel progresso della produzione capitalistica, a coloro che ricevono in misura minima tali elementi e molto spesso per di più perdono i loro risparmi, come i lavoratori quando le banche falliscono. Da un lato il capitale del capitalista industriale non viene « risparmiato da lui stesso, ma, in rapporto alla grandezza del suo capitale, egli dispone di risparmi altrui; d’altro lato il capitalista monetario trasforma i risparmi altrui in capitale proprio ed il credito, che i capitalisti riproduttivi si concedono reciprocamente e che il pubblico dà loro, in sua fonte privata di arricchimento. Cade così l’ultima illusione del sistema capitalistico, che il capitale sia il frutto del proprio risparmio e del proprio lavoro. Non soltanto il profitto consiste nell’appropriazione di lavoro altrui, ma il capitale con cui questo lavoro altrui viene posto in movimento e viene sfruttato consiste in proprietà altrui, che il capitalista monetario pone a disposizione del capitalista industriale, sfruttando a sua volta anche quest’ultimo.

Si devono ancora fare alcune osservazioni a proposito del capitale di credito.

Il numero delle volte che la stessa moneta può figurare come capitale da prestito, dipende, come abbiamo già precedentemente messo in rilievo:

1)           daI numero di volte che essa realizza valori-merce nell’acquisto o nel pagamento, cioè trasferisce capitale e inoltre dal numero di volte che essa realizza reddito. Il numero di volte in cui cambia di mano come valore realizzato di capitale o di reddito dipende quindi evidentemente dal volume e dalla massa degli scambi effettivi;

2)           dall’economia dei pagamenti e dallo sviluppo e organizzazione del credito;

3)          infine dalla concatenazione e dalla rapidità d’azione dei crediti, in virtù delle quali la moneta, fissata in un posto come deposito, esce immediatamente in un altro come prestito.

Supponendo anche che la forma sotto la quale esiste il capitale da prestito sia semplicemente quella di denaro effettivo, di oro o argento, di quella merce la cui sostanza serve da misura dei valori, è pur sempre necessario che una parte notevole di questo capitale monetario sia puramente fittizia, ossia un semplice titolo sul valore, precisamente come i segni di valore. Nella misura in cui il denaro opera nel ciclo del capitale, esso costituisce per il momento capitale monetario; non si trasforma però in capitale monetario da prestito, bensì viene scambiato con elementi del capitale produttivo, o viene speso sotto forma di mezzo di circolazione nella realizzazione del reddito e non può quindi trasformarsi per il suo possessore in capitale da prestito. Ma, nella misura in cui esso si trasforma in capitale da prestito e lo stesso denaro rappresenta ripetutamente del capitale da prestito, è evidente che esso esiste unicamente in un solo punto come denaro metallico; in tutti gli altri punti esso esiste soltanto nella forma di diritto sul capitale. L’accumulazione di questi diritti, secondo le nostre premesse, deriva dall’accumulazione effettiva, ossia dalla trasformazione del valore del capitale-merce ecc. in denaro. Ma tuttavia l’accumulazione di questi diritti o titoli differisce, in quanto tale, sia dall’accumulazione effettiva dalla quale essa deriva, che dall’accumulazione futura (il nuovo processo di produzione) che è mediata dal prestito di denaro.

Prima facie ( a prima vista) il capitale da prestito esiste sempre sotto forma di denaro , più tardi come un diritto sul denaro, poiché il denaro nella cui forma esso esisteva originariamente, si trova ora in mano di chi ha preso a prestito nella forma effettiva di denaro.

Per chi ha concesso il prestito esso si è convertito in un diritto sul denaro, in un titolo di proprietà. La stessa massa di capitale effettivo può quindi rappresentare masse molto diverse di capitale monetario. Semplice denaro, sia che rappresenti capitale realizzato o reddito realizzato, diventa capitale da prestito mediante il semplice atto del prestito, mediante le sue trasformazioni in deposito, se consideriamo la forma generale assunta in un sistema di credito sviluppato. Il deposito è capitale monetario per il depositante. Ma può accadere che in mano del banchiere esso diventi soltanto capitale monetario potenziale, che giace inoperoso nella sua cassaforte anziché in quella del suo proprietario.

Con l’accrescimento della ricchezza materiale si accresce la classe dei capitalisti monetari; aumenta da un lato il numero e la ricchezza dei capitalisti che si ritirano, dei rentiers; e in secondo luogo viene stimolato lo sviluppo del sistema creditizio e si accresce quindi il numero dei banchieri, di coloro che danno il denaro in prestito, dei finanzieri ecc. Con lo sviluppo del capitale monetario disponibile si sviluppa la massa dei titoli fruttiferi, titoli di Stato, azioni ecc. come è esposto precedentemente. Ma contemporaneamente si accresce la domanda di capitale monetario disponibile, poiché i jobbers, gli speculatori che trafficano con questi titoli, esercitano un influsso determinante sul mercato monetario. Qualora tutti gli acquisti e le vendite di questi titoli rappresentassero unicamente degli investimenti effettivi di capitale, sarebbe giusto dire che essi non possono influire sulla domanda del capitale da prestito, poiché se A vende il suo titolo, ne ricava esattamente tanto denaro quanto B ne investe nel titolo. Ciò nonostante persino nel caso in cui il titolo esiste, ma non esiste il capitale (almeno non come capitale monetario) che rappresentava originariamente, esso crea pur sempre pro tanto una nuova domanda di tale capitale monetario. Ma in ogni caso è allora capitale monetario di cui B disponeva precedentemente, mentre ora è A che ne dispone.

Bank Acts 1857, n. 4886: «Secondo il suo punto di vista, indico esattamente le cause che determinano il saggio di sconto, quando affermo che esso è regolato dalla quantità di capitale che si trova sul mercato, che è disponibile per lo sconto delle cambiali commerciali, distinte dagli effetti di altro tipo? (Chapman:) No; io penso che il saggio dell’interesse è influenzato da tutti i titoli facilmente convertibili (all convertible securities of a current character); non sarebbe giusto limitare la questione semplicemente allo sconto delle cambiali; poiché quando esiste una forte domanda di denaro su (depositi di) consolidati, o anche buoni del tesoro, come si è verificato recentemente in misura sensibile e ad un saggio d’interesse molto più elevato di quello commerciabile, sarebbe assurdo dire che il nostro mondo commerciale non ne risenta; esso ne risente fortemente».

«4890. Se si trovano sul mercato titoli solidi e ricercati, riconosciuti come tali dai banchieri ed i proprietari vogliono farsi prestare denaro su di essi, tutto ciò deve avere sicuramente la sua ripercussione sulle cambiali commerciali; non posso ad es. pretendere che un tale mi presti il suo denaro al 5% su cambiali commerciali, se egli contemporaneamente può dare in prestito questo denaro al 6% su consolidati ecc.; ciò si ripercuote allo stesso modo su di noi; nessuno mi può chiedere di scontare la sua cambiale al 5 1/2 % quando posso dare in prestito il mio denaro al 6%». «4892. Non parliamo qui di coloro che acquistano titoli per 2000 o 5000 o 10.000 Lst. a scopo di investimento sicuro di capitale, come se essi confluissero sensibilmente sul mercato monetario. Quando Lei mi pone la questione del saggio d’interesse su (deposito di) consolidati, io parlo di persone che fanno affari dell’ordine di grandezza di centinaia di migliaia di Lst., dei cosiddetti jobbers, che sottoscrivono prestiti pubblici per grossi importi o acquistano sul mercato e devono poi conservare questi titoli fino a che possono disfarsene con profitto: costoro sono costretti a farsi prestare del denaro a questo fine».

Con lo sviluppo del sistema creditizio vengono creati grandi mercati finanziari accentrati, centri quali Londra, che sono al tempo stesso sede del commercio di tali titoli. I banchieri mettono in gran quantità a disposizione di questa razza di commercianti il capitale monetario del pubblico e si ingrandisce così la genìa di questi speculatori « Il denaro costa di solito meno caro alla borsa dei valori che in qualsiasi altro luogo » dice nel 1848 l’allora governatore della Banca d’Inghilterra al Comitato segreto dei Lords (Commercial Distress 1848, stampato 1857, n. 219).

È già stato messo in rilievo, quando si è esaminato il capitale produttivo d’interesse, che per un lungo periodo di anni e rimanendo invariate le altre circostanze, l’interesse medio è determinato dal saggio medio del profitto e non dal guadagno d’imprenditore, che in realtà non è altro se non il profitto decurtato dell’interesse.

È stato del pari notato e la cosa sarà analizzata ulteriormente che anche per le variazioni dell’interesse commerciale — dell’interesse calcolato nell’ambito del mondo commerciale, da coloro che danno il denaro in prestito per lo sconto di cambiali e per i prestiti propriamente detti — sopravviene, nel corso del ciclo industriale, una fase durante la quale il saggio d’interesse supera il suo minimo e raggiunge il livello medio normale (che più tardi verrà superato), tale movimento essendo la conseguenza dell’aumento del profitto.

Ma si devono qui fare due considerazioni:

Primo: se il saggio d’interesse si mantiene elevato per un lungo periodo (ci riferiamo qui al saggio d’interesse in un paese determinato quale l’Inghilterra, in cui il saggio d’interesse medio è fissato per un periodo abbastanza lungo e si presenta anche nell’interesse pagato per prestiti a lungo termine, il che si può chiamare interesse privato), ciò è prima facie (a prima vista) prova del fatto che durante questo periodo il saggio del profitto è elevato, ma non dimostra necessariamente che sia elevato anche il saggio del guadagno d’imprenditore. Questa ultima differenza viene meno, in misura maggiore o minore, per i capitalisti che lavorano principalmente con il loro proprio capitale; essi realizzano il saggio elevato del profitto, poiché pagano l’interesse a se stessi. La possibilità di un saggio dell’interesse elevato per un lungo periodo — non parliamo qui della fase della depressione vera e propria — si presenta quando il saggio del profitto è alto. Ma è possibile che questo elevato saggio del profitto, una volta che sia stato detratto il saggio elevato dell’interesse, non lasci che un saggio poco elevato del guadagno d’imprenditore. Questo ultimo può ridursi mentre il saggio del profitto rimane elevato. E ciò è possibile, perché le imprese, una volta avviate, devono essere proseguite. Durante questa fase si lavora in gran parte esclusivamente con capitale di credito (capitale altrui); e il saggio del profitto elevato può avere qualche volta un carattere di speculazione di previsione. Un saggio d’interesse elevato può essere pagato con un saggio di profitto elevato, ma con guadagno d’imprenditore decrescente. Esso può essere pagato — e ciò si verifica in parte in periodi di speculazione — non dal profitto, ma dallo stesso capitale altrui preso in prestito, situazione questa che si può prolungare per un certo tempo.

Secondo: L’affermazione che la domanda di capita monetario e quindi il saggio dell’interesse aumenta perché il saggio di profitto è elevato, non significa che il saggio d’interesse sia elevato perché  aumenta la domanda di capitale industriale.

In periodi di crisi da domanda di capitale da prestito e quindi il saggio dell’interesse, toccano il loro massimo; il saggio del profitto e con esso la domanda di capitale industriale praticamente scompaiono. In tali periodi ognuno prende a prestito solo per pagare, per liquidare degli impegni già contratti. Invece, in periodi di ripresa dopo una crisi, il capitale da prestito viene richiesto per acquistare e per trasformare il capitale monetario in capitale produttivo o commerciale.

E viene allora richiesto dal capitalista industriale o dal commerciante. Il capitalista industriale lo spende in mezzi di produzione e in forza-lavoro.

La domanda crescente di forza-lavoro non può per se stessa essere causa di un aumento del saggio dell’interesse, in quanto quest’ultimo è determinato dal saggio del profitto.

Un salario più elevato non è mai causa di un profitto più elevato, quantunque, se noi consideriamo certe fasi del ciclo industriale, ne possa essere una conseguenza.

La domanda di forza-lavoro può aumentare perché lo sfruttamento del lavoro si svolge in condizioni particolarmente favorevoli, ma la domanda crescente di forza-lavoro e in conseguenza di capi tale variabile, non accresce il profitto in sé e per sé, lo riduce invece pro tanto. Ma la domanda di capitale variabile può tuttavia aumentare e con essa aumenta anche la domanda di capitale monetario; il che può far salire il saggio dell’interesse. Il prezzo di mercato della forza-lavoro supera allora la sua media, viene impiegato un numero di lavoratori superiore alla media e contemporaneamente aumenta il saggio dell’interesse, accrescendosi in quelle circostanze la domanda di capitale monetario. La domanda crescente di forza- lavoro rincara questa merce al pari si qualsiasi altra, fa salire il suo prezzo, ma non il profitto, che si fonda principalmente proprio sul prezzo relativamente basso di questa merce. Ma essa accresce al tempo stesso — nelle condizioni presupposte — il saggio dell’interesse, in quanto fa aumentare la domanda di capitale monetario. Se il capitalista monetario, anziché dare il denaro in prestito, si trasformasse in un capitalista industriale, il fatto che egli deve pagare il lavoro più caro non verrebbe ad accrescere in sé e per sé il suo profitto, ma lo diminuirebbe pro tanto. Ciò nonostante, in determinate circostanze il suo profitto può salire, ma non per il fatto che egli paga il lavoro più caro. Quest’ultima circostanza, in quanto accresce la domanda di capitale monetario, è tuttavia sufficiente per far aumentare il saggio dell’interesse. Se il salario si accresce per qualsiasi causa, mentre la congiuntura per il resto è sfavorevole, l’aumento del salario farebbe diminuire il saggio del profitto e aumentare il saggio dell’interesse nella misura in cui esso accresce la domanda di capitale monetario.

A prescindere dal lavoro, ciò che Overstone chiama «domanda di capitale» è soltanto domanda di merci. La domanda di merci accresce il loro prezzo sia se essa supera la media sia se l’offerta cade al di sotto della media. Se il capitalista industriale o il commerciante deve pagare ad es. ora 150 Lst. per la stessa massa di merci per cui precedentemente ne pagava 100, egli dovrebbe in tali circostanze prendere in prestito 150 Lst. in luogo delle 100 Lst. di prima e se il saggio dell’interesse fosse del 5%, egli dovrebbe pagare 7 1/2 Lst. mentre precedentemente pagava 5 Lst. La massa dell’interesse che egli deve pagare si accrescerebbe, perché si accresce la massa del capitale presa in prestito.

Il tentativo del sig. Overstone consiste semplicemente nel presentare come identici gli interessi del capitale da prestito e del capitale industriale, mentre il suo Bank Act è congegnato in modo da sfruttare proprio la differenza di questi interessi a beneficio del capitale monetario.

È possibile che la domanda di merci, nel caso che la loro offerta sia caduta al di sotto della media, non assorba una quantità di capitale monetario maggiore di prima. La stessa somma, forse una somma più piccola, deve essere pagata per il loro valore complessivo, ma per questa medesima somma si riceve una quantità minore di valori d’uso. In questo caso la domanda di capitale monetario da prestito rimane invariata e quindi il saggio dell’interesse non sale, sebbene la domanda della merce sia aumentata in rapporto alla sua offerta e per conseguenza sia aumentato anche il suo prezzo. Il saggio dell’interesse può essere influenzato solo nel caso in cui si accresce la domanda complessiva di capitale da prestito, il che non si verifica nelle condizioni suddette.

Ma l’offerta di un articolo può anche cadere al di sotto della media, come si verifica in caso di cattivo raccolto di grano, cotone ecc. e la domanda del capitale da prestito può aumentare, perché si specula al rialzo ulteriore e il modo più semplice per far salire i prezzi consiste nel sottrarre temporaneamente una parte dell’offerta al mercato. Ma per pagare la merce acquistata senza venderla, il denaro viene procurato facendo ricorso al « sistema delle cambiali» commerciali. In questo caso la domanda del capitale da prestito si accresce ed il saggio d’interesse può salire in seguito a questo tentativo di impedire artificialmente l’afflusso delle merci sul mercato. Il saggio più elevato dell’interesse esprime allora una riduzione artificiale dell’offerta del capitale-merce.

D’altro lato la domanda di un articolo può accrescersi perché la sua offerta si è accresciuta e il prezzo dell’articolo è inferiore al suo livello medio.

In questo caso la domanda di capitale da prestito può rimanere invariata o anche diminuire, perché con la stessa somma di denaro si può ottenere una maggiore quantità di merci. Potrebbero anche verificarsi degli accaparramenti di merci a scopo speculativo, sia per sfruttare il momento favorevole ai fini della produzione, sia nell’attesa di futuri aumenti di prezzo. In questo caso la domanda di capitale da prestito potrebbe accrescersi e l’elevato saggio d’interesse sarebbe allora indice di un investimento di capitale in scorte eccedenti gli elementi del capitale produttivo.

Ci occupiamo qui solo della domanda di capitale da prestito, che è influenzata dall’offerta e dalla domanda del capitale-merce.

Si è già precedentemente spiegato, come la condizione mutevole del processo di riproduzione nelle fasi del ciclo industriale influisca sull’offerta del capitale da prestito. Astutamente Overstone identifica il principio volgare secondo cui il saggio di mercato dell’interesse è determinato dall’offerta e dalla domanda di capitale (da prestito) con il suo proprio punto di vista, secondo cui il capitale da prestito è identico con il capitale in generale e in tal modo egli cerca di fare dell’usuraio il solo capitalista e del suo capitale il solo capitale.

In periodi di depressione la domanda del capitale da prestito è domanda di mezzi di pagamento e niente altro; in nessun caso è domanda di denaro come mezzo di acquisto. Il saggio dell’interesse può salire molto in alto, indipendentemente dal fatto che vi sia sovrabbondanza o penuria di capitale reale, — capitale produttivo e capitale- merce. La domanda di mezzi di pagamento è una semplice domanda di convertibilità in denaro, quando i commercianti ed i produttori possono offrire delle garanzie sufficienti; è una domanda di capitale monetario quando ciò non si verifica, quando cioè un anticipo di mezzi di pagamento dà loro non solo la forma monetaria, ma l’equivalente che loro manca, sotto una forma o l’altra, per il pagamento. Questo è il punto in cui entrambe le posizioni che la teoria corrente assume nel giudicare le crisi sono giuste ed errate allo stesso tempo. Coloro che dicono che esiste semplicemente una carenza di mezzi di pagamento hanno soltanto in mente quelle persone che posseggono garanzie bona fide (effetti garantiti da merce), o sono dei pazzi che credono sia dovere e facoltà di una banca trasformare, con pezzi di carta, tutti gli speculatori falliti in capitalisti solidi e solvibili. Coloro che dicono che esiste una semplice carenza di capitale, fanno puramente un gioco di parole, poiché in tali periodi vi è una massa di capitale inconvertibile in seguito alla sovra-importazione ed alla sovrapproduzione, oppure si riferiscono esclusivamente a quegli avventurieri del credito che ora sono di fatto messi in condizioni di non poter più a lungo ottenere capitale altrui con il quale portare avanti i loro affari e pretendono che la banca non soltanto li aiuti a restituire il capitale perduto, ma li metta per di più in grado di continuare le loro speculazioni fraudolente.

È un principio fondamentale della produzione capitalistica che il denaro si contrappone alla merce quale forma autonoma del valore, ossia che il valore di scambio deve assumere nel denaro una forma autonoma e ciò è possibile unicamente quando una merce determinata diventa la materia al cui valore si devono commisurare tutte le altre merci, cosicchè proprio per ciò diventa la merce universale, la merce par excellence in contrapposizione a tutte le altre merci. Ciò si deve manifestare — soprattutto presso le nazioni capitalistiche sviluppate, che sostituiscono il denaro in grandi quantità — in due modi: da un lato mediante operazioni di credito, dall’altro mediante moneta di credito. In periodi di depressione, quando il credito si restringe oppure cessa del tutto, il denaro improvvisamente si contrappone in assoluto a tutte le merci quale unico mezzo di pagamento e autentica forma di esistenza del valore. Di qui la svalorizzazione generale delle merci, la difficoltà, anzi l’impossibilità di trasformarle in denaro, ossia nella loro forma puramente fantastica. In secondo luogo, la moneta di credito stessa è denaro unicamente nella misura in cui rappresenta, in assoluto, nell’importo del suo valore nominale, il denaro effettivo. Con il deflusso dell’oro la sua convertibilità in denaro, ossia la sua identità con l’oro reale, diventa problematica. Di qui misure coercitive, aumento del saggio dell’interesse ecc. al fine di assicurare le condizioni di questa convertibilità. Ciò può essere più o meno portato a eccessi mediante un’errata legislazione fondata su errate teorie del denaro e imposta alla nazione nell’interesse di trafficanti di denaro, tipo Overstone e compagni. Ma la causa prima si trova nel fondamento stesso del sistema di produzione. Una svalorizzazione della moneta di credito (senza parlare dell’eventualità, del resto puramente immaginaria, che essa perda le sue caratteristiche di denaro) scuoterebbe tutti i rapporti esistenti. Il valore delle merci viene quindi sacrificato al fine di salvaguardare l’esistenza immaginaria e indipendente di questo valore nel denaro.

Come valore in denaro esso in generale è sicuro soltanto fino a che è sicuro il denaro. Per qualche milione in denaro devono quindi essere sacrificati molti milioni di merci. Ciò è inevitabile nella produzione capitalistica e costituisce una delle sue attrattive. Nei modi di produzione precedenti ciò non si verifica perché, data la ristrettezza della base su cui si muovono, non si sviluppa né il credito, né la moneta di credito. Fino a che il carattere sociale del lavoro appare come l’esistenza monetaria della merce e quindi come una cosa al di fuori della produzione reale, le crisi monetarie sono inevitabili, indipendentemente dalle crisi reali o come aggravamento di esse. D’altra parte è evidente che, fino a quando il credito di una banca non viene scosso, essa attutisce in tali casi il panico accrescendo la moneta di credito, mentre lo accentua quando invece la ritira. Tutta la storia dell’industria moderna dimostra che in realtà, se la produzione interna fosse organizzata, il denaro sarebbe richiesto soltanto per il saldo del commercio internazionale, ogniqualvolta il suo equilibrio è momentaneamente alterato. Che il mercato interno non abbia ormai più bisogno della moneta metallica, lo dimostra la sospensione dei pagamenti in contanti delle cosiddette banche nazionali, sospensione a cui si ricorre in tutti i casi estremi come all’unico rimedio.

Se si trattasse solo di due individui, sarebbe ridicolo parlare di una bilancia di pagamenti sfavorevole ad entrambi nelle loro reciproche operazioni. Se essi sono reciprocamente debitore e creditore l’un dell’altro, è chiaro che se i loro crediti non si compensano, l’uno deve essere il debitore dell’altro per la differenza. Per quanto riguarda le nazioni invece non è affatto così. E che non sia così lo riconoscono tutti gli economisti quando affermano che la bilancia dei pagamenti può essere favorevole o sfavorevole ad una nazione, anche se la sua bilancia commerciale deve in definitiva pareggiarsi.

La bilancia dei pagamenti si distingue dalla bilancia commerciale per il fatto che essa è una bilancia commerciale che viene a scadenza in un momento determinato.

Le crisi non fanno che condensare in un periodo breve la differenza fra la bilancia dei pagamenti e la bilancia commerciale: e le condizioni determinate che si sviluppano presso la nazione colpita dalla crisi, per la quale si presenta quindi ora il termine di pagamento — tali condizioni portano già con sé una tale contrazione dei termini di compensazione. Innanzi tutto l’esportazione dei metalli preziosi, poi la vendita delle merci affidate a commissionari; l’esportazione di merci per svenderle o per procurarsi, all’interno, degli anticipi di denaro su queste merci; l’aumento del saggio dell’interesse, la denuncia dei crediti, la caduta dei titoli, la alienazione di titoli esteri, il richiamo esercitato sul capitale estero dall’investimento in questi titoli svalorizzati, infine la bancarotta che liquida una massa di obbligazioni. Molto sovente viene inviato anche del metallo nel paese colpito dalla crisi, perché qui le cambiali non sono solide e il pagamento per maggiore garanzia viene fatto in metallo. S’aggiunge ancora la circostanza che, per quanto riguarda l’Asia, tutte le nazioni capitalistiche sono per lo più con temporaneamente, in modo diretto o indiretto, sue debitrici. Non appena queste diverse circostanze esercitano il loro pieno effetto sull’altra nazione interessata, subentra anche presso di questa la esportazione di oro e di argento, in breve scade il termine di pagamento e si ripetono gli stessi fenomeni.

Nel credito commerciale l’interesse, come differenza fra il prezzo a credito e il prezzo in contanti, entra nel prezzo delle merci soltanto se le cambiali hanno una durata maggiore dell’usuale. Altrimenti no.

E ciò si spiega con il fatto che ognuno prende questo credito con una mano e lo dà con l’altra. (Ciò non si accorda con la mia esperienza. F.E.). Ma nella misura in cui lo sconto entra qui in questa forma, esso non è regolato dal credito commerciale, ma dal mercato monetario.

Se l’offerta e la domanda di capitale monetario, che determinano il saggio dell’interesse, fossero identiche all’offerta e alla domanda di capitale effettivo, come Overstone sostiene, l’interesse dovrebbe essere simultaneamente elevato o basso a seconda che si considerino diverse merci, o la medesima merce in fasi diverse (materia prima, semilavorato, prodotto finito). Nel 1844 il saggio d’interesse della Banca d’Inghilterra oscillò fra il 4% (da gennaio fino a settembre) e il 2 1/2-3% da novembre alla fine dell’anno. Nel 1845 esso fu del 21/2, 23/4, 3% dal gennaio fino all’ottobre, fra il 3 e il 5% negli ultimi mesi. Il prezzo medio del cotone fair Orleans era di 6 1/4 pence nel 1844 e di 47/8 pence nel 1845. Il 3 marzo 1844 Liverpool aveva una scorta di cotone di 627.042 balle ed il 3 marzo 1845 di 773.800 balle. A giudicare dal basso prezzo del cotone, anche il saggio d’interesse doveva essere tale nel 1845 e lo fu in realtà durante la maggior parte di questo periodo. Ma, a giudicare dal prezzo dei filati, esso avrebbe dovuto essere elevato, perché i prezzi erano relativamente alti e il profitto assolutamente elevato. Nel 1845 cotone da 4 pence la libbra poteva con 4 pence di spese di filatura dare filati (n. 40 secunda mule twist di buona qualità) che al filandiere costavano 8 pence e che egli in settembre ed ottobre 1845 poteva vendere a 10 1/2 o 111/2 pence la libbra. (Vedere più sotto deposizione di Wylie).

Tutta la questione può essere risolta nel modo seguente: l’offerta e la domanda di capitale da prestito sarebbero identiche all’offerta ed alla domanda di capitale in generale (quantunque questa ultima frase sia assurda; per l’industriale o il commerciante la merce è una forma del suo capitale, ma egli non domanda mai il capitale come tale, ma sempre unicamente questa merce particolare in quanto tale, l’acquista e la paga come merce, grano o cotone, indipendentemente dalla funzione che essa deve assolvere nel ciclo del suo capitale), se nessuno prestasse il denaro e se i capitalisti che fanno dei prestiti fossero in possesso di macchine, di materie prime ecc. e le dessero in prestito o le affittassero, come fanno ora per le case, ai capitalisti industriali, proprietari essi stessi di una parte di questi oggetti. In tali condizioni l’offerta del capitale da prestito sarebbe identica alla offerta di elementi di produzione per il capitalista industriale, di merci per il commerciante. Ma è  chiaro che la ripartizione del profitto fra chi dà a prestito e chi prende a prestito verrebbe in prima istanza a dipendere interamente dal rapporto secondo cui questo capitale è dato in prestito, dal rapporto tra il capitale dato a prestito e il capitale che è proprietà di colui che lo impiega.

Secondo il sig. Weguelin (Bank Acts 1857) il saggio dell’interesse è determinato dalla «massa del capitale inattivo» (252); è «unicamente un indice della massa del capitale inattivo che cerca investimento» (271); più tardi egli chiama questo capitale inattivo floating capital (485) e intende con ciò «biglietti della Banca d’Inghilterra e altri mezzi di circolazione nel paese; ad es. i biglietti delle banche provinciali e le monete esistenti nel paese... io includo nel floating capital anche le riserve delle banche» (502, 503) e più tardi anche i lingotti d’oro (503). Lo stesso Weguelin dice che la Banca d’Inghilterra ha un forte influsso sul saggio dell’interesse in periodi «in cui noi (la Banca d’Inghilterra) abbiamo effettivamente nelle nostre mani la maggior parte del capitale inattivo» (1198), mentre, secondo le precedenti deposizioni del signor Overstone, la Banca d’Inghilterra «non è un posto per il capitale». Weguelin soggiunge: «Secondo il mio punto di vista il saggio è regolato dalla quantità del capitale inattivo esistente nel paese. La quantità del capitale inattivo è rappresentata dalla riserva della Banca d’Inghilterra, che in effetti è una riserva metallica. La riduzione del tesoro metallico riduce quindi la quantità del capitale inattivo del paese ed accresce il valore della parte residua» (1258).

J. Stuart MilI dice (2102): «È necessario per la Banca, se vuole mantenere solvibile il suo banking department, fare quanto è in suo potere per alimentare le riserve di questo department; non appena quindi riscontra che è in corso un deflusso, essa si deve assicurare una riserva e diminuire le sue operazioni di sconto o vendere titoli » [188].

La riserva, in quanto si prende in considerazione soltanto il banking department, è tale unicamente per i depositi. Secondo gli Overstone il banking depariment deve agire come banchiere, senza curarsi dell’emissione « automatica » delle banconote. Ma in periodi di effettiva difficoltà la Banca, indipendentemente dalla riserva del banking department, che consiste soltanto in banconote, vigila sul tesoro metallico e vi è costretta se non vuole fallire. Infatti, nella stessa misura in cui si esaurisce il tesoro metallico, si esaurisce anche la riserva di banconote e nessuno lo potrebbe sapere meglio del signor Overstone, che ha così saggiamente dato origine a questo stato di cose con il suo Bank Act del 1844.

 

AVVERTENZA PER IL LETTORE

Il testo del III libro del Capitale che viene qui riportato NON È UNA DELLE TRADUZIONI INTEGRALI DEL TESTO ORIGINALE che sono disponibili: esso infatti è una rivisitazione delle traduzioni esistenti (in italiano ed in francese) a cui sono state apportate le seguenti modifiche:

1 – non sono state riportate le note che Marx ed Engels richiamano nel testo (fatte salve alcune eccezioni);

2 – sono state introdotte delle modifiche per quanto riguarda gli esempi numerici in cui, per facilitare la lettura;

a – sono state cambiate le unità di misura e le grandezze;

b –  diversi dati richiamati nella forma di testo sono stati trasformati in tabelle;

c – in alcuni esempi numerici le cifre decimali sono state limitate a due e nel caso di numeri periodici, ad esempio 1/3 o 2/3, la cifra periodica è stata indicata con un apice (‘).

Ci rendiamo conto che leggere un testo del Capitale in cui Marx formula esempi in Euro (€) invece che in Lire Sterline (Lst) o scellini potrebbe far sorridere e far pensare ad uno scherzo o ad una manipolazione che ha  travisato il pensiero dell’Autore, avvertiamo invece il lettore che il testo è assolutamente fedele al pensiero originale  e che ci siamo permessi di introdurre alcune “varianti” per consentire a coloro che non hanno dimestichezza con le unità di misura e monetarie inglesi di non bloccarsi di fronte a questa difficoltà e di facilitarne così la lettura o lo studio.

In altre parti si sono invece mantenute le unità di misura e monetarie inglesi originali perchè la lettura non creava problemi di comprensione o per ragioni di fedeltà storica.

Ci facciamo altresì carico dell’osservazione che Engels ha formulato nelle “considerazioni supplementari” poste all’inizio del III Libro, laddove, di fronte alle molteplici interpretazioni del testo che vennero fatte dopo la prima edizione, sostiene: “Nella presente edizione ho cercato innanzitutto di comporre un testo il più possibile autentico, di presentare, nel limite del possibile, i nuovi risultati acquisiti da Marx, usando i termini stessi di Marx, intervenendo unicamente quando era assolutamente necessario, evitando che, anche in quest’ultimo caso, il lettore potesse avere dei dubbi su chi gli parla. Questo sistema è stato criticato; si è pensato che io avrei dovuto trasformare il materiale a mia disposizione in un libro sistematicamente elaborato, en faire un livre, come dicono i francesi, in altre parole sacrificare l’autenticità del testo alla comodità del lettore. Ma non è in questo senso che io avevo interpretato il mio compito. Per una simile rielaborazione mi mancava qualsiasi diritto; un uomo come Marx può pretendere di essere ascoltato per se stesso, di tramandare alla posterità le sue scoperte scientifiche nella piena integrità della sua propria esposizione. Inoltre non avevo nessun desiderio di farlo: il manomettere in questo modo perchè dovevo considerare ciò una manomissione l’eredità di un uomo di statura così superiore, mi sarebbe sembrato una mancanza di lealtà. In terzo luogo sarebbe stato completamente inutile. Per la gente che non può o non vuole leggere, che già per il primo Libro si è data maggior pena a interpretarlo male di quanto non fosse necessario a interpretarlo bene — per questa gente è perfettamente inutile sobbarcarsi a delle fatiche”.

Marx ed Engels non ce ne vogliano, ma posti di fronte alle molteplici “fughe” dallo studio da parte di persone che non possedevano una cultura accademica, fughe che venivano imputate alla difficoltà presentate dal testo, abbiamo deciso di fare uno “strappo” alle osservazioni di Engels, intervenendo in alcune parti  avendo altresì cura di toccare il testo il meno possibile. Nel fare questo “strappo” eravamo tuttavia confortati dal fatto che, a differenza  della situazione in cui Engels si trovava, oggi chi vuole accedere al testo “originale”, dispone di diverse edizioni in varie lingue.

Coloro che volessero accostarsi al testo originale in lingua italiana si consigliano le seguenti edizioni:

  • Il capitale, Le Idee, Editori Riuniti, traduzione di Maria Luisa Boggeri;
  • Il capitale, Edizione Einaudi, traduzione di Maria Luisa Boggeri;
  • Il capitale, Edizione integrale - I mammut – Newton Compton, a cura di Eugenio Sbardella.

Chi volesse accedere ad edizioni del Capitale e di altri testi di Marx in lingue estere, si propone di consultare il sito internet di seguito riportato:

http://www.marxists.org/xlang/marx.htm