IL CAPITALE

LIBRO III

SEZIONE II

TRASFORMAZIONE DEL PROFITTO IN PROFITTO MEDIO

CAPITOLO 12

CONSIDERAZIONI COMPLEMENTARI

I. CAUSE CHE DETERMINANO UNA VARIAZIONE DEI PREZZI DI PRODUZIONE.

Due sole circostanze possono determinare una variazione del prezzo di produzione di una merce:

Primo: quando si modifica il saggio generale del profitto.

Questo caso si può verificare unicamente se si modifica il saggio medio del plusvalore, oppure se, mantenendosi invariato il saggio medio del plusvalore, varia il rapporto fra la somma dei plusvalori acquisiti e la somma del capitale complessivo sociale anticipato.

La modificazione del saggio del plusvalore, che non deriva da una diminuzione o da un aumento del salario al di sotto o al di sopra del suo livello normale -  movimenti di tale natura sono da considerare solo come semplici oscillazioni -  può verificarsi unicamente in seguito ad un aumento o ad una diminuzione del valore della forza-lavoro; tale variazione, a sua volta, non si può verificare senza che abbia luogo una modificazione nella produttività del lavoro che fornisce i mezzi di sussistenza, ossia senza che abbia luogo una variazione del valore delle merci che entrano nel consumo degli operai.

Per quanto riguarda la variazione del rapporto fra la somma del plusvalore acquisito ed il capitale complessivo sociale anticipato, poiché essa non deriva in questo caso dal saggio del plusvalore, deve provenire dal capitale complessivo e precisamente dalla sua parte costante. La massa del capitale costante, considerata da un punto di vista tecnico, aumenta o diminuisce in rapporto alla forza lavoro acquistata dal capitale variabile e per conseguenza anche la massa del suo valore aumenta o diminuisce insieme con la sua massa stessa in rapporto alla massa di valore del capitale variabile. Se il medesimo lavoro mette in opera una quantità maggiore di capitale costante, la sua produttività è aumentata mentre risulta diminuita nel caso contrario. Se si è verificata una modificazione della produttività del lavoro e deve di conseguenza essersi manifestata una variazione nel valore di certe merci.

Per ambedue i casi vale dunque la legge seguente: quando in seguito ad una variazione del saggio generale del profitto si modifica il prezzo di produzione di una merce, il valore di questa merce può non avere subito variazioni; si deve tuttavia essere manifestata una modificazione nel valore di altre merci.

Secondo. Il saggio generale del profitto si mantiene costante.

In questo caso il prezzo di produzione di una merce può variare solo in seguito ad una variazione del suo valore, per il fatto che per la sua riproduzione si richiede una quantità maggiore o minore di lavoro, o perché si modifica la produttività del lavoro che fornisce la merce nella sua forma finale, o perché si modifica la produttività del lavoro che fornisce le merci che entrano in questa produzione. Ad esempio il prezzo di produzione del cotone filato può diminuire tanto in seguito ad una riduzione del prezzo del cotone grezzo, quanto per un aumento della produttività di lavoro ad esempio di filatura, dovuto ad un perfezionamento delle macchine.

Il prezzo di produzione (pdp), come abbiamo precedentemente dimostrato, è uguale a

pdp =  k + pm

ossia corrisponde al prezzo di costo (k)  più il profitto medio (pm).

Ora questa espressione è uguale a

pdp =  k + k ∙p’

dove (k), ossia il prezzo di costo, rappresenta una grandezza indeterminata che varia da una sfera di produzione all’altra, ma è sempre uguale al valore del capitale costante e variabile impiegato nella produzione della merce e (p’) è il saggio medio del profitto calcolato in percentuale.

Se ad esempio k = 200, e  p’ = 20%, il prezzo di produzione è uguale a

pdp = 200 + 200.20 :100 = 200 + 40 = 240.

È evidente che questo prezzo di produzione può rimanere invariato, quantunque si modifichi il valore delle merci.

Tutte le variazioni del prezzo di produzione delle merci si risolvono, in ultima analisi, in una variazione di valore; ma non tutte le variazioni di valore delle merci si traducono necessariamente in una variazione del prezzo di produzione, essendo questo determinato non solamente dal valore della merce particolare, ma dal valore complessivo di tutte le merci.

Un mutamento di valore della merce A può essere compensato da un mutamento di valore in senso contrario della merce B, cosicché il rapporto generale rimane invariato.

II. PREZZO DI PRODUZIONE DELLE MERCI DI COMPOSIZIONE MEDIA.

Si è visto che lo scarto fra i prezzi di produzione ed i valori proviene:

1) dal fatto che al prezzo di costo di una merce (k) viene aggiunto non il plusvalore che essa contiene, ma il profitto medio (pm).

2) dal fatto che il prezzo di produzione di una merce che differisce dal valore entra come elemento nel prezzo di costo di altre merci, cosicché il prezzo di costo di una merce può già contenere una deviazione dal valore dei mezzi di produzione in essa consumati, oltre alla deviazione che può per proprio conto verificarsi a causa della differenza fra il profitto medio ed il plusvalore.

È quindi possibile che anche le merci prodotte da capitali di composizione media presentino una differenza fra il loro prezzo di costo e la somma di valore degli elementi di cui si compone questa parte dei loro prezzi di produzione.

Supponiamo che la composizione media sia di 80c + 20v.

È possibile che nei capitali reali aventi una tale composizione, 80c sia superiore od inferiore al valore del  capitale costante (c),  per il fatto che (c) è costituito di merci il cui prezzo di produzione differisce dal loro valore. Parimenti 20v potrebbe differire dal suo valore, quando nel consumo degli operai entrano delle merci il cui prezzo di produzione differisce dal loro valore; l’operaio per ricomprare tali merci (ossia per sostituirle), deve lavorare per un periodo di tempo maggiore o minore, quindi deve fornire un ammontare di lavoro necessario maggiore o minore di quello che sarebbe richiesto qualora i prezzi di produzione dei mezzi di sussistenza necessari coincidessero con i loro valori.

Tale possibilità non toglie tuttavia  valore all’esattezza delle nostre conclusioni per quanto riguarda le merci di composizione media. La parte di profitto che si ridistribuisce su queste merci è uguale al plusvalore che esse contengono.

Per dare un esempio, nel nostro capitale di composizione 80c + 20v, l’elemento importante nella determinazione del plusvalore non consiste nel fatto che questi numeri esprimono dei valori reali ma piuttosto nel rapporto che esiste fra di essi ossia che (v) sia uguale ad 1/5 e (c) a 4/5 del capitale complessivo. Ogniqualvolta che si verifica questo caso, il plusvalore prodotto da (v) corrisponde, come si è supposto precedentemente, al profitto medio. D’altro lato poiché il plusvalore (pv) è uguale al profitto medio (pm), si ha:

prezzo di produzione = prezzo di costo + profitto medio = k + pm = k + pv,

ossia

pdp = valore della merce.

In questo caso un aumento od una diminuzione dei salari non influisce su (k + pm), come non influirebbe sul valore della merce dato che provoca unicamente un movimento in senso opposto del saggio del profitto, ossia una sua diminuzione o aumento.

Se in seguito ad un aumento o ad una diminuzione del salario si verificasse una variazione nel prezzo delle merci, il saggio del profitto in queste sfere di composizione media verrebbe infatti ad essere superiore od inferiore al suo livello nelle altre sfere.

È unicamente quando il prezzo rimane invariato che la sfera di composizione media conserva lo stesso livello di profitto delle altre sfere. In pratica, quindi, è come se i prodotti di queste sfere di composizione media venissero venduti ai loro valori reali.

Se delle merci vengono vendute ai loro valori reali, è evidente che, a parità di altre circostanze, ogni aumento o diminuzione del salario provoca una variazione inversa del profitto, senza influire sul valore delle merci e che, in tutti i casi, un aumento o una diminuzione del salario non può mai influenzare il valore delle merci, ma unicamente la grandezza del plusvalore.

III. BASI DI COMPENSAZIONE PER I CAPITALISTI.

Noi abbiamo detto che la concorrenza livella i saggi del profitto delle diverse sfere di produzione al saggio medio del profitto e trasforma così i valori dei prodotti di queste diverse sfere in prezzi di produzione. Questo processo si compie in virtù della incessante trasmigrazione del capitale da una sfera all’altra, dove momentaneamente il profitto è superiore alla media; si deve qui tuttavia tener conto delle oscillazioni del profitto che si succedono in un medesimo ramo industriale entro un’epoca determinata e che sono collegate all’alternarsi degli anni magri a quelli grassi.

Questi ininterrotti spostamenti del capitale fra le diverse sfere di produzione danno origine a movimenti ascendenti e discendenti del saggio del profitto, i quali, tuttavia, si compensano reciprocamente in grado maggiore o minore, manifestando così la tendenza a riportare ovunque il saggio del profitto al medesimo livello comune e generale.

Il movimento migratorio del capitale è in primo luogo provocato sempre dai prezzi di mercato che elevano i profitti al di sopra o li riducono al di sotto del livello medio generale.

Noi facciamo, astrazione per il momento dal capitale commerciale (del quale non dobbiamo qui ancora occuparci) che, come appare dai parossismi improvvisi della speculazione in certi articoli più ricercati, può con straordinaria rapidità sottrarre masse di capitale da un certo ramo di affari per gettarli bruscamente in un altro.

Ma in ogni sfera della produzione propriamente detta — industria, agricoltura, miniere ecc. — questo spostamento del capitale da una sfera ad un’altra incontra seri ostacoli, soprattutto a causa del capitale fisso esistente. Tanto più che l’esperienza insegna che, qualora un ramo industriale, per es. l’industria del cotone, offre in un certo periodo dei profitti straordinari, nel periodo seguente offre dei profitti assai minori o si trova anche in perdita, cosicché, considerando un determinato ciclo di anni, il profitto medio viene ad essere approssimativamente uguale a quello di altri rami.

Ed il capitale non tarda a far sua questa lezione di esperienza.

Ma quello che la concorrenza non mostra è la determinazione del valore, da cui dipende il movimento della produzione; ossia i valori che si nascondono dietro i prezzi di produzione e, in ultima analisi, li determinano. Al contrario essa mostra:

1) che i profitti medi sono indipendenti dalla composizione organica del capitale nelle diverse sfere di produzione, indipendenti quindi dalla massa di lavoro vivo acquisito da un capitale dato in una sfera di sfruttamento determinata;

2) l’aumento o la diminuzione dei prezzi di produzione in seguito ad una variazione dei salari ( fenomeno che, a prima vista, è in contraddizione assoluta con quello del rapporto di valore delle merci);

3) le oscillazioni del prezzo di mercato che riportano il prezzo medio di mercato delle merci di un determinato periodo, non al valore di mercato ma ad un prezzo di produzione di mercato che si scosta e si differenzia sensibilmente da tale valore di mercato.

Tutte queste manifestazioni sembrano essere in contraddizione tanto con la determinazione del valore da parte del tempo di lavoro quanto con la natura del plusvalore costituito dal pluslavoro non pagato. Nella concorrenza tutto ciò sembra invertito.

La forma definitiva dei rapporti economici, quale si manifesta alla superficie, nella sua esistenza reale, e quindi l’idea che gli agenti attivi e passivi di tali rapporti cercano di farsene per arrivare a comprenderli, differiscono considerevolmente dalla intima, essenziale, ma nascosta struttura fondamentale di questi rapporti e dal concetto che ad essi corrisponde, anzi ne rappresentano addirittura il rovesciamento, l’antitesi.

Inoltre, non appena la produzione capitalistica ha raggiunto un certo grado di sviluppo, il livellamento dei diversi saggi del profitto delle diverse sfere ad un unico generale saggio del profitto, non risulta più semplicemente dai movimenti d’attrazione e di repulsione con cui i prezzi di mercato attirano o respingono il capitale. Dopo che i prezzi medi ed i prezzi di mercato che ad essi corrispondono si sono stabilizzati per un certo periodo di tempo, i capitalisti individuali si rendono ben conto del fatto che tale livellamento risulta dalla compensazione di determinate differenze e le includono fin dal principio nei loro reciproci calcoli. Tali differenze continuano quindi ad essere presenti nella coscienza dei capitalisti e vengono da essi messe in conto come motivi di compensazione.

L’idea fondamentale è quella del profitto medio, vale a dire che capitali di pari grandezza devono dare nel medesimo spazio di tempo dei profitti uguali.

Essa si fonda a sua volta sul principio che il capitale di ogni sfera di produzione deve partecipare, pro rata della sua entità, al plusvalore complessivo estorto agli operai dal capitale complessivo sociale; ossia che ogni capitale individuale deve essere considerato come una frazione del capitale complessivo e che ogni capitalista non è in realtà che un semplice azionista dell’impresa complessiva della società che partecipa al profitto complessivo in proporzione della sua quota di capitale.

È in base a questa concezione che il capitalista fa i suoi conti e calcolando per esempio che un capitale il quale ha un periodo di rotazione più lungo, sia perché il processo di produzione della merce richiede maggiore tempo, sia perché essa deve essere venduta su mercati lontani, mette in conto il profitto che per tali motivi gli sfugge e si rifà del danno mediante un aumento del prezzo. Lo stesso si verifica per quegli investimenti di capitali che essendo esposti a dei rischi maggiori, per esempio quelli investiti nei trasporti commerciali marittimi, ricevono un rimborso nell’aumento dei prezzi. Non appena la produzione capitalistica si sviluppa e contemporaneamente ad essa il sistema delle assicurazioni, i rischi sono in realtà uguali per tutte le sfere di produzione (vedi Corbet); le più esposte pagano, è vero, premi di assicurazione più elevati, ma ne sono rimborsate dal prezzo delle loro merci.

In pratica tutto si riduce a questo: ogni circostanza che rende un investimento di capitale più lucroso ed un altro meno lucroso — e, fino a un certo punto, tutti gli investimenti sono considerati ugualmente necessari — viene messa in conto una volta per tutte come motivo di compensazione, senza che sia ogni volta necessario l’intervento della concorrenza per giustificare un tale motivo o fattore di calcolo. Solamente il capitalista dimentica — o piuttosto non comprende, poiché la concorrenza non glielo mostra — che tutte queste cause di compensazione, messe in conto reciprocamente dai capitalisti nella valutazione dei prezzi dei diversi rami di produzione, indicano semplicemente che tutti, pro rata del loro capitale, hanno diritto ad una parte uguale del bottino comune, del plusvalore complessivo.

Poiché il profitto che egli incassa è diverso dal plusvalore che estorce, gli sembra piuttosto che i suoi fattori di compensazione non determinino la sua quota di partecipazione al plusvalore complessivo, ma creino il profitto stesso, che questo sia originato semplicemente dalla aggiunta che egli fa per un motivo o per un altro al prezzo di costo delle merci.

Del resto quanto è stato detto nel cap. VII , sulle idee dei capitalisti riguardo alla fonte del plusvalore, può essere applicato anche al profitto medio, con questa sola differenza: che essendo dato il prezzo di mercato delle merci e lo sfruttamento del lavoro, l’economia che può essere realizzata sul prezzo di costo dipende dalla capacità individuale, attenzione, ecc.

 

AVVERTENZA PER IL LETTORE

Il testo del III libro del Capitale che viene qui riportato NON È UNA DELLE TRADUZIONI INTEGRALI DEL TESTO ORIGINALE che sono disponibili: esso infatti è una rivisitazione delle traduzioni esistenti (in italiano ed in francese) a cui sono state apportate le seguenti modifiche:

1 – non sono state riportate le note che Marx ed Engels richiamano nel testo (fatte salve alcune eccezioni);

2 – sono state introdotte delle modifiche per quanto riguarda gli esempi numerici in cui, per facilitare la lettura;

a – sono state cambiate le unità di misura e le grandezze;

b – diversi dati richiamati nella forma di testo sono stati trasformati in tabelle;

c – in alcuni esempi numerici le cifre decimali sono state limitate a due e nel caso di numeri periodici, ad esempio 1/3 o 2/3, la cifra periodica è stata indicata con un apice (‘).

Ci rendiamo conto che leggere un testo del Capitale in cui Marx formula esempi in Euro (€) invece che in Lire Sterline (Lst) o scellini potrebbe far sorridere e far pensare ad uno scherzo o ad una manipolazione che ha  travisato il pensiero dell’Autore, avvertiamo invece il lettore che il testo è assolutamente fedele al pensiero originale  e che ci siamo permessi di introdurre alcune “varianti” per consentire a coloro che non hanno dimestichezza con le unità di misura e monetarie inglesi di non bloccarsi di fronte a questa difficoltà e di facilitarne così la lettura o lo studio.

In altre parti si sono invece mantenute le unità di misura e monetarie inglesi originali perchè la lettura non creava problemi di comprensione o per ragioni di fedeltà storica.

Ci facciamo altresì carico dell’osservazione che Engels ha formulato nelle “considerazioni supplementari” poste all’inizio del III Libro, laddove, di fronte alle molteplici interpretazioni del testo che vennero fatte dopo la prima edizione, sostiene: “Nella presente edizione ho cercato innanzitutto di comporre un testo il più possibile autentico, di presentare, nel limite del possibile, i nuovi risultati acquisiti da Marx, usando i termini stessi di Marx, intervenendo unicamente quando era assolutamente necessario, evitando che, anche in quest’ultimo caso, il lettore potesse avere dei dubbi su chi gli parla. Questo sistema è stato criticato; si è pensato che io avrei dovuto trasformare il materiale a mia disposizione in un libro sistematicamente elaborato, en faire un livre, come dicono i francesi, in altre parole sacrificare l’autenticità del testo alla comodità del lettore. Ma non è in questo senso che io avevo interpretato il mio compito. Per una simile rielaborazione mi mancava qualsiasi diritto; un uomo come Marx può pretendere di essere ascoltato per se stesso, di tramandare alla posterità le sue scoperte scientifiche nella piena integrità della sua propria esposizione. Inoltre non avevo nessun desiderio di farlo: il manomettere in questo modo perchè dovevo considerare ciò una manomissione l’eredità di un uomo di statura così superiore, mi sarebbe sembrato una mancanza di lealtà. In terzo luogo sarebbe stato completamente inutile. Per la gente che non può o non vuole leggere, che già per il primo Libro si è data maggior pena a interpretarlo male di quanto non fosse necessario a interpretarlo bene — per questa gente è perfettamente inutile sobbarcarsi a delle fatiche”.

Marx ed Engels non ce ne vogliano, ma posti di fronte alle molteplici “fughe” dallo studio da parte di persone che non possedevano una cultura accademica, fughe che venivano imputate alla difficoltà presentate dal testo, abbiamo deciso di fare uno “strappo” alle osservazioni di Engels, intervenendo in alcune parti  avendo altresì cura di toccare il testo il meno possibile. Nel fare questo “strappo” eravamo tuttavia confortati dal fatto che, a differenza  della situazione in cui Engels si trovava, oggi chi vuole accedere al testo “originale”, dispone di diverse edizioni in varie lingue.

Coloro che volessero accostarsi al testo originale in lingua italiana si consigliano le seguenti edizioni:

  • Il capitale, Le Idee, Editori Riuniti, traduzione di Maria Luisa Boggeri;
  • Il capitale, Edizione Einaudi, traduzione di Maria Luisa Boggeri;
  • Il capitale, Edizione integrale - I mammut – Newton Compton, a cura di Eugenio Sbardella.

Chi volesse accedere ad edizioni del Capitale e di altri testi di Marx in lingue estere, si propone di consultare il sito internet di seguito riportato:

http://www.marxists.org/xlang/marx.htm