IL CAPITALE

LIBRO III

SEZIONE V

SUDDIVISIONE DEL PROFITTO IN INTERESSE
E GUADAGNO D’IMPRENDITORE.

IL CAPITALE PRODUTTIVO D’INTERESSE.

CAPITOLO 28

MEZZI DI CIRCOLAZIONE E CAPITALE.

CONCEZIONI DI TOOKE E DI FULLARTON.

La distinzione tra [mezzi di] circolazione e capitale, come si configura in Tooke Wilson ed altri, e nella quale vengono mescolate alla rinfusa le differenze tra il mezzo di circolazione come denaro, come capitale monetario in generale e come capitale produttivo d’interesse (moneyed capital secondo il termine inglese), si riassume in due punti.

Il mezzo di circolazione circola da un lato come moneta (denaro), quando esso serve per la spesa del reddito, vale a dire per lo scambio fra i consumatori individuali ed i piccoli commercianti, categoria sotto la quale sono da comprendere tutti i commercianti che vendono ai consumatori, ai consumatori individuali distinti dai consumatori produttivi o produttori. Qui il denaro circola con la funzione di moneta; quantunque esso sostituisca costantemente capitale. Una certa aliquota di denaro in un paese è costantemente impiegata in questa funzione, quantunque questa aliquota consista di singole monete che si alternano costantemente. Al contrario, in quanto il denaro serve al trasferimento di capitale, sia come mezzo di acquisto (mezzo di circolazione) che come mezzo di pagamento, esso è capitale. Non è dunque la sua funzione di mezzo di acquisto o di mezzo di pagamento che lo distingue dalla moneta, poiché esso può servire da mezzo di acquisto fra commerciante e commerciante, in quanto l’acquisto viene effettuato in contanti, e può anche servire da mezzo di pagamento fra commerciante e consumatore, in quanto si fa credito e il reddito è consumato prima di essere pagato. La differenza risiede dunque in questo fatto, che nel secondo caso questo denaro non sostituisce solo capitale per una delle parti, il venditore, ma viene anticipato anche dall’altra parte, speso come capitale dal compratore. La differenza è dunque in realtà fra forma monetaria del reddito e forma monetaria del capitale e non fra circolazione e capitale, poiché in qualità d’intermediaria fra i commercianti, così come fra consumatori e commercianti, una parte quantitativamente determinata del denaro circola e la circolazione sussiste egualmente in ambedue le funzioni.

Nella concezione di Tooke troviamo confusione in diversi punti:

1. Si confondono le determinazioni funzionali.

2. Si introduce arbitrariamente la questione della quantità di denaro circolante in ambedue le funzioni prese insieme.

3. Si introduce arbitrariamente la questione riguardante i rapporti relativi esistenti fra le quantità dei mezzi di circolazione circolanti nelle due funzioni e quindi nelle due sfere del processo di riproduzione.

A proposito del n. 1, ossia della confusione riguardante le determinazioni funzionali, per cui il denaro in una forma è circolazione (currency) e nell’altra forma è capitale. In quanto il denaro serve all’una o all’altra funzione, a realizzare reddito o a trasferire capitale, esso opera nella compera, nella vendita o nel pagamento, come mezzo di acquisto o mezzo di pagamento, e nel senso più ampio della parola come mezzo di circolazione. L’ulteriore determinazione che esso assume nei conti di colui che lo spende o che lo riceve, il fatto che esso rappresenti per lui capitale o reddito, non modifica affatto la cosa; e ciò si vede in due modi. Quantunque le specie di denaro che circolano nelle due sfere siano diverse, è la stessa moneta, ad esempio, un biglietto da 5 Lst, che passa da una sfera all’altra e compie alternativamente ambedue le funzioni; il che, è inevitabile già per il fatto che il piccolo commerciante può dare al suo capitale forma monetaria soltanto nella forma di quella moneta che egli riceve dai suoi acquirenti. Si può affermare che la moneta divisionale propriamente detta ha il suo centro di gravità, per la sua circolazione, nella sfera del piccolo commercio; il piccolo commerciante la usa di continuo per il cambio e a sua volta la riceve di continuo in pagamento dai suoi clienti. Ma egli incassa egualmente denaro, ossia monete di quel metallo che è misura di valore, vale a dire in Inghilterra pezzi da 5 Lst. e anche banconote, particolarmente banconote di piccolo taglio, per es. da 5 e da 10 Lst. Questi pezzi d’oro e questi biglietti di banca, unitamente alla moneta divisionale che ha eventualmente in eccedenza, egli li deposita ogni giorno od ogni settimana alla sua banca e paga in seguito i suoi acquisti mediante assegni sul suo deposito in banca. Ma questi stessi pezzi d’oro, queste banconote, il pubblico, nella sua qualità di consumatore, li ritira di nuovo dalle banche, in quanto forma monetaria del suo reddito; direttamente o indirettamente (ad es. il denaro spicciolo che viene ritirato dai fabbricanti per il pagamento dei salari) ed essi rifluiscono di continuo ai piccoli commercianti, ai quali essi realizzano nuovamente una parte del loro capitale, ma al tempo stesso anche del loro reddito. Questo ultimo fatto è importante ma è completamente perduto di vista da Tooke. Soltanto quando il denaro è anticipato come capitale monetario all’inizio del processo di riproduzione (Libro II, sezione I), il valore-capitale esiste puramente come tale. Poiché nella merce prodotta non vi è soltanto capitale, ma anche già plusvalòre; essa non è semplicemente capitale in sé, ma capitale già in atto, capitale che ha già dentro di sé una fonte di reddito. Ciò che il piccolo commerciante dà in cambio del denaro che gli rifluisce, cioè la sua merce, per lui è dunque capitale più profitto, capitale più reddito.

Inoltre, il denaro in circolazione, rifluendo al piccolo commerciante, ricostituisce la forma monetaria del suo capitale.

È dunque completamente sbagliato trasformare la differenza fra la circolazione come circolazione di reddito e come circolazione di capitale in una differenza fra circolazione e capitale. Questo discorso di Tooke si spiega col fatto che egli si pone semplicemente dal punto di vista del banchiere che emette proprie banconote, l’ammontare delle sue banconote che costantemente si trovano nelle mani del pubblico (anche se consiste sempre di banconote diverse) e funzionano come mezzo di circolazione non gli costa che le spese di carta e stampa. Esse sono titoli di credito circolanti (cambiali) emesse sul suo nome, che gli apportano però denaro e gli servono come mezzo per valorizzare il suo capitale. Esse sono tuttavia distinte dal suo capitale, che esso gli appartenga o sia preso in prestito. Da ciò deriva per lui una differenza particolare fra circolazione e capitale, che tuttavia non ha nulla a che vedere con le determinazioni del concetto in quanto tale, per lo meno con quelle esposte appunto da Tooke.

La diversa determinazione del denaro — il fatto che esso funzioni nella forma monetaria del reddito o del capitale — non muta per nulla il carattere del denaro in quanto mezzo di circolazione; esso conserva questo carattere, sia che esso adempia all’una o all’altra funzione. Tuttavia il denaro quando si presenta come forma monetaria del reddito, funziona più come vero e proprio mezzo di circolazione (moneta, mezzo di acquisto), a causa del frazionamento di questi acquisti e di queste vendite, e perché la maggioranza di coloro che spendono il loro reddito, i lavoratori, possono acquistare relativamente poco a credito; mentre al contrario, nelle transazioni del mondo del commercio, dove il mezzo di circolazione rappresenta la forma monetaria del capitale, il denaro funziona innanzitutto come mezzo di pagamento, in parte a causa della concentrazione, in parte per il predominare del sistema del credito. Ma questa distinzione fra il denaro come mezzo di pagamento e il denaro come mezzo di acquisto (mezzo di circolazione) è una distinzione inerente al denaro stesso; non è una distinzione fra denaro e capitale. Il fatto che nel piccolo commercio circoli più rame e argento e nel grande commercio più oro, non significa che la differenza fra argento e rame da un lato, e oro dall’altro sia una differenza fra circolazione e capi tale.

A proposito del n. 2, introduzione arbitraria della questione della quantità di denaro circolante complessivamente nelle due funzioni: in quanto il denaro circola, sia come mezzo di acquisto, sia come mezzo di pagamento — qualunque sia la sfera nella quale esso circola, e indipendentemente dalla sua funzione, di realizzare reddito o capitale — per la quantità della sua massa circolante valgono le leggi che noi abbiamo sviluppato (Libro I, cap. III, 2, b) trattando della circolazione semplice delle merci. Il grado della velocità della circolazione, vale a dire il numero di volte che le stesse monete compiono, in un tempo dato, la stessa funzione di mezzo di acquisto o di pagamento, la massa delle vendite e degli acquisti, ossia dei pagamenti, simultanei, il prezzo globale delle merci in circolazione, infine i bilanci di pagamento da saldare alla stessa epoca, determinano in ambedue i casi la massa di denaro circolante, il currency. Che questo denaro in funzione rappresenti per chi paga o per chi riceve capitale o reddito, non ha importanza alcuna e non modifica per nulla la cosa. La sua massa è determinata esclusivamente dalla sua funzione di mezzo dì acquisto e di pagamento.

A proposito del n. 3, ossia della questione riguardante il rapporto relativo che esiste fra le quantità di mezzi in circolazione nelle due funzioni e quindi nelle due sfere del processo di riproduzione. Vi è nesso interno tra le due sfere del processo di circolazione, poiché da un lato la massa dei redditi da spendersi esprime il volume del consumo e dall’altro lato la grandezza della massa di capitale circolante nella produzione e nel commercio esprime il volume e la rapidità del processo di riproduzione. Tuttavia circostanze identiche hanno effetti diversi e anche opposti sulla quantità delle masse di denaro circolanti nelle due funzioni o nelle due sfere, o sulle quantità della circolazione come sì esprimono gli inglesi in gergo bancario. E questo dà nuovo slancio all’assurda distinzione di Tooke fra circolazione e capitale. Ma il fatto che questi signori della currency theory confondano due cose così diverse non è motivo sufficiente per presentarle come distinzioni concettuali.

In periodi di prosperità e di grande espansione, quando il processo di riproduzione è rapido ed energico, gli operai sono occupati in pieno. Per la maggior parte si verifica anche un aumento del salario e la diminuzione al di sotto del livello medio che si produce negli altri periodi del ciclo commerciale in certo qual modo si trova compensata. Al tempo stesso aumentano i redditi dei capitalisti in modo notevole, e aumenta il consumo in generale. Anche i prezzi delle merci salgono con regolarità, almeno in diverse branche fondamentali. In conseguenza di ciò si accresce la quantità del denaro in circolazione, almeno entro certi limiti, in quanto la maggiore velocità di circolazione pone a sua volta dei limiti all’accrescimento della massa del mezzo circolante. Poiché la parte del reddito sociale, che è costituita dal salario, è originariamente anticipata dai capitalisti industriali sotto forma di capitale variabile e sempre in forma monetaria, essa richiede in periodi di prosperità una maggiore quantità di denaro per la sua circolazione. Ma noi non dobbiamo mettere in conto questo denaro due volte: una volta come denaro necessario per la circolazione del capitale variabile e una seconda volta come denaro necessario per la circolazione del reddito degli operai. Infatti il denaro pagato ai lavoratori come salario viene speso nel piccolo commercio e rifluisce quindi all’incirca ogni settimana alle banche, sotto forma di deposito dei piccoli commercianti, dopo aver servito in cicli minori allo svolgimento di affari intermedi di ogni tipo. In periodi di prosperità il riflusso del denaro avviene senza difficoltà per i capitalisti industriali e perciò il loro bisogno di prestiti mone tari non si accresce per il fatto che essi devono pagare più salario o che essi hanno bisogno di più denaro per la circolazione del loro capitale variabile.

Il risultato generale è che in periodi di prosperità, cresce decisamente la massa del mezzo di circolazione che serve alla spesa del reddito.

Per quanto riguarda la circolazione che serve al trasferimento del capitale ed è necessaria quindi soltanto tra i capitalisti stessi, questo periodo di prosperità è ugualmente il periodo in cui il credito è più elastico e più facile. La velocità di circolazione tra capitalista e capitalista è regolata direttamente dal credito e la massa del mezzo di circolazione necessaria per saldare i conti e anche per gli acquisti in contanti diminuisce quindi relativamente. Anche se essa aumenta in senso assoluto, in tutti i casi diminuisce relativamente in rapporto all’espansione del processo di riproduzione. Da un lato masse maggiori di pagamenti vengono liquidate senza l’intervento del denaro; d’altro lato, data la grande velocità del processo, si ha un più rapido movimento della medesima quantità di denaro, funzionante come mezzo di acquisto e di pagamento. La medesima massa di denaro assicura il riflusso di una massa più considerevole di capitale individuale.

Insomma, durante tali periodi, la circolazione monetaria si presenta piena (full), quantunque la parte II (trasferimento di capitale) si contragga almeno relativamente, mentre la parte I (spesa del reddito) si accresce assolutamente.

Come si è visto nella prima sezione del Libro II, a proposito del processo di riproduzione, i riflussi esprimono la ri-trasformazione del capitale-merce in denaro, D — M — D’.

Il credito rende il riflusso in forma monetaria indipendente dal momento del riflusso effettivo, sia per il capitalista industriale, sia per il commerciante. Ciascuno dei due vende a credito; la sua merce è dunque alienata prima che si ritrasformi per lui in denaro, prima quindi di rifluire a lui come denaro. D’altro lato egli acquista a credito, e quindi il valore della sua merce si è ritrasformato per lui sia in capitale produttivo, sia in capitale-merce, già prima che questo valore sia stato realmente convertito in denaro, prima quindi che il termine di pagamento delle merci sia scaduto e il prezzo di queste sia stato pagato. In tali periodi di prosperità il riflusso avviene facilmente e senza ostacoli. Il piccolo commerciante paga con sicurezza il commerciante all’ingrosso, questi il fabbricante e quest’ultimo l’importatore di materie prime, ecc. Questi riflussi rapidi e sicuri si mantengono apparentemente per un certo tempo dopo che la prosperità è scomparsa, in virtù del credito che continua a funzionare, poiché i riflussi di credito sostituiscono quelli reali. Le banche cominciano ad avvistare il pericolo non appena i loro clienti rimettono loro più cambiali che denaro. Vedi sopra la deposizione del direttore della Banca di Liverpool.

Occorre ripetere qui ciò che ho già detto una volta: «Durante i periodi in cui il credito domina, la velocità della circolazione monetaria aumenta più rapidamente del prezzo delle merci, invece quando il credito si contrae i prezzi delle merci diminuiscono più lentamente di quanto aumenti la velocità della circolazione» (Zur Kritik der politischen Oekonomie, Berlino, 1859, pp. 83, 84).

Durante i periodi di crisi si verifica il contrario. La circolazione n. I si contrae, i prezzi diminuiscono, e cosi pure i salari: il numero degli operai occupati diminuisce, la massa delle transazioni si riduce. Al contrario nella circolazione n. II con il contrarsi del credito cresce il bisogno di prestiti monetari, argomento questo che tratteremo ora più da vicino.

È fuor di dubbio che con la contrazione del credito, che coincide con il ristagno del processo di riproduzione, diminuisce la massa di circolazione richiesta per il n. I, spesa del reddito, mentre cresce quella per il n. II, trasferimento di capitale. Ma conviene esaminare fino a qual punto questa affermazione concordi con quella formulata da Fullarton e da altri: « Una richiesta di capitale a prestito e una richiesta di mezzi di circolazione supplementari sono cose completamente diverse e non avvengono spesso simultaneamente»[1].

È innanzitutto-evidente che nel primo dei due casi sopra menzionati, ossia in periodo di prosperità, quando la massa dei mezzi di circolazione necessariamente cresce, si accresce anche la domanda dei mezzi stessi. Ma non è meno vero che, se un fabbricante ritira dal suo deposito presso una banca una quantità maggiore di oro o di banconote, perché deve spendere il suo capitale sotto forma di denaro, egli non accresce con ciò la sua domanda di capitale, ma solamente la sua domanda di questa forma particolare secondo la quale egli spende il suo capitale. La sua domanda si riferisce soltanto alla forma tecnica nella quale egli mette in circolazione il suo capitale. Così come, a seconda del diverso grado di sviluppo del sistema creditizio, per esempio, il medesimo capitale variabile, la medesima quantità di salari, richiedono in un paese una massa maggiore di mezzi di circolazione che in un altro; in Inghilterra, una massa maggiore che in Scozia, in Germania una massa maggiore che in Inghilterra. Allo stesso modo, in agricoltura, il medesimo capitale attivo nel processo di riproduzione esige secondo le diverse stagioni quantità diverse di denaro per l’esercizio della sua funzione.

La contrapposizione, nei termini nei quali viene posta da Fullarton, non è però esatta. Non è affatto, come egli dice, la forte domanda di prestiti ciò che distingue il periodo dei ristagno da quello della prosperità, ma la facilità con cui questa domanda è accolta nel periodo di prosperità, e la difficoltà con cui essa viene soddisfatta quando è sopravvenuto il ristagno. È precisamente lo sviluppo straordinario del sistema creditizio durante il periodo di prosperità, e in conseguenza l’enorme accrescimento della domanda di capitale in prestito, e la prontezza con cui in tali periodi l’offerta risponde alla domanda, che provocano la crisi del credito durante il periodo di ristagno. Non è dunque la differenza nella grandezza della domanda di prestiti ciò che caratterizza i due periodi.

Come noi abbiamo già messo in rilievo precedentemente, questi due periodi si distinguono in primo luogo per il fatto che nel periodo di prosperità predomina la domanda di mezzi di circolazione tra consumatori e commercianti, e che nel periodo del contraccolpo predomina la domanda di mezzi di circolazione tra capitalisti. Nel periodo di ristagno degli affari la prima diminuisce, e la seconda aumenta.

Ciò che colpisce Fullarton e altri come fatto di importanza decisiva è il fenomeno che in quei periodi in cui le securities — pegni e cambiali — in possesso della Banca d’Inghilterra aumentano, la circolazione di banconote di quest’ultima diminuisce, e viceversa. Ora, la somma delle securities esprime il volume dei prestiti monetari, delle cambiali scontate e degli anticipi su titoli negoziabili. Così Fullarton afferma nel passo sopra citato, a nota (1): i titoli (securities) in possesso della Banca d’Inghilterra variano generalmente in senso inverso alla sua circolazione di banconote e ciò conferma il principio ben noto alle banche private, che nessuna banca può forzare la sua emissione di banconote al di là di un certo limite determinato dal bisogno del suo pubblico; se essa vuole fare degli anticipi al di là di questo limite allora essa deve prenderli dal suo capitale, o rendendo liquidi dei titoli, o devolvendo a tal fine delle entrate monetarie che essa avrebbe altrimenti convertite in titoli.

Questo passo ci fa vedere al tempo stesso ciò che Fullarton intende per capitale. Che cosa è chiamato qui capitale? Il fatto che la Banca non può continuare a fare degli anticipi con le proprie banconote o con promesse di pagamento che naturalmente non le costano nulla. Ma con che cosa allora essa farà questi anticipi? Col ricavato della vendita delle securities che essa ha in riserva, ossia dei titoli di Stato, delle azioni, e dei titoli fruttiferi. Ma in cambio di che cosa essa vende questi titoli? In cambio di denaro, oro e banconote, in quanto queste sono mezzi di pagamento aventi corso legale, come quelle della Banca d’Inghilterra. Ciò quindi che essa anticipa è in ogni caso denaro. Ma questo denaro costituisce ora una parte del suo capitale. Ciò è evidente quando essa anticipa dell’oro. Se essa anticipa banconote queste rappresentano capitale, poiché per ottenerle essa ha dovuto vendere titoli fruttiferi. Nelle banche private le banconote che vi affluissero con la vendita di titoli possono essere nel complesso soltanto banconote della Banca d’Inghilterra o di propria emissione, poiché altre difficilmente si accetterebbero in pagamento di titoli. Ma se si tratta della Banca d’Inghilterra stessa, allora le sue banconote che le vengono restituite le costano del capitale, cioè dei titoli fruttiferi. Inoltre essa ritira con ciò le proprie banconote dalla circolazione. Se essa rimette in seguito queste banconote in circolazione oppure emette, in loro vece, nuove banconote per lo stesso importo, ora queste banconote rappresentano dunque capitale. E precisamente esse rappresentano capitale, sia che vengano usate per anticipi a capitalisti sia che, più tardi, diminuendo la domanda di tali prestiti monetari, vengano usate per nuovi investimenti in titoli. In tutti questi casi la parola capitale è usata qui soltanto nel senso bancario e significa che il banchiere è costretto a prestare al di là del suo semplice credito.

È noto che la Banca d’Inghilterra fa tutti i suoi anticipi con proprie banconote. Ora se, ciò nonostante, di regola la circolazione delle banconote della Banca diminuisce nella proporzione in cui aumentano le cambiali scontate e le garanzie che essa possiede — dunque gli anticipi da lei fatti —, che cosa avviene delle banconote messe in circolazione, come rifluiscono alla Banca?

In primo luogo, quando la domanda di prestiti monetari nasce da una bilancia sfavorevole dei pagamenti nazionale e provoca quindi un deflusso di oro, la cosa è molto semplice. Le cambiali vengono scontate in banconote. Le banconote vengono cambiate alla Banca stessa, nell’issue departinent, contro oro e l’oro viene esportato. È assolutamente come se la banca pagasse direttamente in oro, senza la mediazione delle banconote, al momento stesso in cui sconta le. cambiali. Un aumento di domanda di questo tipo — che in alcuni casi può spingersi dai 7 ai 10 milioni di € — non aggiunge neppure una banconota da 5 € alla circolazione interna del paese. Se ora si dice che la Banca in questo caso anticipa capitale e non mezzi di circolazione, questa frase ha un duplice senso. Innanzitutto che la Banca non anticipa credito, ma valore reale, una parte del capitale proprio o depositato presso di lei. In secondo luogo che essa non anticipa denaro per la circolazione interna, ma per la circolazione internazionale, vale a dire moneta mondiale; e a questo fine il denaro deve sempre esistere nella sua forma di tesoro, nella sua consistenza metallica; nella forma in cui esso non solo è forma del valore, ma esso stesso è uguale al valore di cui è la forma monetaria. Quantunque questo oro rappresenti, tanto per la Banca che per coloro che lo esportano, capitale, capitale bancario o capitale commerciale, esso non è richiesto come capitale, ma nella forma assoluta di capitale monetario. Questa domanda si produce proprio al momento in cui i mercati esteri sono oberati di capitale-merce inglese non realizzabile. Ciò che quindi si richiede non è capitale in quanto capitale, ma capitale in quanto denaro, nella forma in cui il denaro è merce universale del mercato mondiale; e questa forma è la sua forma originaria di metallo prezioso. I deflussi di oro non sono quindi, come dicono Fullarton, Tooke ed altri, a mere question of capital (una pura questione di capitale). Bensì a question of money (una questione di denaro), anche se in una funzione specifica. Il fatto che non si tratti di una questione di circolazione interna, come pretendono quelli della teoria del currency, non dimostra, come credono Fullarton e altri, che si tratti di una semplice question of capital. E’ a question of money, nella forma in cui il denaro è mezzo di pagamento internazionale. «Che il capitale» (il prezzo di acquisto di milioni di misure di grano all’estero dopo un cattivo raccolto all’interno) «sia trasferito in merci o in denaro contante, è un fatto che in nessun modo tocca la natura (nature) dell’affare». (FULLARTON, op. cit., p. 131). Ma tocca molto da vicino la questione se avviene o no un deflusso d’oro. Il capitale è trasferito sotto forma di metallo prezioso, poiché non può essere trasferito affatto, o non senza le più gravi perdite, sotto forma di merci. Il terrore che il sistema bancario moderno ha per il deflusso dell’oro supera tutto ciò che il sistema monetario, per il quale il metallo prezioso rappresenta la sola vera ricchezza, abbia mai sognato. Ascoltiamo, per esempio, il seguente interrogatorio del governatore della Banca d’Inghilterra Morris, davanti alla Commissione parlamentare sulla crisi del 1847-48:

«3846. (Domanda:) Quando io parlo del deprezzamento delle scorte (stocks) e del capitale fisso, non vi risulta che tutto il capitale investito negli stocks e in prodotti di ogni tipo sia stato deprezzato nella stessa misura; che cotone, seta e lana grezzi sono stati spediti sul continente agli stessi prezzi irrisori, e che zucchero, caffè e tè sono stati venduti con grandi sacrifici, come nelle vendite forzose?  Era inevitabile che il paese dovesse addossarsi un sacrificio considerevole per compensare il deflusso di oro, che era avvenuto in conseguenza delle enormi importazioni di derrate alimentari»   «3848. Non è Lei del parere che sarebbe stato meglio intaccare gli 8 milioni di Lst. che giacciono nei sotterranei della Banca, invece di cercare di riavere l’oro con tali sacrifici? — No, io non sono di questo avviso» . Dunque l’oro è considerato qui come la sola vera ricchezza.

La scoperta di Tooke, citata da Fullarton, che «a parte una o due eccezioni, che possono essere spiegate in modo soddisfacente, ogni diminuzione sensibile del cambio seguita da un deflusso di oro, avvenuta durante l’ultimo mezzo secolo, ha sempre coinciso con il livello relativamente basso del mezzo di circolazione (of the circulating medium) e viceversa» (FULLARTON, p. 121) dimostra che questi deflussi di oro si producono generalmente dopo un periodo di agitazione e di speculazione « come segnale di un crollo già iniziato.., un indice di saturazione di mercati, di arresto della domanda estera dei nostri prodotti, di pagamenti ritardati e, come necessaria conseguenza di tutto ciò, di sfiducia nel commercio, di chiusura di fabbriche, di fame per gli operai e di una paralisi generale del l’industria e degli affari» (p. 129). Ciò è naturalmente al tempo stesso la migliore confutazione della tesi dei sostenitori del currency principle che a  full circulation drives out bullion and a low circulation attracts it  (Una circolazione intensa caccia l’oro, mentre una circolazione debole l’attira). Al contrario, quantunque la riserva aurea della Banca d’Inghilterra sia sempre considerevole nel periodo di prosperità, questo tesoro si costituisce sempre durante il periodo di stagnazione e di paralisi che segue la tempesta.

Dunque tutta la sapienza, per quanto concerne i deflussi di oro, si riduce a questo, che la .domanda dei mezzi internazionali di circolazione e di pagamento è diversa dalla domanda dei mezzi di circolazione e di pagamento per l’interno («The existence of a drain does not necessarly imply any diminution of the internal demand for circulation (L’esistenza di un deflusso (d’oro) non implica necessariamente una diminuzione della domanda di mezzi di circolazione all’interno)» come dice Fullarton, p. 112); e che l’esportazione dei metalli preziosi dal paese, la loro immissione nella circolazione internazionale, non è identica alla immissione di banconote o di monete nella circolazione interna. Del resto ho già dimostrato precedente mente che il movimento del tesoro, costituito come fondo di riserva per i pagamenti internazionali, non ha nulla a che vedere in sé e per sé con il movimento del denaro in quanto mezzo di circolazione. Senza dubbio una complicazione si crea per il fatto che le diverse funzioni del tesoro, quali io ho derivato dalla natura del denaro — la sua funzione come fondo di riserva per i mezzi di paga mento, pagamenti che vengono a scadenza all’interno; come fondo di riserva del mezzo di circolazione; infine come fondo di riserva della moneta mondiale — hanno per base un fondo di riserva unico; ciò ha per conseguenza che, in determinate circostanze, un deflusso di oro dalla Banca verso l’interno può coincidere con un deflusso verso l’estero.

Una ulteriore complicazione sopravviene in quei paesi in cui il sistema creditizio e la moneta di credito sono largamente sviluppati e si è arbitrariamente assegnato al tesoro l’ulteriore funzione di servire da fondo di garanzia per la convertibilità delle banconote. A tutto questo si aggiunge infine:

1) la concentrazione del fondo di riserva nazionale in una unica banca principale;

2) la riduzione al minimo possibile di questo fondo di riserva. Donde questa lagnanza di Fullarton (p. 143): «Non si può confrontare la perfetta tranquillità con la quale le variazioni del cambio (of the exchange) sono generalmente accolte nei paesi del continente, con lo stato di febbrile inquietudine e di panico che si impadronisce dell’Inghilterra ogni volta che il tesoro della Banca sembra avvicinarsi al punto di esaurimento, senza essere colpito dal grande vantaggio che una circolazione metallica presenta sotto questo rapporto».

Se noi facciamo astrazione dal deflusso di oro, come può allora una banca avente diritto d’emissione, quindi  la Banca d’Inghilterra, accrescere l’importo dei suoi prestiti monetari senza accrescere la sua emissione di banconote?

Tutte le banconote uscite dalle mura della banca, sia che esse circolino o che giacciano nelle casseforti dei privati, per quanto riguarda la banca si trovano in circolazione, non le appartengono più. Se la banca amplia le sue operazioni di sconto e gli anticipi su pegno, anticipi su securities, le banconote che essa emette a questo fine devono rifluirle, perché in caso contrario esse ingrandirebbero il volume della circolazione, il che non deve verificarsi. Questo riflusso può avvenire in due modi.

Primo: La banca rimette ad A banconote in cambio di titoli; A paga con esse delle cambiali in scadenza a B e B deposita a sua volta le banconote alla banca. La circolazione di queste banconote è con ciò giunta a termine, ma il prestito rimane. (The loan remains and the currency, if not wanted, finds its way back to the issue , il prestito rimane e il mezzo di circolazione, se non è richiesto, ritorna alla emissione, Fullarton p. 97). Le banconote che la banca ha anticipato ad A le sono ritornate; ma essa è creditrice di A o del trassato della cambiale scontata da A, e debitrice verso B del valore espresso in questa banconota; B viene così a disporre di una corrispondente aliquota del capitale della banca.

Secondo: A paga B e B stesso o C, a cui egli ha rimesso le banconote in pagamento, impiega queste banconote per pagare direttamente o indirettamente delle cambiali in scadenza alla banca. In questo caso la banca è stata pagata con banconote proprie. La transazione è con ciò terminata (fino al rimborso di A alla banca).

Fino a qual punto ora l’anticipo che la banca dà ad A deve essere considerato come un anticipo di capitale o come un semplice anticipo di mezzi di pagamento?

(Ciò dipende dalla natura stessa dell’anticipo. E a questo proposito bisogna esaminare tre casi.

Primo caso. A riceve dalla banca l’importo dell’anticipo a titolo di credito personale, senza dare una garanzia di qualsiasi genere. In questo caso egli ha ricevuto in anticipo non solo mezzi di pagamento, ma anche incondizionatamente nuovo capitale, che egli può impiegare e valorizzare nella sua impresa come capitale addizionale fino al momento in cui lo dovrà restituire.

Secondo caso. A ha dato in pegno alla banca titoli, obbligazioni statali o azioni ed ha ricevuto come anticipo, in denaro contante, poniamo fino ai due terzi del loro valore calcolato in base alla quotazione del giorno. In questo caso egli ha ricevuto i mezzi di pagamento di cui aveva bisogno, ma non un capitale addizionale, poiché egli ha rimesso alla banca un valore-capitale maggiore di quel che ha ricevuto. Ma questo valore-capitale maggiore non era utilizzabile per i suoi bisogni immediati — mezzi di pagamento —, poiché si trovava investito sotto una forma determinata e produceva degli interessi; dall’altro lato A aveva i suoi motivi per non trasformarlo direttamente mediante vendita, in mezzi di pagamento. I suoi titoli dovevano, fra l’altro, avere la funzione di capitale di riserva ed è questa la funzione che egli ha fatto loro adempiere. Tra A e la banca vi è stato quindi un reciproco scambio temporaneo di capitale, cosicché A non ha ricevuto un capitale addizionale (al contrario), ma i mezzi di pagamento di cui aveva bisogno. Per quanto riguarda la banca, invece, l’operazione ha rappresentato un immobilizzo temporaneo del capitale monetario nella forma di un prestito, una mutazione di capitale monetario da una forma in un’altra e tale mutazione costituisce appunto la funzione essenziale dell’attività bancaria.

Terzo caso. A ha scontato una cambiale alla banca ed ha ricevuto in cambio il relativo importo in denaro contante, al netto dello sconto. In questo caso egli ha venduto alla banca una forma non liquida del capitale monetario contro l’equivalente di valore in forma liquida; una cambiale ancora in corso contro denaro contante. La cambiale è ora di proprietà della banca. Poco importa che in mancanza di pagamento l’ultimo girante A debba rispondere del relativo ammontare verso la banca; questa responsabilità egli la condivide con gli altri giranti e con l’emittente verso i quali egli ha a suo tempo facoltà di rivalsa. In questo caso non è quindi questione di anticipo, ma si tratta di comunissima compravendita. A non avrà nulla da restituire alla banca, essendo questa coperta dall’incasso della cambiale il giorno della scadenza. Anche in questo caso vi è stato quindi un trasferimento reciproco di capitale fra A e la banca, precisamente come accade nella compravendita di qualsiasi altra merce, ed è per questa ragione che A non ha ricevuto un capitale addizionale. Ciò di cui egli aveva bisogno e che ha ricevuto, erano mezzi di pagamento, e la banca glieli ha procurati mutando una forma del suo capitale monetario — la cambiale — in un’altra, il denaro.

Solo nel primo caso, quindi, si può parlare di effettivo anticipo di capitale. Nel secondo e terzo caso tutt’al più nel senso in cui, in qualsiasi investimento di capitale, si dice che « si anticipa del capitale». In questo senso la banca anticipa ad A capitale monetario; ma, per A esso non rappresenta capitale monetario, se non nel senso che esso costituisce una parte del suo capitale in generale. Ed egli lo richiede e lo utilizza non specificamente come capitale ma specificamente come mezzo di pagamento. In caso contrario anche qualsiasi comune vendita di merci, con cui ci si procura mezzi di pagamento, dovrebbe essere considerata come un anticipo di capitale ricevuto dal venditore. F.E.).

Per la banca privata con diritto di emissione, la differenza consiste nel fatto che, se le banconote che essa emette non rimangono nella circolazione locale e non le rifluiscono sotto forma di depositi o come pagamento di cambiali venute a scadenza, tali banconote finiscono nelle mani di persone alle quali la banca è costretta a versare, in cambio di quelle banconote, oro o biglietti della Banca d’Inghilterra. In questo caso la banca privata, quando anticipa suoi biglietti, in realtà è come se anticipasse biglietti della Banca d’Inghilterra, o, ciò che per essa è lo stesso, oro, vale a dire una parte del suo capi tale bancario. Lo stesso si verifica quando la Banca d’Inghilterra stessa o una qualsiasi altra banca, la cui emissione non può superare un massimo stabilito dalla legge, deve vendere titoli per ritirare dalla circolazione una parte dei propri biglietti che essa poi dà in via di anticipi; qui i suoi biglietti rappresentano una parte del suo capitale bancario reso liquido.

Anche se la circolazione fosse puramente metallica si potrebbe avere contemporaneamente:

1) un deflusso di oro (si tratta qui evidentemente di un deflusso almeno in parte verso l’estero F.E.) che svuota le casseforti;

2) poiché verrebbe richiesto alla banca l’oro in sostanza solo per il saldo di pagamenti (liquidazione di transazioni avvenute), il suo anticipo su titoli potrebbe accrescersi considerevolmente, ma le farebbe ritorno sotto forma di depositi o come pagamento di cambiali venute a scadenza; cosicché da un lato con l’accrescimento dei titoli in portafoglio la banca vedrebbe diminuire il suo tesoro e dall’altro lato essa deterrebbe, come debitrice dei suoi depositanti, la stessa somma di cui essa era precedentemente proprietaria; infine la massa complessiva del medio circolante risulterebbe diminuita.

Noi abbiamo fino ad ora presupposto che gli anticipi siano fatti in banconote e che essi quindi comportino un aumento almeno temporaneo, anche se del tutto effimero, dell’emissione. Ma non è necessariamente così. Anziché dare ad A delle banconote, la banca può semplicemente aprirgli un credito in conto corrente, grazie al quale A, suo debitore, diventa un depositante fittizio. Egli pagherà allora i suoi creditori in assegni sulla banca ed il beneficiano di questi assegni li darà in pagamento al suo banchiere che li scambia nel Clearing House contro assegni a suo carico. In questo caso le banconote non intervengono e tutta la transazione è limitata a ciò; si salda alla banca un suo credito con un assegno sulla banca stessa, mentre il suo effettivo compenso consiste nel credito verso A. In questo caso essa ha anticipato una parte del suo capitale bancario, ossia i propri crediti.

In quanto questa domanda di prestiti monetari è una nuova domanda di capitale, essa lo è solo nei confronti del capitale monetario; di capitale dal punto di vista del banchiere, vale a dire una domanda d’oro — se vi è deflusso dell’oro verso l’estero — o di biglietti della Banca nazionale, che rappresentano capitale per le banche private poiché esse non possono procurarseli che acquistandoli mediante equivalenti. O, infine, può trattarsi di titoli fruttiferi, titoli di Stato, azioni, ecc, che devono essere venduti perché la banca possa procurarsi oro o banconote. Ma quando questi valori sono titoli di Stato, essi sono un capitale unicamente per colui che li ha acquistati, per il quale quindi rappresentano il suo prezzo di acquisto, il suo capitale in essi investito, per se stessi essi non sono capitale ma semplici titoli di credito; se sono ipoteche, essi sono semplici assegni su futura rendita fondiaria, e se azioni di altro tipo, sono semplici titoli di proprietà che danno diritto a percepire una parte del plusvalore futuro. Tutti questi titoli non sono dunque capitale vero e proprio, né costituiscono una parte integrante del capitale e non sono neppure in se stessi valore. Può accadere pure che, per mezzo di simili transazioni, denaro che appartiene alla banca sia trasformato in deposito, di modo che la banca, invece di esserne proprietaria, ne diviene debitrice e lo mantiene sotto un altro titolo di proprietà. Per quanto ciò possa essere importante per la banca, non cambia tuttavia la massa dei capitale che esiste nel paese e del capitale monetario stesso. Il capitale dunque figura qui soltanto come capitale monetario, e se non è presente sotto forma vera e propria di denaro, esiste come semplice titolo di capitale. E ciò è molto importante perché si confonde la rarità e la domanda urgente di capitale bancario con una riduzione del capitale reale, che in simile circostanza esiste al contrario in grande abbondanza sotto forma di mezzi di produzione e di prodotti, al punto di soffocare i mercati.

Si comprende dunque molto facilmente come la massa dei titoli che servono di copertura alla banca possa aumentare, e quindi possa essere soddisfatta dalla banca la domanda crescente di prestiti monetari, mentre la massa complessiva dei mezzi di circolazione resta costante o diminuisce. E precisamente questa massa complessiva in tali periodi di crisi monetaria è tenuta entro certi limiti in due modi:

1) col deflusso dell’oro;

2) con la domanda di denaro come semplice mezzo di pagamento, quando le banconote date via subito rifluiscono o quando la transazione si svolge senza l’uscita di banco note mediante una semplice apertura di credito; quando cioè i pagamenti la cui effettuazione era l’unico scopo della transazione si effettuano mediante una semplice operazione di credito.

È caratteristico del denaro che, quando esso ha soltanto la funzione di saldare i paga menti (e nei periodi di crisi si prendono anticipi, per pagare, e non per comperare; per concludere affari passati e non per cominciarne nuovi), la sua circolazione ha breve durata, anche là dove questi pagamenti non avvengono soltanto mediante una semplice operazione di credito, senza alcun intervento di denaro; che quindi quando vi è una grande richiesta di prestiti monetari, una enorme quantità di queste operazioni può essere compiuta senza ampliare la circolazione. Ma il semplice fatto che la circolazione della Banca d’Inghilterra resti immutata o perfino diminuisca nello stesso tempo in cui essa concede larghi prestiti monetari, non dimostra affatto prima facie, come pretendono Fullarton, Tooke e altri (in conseguenza del loro errore per cui i prestiti monetari si identificano con un’accettazione di capital on loan, di capitale addizionale) che la circolazione del denaro (delle banconote) come mezzo di pagamento, non aumenti e non si estenda. Poiché la circolazione delle banconote funzionanti come mezzo di acquisto diminuisce nei periodi di ristagno degli affari, quando sono necessari tali forti prestiti, può essere che la loro circolazione come mezzo di pagamento aumenti, mentre la somma complessiva della circolazione, la somma delle banconote che funzionano da mezzo di acquisto e di pagamento, resta ciò nono stante immutata o addirittura diminuisce. La circolazione delle banconote che servono da mezzo di pagamento e che rifluiscono immediatamente alla banca che le ha date via, agli occhi di quegli economisti non è affatto circolazione.

Se la circolazione come mezzo di pagamento aumentasse più rapidamente di quel che diminuisce come mezzo di acquisto, la circolazione complessiva aumenterebbe, anche se il denaro che funziona come mezzo di acquisto fosse diminuito notevolmente di quantità. E questo fatto si presenta effettivamente in certi momenti della crisi, cioè quando avviene un completo crollo del credito, quando non soltanto le merci e i titoli sono invendibili, ma anche le cambiali non sono più scontabili e non sono accettati che i pagamenti in con tanti, o come dice il negoziante, «a pronta cassa». Poiché Fullarton e altri non comprendono che la circolazione delle banconote come mezzo di pagamento è la caratteristica ditali periodi di crisi mone tane, essi considerano questo fenomeno come casuale: «Per quanto concerne d’altronde quegli esempi di aspra contesa per il possesso di banconote, che caratterizzano i momenti di panico e che provocano talvolta, come alla fine del 1825, una estensione improvvisa sebbene temporanea dell’emissione di banconote, anche mentre il deflusso dell’oro continua ancora, io penso che essi non debbano essere considerati come fenomeni che accompagnano naturalmente. e necessariamente un basso corso dei cambi; in questi casi non vi è domanda di circolazione» (dovrebbe dirsi: circolazione come mezzo di acquisto), «ma domanda di tesaurizzazione, ed è una domanda da parte di banchieri e di capitalisti allarmati, domanda che si produce all’ultimo atto della crisi» (quindi [ richiesta di banconote] come riserva per mezzi di pagamento) «dopo un lungo periodo di deflusso dell’oro, e che preannuncia la sua fine» (FULLARTON, p. 130).

Osservando il denaro come mezzo di pagamento (Libro I, cap. III, 3, b) si è spiegato come, nel momento in cui si verifica una violenta interruzione della catena dei pagamenti, il denaro passi, nei confronti delle merci, da una forma puramente ideale in una forma materiale e al tempo stesso assoluta del valore. Alcuni esempi di ciò sono stati dati alle note 100 e 101 dello stesso passo. Questa interruzione è in parte effetto e in parte causa della scossa che subisce il credito e delle circostanze che l’accompagnano; la saturazione dei mercati, il deprezzamento delle merci, l’interruzione della produzione, ecc.

Ma è chiaro che Fullarton trasforma la distinzione fra denaro come mezzo di acquisto e denaro come mezzo di pagamento nella falsa distinzione fra currency e capitale. Alla base di questo c’è di nuovo la concezione ristretta che i banchieri hanno della circolazione.

Si potrebbe ancora porre la questione: che cosa manca in questi periodi di crisi, capitale o denaro nella sua funzione di mezzo di pagamento? Ciò, come è noto, è controverso.

Innanzitutto quando la crisi si manifesta nel deflusso dell’oro, è evidente che ciò che è richiesto è il mezzo internazionale di pagamento. Ma denaro nella sua funzione di mezzo internazionale di pagamento è oro nella sua consistenza metallica, una sostanza che ha del valore in sé, massa di valore. È al tempo stesso capitale, ma non capitale come capitale-merce, ma come capitale monetario, capitale non nella forma di merce, ma nella forma di denaro (e precisamente di denaro nel senso più alto della parola, come merce generale del mercato mondiale). Non vi è qui contrasto fra la domanda di denaro come mezzo di pagamento e la domanda di capitale. Il contrasto è fra il capitale nella sua forma di denaro ed il capitale nella sua forma di merce; è la forma in cui è richiesto e in cui soltanto può operare, è la sua forma di denaro.

A parte questa domanda di oro (o di argento) non si può dire che in tali periodi di crisi vi sia una qualsiasi mancanza di capitale. Questo caso si potrebbe verificare in circostanze straordinarie, come carestia di cereali, mancanza di cotone ecc.: ma tali circostanze non accompagnano necessariamente, né regolarmente tali periodi: e non si può dedurre a priori che vi sia una siffatta mancanza di capitale dal fatto che vi è una grande richiesta di prestiti monetari. I mercati sono saturi, inondati di capitale-merce. Non è quindi in nessun caso la mancanza di capitale-merce ciò che provoca la crisi. Ritorneremo più tardi su questo argomento.

NOTE


[1] «A demand for capital on loan and a demand for additional circulation are quite distinct things, and not often found associated (FULLARTON, On the Regulation of Currencies, 2° ediz., Londra 1845, p. 82. Intestazione del cap. 5).»  È infatti un grande errore ritenere che la domanda di credito (pecuniary accomodation) (cioè di prestito di capitale) sia identica alla domanda di mezzi di circolazione supplementari, e anche che esse siano frequentemente associate. Ogni domanda ha origine in circostanze che la determinano particolarmente e che sono molto diverse fra loro. Quando tutto indica prosperità, quando i salari sono elevati, i prezzi si accrescono e le fabbriche lavorano in pieno, allora si ha di solito bisogno di un apporto supplementare di mezzi di circolazione (currency), al fine di compiere le operazioni supplementari che sono indivisibili dalla necessità di ingrandire e aumentare i pagamenti; ma è principalmente in uno stadio più avanzato del ciclo commerciale, quando cominciano a presentarsi delle difficoltà, quando i mercati sono saturi e i riflussi ritardano, è allora che l’interesse aumenta e che si preme sulla Banca perché anticipi capitale. È vero che la Banca non usa anticipare del capitale con nessun altro mezzo che non siano le sue banconote (promissory notes) e che il rifiuto di emettere banconote (to refuse the notes) significa rifiuto di aprire il credito (to refuse accomodation). Ma, una volta accordata l’apertura di credito, tutto si adatta in conformità alle esigenze del mercato; il prestito rimane e il mezzo di circolazione, quando non è usato, ritorna a chi lo ha emesso. Così un esame anche superficiale dei resoconti parlamentari convincerà tutti che la quantità dei titoli in possesso della Banca d’Inghilterra si muove più spesso in senso opposto alla quantità delle sue banconote in circolazione che in concordanza con essa; di modo che l’esempio di questo grande istituto non contraddice al principio al quale i banchieri di provincia danno tanta importanza, secondo cui nessuna banca può ampliare la sua circolazione quando questa è già adeguata agli scopi ai quali risponde generalmente una circolazione di banconote, ma che, al di là di questo limite, ogni accrescimento dei suoi anticipi deve essere fatto a spese del suo capitale e assicurato con la vendita di una parte dei titoli che essa tiene in riserva o con la rinuncia a nuovi investimenti in tali titoli. La tabella compilata dai resoconti parlamentari per il periodo che intercorre fra il 1833 ed il 1840, alla quale io mi sono riferito in una pagina precedente, fornisce numerosi esempi che confermano questa verità: ma due di essi sono così caratteristici, che io li reputo senz’altro sufficienti a dimostrare quanto sto affermando. Il 3 gennaio 1837, quando la Banca doveva fare appello a tutte le sue risorse per mantenere il credito e far fronte alle difficoltà del mercato monetario, noi troviamo che i suoi anticipi per operazioni di prestito e di sconto avevano raggiunto la enorme somma di 17.022.000 Lst., una cifra che non era mai stata raggiunta dopo la guerra [1793-1815] e che era quasi uguale all’intero ammontare delle banconote emesse, che nel frattempo si manteneva stabilmente a un livello basso, di 17.076.000 Lst. D’altro lato il 4 giugno 1833, noi abbiamo una circolazione di 18.892.000 Lst. mentre la Banca registra titoli privati disponibili in suo possesso per una somma non superiore a 972.000 Lst., quasi il livello più basso, se non il più basso, dell’ultimo mezzo secolo! (FULLARTON. op. cit., p. 97, 98). Che una domanda for pecuniary accomodation per nessun motivo debba corrispondere ad una domanda for gold [di oro] (che Wilson, Tooke e altri chiamano una domanda di capitale), risulta chiaramente dalla seguente dichiarazione del sig. Weguelin, governatore della Banca d’Inghilterra: « Lo sconto delle cambiali fino a questo ammontare (un milione al giorno per tre giorni successivi) non diminuirebbe la riserva (di banconote) se il pubblico non richiedesse un più forte ammontare di circolazione attiva. Le banconote emesse per lo sconto delle cambiali rifluirebbero per mezzo delle banche e dei depositi. Se queste transazioni non hanno per scopo l’esportazione dell’oro, o se il paese non è in preda a un panico di tal natura che il pubblico conserva le sue banconote invece di presentarle alle banche, la riserva non sarebbe modificata da transazioni così considerevoli»  « La Banca può scontare giornalmente un milione e mezzo, e ciò avviene continuamente, senza che la sua riserva ne soffra menomamente. Le banconote rientrano come depositi e la sola differenza che si verifica è il semplice trasferimento da un conto all’altro»  (Report on Bank Acts, 1857. Deposizione n. 241, 500 ). Le banconote servono dunque in questo caso soltanto come mezzo di trasferimento di crediti.

 

AVVERTENZA PER IL LETTORE

Il testo del III libro del Capitale che viene qui riportato NON È UNA DELLE TRADUZIONI INTEGRALI DEL TESTO ORIGINALE che sono disponibili: esso infatti è una rivisitazione delle traduzioni esistenti (in italiano ed in francese) a cui sono state apportate le seguenti modifiche:

1 – non sono state riportate le note che Marx ed Engels richiamano nel testo (fatte salve alcune eccezioni);

2 – sono state introdotte delle modifiche per quanto riguarda gli esempi numerici in cui, per facilitare la lettura;

a – sono state cambiate le unità di misura e le grandezze;

b – diversi dati richiamati nella forma di testo sono stati trasformati in tabelle;

c – in alcuni esempi numerici le cifre decimali sono state limitate a due e nel caso di numeri periodici, ad esempio 1/3 o 2/3, la cifra periodica è stata indicata con un apice (‘).

Ci rendiamo conto che leggere un testo del Capitale in cui Marx formula esempi in Euro (€) invece che in Lire Sterline (Lst) o scellini potrebbe far sorridere e far pensare ad uno scherzo o ad una manipolazione che ha  travisato il pensiero dell’Autore, avvertiamo invece il lettore che il testo è assolutamente fedele al pensiero originale  e che ci siamo permessi di introdurre alcune “varianti” per consentire a coloro che non hanno dimestichezza con le unità di misura e monetarie inglesi di non bloccarsi di fronte a questa difficoltà e di facilitarne così la lettura o lo studio.

In altre parti si sono invece mantenute le unità di misura e monetarie inglesi originali perchè la lettura non creava problemi di comprensione o per ragioni di fedeltà storica.

Ci facciamo altresì carico dell’osservazione che Engels ha formulato nelle “considerazioni supplementari” poste all’inizio del III Libro, laddove, di fronte alle molteplici interpretazioni del testo che vennero fatte dopo la prima edizione, sostiene: “Nella presente edizione ho cercato innanzitutto di comporre un testo il più possibile autentico, di presentare, nel limite del possibile, i nuovi risultati acquisiti da Marx, usando i termini stessi di Marx, intervenendo unicamente quando era assolutamente necessario, evitando che, anche in quest’ultimo caso, il lettore potesse avere dei dubbi su chi gli parla. Questo sistema è stato criticato; si è pensato che io avrei dovuto trasformare il materiale a mia disposizione in un libro sistematicamente elaborato, en faire un livre, come dicono i francesi, in altre parole sacrificare l’autenticità del testo alla comodità del lettore. Ma non è in questo senso che io avevo interpretato il mio compito. Per una simile rielaborazione mi mancava qualsiasi diritto; un uomo come Marx può pretendere di essere ascoltato per se stesso, di tramandare alla posterità le sue scoperte scientifiche nella piena integrità della sua propria esposizione. Inoltre non avevo nessun desiderio di farlo: il manomettere in questo modo perchè dovevo considerare ciò una manomissione l’eredità di un uomo di statura così superiore, mi sarebbe sembrato una mancanza di lealtà. In terzo luogo sarebbe stato completamente inutile. Per la gente che non può o non vuole leggere, che già per il primo Libro si è data maggior pena a interpretarlo male di quanto non fosse necessario a interpretarlo bene — per questa gente è perfettamente inutile sobbarcarsi a delle fatiche”.

Marx ed Engels non ce ne vogliano, ma posti di fronte alle molteplici “fughe” dallo studio da parte di persone che non possedevano una cultura accademica, fughe che venivano imputate alla difficoltà presentate dal testo, abbiamo deciso di fare uno “strappo” alle osservazioni di Engels, intervenendo in alcune parti  avendo altresì cura di toccare il testo il meno possibile. Nel fare questo “strappo” eravamo tuttavia confortati dal fatto che, a differenza  della situazione in cui Engels si trovava, oggi chi vuole accedere al testo “originale”, dispone di diverse edizioni in varie lingue.

Coloro che volessero accostarsi al testo originale in lingua italiana si consigliano le seguenti edizioni:

  • Il capitale, Le Idee, Editori Riuniti, traduzione di Maria Luisa Boggeri;
  • Il capitale, Edizione Einaudi, traduzione di Maria Luisa Boggeri;
  • Il capitale, Edizione integrale - I mammut – Newton Compton, a cura di Eugenio Sbardella.

Chi volesse accedere ad edizioni del Capitale e di altri testi di Marx in lingue estere, si propone di consultare il sito internet di seguito riportato:

http://www.marxists.org/xlang/marx.htm