IL CAPITALE

LIBRO III

SEZIONE V

SUDDIVISIONE DEL PROFITTO IN INTERESSE
E GUADAGNO D’IMPRENDITORE.

IL CAPITALE PRODUTTIVO D’INTERESSE.

CAPITOLO 27

LA FUNZIONE DEL CREDITO NELLA PRODUZIONE CAPITALISTICA

Le osservazioni generali, che abbiamo avuto occasione di fare finora trattando del credito, sono le seguenti:

I)  Formazione necessaria del credito come mezzo per attuare il livellamento del saggio del profitto, oppure il movimento di questo livellamento, su cui si fonda l’intera produzione capitalistica.

II)  Riduzione dei costi di circolazione.

1. Uno dei principali costi di circolazione è rappresentato dal denaro stesso, come valore in sé. Esso viene economizzato, mediante il credito, in triplice maniera.

A. Perché viene completamente reso superfluo in una gran parte delle transazioni.

B. Perché si accelera la circolazione del medio circolante . Ciò coincide in parte con quello che noi diremo al punto 2. Cioè da un lato questa accelerazione è tecnica, ossia, rimanendo uguali la grandezza e il numero degli effettivi scambi di merci che servono al consumo, una massa minore di denaro o di segni monetari compie lo stesso servizio. Questo è connesso con la tecnica bancaria. D’altro lato il credito accelera la velocità della metamorfosi delle merci e quindi la velocità della circolazione monetaria.

C. Sostituzione della moneta aurea con la carta.

2. Il credito accelera le diverse fasi della circolazione o della metamorfosi delle merci, ossia della metamorfosi del capitale e quindi accelera il processo della riproduzione in generale. (D’altro lato il credito permette di distanziare ancora di più le operazioni di compera e di vendita e serve quindi di base alla speculazione). Esso provoca una contrazione dei fondi di riserva che può esser considerata sotto due aspetti: da un lato come riduzione del medio circolante, dall’altro lato come limitazione della parte di capitale che deve sempre esistere sotto forma di denaro .

III)  Formazione di società per azioni.

Donde:

1. Un ampliamento enorme della scala della produzione e delle imprese quale non sarebbe stato possibile con capitali individuali. Al tempo stesso tali imprese, che precedentemente erano governative, divengono ora sociali.

2. Il capitale, che si fonda per se stesso su un modo di produzione sociale e presuppone una concentrazione sociale dei mezzi di produzione e delle forze-lavoro, acquista qui direttamente la forma di capitale sociale (capitale di individui direttamente associati) contrapposto al capitale privato, e le sue imprese si presentano come imprese sociali contrapposte alle imprese private. E’ la soppressione del capitale come proprietà privata nell’ambito del modo di produzione capitalistico stesso.

3. Trasformazione del capitalista realmente operante in semplice dirigente, amministratore di capitale altrui, e dei proprietari di capitale in puri e semplici proprietari, puri e semplici capitalisti monetari. Anche quando i dividendi che essi ricevono comprendono l’interesse ed il guadagno d’imprenditore, ossia il profitto totale (poiché lo stipendio del dirigente è o dovrebbe essere semplice salario di un certo tipo di lavoro qualificato, il cui prezzo sul mercato del lavoro è regolato come quello di qualsiasi altro lavoro), questo profitto totale è intascato unicamente a titolo d’interesse, ossia un semplice indennizzo della proprietà del capitale, proprietà che ora è, nel reale processo di riproduzione, così separata dalla funzione del capitale come, nella persona del dirigente, questa funzione è separata dalla proprietà del capitale. In queste condizioni il profitto (e non più soltanto quella parte del profitto, l’interesse, che trae la sua giustificazione dal profitto di chi prende a prestito) si presenta come semplice appropriazione di plusvalore altrui, risultante dalla trasformazione dei mezzi di produzione in capitale, ossia dalla loro estraniazione rispetto ai produttori effettivi, dal loro contrapporsi come proprietà altrui a tutti gli individui realmente attivi nella produzione, dal dirigente fino all’ultimo giornaliero. Nelle società per azioni la funzione è separata dalla proprietà del capitale e per conseguenza anche il lavoro è completamente separato dalla proprietà dei mezzi di produzione e dal plusvalore. Questo risultato del massimo sviluppo della produzione capitalistica è un momento necessario di transizione per la ri-trasformazione del capitale in proprietà dei produttori, non più però come proprietà privata di singoli produttori, ma come proprietà di essi in quanto associati, come proprietà sociale immediata. E inoltre è momento di transizione per la trasformazione di tutte le funzioni che nel processo di riproduzione sono ancora connesse con la proprietà del capitale, in semplici funzioni dei produttori associati, in funzioni sociali.

Prima di continuare, c’è ancora da fare questa osservazione importante dal punto di vista economico: poiché il profitto si presenta qui esclusivamente sotto forma d’interesse, tali imprese sono possibili anche quando esse danno il puro e semplice interesse, e questa è una delle cause che si oppongono alla caduta del saggio generale del profitto, poiché queste imprese in cui il capitale costante è in proporzioni così enormi rispetto al capitale variabile, non incidono necessariamente sul livellamento del saggio generale del profitto.

(Da quando Marx scrisse quanto sopra, è noto che si sono sviluppate nuove forme di organizzazione industriale, che rappresentano le società per azioni alla seconda e alla terza potenza. La rapidità sempre crescente con cui la produzione può oggi essere accresciuta in tutti i campi della grande industria, ha come contropartita la lentezza sempre crescente con cui si estende il mercato che dovrebbe assorbire questa accresciuta quantità di prodotti. Ciò che la produzione fornisce in termini di mesi, il mercato può appena assorbire in termini di anni. Si deve a ciò aggiungere la politica protezionistica, per cui ogni paese industriale si chiude agli altri, e particolarmente all’Inghilterra, e accresce artificialmente la capacità produttiva nazionale. Le conseguenze sono una sovrapproduzione cronica generale, diminuzione dei prezzi, diminuzione o anche sparizione totale dei profitti, in breve la tanto vantata libertà della concorrenza non ha più nulla da dire ed è costretta ad annunciare essa stessa. il suo evidente e scandaloso fallimento. Tanto è vero che in ogni paese i grandi industriali di un determinato settore si raggruppano in un cartello per regolare la produzione. Un comitato fissa la quantità che ogni stabilimento deve produrre e ripartisce in ultima istanza le ordinazioni ricevute. In alcuni casi si sono avuti anche dei cartelli internazionali, ad es. fra i produttori di ferro inglesi e tedeschi. Ma anche questa forma di socializzazione della produzione non fu sufficiente. Il contrasto di interessi delle singole compagnie la spezzava troppo spesso e ristabiliva la concorrenza. Si arrivò così, in singoli settori in cui il grado della produzione lo permetteva, a concentrare tutta quanta la produzione di un settore in una grande società per azioni, a direzione unica. In America questo è avvenuto già parecchie volte, in Europa l’esempio fino ad ora più cospicuo è dato dall’United  AlkaIi Trust, che ha messo nelle mani di una sola Compagnia tutta quanta la produzione inglese degli alcali. Gli antichi proprietari — più di trenta — delle singole officine hanno ricevuto in azioni il valore tassabile dei loro stabilimenti, in tutto all’incirca 5 milioni di Lst., che rappresentano il capitale fisso del trust. La direzione tecnica rimane nelle stesse mani di prima, mentre la direzione commerciale si trova concentrata nelle mani della direzione generale. Quanto al capitale di circolazione (floating capital), si invitò il pubblico a sottoscriverlo per un ammontare di circa un milione di Lst. Il capitale complessivo è quindi 6 milioni di Lst. In tal modo, in questo settore, che costituisce la base di tutta l’industria chimica, la concorrenza è in Inghilterra sostituita dal monopolio, e si prepara così, con nostra grande soddisfazione, la futura espropriazione da parte della società intera, da parte della nazione. F. E.).

Questo significa la soppressione del modo di produzione capitalistico, nell’ambito dello stesso modo di produzione capitalistico, quindi è una contraddizione che si distrugge da se stessa, che prima facie si presenta come semplice momento di transizione verso una nuova forma di produzione. Essa si presenta poi come tale anche all’apparenza. In certe sfere stabilisce il monopolio e richiede quindi l’intervento dello Stato. Ricostituisce una nuova aristocrazia finanziaria, una nuova categoria di parassiti nella forma di escogitatori di progetti, di fondatori e di direttori che sono tali semplicemente di nome; tutto un sistema di frodi e di imbrogli che ha per oggetto la fondazione di società, l’emissione e il commercio di azioni. È produzione privata senza il controllo della proprietà privata.

4. Facendo astrazione dalle società per azioni — che sono l’annullamento dell’industria privata capitalistica sulla base del sistema capitalistico stesso, e distruggono l’industria privata a misura che esse si ingrandiscono e invadono nuove sfere di produzione —, il credito permette al singolo capitalista o a colui che è tenuto in conto di capitalista, di disporre completamente, entro certi limiti, del capitale e della proprietà altrui, e per conseguenza del lavoro altrui. La possibilità di disporre del capitale sociale che non gli appartiene gli permette di disporre del lavoro sociale. Il capitale stesso che si possiede in realtà oppure nell’opinione del pubblico, diventa soltanto la base per la sovrastruttura creditizia. Ciò accade particolarmente nel commercio all’ingrosso, attraverso cui passa la maggior parte del prodotto sociale. Tutte le misure, tutte le spiegazioni ancora più o meno accettate all’interno del modo di produzione capitalistico, qui scompaiono. Ciò che il commerciante all’ingrosso rischia nelle sue speculazioni non è proprietà sua, ma della società. Altrettanto assurda è la frase fatta che fa derivare il capitale dal risparmio, perché ciò che lo speculatore pretende è proprio che altri risparmino per lui. (È così che recentemente tutta la Francia ha risparmiato un miliardo e mezzo di franchi per gli speculatori del Panama. Ecco qui descritto esattamente, ben venti anni prima che si verificasse, tutto l’imbroglio del Panama. F. E.). Il suo lusso poi, che ora diventa anch’esso un mezzo per ottenere credito, fa a pugni con l’altra frase fatta, che fa derivare il capitale dalla rinuncia. Concezioni che in una produzione capitalistica meno sviluppata hanno ancora un senso, qui lo perdono completamente. Il successo e l’insuccesso portano qui egualmente all’accentramento dei capitali e quindi alla espropriazione sulla scala più vasta. L’espropriazione si estende qui dai produttori diretti agli stessi capitalisti piccoli e medi. Tale espropriazione costituisce il punto di partenza del modo di produzione capitalistico, e allo stesso tempo il suo scopo, che è, in quella analisi, quello di espropriare i singoli individui dei mezzi di produzione, che con lo sviluppo della produzione sociale cessano di essere mezzi della produzione privata e prodotti della produzione privata, e che possono essere ancora soltanto mezzi di produzione nelle mani dei produttori associati, quindi loro proprietà sociale, così come sono loro prodotto sociale. Ma nel sistema capitalistico questa espropriazione riveste l’aspetto opposto, si presenta come appropriazione della proprietà sociale da parte di pochi individui, e il credito attribuisce a questi pochi sempre più il carattere di puri e semplici cavalieri di ventura. Poiché la proprietà esiste qui sotto forma di azioni, il suo movimento ed il suo trasferimento non sono che il puro e semplice risultato del giuoco di borsa dove i piccoli pesci sono divorati dagli squali e le pecore dai lupi di borsa. Nel sistema azionario è già presente il contrasto con la vecchia forma nella quale i mezzi di produzione sociale appaiono come proprietà individuale; ma la trasformazione in azioni rimane ancora chiusa entro le barriere capitalistiche; in luogo di annullare il contrasto fra il carattere sociale ed il carattere privato della ricchezza, essa non fa che darle una nuova forma.

Le fabbriche cooperative degli stessi operai sono, entro la vecchia forma, il primo segno di rottura della vecchia forma, sebbene dappertutto riflettano e debbano riflettere, nella loro organizzazione effettiva, tutti i difetti del sistema vigente. Ma l’antagonismo tra capitale e lavoro è abolito all’interno di esse, anche se dapprima soltanto nel senso che gli operai, come associazione, sono capitalisti di se stessi, cioè impiegano i mezzi di produzione per la valorizzazione del proprio lavoro. Queste fabbriche cooperative dimostrano come, a un certo grado di sviluppo delle forze produttive materiali e delle forme di produzione sociale ad esse corrispondenti, si forma e si sviluppa naturalmente da un modo di produzione un nuovo modo di produzione. Senza il sistema di fabbrica, che nasce dal modo di produzione capitalistico, e così pure senza il sistema creditizio, che nasce dallo stesso modo di produzione, non si potrebbe sviluppare la fabbrica cooperativa. Il sistema creditizio, come forma la base principale per la graduale trasformazione delle imprese private capitalistiche in società per azioni capitalistiche, così offre il mezzo per la graduale estensione delle imprese cooperative su scala più o meno nazionale. Le imprese azionarie capitalistiche sono da considerarsi, al pari delle fabbriche cooperative, come forme di passaggio dal modo di produzione capitalistico a quello associato, con la unica differenza che nelle prime l’antagonismo è stato eliminato in modo negativo, nelle seconde in modo positivo.

Abbiamo finora considerato lo sviluppo del sistema creditizio — e la potenziale eliminazione ivi contenuta della proprietà di capitale — in relazione principalmente con il capitale industriale. Nei capitoli seguenti considereremo il credito in relazione al capitale produttivo d’interesse come tale, tanto l’effetto che il credito ha su quest’ultimo, quanto la forma che assume in questo caso; e a questo proposito vi sono in generale da fare ancora alcune considerazioni specifiche di carattere economico.

Ma prima ancora:

Se il credito appare come la leva principale della sovrapproduzione e della sovraspeculazione nel commercio, ciò avviene soltanto perché il processo di produzione, che per sua natura è elastico, viene qui spinto al suo estremo limite e vi viene spinto proprio perché una gran parte del capitale sociale viene impiegato da quelli che non ne sono proprietari, i quali quindi agiscono in tutt’altra maniera dai proprietari, i quali, quando operano personalmente, hanno paura di superare i limiti del proprio capitale privato. Da ciò risulta chiaro soltanto che la valorizzazione del capitale, fondata sul carattere antagonistico della produzione capitalistica, permette l’effettivo, libero sviluppo soltanto fino a un certo punto, quindi costituisce di fatto una catena e un limite immanente della produzione, che viene costantemente spezzato dal sistema creditizio. Il sistema creditizio affretta quindi lo sviluppo delle forze produttive e la formazione del mercato mondiale, che il sistema capitalistico di produzione ha il compito storico di costituire, fino a un certo grado, come fondamento materiale della nuova forma di produzione. Il credito affretta al tempo stesso le eruzioni violente di questa contraddizione, ossia le crisi e quindi gli elementi di disfacimento del vecchio sistema di produzione.

Ecco i due caratteri immanenti al credito: da un lato esso sviluppa la molla della produzione capitalistica, cioè l’arricchimento mediante lo sfruttamento del lavoro altrui, fino a farla diventare il più colossale sistema di giuoco e d’imbroglio, limitando sempre più il numero di quei pochi che sfruttano la ricchezza sociale; dall’altro lato esso costituisce la forma di transizione verso un nuovo sistema di produzione. È questo duplice carattere che fa di ognuno dei principali araldi del credito, da Law fino a Isaac Pereire, uno strano miscuglio tra il ciarlatano e il profeta.

 

AVVERTENZA PER IL LETTORE

Il testo del III libro del Capitale che viene qui riportato NON È UNA DELLE TRADUZIONI INTEGRALI DEL TESTO ORIGINALE che sono disponibili: esso infatti è una rivisitazione delle traduzioni esistenti (in italiano ed in francese) a cui sono state apportate le seguenti modifiche:

1 – non sono state riportate le note che Marx ed Engels richiamano nel testo (fatte salve alcune eccezioni);

2 – sono state introdotte delle modifiche per quanto riguarda gli esempi numerici in cui, per facilitare la lettura;

a – sono state cambiate le unità di misura e le grandezze;

b – diversi dati richiamati nella forma di testo sono stati trasformati in tabelle;

c – in alcuni esempi numerici le cifre decimali sono state limitate a due e nel caso di numeri periodici, ad esempio 1/3 o 2/3, la cifra periodica è stata indicata con un apice (‘).

Ci rendiamo conto che leggere un testo del Capitale in cui Marx formula esempi in Euro (€) invece che in Lire Sterline (Lst) o scellini potrebbe far sorridere e far pensare ad uno scherzo o ad una manipolazione che ha  travisato il pensiero dell’Autore, avvertiamo invece il lettore che il testo è assolutamente fedele al pensiero originale  e che ci siamo permessi di introdurre alcune “varianti” per consentire a coloro che non hanno dimestichezza con le unità di misura e monetarie inglesi di non bloccarsi di fronte a questa difficoltà e di facilitarne così la lettura o lo studio.

In altre parti si sono invece mantenute le unità di misura e monetarie inglesi originali perchè la lettura non creava problemi di comprensione o per ragioni di fedeltà storica.

Ci facciamo altresì carico dell’osservazione che Engels ha formulato nelle “considerazioni supplementari” poste all’inizio del III Libro, laddove, di fronte alle molteplici interpretazioni del testo che vennero fatte dopo la prima edizione, sostiene: “Nella presente edizione ho cercato innanzitutto di comporre un testo il più possibile autentico, di presentare, nel limite del possibile, i nuovi risultati acquisiti da Marx, usando i termini stessi di Marx, intervenendo unicamente quando era assolutamente necessario, evitando che, anche in quest’ultimo caso, il lettore potesse avere dei dubbi su chi gli parla. Questo sistema è stato criticato; si è pensato che io avrei dovuto trasformare il materiale a mia disposizione in un libro sistematicamente elaborato, en faire un livre, come dicono i francesi, in altre parole sacrificare l’autenticità del testo alla comodità del lettore. Ma non è in questo senso che io avevo interpretato il mio compito. Per una simile rielaborazione mi mancava qualsiasi diritto; un uomo come Marx può pretendere di essere ascoltato per se stesso, di tramandare alla posterità le sue scoperte scientifiche nella piena integrità della sua propria esposizione. Inoltre non avevo nessun desiderio di farlo: il manomettere in questo modo perchè dovevo considerare ciò una manomissione l’eredità di un uomo di statura così superiore, mi sarebbe sembrato una mancanza di lealtà. In terzo luogo sarebbe stato completamente inutile. Per la gente che non può o non vuole leggere, che già per il primo Libro si è data maggior pena a interpretarlo male di quanto non fosse necessario a interpretarlo bene — per questa gente è perfettamente inutile sobbarcarsi a delle fatiche”.

Marx ed Engels non ce ne vogliano, ma posti di fronte alle molteplici “fughe” dallo studio da parte di persone che non possedevano una cultura accademica, fughe che venivano imputate alla difficoltà presentate dal testo, abbiamo deciso di fare uno “strappo” alle osservazioni di Engels, intervenendo in alcune parti  avendo altresì cura di toccare il testo il meno possibile. Nel fare questo “strappo” eravamo tuttavia confortati dal fatto che, a differenza  della situazione in cui Engels si trovava, oggi chi vuole accedere al testo “originale”, dispone di diverse edizioni in varie lingue.

Coloro che volessero accostarsi al testo originale in lingua italiana si consigliano le seguenti edizioni:

  • Il capitale, Le Idee, Editori Riuniti, traduzione di Maria Luisa Boggeri;
  • Il capitale, Edizione Einaudi, traduzione di Maria Luisa Boggeri;
  • Il capitale, Edizione integrale - I mammut – Newton Compton, a cura di Eugenio Sbardella.

Chi volesse accedere ad edizioni del Capitale e di altri testi di Marx in lingue estere, si propone di consultare il sito internet di seguito riportato:

http://www.marxists.org/xlang/marx.htm