IL CAPITALE LIBRO III SEZIONE V
SUDDIVISIONE DEL
PROFITTO IN INTERESSE IL CAPITALE PRODUTTIVO D’INTERESSE. CAPITOLO 21 IL CAPITALE PRODUTTIVO D’INTERESSE Quando abbiamo studiato per la prima volta il saggio generale o medio del profitto (sezione Il di questo volume), non conoscevamo ancora la sua forma definitiva, in quanto il livellamento appariva ancora unicamente come livellamento dei capitali industriali investiti in diverse sfere. Ciò è stato completato nella sezione precedente dove abbiamo esaminato la partecipazione del capitale commerciale a questo livellamento ed il profitto commerciale. Il saggio generale di profitto ed il profitto medio si presentavano ora entro limiti più ristretti di prima. Sviluppando ulteriormente questo studio si deve tenere presente che quando, d’ora innanzi, parliamo di saggio generale del profitto o di profitto medio, ci riferiamo a quest’ultimo concetto, quindi unicamente alla forma definitiva del saggio medio. Essendo ormai questa forma la stessa per il capitale commerciale e per il capitale industriale, non è neppure più necessario, quando si tratta unicamente di questo profitto medio, fare una distinzione fra profitto industriale e profitto commerciale. Che il capitale sia investito industrialmente nella sfera della produzione o commercialmente nella sfera della circolazione, esso produce proporzionalmente alla sua grandezza il medesimo profitto annuale medio. Il denaro — qui considerato come espressione autonoma di una somma di valore, sia che essa esista effettivamente in denaro o in merci — può essere trasformato in capitale sulla base della produzione capitalistica e attraverso questa trasformazione diventa, da valore dato, un valore che valorizza, che aumenta se stesso. Esso produce profitto, ossia permette al capitalista di estorcere agli operai e di appropriarsi una determinata quantità di lavoro non pagato, di plusprodotto e plusvalore. Con ciò esso acquista, oltre al valore d’uso che esso possiede come denaro, un valore d’uso addizionale, cioè quello di operare come capitale. Il suo valore d’uso consiste qui proprio nel profitto che esso produce, una volta trasformato in capitale. In questa qualità di capitale potenziale, di mezzo per la produzione del profitto, esso diventa merce, ma una merce sui generis. In altre parole, il capitale in quanto capitale diventa merce. Si supponga che il saggio medio del profitto annuale sia del 20%. Una macchina del valore di 24.000 €, impiegata come capitale, in condizioni medie e con un livello medio di intelligenza e di attività utile, darebbe un profitto di 4.800 €. Un uomo quindi che abbia a disposizione 24.000 € ha in mano sua il potere di fare di 24.000 €, 28.800 €, ossia di produrre un profitto di 4.800 €. Egli ha in mano un capitale potenziale di 24.000 €. Se quest’uomo trasferisce per un anno questi 24.000 € a un altro, che li impiega effettivamente come capitale, gli trasferisce il potere di produrre 4.800 € di profitto, un plusvalore che non gli costa nulla, per il quale non paga alcun equivalente. Se quest’uomo alla fine dell’anno paga, al proprietario dei 24.000 €, ad esempio 1.200 €, ossia una parte del profitto prodotto, egli paga con ciò il valore d’uso dei 24.000 €, il valore d’uso della loro funzione come capitale, della funzione di produrre 4.800 € di profitto. La parte del profitto che gli paga si chiama interesse, il che non è altro che un nome particolare, una voce particolare per una parte del profitto che il capitale operante, in luogo di intascare, deve cedere al proprietario del capitale. E’ evidente che il possesso dei 24.000 € dà al suo proprietario il potere di impadronirsi dell’interesse, dà una certa parte del profitto prodotto per mezzo del suo capitale. Qualora egli non desse all’altro i 24.000 €, quest’ultimò allora non potrebbe produrre il profitto e pertanto non potrebbe assolutamente operare come capitalista per quanto riguarda appunto questi 24.000 €. È assurdo parlare qui di giustizia naturale, come fa Gilbart. La giustizia delle operazioni che avvengono fra agenti della produzione sta nel fatto che queste operazioni derivano come conseguenza naturale delle condizioni della produzione. Le forme giuridiche in cui queste operazioni economiche appaiono come atti di volontà di quelli che vi partecipano, come manifestazioni della loro volontà comune e come contratti di cui il potere giudiziario può esigere l’esecuzione rispetto alle singole parti, non possono, in quanto semplici forme, determinare questo stesso contenuto. Esse non fanno che esprimerlo. Questo contenuto è giusto quando corrisponde al modo di produzione, quando gli è adeguato. È ingiusto quando si trova in contraddizione con esso. La schiavitù, sulla base del modo di produzione capitalistico, è ingiusta: parimenti la truffa sulla qualità delle merci. I 24.000 € danno quindi il profitto di 4.800 € in quanto hanno la funzione di capitale, sia esso industriale o commerciale. Ma il “sine qua non” (la condizione prima) di questa funzione di capitale è che essi siano spesi come capitale, che il denaro venga quindi investito nell’acquisto di mezzi di produzione (capitale industriale) o di merci (capitale commerciale). Ma per essere speso deve esistere. Se A, il proprietario dei 24.000 €, li spendesse per il suo consumo privato o li conservasse presso di sé come tesoro, essi non potrebbero essere spesi da B, il capitalista in funzione, come capitale. Questi non spende il proprio capitale ma quello di A; tuttavia egli non può spendere il capitale di A senza il suo consenso. In realtà è quindi A che originariamente spende i 24.000 € come capitale, nonostante che tutta quanta la sua funzione di capitalista sia limitata a questa spesa dei 24.000 € come capitale. Per quanto concerne questi 24.000 €, B funziona da capitalista unicamente perché A gli cede i 24.000 € e li spende dunque come capitale. Studiamo innanzitutto la circolazione particolare del capitale produttivo d’interesse. In seguito dovremo esaminare il carattere suo proprio, come esso è venduto come merce, vale a dire prestato, invece di essere ceduto definitivamente. Il punto di partenza è il denaro che A presta a B. Ciò può verificarsi con o senza garanzia; la prima forma è però la più antica, ad eccezione dei prestiti su merci o su titoli di credito come cambiali, azioni ecc. Ora queste forme particolari non ci interessano. Noi qui ci occupiamo del capitale produttivo di interesse nella sua forma usuale. In mano di B il denaro si trasforma realmente in capitale, compie il movimento D — M — D’ e ritorna quindi ad A come D’, come D + ΔD, dove ΔD rappresenta l’interesse. Al fine di semplificare, prescindiamo qui per il momento dal caso in cui il capitale rimane lungo tempo in mano di B e gli interessi vengono pagati ad epoche fisse. Il movimento è dunque: D — D — M — D’ — D’. Ciò che qui figura due volte è: 1) la spesa del denaro come capitale, 2) il suo riflusso come capitale realizzato, come D’ o D + ΔD. Nel movimento del capitale commerciale D — M — D’, la stessa merce cambia due o più volte di mano se il commerciante vende al commerciante; ma ciascuno di tali cambiamenti di posto della medesima merce indica una metamorfosi, acquisto o vendita della merce, per tutte le volte che questo processo si ripete fino a che essa passi definitivamente al consumo. D’altra parte in M — D — M avviene due volte un cambiamento di posto del medesimo denaro, ma esso indica la completa metamorfosi della merce, che prima viene trasformata in denaro e poi da denaro di nuovo in un’altra merce. Al contrario, nel capitale produttivo d’interesse il primo cambiamento di posto di D non rappresenta, nel modo più assoluto, alcuna fase della metamorfosi delle merci, né della riproduzione del capitale. Esso lo diventa solamente quando è speso per la seconda volta, tra le mani del capitalista operante che lo mette nel commercio e lo trasforma in capitale produttivo. Il primo mutamento di posto di D non esprime qui altro che il suo trasferimento o rimessa da A a B; un trasferimento che solitamente avviene sotto certe forme e riserve giuridiche. A questa duplice spesa del denaro come capitale, di cui la prima è semplice trasferimento da A a B, corrisponde il suo duplice riflusso. Come D’ o D + ΔD esso rifluisce col movimento al capitalista operante B. Questi lo trasferisce di nuovo ad A, ma unitamente a una parte del profitto, come capitale realizzato, come D + ΔD dove ΔD non corrisponde all’intero profitto, ma è soltanto una parte del profitto, cioè l’interesse. Esso rifluisce a B soltanto come capitale che egli ha speso, come capitale operante, ma come proprietà di A. Perché il suo riflusso sia completo, B lo deve quindi ritrasferire ad A. Ma oltre alla somma di capitale, B deve rimettere ad A sotto il nome di interesse una parte del profitto che egli ha prodotto con questa somma di capitale, poiché questi gli ha dato il denaro unicamente come capitale, ossia come valore che nel movimento non solo si conserva ma crea un plusvalore per il suo proprietario. Esso rimane in mano di B unicamente fino a che è capitale in funzione. E con il suo riflusso — trascorso il termine — esso cessa di avere la funzione di capitale. Ma come capitale che non è più operante, deve essere nuovamente restituito ad A il quale, dal punto di vista giuridico, non ha mai cessato di esserne il proprietario. La forma del prestito, tipica di questa merce ossia del capitale in quanto merce, si trova anche in altre operazioni al posto della forma della vendita; essa deriva già dal fatto determinante che il capitale si presenta qui come merce, o che il denaro, in questo capitale, diventa merce. A questo punto occorre distinguere. Si è visto (Libro II, Cap. I) e lo ripetiamo qui in breve, che il capitale nel processo di circolazione funziona come capitale-merce e come capitale monetario. Ma in nessuna delle due forme il capitale in quanto capitale diventa merce. Non appena il capitale produttivo si è trasformato in capitale- merce, esso deve essere buttato sul mercato, venduto come merce. Qui esso funziona semplicemente come merce. Il capitalista appare qui solo come venditore di merci, allo stesso modo che il compratore appare come compratore di merci. In quanto merce, il prodotto, nel processo di circolazione, deve realizzare il suo valore mediante la sua vendita, assumere la sua figura trasformata di denaro. Di conseguenza è anche perfettamente indifferente se questa merce viene acquistata dal consumatore come mezzo di sussistenza o da un capitalista come mezzo di produzione, come elemento di capitale. Nell’atto di circolazione il capitale-merce ha unicamente la funzione di merce, non quella di capitale. Esso è capitale-merce in contrapposizione alla merce semplice. 1) perché in esso è già racchiuso il plusvalore, la realizzazione del suo valore è al tempo stesso realizzazione di plusvalore; ma ciò non modifica per nulla la sua semplice esistenza di merce, di prodotto di un prezzo determinato; 2) perché questa sua funzione di merce è una fase del suo processo di riproduzione come capitale e quindi il suo movimento come merce, essendo unicamente movimento parziale del suo processo, è al tempo stesso il suo movimento come capitale; ma essa diventa tale non per l’atto stesso della vendita ma solo per la connessione di questo atto con il movimento complessivo di questa determinata somma di valore come capitale. Ugualmente, in quanto capitale monetario, in realtà esso opera semplicemente come denaro, ossia come mezzo di acquisto di merce (degli elementi della produzione). Che questo denaro sia qui al tempo stesso capitale monetario, una forma del capitale, ciò non risulta dall’atto di acquisto, dalla effettiva funzione che esso qui compie come denaro, ma dalla connessione di questo atto con il movimento complessivo del capitale dato che questo atto da lui eseguito in qualità di denaro dà inizio al processo di produzione capitalistico. Ma nella misura in cui funzionano effettivamente, realmente esercitano la loro funzione nel processo, il capitale-merce agisce qui soltanto come merce, il capitale monetario soltanto come denaro. In nessun singolo momento della metamorfosi, considerato a sé, il capitalista vende la merce come capitale al compratore, quantunque essa rappresenti per lui capitale, oppure cede il denaro come capitale al venditore. In ambedue i casi esso aliena la merce semplicemente come merce e il denaro semplicemente come denaro, come mezzo di acquisto della merce. Ed è unicamente nella connessione di tutto il movimento, nel momento in cui il punto di partenza appare nello stesso tempo punto di ritorno, in D — D’ o M —— M’, che il capitale si presenta nel processo di circolazione come capitale (mentre esso nel processo di produzione si presenta come capitale nella sottomissione dell’operaio al capitalista e nella produzione del plusvalore). Ma in questo momento del ritorno gli intermediari sono scomparsi. Ciò che si ha qui è D’ o D + ΔD (sia che la somma di valore accresciuta di ΔD esista ora nella forma di denaro e di merce o di elementi della produzione), una somma di denaro corrispondente alla somma di denaro originariamente anticipata più una eccedenza, il plusvalore realizzato. E proprio in questo punto di ritorno, dove il capitale esiste come capitale realizzato, come valore valorizzato, in questa forma — in quanto esso viene fissato come punto d’arresto immaginario o reale — il capitale non entra mai nella circolazione, ma sembra piuttosto essere ritirato dalla circolazione come risultato di tutto il processo. Non appena viene di nuovo speso, esso non viene mai alienato a un terzo come capitale, ma venduto a lui come semplice merce o dato a lui come semplice denaro in cambio di una merce. Esso non appare mai, nel suo processo di circolazione, come capitale, ma soltanto come merce o come denaro, ed è questo l’unico modo in cui esso qui esiste per gli altri. Merce e denaro sono qui soltanto capitale, non in quanto la merce si trasforma in denaro, il denaro in merce, non a causa dei loro reali rapporti con compratore o venditore, ma soltanto a causa dei loro rapporti ideali o con il capitalista stesso (dal punto di vista soggettivo) o come fasi del processo di riproduzione (dal punto di vista obiettivo). Nel movimento reale il capitale esiste come capitale, non nel processo di circolazione, ma solo nel processo di produzione, nel processo di sfrutta mento della forza-lavoro. Diversamente stanno le cose per il capitale produttivo di interesse e proprio ciò costituisce il suo carattere specifico. Il proprietario di denaro che vuole valorizzare il suo denaro come capitale produttivo d’interesse, lo aliena a un terzo, lo getta nella circolazione, ne fa una merce in quanto capitale; non unicamente come capitale per se stesso, ma anche per gli altri; esso è capitale solo per colui che lo aliena, ma a priori viene ceduto al terzo come capitale, ossia come valore che possiede il valore d’uso di creare plusvalore, profitto; come un valore che si conserva nel movimento e ritorna in seguito dopo aver funzionato al suo originario distributore, qui il possessore di denaro; quindi si separa da lui solo per un certo tempo, dal possesso del suo proprietario passa solo temporaneamente in possesso del capitalista in funzione, quindi non viene né dato in pagamento né venduto, ma soltanto prestato; viene solo alienato alla condizione, in primo luogo, di ritornare dopo un tempo determinato al suo punto di partenza, ma in secondo luogo di ritornare come capitale realizzato, cosicché esso ha realizzato il suo valore d’uso, quello di produrre plusvalore. La merce che viene prestata come capitale, viene prestata, secondo la sua natura, come capitale fisso o circolante. Il denaro, come capitale, può venire prestato in ambedue le forme, ad esempio fisso quando viene restituito nella forma di rendita vitalizia, cosicché con l’interesse rifluisce anche una parte di capitale. Alcune merci, per la natura del loro valore d’uso, possono essere prestate soltanto come capitale fisso, come case, navi, macchine ecc. Ma ogni capitale prestato, qualunque sia la sua forma e comunque possa venire modificato il rimborso in conseguenza della natura del suo valore d’uso, è sempre unicamente una forma particolare del capitale monetario. Poiché ciò che qui è prestato è sempre una determinata somma di denaro e su questa somma viene dunque calcolato anche l’interesse. Se ciò che è prestato non è né denaro, né capitale circolante, allora esso viene anche rimborsato nel modo in cui il capitale fisso rifluisce. Il prestatore riceve un interesse periodico e una parte del valore usato del capitale fisso stesso, un equivalente per il logorio periodico. E allo scadere del termine prefissato ritorna in natura la parte non usata del capitale fisso prestato. Se il capitale prestato è capitale circolante, esso ritorna al prestatore nel modo di rifluire del capitale circolante. Il modo in cui si attua il riflusso è quindi determinato ogni volta dall’effettivo movimento circolatorio del capitale che si riproduce e dalle sue forme particolari. Ma per il capitale prestato, il riflusso assume la forma del rimborso perché l’anticipo, l’alienazione dello stesso ha la forma del prestito. In questo capitolo noi trattiamo unicamente del capitale monetario vero e proprio, dal quale sono derivate le altre forme del capitale prestato. Il capitale prestato rifluisce due volte: · nel processo di riproduzione esso ritorna al capitalista operante, e poi il ritorno si ripete ancora una volta come trasferimento al prestatore, il capitalista monetario, come rimborso al suo vero proprietario, suo punto di partenza giuridico; · nel processo di circolazione vero e proprio il capitale appare sempre soltanto come merce o denaro e il suo movimento si scompone in una serie di acquisti e di vendite. In breve, il processo di circolazione si risolve nella metamorfosi della merce. Diversamente accade se noi consideriamo l’insieme del processo di riproduzione. Se consideriamo il denaro (ed è la stessa cosa se consideriamo la merce, dato che allora noi guardiamo il suo valore, la consideriamo quindi sotto l’aspetto del denaro), una somma di esso è spesa e ritorna dopo un certo periodo di tempo con un aumento. L’equivalente della somma monetaria anticipata ritorna con l’aggiunta di un plusvalore. Questa somma si è conservata ed accresciuta percorrendo un determinato movimento di circolazione. Ma ora il denaro, in quanto è prestato come capitale, è prestato proprio come somma monetaria che si conserva e si accresce, che ritorna dopo un certo periodo con un aumento e può sempre ripetere da capo lo stesso processo. Quando è anticipato come denaro esso non è speso né come denaro, né come merce e pertanto non è scambiato contro merce; né è venduto contro denaro quando è anticipato come merce; viene invece speso come capitale. Il rapporto del capitale con se stesso, quale si presenta quando si considera il processo della produzione capitalistica come un tutto unico ed in cui il capitale si presenta come denaro che genera denaro, capitale che gli viene incorporato, senza la mediazione del movimento intermedio, semplicemente come sua caratteristica, come suo aspetto specifico. E esso viene ceduto sotto questo aspetto specifico quando viene prestato come capitale monetario. Una concezione singolare della funzione del capitale monetario è quella di Proudhon (Gratuitè du Crèdit. Discussion entre M. F. Bastiat et M. Proudhon, Parigi, 1850). Per Proudhon dare in prestito è cosa cattiva perché prestare non è vendere. Il prestare a interesse è « la facoltà di vendere sempre di nuovo lo stesso oggetto, e di ricavarne sempre di nuovo il prezzo senza mai cedere la proprietà dell’oggetto che si vende ». L’oggetto, casa, denaro ecc. non cambia di proprietario, come nella compravendita. Ma Proudhon non vede che nella cessione del denaro nella forma di capitale produttivo di interesse, non si ottiene in cambio nessun equivalente. In ogni atto di acquisto e di vendita, nella misura in cui in generale hanno luogo processi di scambio, è vero che l’oggetto viene ceduto. Si cede sempre la proprietà dell’oggetto che si vende. Ma non si dà via il valore. Nella vendita la merce è data via, ma non il suo valore, che viene restituito sotto forma di denaro, oppure di titolo di credito o promessa di pagamento, che qui ne rappresentano soltanto una diversa forma. Nell’acquisto il denaro viene dato, ma non il suo valore, che viene sostituito nella forma di merce. Durante tutto il processo di riproduzione il capitalista industriale conserva in suo possesso il medesimo valore (eccettuato il plusvalore), solamente in forme diverse. Allorquando si opera uno scambio, ossia scambio di oggetti, non ha luogo nessuno scambio di valore. Il medesimo capitalista detiene sempre il medesimo valore. Ma in quanto dal capitalista viene prodotto plusvalore, non avviene nessuno scambio; quando lo scambio ha luogo, il plusvalore si trova già nelle merci. Se consideriamo non atti isolati di scambio, ma l’interno ciclo del capitale D — M — D’, si vede che una determinata somma di valore è di continuo anticipata e questa somma di valore più il plusvalore o profitto viene di continuo ritirata dalla circolazione. E vero che il meccanismo di questo processo non è visibile nei semplici atti di scambio. Ed è appunto questo processo di D in quanto capitale, su cui si fonda l’interesse del capitalista monetario che presta denaro, da cui esso nasce. «In realtà» dice Proudhon, «il cappellaio che vende dei cappelli... ne riceve il valore, non di più né di meno. Ma il capitalista che presta... non riceve di ritorno unicamente il suo capitale intatto; egli riceve più del capitale, più di quanto egli butta nello scambio; egli riceve oltre il capitale, un interesse». Il cappellaio rappresenta qui il capitalista produttivo in opposizione al capitalista che presta. Proudhon evidentemente non ha penetrato il mistero di come il capitalista produttivo può vendere le merci al suo valore (qui il livellamento ai prezzi di produzione è senza importanza per la sua comprensione) e ricevere proprio con ciò un profitto oltre il capitale che egli immette nello scambio. Si supponga che il prezzo di produzione di 10 cappelli sia di 115 € e che questo prezzo di produzione sia per caso uguale al valore dei cappelli, quindi il capitale che produce i cappelli sia di composizione sociale media. Se il pro fitto è del 15%, allora il cappellaio realizza un profitto di 15 €, per il fatto che egli vende le merci al loro valore di 115 e che esse gli costano solamente 100 €. Se egli ha prodotto con il suo proprio capitale, allora egli intasca l’intera eccedenza di 15 €; se invece ha prodotto con capitale prestato, egli deve restituire come interesse, supponiamo di 5 €. Ciò non modifica il valore dei cappelli, ma unicamente la ripartizione del plusvalore, già presente in questo valore, fra diverse persone. Poiché dunque il valore dei cappelli non viene modificato dal pagamento dell’interesse, è un assurdo quel che dice Proudhon: «Poiché nel commercio l’interesse del capitale si aggiunge al salario dell’operaio per comporre il prezzo della merce, è allora impossibile che l’operaio possa ricomprare il prodotto del suo proprio lavoro. Vivere lavorando è un principio che, sotto il regime dell’interesse, racchiude una contraddizione». Quanto poco Proudhon abbia capito la natura del capitale lo dimostra la frase seguente, in cui egli descrive il movimento del capitale in generale come un movimento particolare del capitale produttivo d’interesse: «Dal fatto che, con l’accumulazione dell’interesse, il capitale monetario torna sempre, di scambio in scambio, alla sua fonte, deriva che l’azione ripetuta del prestito, compiuta sempre dalla stessa mano, reca guadagno sempre alla stessa persona». Cosa dunque rimane per lui misterioso nel movimento proprio del capitale produttivo d’interesse? Le categorie: acquisto, prezzo, cessione di oggetti e la forma non mediata nella quale ai presenta qui il plusvalore; in breve il fenomeno che qui il capitale, in quanto capitale, è divenuto merce, che quindi la vendita si è tra sformata in prestito, il prezzo in una parte del profitto. Il movimento caratteristico del capitale nel suo ciclo totale è in generale il ritorno del capitale al suo punto di partenza. Ma questo assolutamente non contraddistingue soltanto il capitale produttivo d’interesse. Ciò che lo contraddistingue è la forma esteriore del ritorno, indipendente dal ciclo che media questo ritorno. Il capitalista prestatore dà via il suo capitale, lo trasferisce al capitalista industriale, senza ricevere un equivalente. La sua cessione in generale non è un atto del processo ciclico effettivo del capitale, ma solamente introduce questo ciclo che dovrà essere compiuto dal capitalista industriale. Questo primo mutamento di posto del denaro non esprime nessun atto della metamorfosi, né acquisto, né vendita. La proprietà non è ceduta, perché non ha luogo nessuno scambio, non si riceve alcun equivalente. Il ritorno del denaro dalla mano del capitalista industriale a quella del capitalista che presta, completa semplicemente il primo atto della cessione del capitale. Il capitale che è stato anticipato in forma di denaro, tramite il processo ciclico, ritorna al capitalista industriale di nuovo in forma di denaro. Ma dato che il capitale non gli apparteneva al momento della spesa, così non gli può appartenere al momento del ritorno. Il passaggio attraverso il processo di riproduzione non può assolutamente trasformare questo capitale in sua proprietà. Egli lo deve quindi restituire al prestatore. La prima cessione, quella che trasferisce il capitale dalla mano del prestatore in quella di colui che prende a prestito, è una operazione giuridica che non ha nulla a che vedere con l’effettivo processo di riproduzione del capitale, ma soltanto lo prepara. Il rimborso che di nuovo trasferisce il capitale rifluito dalla mano di chi lo ha preso a prestito in quella del prestatore, è una seconda operazione giuri dica, il completamento della prima; l’una prepara l’effettivo processo, l’altra è un atto complementare dello stesso. Punto di partenza e punto di ritorno, cessione e rimborso del capitale prestato, appaiono dunque come movimenti arbitrari, mediati da operazioni giuridiche che precedono prima e dopo l’effettivo movimento del capitale e non hanno nulla a che fare con lo stesso. Per questi sarebbe la stessa cosa se il capitale fin dall’inizio appartenesse al capitalista industriale e rifluisse quindi a lui come sua proprietà. Nel primo atto introduttivo il prestatore cede il suo capitale a chi lo prende a prestito. Nel secondo, complementare e conclusivo, colui che ha preso a prestito restituisce il capitale al prestatore. Dato che consideriamo soltanto l’operazione fra i due — e per il momento prescindiamo dall’interesse — in quanto cioè si tratta soltanto del movimento del capitale prestato stesso fra il prestatore e chi lo prende a prestito, ambedue questi atti abbracciano (separati da un tempo più o meno lungo, nel quale si svolge l’effettivo movimento di riproduzione del capitale) l’insieme di questo movimento. E questo movimento, cedere a condizione della restituzione, è in generale il movimento del prestare e del prendere a prestito, questa forma specifica della alienazione soltanto condizionata da denaro o merce. Il movimento caratteristico del capitale in generale, il ritorno del denaro al capitalista, il ritorno del capitale al suo punto di partenza, assume, nel capitale produttivo d’interesse, una figura del tutto esteriore, distinta dal movimento reale di cui essa è la forma. A dà via il suo denaro non come denaro, ma come capitale. Non si verifica qui nessun mutamento riguardo al capitale. Esso cambia solo di mano. La sua effettiva trasformazione in capitale si compie soltanto in mano di B. Ma per A esso è divenuto capitale mediante la semplice cessione a B. L’effettivo riflusso del capitale dal processo di produzione e di circolazione avviene solamente per B. Ma per A il riflusso avviene nella stessa forma in cui avviene l’alienazione. Esso torna di nuovo dalle mani di B alle mani di A. Cedere, prestare denaro per un certo tempo e ricevere di ritorno lo stesso con interesse (plusvalore) è la forma completa del movimento che spetta al capitale produttivo d’interesse in quanto tale. L’effettivo movimento del capitale prestato in quanto capitale è una operazione che sta al di là delle operazioni fra chi dà a prestito e chi prende a prestito. In queste stesse operazioni questa mediazione è cancellata, non è visi bile, non è direttamente compresa. In quanto merce di una natura particolare, il capitale possiede anche un tipo particolare di alienazione. Il ritorno non si esprime dunque qui come conseguenza e come risultato di una serie determinata di processi economici, ma come conseguenza di una particolare stipulazione giuridica fra compratori e venditori. Il tempo del ritorno dipende dal corso del processo di riproduzione; per il capitale produttivo d’interesse il suo ritorno, in quanto capitale, sembra dipendere dal puro e semplice accordo fra il prestatore e colui che prende a prestito. Di modo che il riflusso del capitale, per quanto riguarda questa operazione, non appare più come risultato determinato dal processo di produzione, ma così, come se la forma del denaro non fosse mai andata perduta per il capitale prestato. Senza dubbio queste operazioni sono determinate in realtà dai loro riflussi reali. Questo non è evidente nella operazione stessa, come anche nella prassi. Se il riflusso reale non avviene al tempo giusto, allora chi ha preso a prestito deve cercare aiuto presso altre fonti per far fronte ai suoi impegni verso il prestatore. La semplice forma del capitale-denaro, che viene speso come somma A e ritorna come somma A + [(1 : x) ∙ A] dopo un certo periodo di tempo, senza nessun’altra mediazione all’infuori di questo temporaneo intervallo, è soltanto la forma empirica del reale movimento di capitale. Nel movimento reale del capitale il ritorno è una fase del processo di circolazione. Il denaro è dapprima trasformato in mezzi di produzione; il processo di produzione lo trasforma in merce; con la vendita della merce viene ritrasformato in denaro e ritorna sotto questa forma in mano del capitalista che aveva per primo anticipato il capitale in forma di denaro. Ma per il capitale produttivo di interesse, il ritorno, come la cessione, non sono altro che il risultato di una operazione giuridica fra il proprietario del capitale ed una seconda persona. Noi vediamo unicamente cessione e rimborso. Tutto ciò che avviene nel frattempo è cancellato. Dato che il denaro anticipato come capitale ha la proprietà di rifluire al suo prestatore, a colui che lo spende come capitale, dato che D — M — D’ è la forma immanente del movimento del capitale, proprio per questo chi possiede del denaro può prestarlo come capitale, come qualche cosa che possiede la proprietà di ritornare al suo punto di partenza, di conservarsi e di accrescersi come valore nel movimento che esso compie. Egli lo dà via come capitale, perché dopo essere stato impiegato come capitale esso rifluisce al suo punto di partenza, quindi dopo un certo tempo può essere restituito da chi lo ha preso a prestito, proprio perché esso rifluisce a lui stesso. Il prestito di denaro come capitale — la sua cessione a condizione della sua restituzione dopo un certo tempo — ha quindi come presupposto che il denaro venga effettivamente impiegato come capitale, che rifluisca effettivamente al suo punto di partenza. L’effettivo movimento ciclico del denaro in quanto capitale è quindi presupposto della operazione giuridica secondo la quale chi ha ricevuto il prestito deve rendere il denaro a chi lo ha prestato. Se chi ha preso il denaro a prestito non lo impiega come capitale, questo è affare suo. Il prestatore lo dà in prestito come capitale e come tale esso deve compiere le funzioni di capitale, che racchiudono il ciclo del capitale monetario fino al suo riflusso, al suo punto di partenza, in forma di denaro. Gli atti di circolazione D — M e M — D’, nei quali la somma di valore ha la funzione di denaro o di merce, sono soltanto processi che mediano il suo movimento complessivo, singole fasi di questo movimento. Come capitale essa compie il movimento complessivo D — D’. Essa viene anticipata come denaro o come somma di valore in una forma qualsiasi e ritorna come somma di valore. Chi presta denaro non lo spende nell’acquisto di merce o se la somma di valore esiste in merce, egli non la vende in cambio di denaro, ma l’anticipa come capitale, come D — D’, come valore che entro un termine determinato ritorna di nuovo al suo punto di partenza. Invece di acquistare o di vendere, egli presta. Questo prestito è quindi la forma corrispondente per alienarlo come capitale invece che come denaro o merce. Dal che per nessun motivo consegue che il prestito non possa anche essere una forma per operazioni che non hanno nulla a che fare con il processo di riproduzione capitalistico. Fino ad ora abbiamo considerato soltanto il movimento del capitale dato in prestito tra il suo proprietario e il capitalista industriale. Ora dobbiamo occuparci dell’interesse. Chi presta dà via il suo denaro come capitale; la somma di valore che egli cede a un altro è capitale e quindi rifluisce a lui. Il semplice riflusso verso di lui non sarebbe però riflusso, sotto forma di capitale, della somma di valore prestata, ma semplice restituzione di una somma di valore prestata. Per rifluire come capitale, la somma di valore anticipata deve non soltanto essersi conservata nel movimento, ma deve aver valorizzato se stessa, accresciuto la sua grandezza di valore, quindi deve ritornare con un plusvalore, come D + ΔD e questo ΔD è qui l’interesse o la parte del profitto medio che non rimane nelle mani del capitalista operante, ma tocca al capitalista monetario. Che il denaro venga da lui alienato come capitale, significa che gli deve essere restituito come D + ΔD. Occorre poi ancora considerare in particolare la forma in cui nel frattempo l’interesse rifluisce a determinate scadenze, ma senza il capitale, il cui rimborso segue soltanto alla fine di un periodo piuttosto lungo. Cosa dà il capitalista monetario a chi prende in prestito, al capitalista industriale? Cosa di fatto aliena? Soltanto l’atto dell’alienazione rende il prestito del denaro una alienazione del denaro come capitale, cioè un’alienazione del capitale come merce. È soltanto attraverso il processo di questa alienazione che il prestatore di denaro cede a un terzo capitale come merce, ovvero la merce, di cui dispone come capitale. Che cosa viene alienato nella comune vendita? Non il valore della merce venduta, poiché questo muta solo la forma. Esso esiste come prezzo idealmente nella merce, prima che trapassi realmente nella forma di denaro nelle mani del venditore. Lo stesso valore e la stessa grandezza di valore cambiano qui soltanto la forma. La prima volta essi esistono nella forma di merce, la seconda nella forma di denaro. Ciò che in effetti viene alienato dal venditore e quindi passa anche nel consumo individuale o produttivo del compratore, è il valore d’uso della merce, la merce come valore d’uso. Che cos’è allora il valore d’uso che il capitalista monetario aliena per il tempo del prestito e cede al capitalista produttivo, a colui che prende a prestito? È il valore d’uso contenuto nel denaro in quanto può essere trasformato in capitale, può operare come capitale e che quindi nel suo movimento genera un determinato plusvalore, il profitto medio (gli scostamenti in più o in meno appaiono qui accidentali), oltre a conservare la sua grandezza di valore originaria. Nelle altre merci il valore d’uso, alla fin fine, viene consumato, e allora scompare la sostanza della merce e con essa il suo valore. La merce capitale invece è caratterizzata dal fatto che, con il consumo del suo valore d’uso, il suo valore e il suo valore d’uso non solo si conservano, ma si accrescono. Il capitalista monetario cede al capitalista industriale questo valore d’uso del denaro come capitale — la capacità di produrre il profitto medio — per il tempo in cui gli mette a disposizione il capitale prestato. Il denaro così prestato ha in questo senso una certa analogia con la forza-lavoro contrapposta al capitalista industriale. Solo che quest’ultimo paga il valore della forza-lavoro, mentre del capitale preso in prestito ne rimborsa semplicemente il valore. Il valore della forza-lavoro per il capitalista industriale è questo: una volta utilizzata essa produce più valore (il profitto) di quanto possieda e di quanto costi. Questa eccedenza di valore è per il capitalista industriale il suo valore d’uso. E così, allo stesso modo, il valore d’uso del capitale monetario preso a prestito si presenta come sua capacità di creare e accrescere valore. Il capitalista monetario aliena di fatto un valore d’uso e così quello che egli cede viene ceduto come merce. E sotto questo aspetto l’analogia con la merce come tale è completa. In primo luogo vi è un valore che passa da una mano all’altra. Nel caso della merce semplice, della merce come tale, lo stesso valore rimane nelle mani del compratore o del venditore, soltanto in forma diversa; entrambi continuano a possedere lo stesso valore, che essi hanno alienato, l’uno nella forma di merce, l’altro nella forma di denaro. La differenza è che nel prestito il capitalista monetario è l’unico che in questa operazione dà via un valore; ma egli lo conserva con il futuro rimborso. Nel prestito riceve valore solo una delle parti, poiché solo una delle parti cede valore all’altra. In secondo luogo un effettivo valore d’uso viene alienato da una parte e viene ricevuto e utilizzato dall’altra. Ma, a differenza della comune merce, questo valore d’uso è esso stesso valore, cioè l’eccedenza della grandezza di valore, oltre la sua grandezza di valore originaria, che si crea attraverso l’uso del denaro come capitale. Questo valore d’uso è il profitto. Il valore d’uso del denaro preso a prestito è: poter operare come capitale e come tale produrre in condizioni normali il profitto medio. Che cosa paga allora il capitalista industriale e che cosa è dunque il prezzo del capitale prestato? Ciò che il compratore di una comune merce acquista è il suo valore d’uso; ciò che paga è il suo valore. Chi prende a prestito denaro acquista ugualmente il suo valore d’uso come capitale; ma cosa paga? Sicuramente non paga, come avviene nel caso delle altre merci, il suo prezzo o valore. Tra chi dà in prestito e chi prende a prestito non avviene, come tra compratore e venditore, un cambiamento di forma del valore, così che questo valore esiste una volta nella forma del denaro, l’altra volta nella forma della merce. L’identità del valore ceduto e del valore ricevuto in restituzione si mostra qui in tutt’altra maniera. La somma di valore, il denaro, viene data via senza equivalente e viene restituita dopo un certo tempo. Chi dà in prestito rimane sempre proprietario del medesimo valore, anche dopo che questo è passato dalle sue mani a quelle di chi ha ricevuto il prestito. Nello scambio semplice di merci il denaro è sempre dalla parte del compratore; nel prestito, invece, esso è dalla parte del venditore. E’ lui che cede il denaro per un certo tempo e il compratore del capitale è quello che lo riceve come merce. Ma questo è possibile solo in quanto il denaro opera come capitale e perciò viene anticipato. Chi riceve il prestito prende a prestito il denaro come capitale, come valore che si valorizza. Ma esso è dapprima soltanto capitale in sé, come ogni capitale nel suo punto di partenza, nel momento in cui viene anticipato. Soltanto con il suo uso esso si valorizza, si realizza come capitale. Ma chi lo riceve in prestito deve rimborsarlo appunto come capitale realizzato, quindi come valore più plusvalore (interesse); e quest’ultimo non può che essere soltanto una parte del profitto da lui realizzato. Soltanto una parte non il tutto. Infatti per chi prende a prestito, il valore d’uso è rappresentato dal fatto che il denaro gli produce profitto, altrimenti non ci sarebbe stata nessuna alienazione del valore d’uso da parte del prestatore. Del resto chi prende in prestito non può pretendere di ottenere tutto il profitto, altrimenti non pagherebbe nulla per la cessione del valore d’uso e rimborserebbe il denaro anticipato al prestatore soltanto come semplice denaro, non come capitale, come capitale realizzato, ossia come D + ΔD. Entrambi spendono la medesima somma di denaro come capitale, sia il prestatore che chi riceve il prestito. Ma soltanto nelle mani di quest’ultimo esso opera come capitale. Il profitto non viene raddoppiato per la doppia esistenza della medesima somma di denaro, come capitale per due persone. Esso può operare come capitale per ambedue soltanto mediante la ripartizione del profitto. La parte che tocca al prestatore si chiama interesse. In base a quanto premesso l’intera operazione avviene tra due specie di capitalisti, il capitalista monetario e il capitalista industriale o commerciale. Non bisogna dimenticare che qui il capitale in quanto capitale è merce, ovvero che la merce, di cui si tratta, è capitale. Tutti i rapporti che qui si presentano sarebbero perciò irrazionali dal punto di vista della semplice merce, o anche dal punto di vista del capitale, in quanto esso opera nel suo processo di produzione come capitale-merce. Prestare e prendere a prestito, invece che vendere e comperare, è qui una differenza che proviene dalla specifica natura della merce — il capitale. La stessa differenza si esprime nel fatto che ciò che qui viene pagato è interesse anziché prezzo della merce. Se si vuol intendere l’interesse come il prezzo del capitale monetario, si tratta di una forma irrazionale del prezzo, assolutamente in contraddizione con il concetto dei prezzo della merce . Il prezzo è qui ridotto alla sua forma puramente astratta e priva di contenuto, secondo cui esso è una somma di denaro determinata che viene pagata per qualunque cosa appaia in un modo o nell’altro come valore d’uso; invece, stando al suo concetto, il prezzo corrisponde al valore di questo valore d’uso, espresso in denaro. Interesse come prezzo del capitale è a priori un’espressione del tutto irrazionale. La merce ha qui un duplice valore, in primo luogo un valore e poi un prezzo, diverso da questo valore, ove il prezzo è l’espressione monetaria del valore. Il capitale monetario anzitutto non è altro che una somma di denaro, o il valore di una determinata massa di merci fissata come somma di denaro. Se una merce viene ceduta in prestito come capitale, essa non è che la forma travestita di una somma di denaro. Infatti quello che viene ceduto in prestito come capitale non è ad esempio un certo numero di quintali di cotone, ma quel tanto di denaro che esiste sotto la forma del cotone, come valore dello stesso. Il prezzo del capitale si riferisce perciò al capitale come somma di denaro, anche se non come mezzo di circolazione, come ritiene il sig. Torrens. Come può verificarsi che una somma di valore possa avere un prezzo oltre al proprio prezzo, oltre al prezzo espresso nella sua stessa forma monetaria? Il prezzo è appunto il valore della merce (e ciò vale anche per il prezzo di mercato, che si distingue dal valore non qualitativamente, ma solo quantitativamente, solo per quanto riguarda la grandezza del valore), che si distingue dal suo valore d’uso. Un prezzo che differisca qualitativamente dal valore è una contraddizione assurda. Il capitale si manifesta come tale attraverso la sua valorizzazione; il grado della sua valorizzazione esprime il grado quantitativo in cui si realizza come capitale. Il plusvalore o profitto da esso generato — il suo saggio e il suo livello — può essere misurato soltanto mediante un confronto col valore del capitale anticipato. Allo stesso modo la maggiore o minore valorizzazione del capitale produttivo d’interesse può quindi essere misurata soltanto confrontando l’ammontare dell’interesse, la parte del profitto complessivo che gli spetta, col valore del capitale anticipato. Come il prezzo esprime il valore della merce, l’interesse esprime dunque la valorizzazione del capitale monetario ed appare quindi come il prezzo che viene corrisposto a chi lo cede in prestito. Da ciò risulta che è a priori assurdo voler applicare qui direttamente, come fa Proudhon, i semplici rapporti dello scambio mediato dal denaro, i rapporti della compravendita. La premessa fondamentale è appunto che il denaro opera come capitale e può essere quindi ceduto a un terzo come capitale in sé, come capitale potenziale. Il capitale appare tuttavia come merce perfino là dove viene offerto sul mercato ed effettivamente viene alienato il valore d’uso del denaro come capitale. Ma il suo valore d’uso consiste nel generare profitto. Il valore del denaro o delle merci come capitale non è determinato dal loro valore come denaro e come merci, ma dalla quantità di plusvalore che essi producono per il loro possessore. Il prodotto del capitale è il profitto. Nella produzione capitalistica si tratta soltanto di un diverso impiego del denaro, se esso viene speso come denaro o anticipato come capitale. Il denaro, rispettiva mente la merce, è di per sé potenzialmente capitale, esattamente come la forza-lavoro è potenzialmente capitale. Infatti: 1) il denaro può essere trasformato in elementi di produzione e ne costituisce in realtà semplicemente l’espressione astratta, la loro esistenza come valore; 2) gli elementi materiali della ricchezza posseggono la proprietà di essere potenzialmente già capitale, perché l’opposto che li completa, che li rende capitale— il lavoro salariato — è presente nella produzione capitalistica. Il carattere sociale antagonistico della ricchezza materiale — il suo antagonismo col lavoro quale lavoro salariato — è espresso, a parte il processo di produzione, già nella proprietà di capitale in quanto tale. Questo momento particolare, separato dallo stesso processo di produzione capitalistico, di cui è un costante risultato e quindi una costante premessa, si esprime nel fatto che il denaro, e parimenti la merce, in sé e per sé, sono capitale in modo latente e potenziale, che essi possono essere venduti come capitale, rappresentando in questa forma il potere di disporre di lavoro altrui, il diritto di appropriarsi il lavoro altrui, costituendo quindi valore che si valorizza. Ne risulta con altrettanta chiarezza che questo rapporto, e non un qualsiasi lavoro fornito in contropartita dal capitalista, è il titolo e il mezzo per appropriarsi lavoro altrui. Inoltre il capitale si presenta come merce, in quanto la ripartizione del profitto in interesse e profitto vero e proprio viene regolata dalla domanda e dall’offerta, ossia dalla concorrenza; esattamente come i prezzi di mercato delle merci. Ma qui la differenza balza agli occhi al pari dell’analogia. Se la domanda e l’offerta si equilibrano, il prezzo dì mercato della merce corrisponde al suo prezzo di produzione; ossia il suo prezzo, in tal caso, appare regolato dalle leggi interne della produzione capitalistica, indipendentemente dalla concorrenza, poiché le oscillazioni della domanda e dell’offerta non spiegano altro se non le deviazioni dei prezzi di mercato dai prezzi. di produzione, deviazioni che si compensano a vicenda, di modo che i prezzi medi di mercato, in certi periodi abbastanza lunghi, sono uguali ai prezzi di produzione. Quando l’offerta e la domanda si equilibrano, queste forze cessano di agire, si annullano a vicenda, e la legge generale della determinazione del prezzo si manifesta allora anche come legge del caso singolo; il prezzo di mercato corrisponde allora già nella sua esistenza immediata, e non solo come media del movimento dei prezzi di mercato, al prezzo di produzione, che viene regolato dalle leggi immanenti del modo di produzione stesso. Lo stesso vale per la forza-lavoro. Se la domanda e l’offerta si equilibrano, la loro azione cessa, e il salario è uguale al valore della forza-lavoro. Diversamente stanno invece le cose per quanto riguarda l’interesse del capitale monetario. La concorrenza non determina qui le deviazioni da una legge, poiché qui non esiste una legge della ripartizione all’infuori di quella imposta dalla concorrenza, non esiste, infatti, come vedremo meglio in seguito, un livello “naturale” del saggio dell’interesse. Per saggio naturale dell’interesse s’intende invece il saggio determinato dalla libera concorrenza. Non vi sono limiti «naturali» del saggio dell’interesse. Dove la concorrenza non determina solo le deviazioni e le oscillazioni, dove quindi, con l’equilibrio delle forze operanti in senso opposto, cessa in generale ogni determinazione opposta, ciò che deve essere determinato è di per sé qualche cosa di arbitrario, che non è soggetto a nessuna legge. Approfondiremo questo argomento nel prossimo capitolo. Nel capitale produttivo d’interesse tutto si presenta come fatto esteriore: l’anticipo del capitale si presenta come semplice trasferimento dello stesso da chi dà in prestito a chi prende a prestito; il riflusso del capitale realizzato si presenta come semplice ritrasferimento, restituzione, con interessi, da parte di chi ha preso a prestito a chi ha prestato. Ciò vale anche per la determinazione immanente al modo di produzione capitalistico, secondo cui il saggio del profitto è determinato non solo dal rapporto tra il profitto conseguito in una singola rotazione e il valore-capitale anticipato, ma anche dalla durata di questa rotazione, secondo cui, cioè, il saggio del profitto esprime il profitto che il capitale industriale produce in determinati periodi di tempo. Anche questo, nel capitale produttivo d’interesse, assume una forma del tutto esteriore: chi presta riceve un determinato interesse per un tempo determinato. |
AVVERTENZA PER IL LETTORE Il testo del III libro del Capitale che viene qui riportato NON È UNA DELLE TRADUZIONI INTEGRALI DEL TESTO ORIGINALE che sono disponibili: esso infatti è una rivisitazione delle traduzioni esistenti (in italiano ed in francese) a cui sono state apportate le seguenti modifiche: 1 – non sono state riportate le note che Marx ed Engels richiamano nel testo (fatte salve alcune eccezioni); 2 – sono state introdotte delle modifiche per quanto riguarda gli esempi numerici in cui, per facilitare la lettura; a – sono state cambiate le unità di misura e le grandezze; b – diversi dati richiamati nella forma di testo sono stati trasformati in tabelle; c – in alcuni esempi numerici le cifre decimali sono state limitate a due e nel caso di numeri periodici, ad esempio 1/3 o 2/3, la cifra periodica è stata indicata con un apice (‘). Ci rendiamo conto che leggere un testo del Capitale in cui Marx formula esempi in Euro (€) invece che in Lire Sterline (Lst) o scellini potrebbe far sorridere e far pensare ad uno scherzo o ad una manipolazione che ha travisato il pensiero dell’Autore, avvertiamo invece il lettore che il testo è assolutamente fedele al pensiero originale e che ci siamo permessi di introdurre alcune “varianti” per consentire a coloro che non hanno dimestichezza con le unità di misura e monetarie inglesi di non bloccarsi di fronte a questa difficoltà e di facilitarne così la lettura o lo studio. In altre parti si sono invece mantenute le unità di misura e monetarie inglesi originali perchè la lettura non creava problemi di comprensione o per ragioni di fedeltà storica. Ci facciamo altresì carico dell’osservazione che Engels ha formulato nelle “considerazioni supplementari” poste all’inizio del III Libro, laddove, di fronte alle molteplici interpretazioni del testo che vennero fatte dopo la prima edizione, sostiene: “Nella presente edizione ho cercato innanzitutto di comporre un testo il più possibile autentico, di presentare, nel limite del possibile, i nuovi risultati acquisiti da Marx, usando i termini stessi di Marx, intervenendo unicamente quando era assolutamente necessario, evitando che, anche in quest’ultimo caso, il lettore potesse avere dei dubbi su chi gli parla. Questo sistema è stato criticato; si è pensato che io avrei dovuto trasformare il materiale a mia disposizione in un libro sistematicamente elaborato, en faire un livre, come dicono i francesi, in altre parole sacrificare l’autenticità del testo alla comodità del lettore. Ma non è in questo senso che io avevo interpretato il mio compito. Per una simile rielaborazione mi mancava qualsiasi diritto; un uomo come Marx può pretendere di essere ascoltato per se stesso, di tramandare alla posterità le sue scoperte scientifiche nella piena integrità della sua propria esposizione. Inoltre non avevo nessun desiderio di farlo: il manomettere in questo modo perchè dovevo considerare ciò una manomissione l’eredità di un uomo di statura così superiore, mi sarebbe sembrato una mancanza di lealtà. In terzo luogo sarebbe stato completamente inutile. Per la gente che non può o non vuole leggere, che già per il primo Libro si è data maggior pena a interpretarlo male di quanto non fosse necessario a interpretarlo bene — per questa gente è perfettamente inutile sobbarcarsi a delle fatiche”. Marx ed Engels non ce ne vogliano, ma posti di fronte alle molteplici “fughe” dallo studio da parte di persone che non possedevano una cultura accademica, fughe che venivano imputate alla difficoltà presentate dal testo, abbiamo deciso di fare uno “strappo” alle osservazioni di Engels, intervenendo in alcune parti avendo altresì cura di toccare il testo il meno possibile. Nel fare questo “strappo” eravamo tuttavia confortati dal fatto che, a differenza della situazione in cui Engels si trovava, oggi chi vuole accedere al testo “originale”, dispone di diverse edizioni in varie lingue. Coloro che volessero accostarsi al testo originale in lingua italiana si consigliano le seguenti edizioni:
Chi volesse accedere ad edizioni del Capitale e di altri testi di Marx in lingue estere, si propone di consultare il sito internet di seguito riportato:http://www.marxists.org/xlang/marx.htm |