IL CAPITALE

LIBRO III

SEZIONE II

TRASFORMAZIONE DEL PROFITTO IN PROFITTO MEDIO

CAPITOLO 9

FORMAZIONE DI UN SAGGIO GENERALE DEL PROFITTO
(SAGGIO MEDIO DEL PROFITTO)
E TRASFORMAZIONE DEI VALORI DELLE MERCI IN PREZZI DI PRODUZIONE

La composizione organica del capitale dipende in ogni momento da due fattori: dal rapporto tecnico tra forza- lavoro e massa dei mezzi di produzione impiegati e dal prezzo di tali mezzi di produzione.

La composizione organica verrà considerata nella sua ripartizione percentuale.

La composizione organica di un capitale costituito per 4/5 da capitale costante (c) e da 1/5 da capitale variabile (v) viene pertanto espressa da una formula tipo:

C = c + v = 80c + 20v = 100

Nel raffronto verrà utilizzato un saggio invariabile del plusvalore (pv’) del 100%.

Il valore prodotto sarà pertanto:

M = c+ v + pv  = 80c + 20v + 20 pv = 120

L’entità del valore reale del prodotto dipende dall’entità della parte fissa del capitale costante (c) e dall’aliquota (cf) che entra o meno in essa e nel prodotto derivante dal logorio del macchinario.

Poiché tale fatto è del tutto irrilevante ai fini del saggio del profitto e quindi dell’indagine che si vuole fare, per semplificare il problema si supporrà che il capitale costante entri dappertutto in modo regolare e completo nel prodotto annuo di questi capitali.

Si supporrà inoltre che i capitali realizzino annualmente, nelle diverse sfere di produzione, il medesimo plusvalore in rapporto all’entità delle loro parti variabili e si farà per ora astrazione dalla differenza che la diversità dei tempi di rotazione può determinare a questo riguardo.

Questo punto particolare verrà esaminato più avanti.

Si prendano 5 sfere di produzione e si supponga che i capitali in esse impiegati abbiano ogni volta una diversa composizione organica, come nella tabella seguente:

 

c

v

C

pv

Valore prodotto

Valore della merce

pv%

p’%

I

80

20

100

20

40

120

100

20

II

70

30

100

30

60

130

100

30

III

60

40

100

40

80

140

100

40

VI

85

15

100

15

30

115

100

15

V

95

5

100

5

10

105

100

5

totale

390

110

500

110

220

610

 

110

Valor medio

78

22

100

22

44

122

 

22

Abbiamo ora nelle varie sfere di produzione, presupponendo uno sfruttamento uniforme del lavoro, saggi del profitto molto diversi corrispondenti alla diversa composizione organica dei capitali.

Si supponga ora che la somma dei capitali investiti nelle 5 sfere pari C = 500, rappresenti un capitale unico in cui le 5 sfere ne costituiscono gli elementi.

Questo capitale complessivo anticipato unico di 500 è composto da un capitale costante   c = 390 ed un capitale variabile v = 110. Fatto uguale a 100 il capitale complessivo C, in termini percentuali esso è  così strutturato:

 

c

v

C

pv

Valore prodotto

Valore della merce

pv%

p’%

totale

390

110

500

110

220

610

100

110

%

78

22

100

22

44

122

100

22

Come si vede la ripartizione percentuale corrisponde al valore medio delle cinque sfere.

Se si considerano i 5 capitali di 100 delle cinque sfere, come capitali costituenti ciascuno 1/5 del capitale complessivo di 500. A ciascuno di essi corrisponderebbe un plusvalore medio del 22 ed un saggio del profitto medio (p’m) del 22%.

Il valore medio delle merci prodotte da ognuno sarebbe di 122.

Il prodotto di ogni quinto del capitale complessivo anticipato C dovrebbe dunque essere venduto a 122.

Però, per non giungere a conclusioni errate, è necessario non eguagliare a100 tutti i prezzi di costo.

In base alla formula 80c + 20v e con un saggio del plusvalore del 100%, il valore complessivo delle merci prodotte dal capitale I (ammontante a 100) sarebbe 80c + 20v + 20pv = 120 se tutto il capitale costante entrasse nel prodotto annuo. Ciò può forse avvenire, in determinate circostanze, in certe sfere di produzione; ma difficilmente avverrebbe ove il rapporto fosse c : v  = 4 : 1. Per quanto riguarda i valori delle merci prodotte da ciascuno dei capitali ammontanti a 100, è quindi necessario tener conto del fatto che essi saranno diversi a seconda della diversa composizione di (c) in elementi fissi e circolanti, come pure del fatto che, essendo gli elementi fissi dei diversi capitali soggetti a un logorio più o meno rapido, essi aggiungono al prodotto in tempi eguali differenti quantità di valore. Ciò è però indifferente per quanto riguarda il saggio del profitto. Sia che gli 80c cedano al prodotto annuo un valore di 80, 50 o 5, o che il prodotto annuo sia pari a 80c + 20v + 20pv = 120, o a 50c + 20v + 20pv = 90, ovvero infine a 5c + 20v + 20pv = 45, l’eccedenza del valore del prodotto rispetto al suo prezzo di costo è in tutti questi casi sempre di 20. Ai fini della determinazione del saggio del profitto, questo 20 viene ogni volta riferito a un capitale di 100; quindi il saggio del profitto del capitale I è in tutti questi casi del 20%.

Il fatto che solo una parte del capitale costante, quella connessa al logorio delle macchine,  entri parzialmente ogni anno nel valore della merce non ha alcuna incidenza sul saggio del profitto dato che per la determinazione del saggio del profitto si deve considerare TUTTO il capitale fisso anticipato C.

Per chiarire meglio le cose, nella seguente tabella si è ipotizzato che nelle 5 sfere in cui è stato anticipato in ciascuna di esse  lo stesso capitale C = 100, venga consumato in quantità diverse  il capitale fisso connesso al logorio del macchinario. Si è così rideterminato il prezzo di costo (k) ed il valore della merce prodotta.

 

c

v

C

pv%

pv

valore prodotto

c’

v

Prezzo di costo
k = c’+v

Valore della merce
k+pv

p’%

I

80

20

100

100

20

40

50

20

70

90

20

II

70

30

100

100

30

60

51

30

81

111

30

III

60

40

100

100

40

80

51

40

91

131

40

VI

85

15

100

100

15

30

40

15

55

70

15

V

95

5

100

100

5

10

10

5

15

20

5

totale

390

110

500

100

110

220

202

110

312

 

110

Valor medio

78

22

 

 

22

 

 

 

 

 

22

Se i capitali I - V vengono nuovamente considerati come un unico capitale complessivo, si vede che anche in questo caso la composizione delle somme dei cinque capitali è

500 = 390c + 110v,

e che la composizione media,

100 = 78c + 22v,

rimane la stessa; come pure la media del plusvalore, pari al 22%.

Per quanto detto sopra, ipotizzando i cinque capitali come parti costituenti  ciascuno 1/5 di un capitale unico, il saggio del profitto in ciascuno di essi sarà pari al saggio del profitto medio (p’m), ossia al 22%.

Aggiungendo al prezzo di costo della merce di ciascuna sfera il relativo profitto (p), calcolato applicando il saggio del profitto medio a ciascuna capitale anticipato (p =  p’m . C) , otterremo il prezzo della merce.

 

c

v

C

pv

Valore della merce

Prezzo di costo
k

Profitto

Prezzo della merce

p’m%

Differenza tra prezzo e valore

I

80

20

100

20

90

70

22

92

22

+ 2

II

70

30

100

30

111

81

22

103

22

- 8

III

60

40

100

40

131

91

22

113

22

- 18

VI

85

15

100

15

70

55

22

77

22

+ 7

V

95

5

100

5

20

15

22

37

22

+ 17

Come si nota il prezzo delle merci di alcune sfere risulta superiore al proprio valore ed in altre inferiore.

Se il prezzo delle merci coincidesse con quello di vendita, esse verrebbero nel complesso vendute a:

2+7+17 = 26 al di sopra del loro valore

e

8 + 18 =  26 al di sotto del loro valore

Le differenze di prezzo si compenserebbero a vicenda a seguito dell’uniforme ripartizione del plusvalore o dell’aggiunta del profitto medio 22 per ogni 100 di capitale anticipato ai rispettivi prezzi di costo delle merci prodotte dai cinque capitali.

Una parte delle merci verrebbe quindi venduta al di sopra del valore nella proporzione in cui un’altra viene venduta al di sotto.

E’ solo la vendita a tali prezzi (coincidenza) che rende possibile un saggio del profitto uniforme del 22% per i cinque capitali, senza tener conto della loro diversa composizione organica.

I prezzi ottenuti facendo la media dei diversi saggi del profitto delle diverse sfere di produzione (saggio del profitto medio) ed  aggiungendola ai relativi prezzi di costo (k), sono i PREZZI DI PRODUZIONE.

I prezzi di produzione sono dunque basati sul presupposto di un SAGGIO GENERALE DEL PROFITTO il quale presuppone a sua volta che i saggi del profitto, presi in sè in ogni singola sfera di produzione, siano già stati ridotti ad altrettanti saggi medi ( considerando quindi i capitali delle varie sfere di produzione come uguali parti aliquote del capitale complessivo).

Questi speciali saggi del profitto sono in ogni sfera di produzione eguali a C e, come si è visto nella prima sezione di questo Libro, debbono essere ricavati dal valore della merce. Senza di ciò il saggio generale del profitto (e quindi anche il prezzo di produzione della merce) rimane un concetto assurdo e irrazionale.

Il prezzo di produzione della merce è dunque uguale al suo prezzo di costo (k) al quale viene aggiunto il profitto percentuale corrispondente al saggio generale del profitto (p’m), ovvero uguale al prezzo di costo della merce (k) più il profitto medio (pm).

In conseguenza della diversa composizione organica dei capitali impiegati nei diversi rami di produzione e del fatto che, a seconda della diversa aliquota della parte variabile in un capitale complessivo di entità determinata, capitali di eguale entità mettono in movimento quantità di lavoro molto diverse, essi si appropriano anche di quantità molto diverse di pluslavoro, ossia producono masse diverse di plusvalore.

I saggi del profitto dei vari rami di produzione sono quindi originariamente  molto diversi.

La CONCORRENZA compone questi saggi del profitto in un SAGGIO GENERALE DEL PROFITTO che rappresenta la MEDIA DI ESSI.

Si chiama PROFITTO MEDIO (pm) il profitto che, conformemente a questo saggio generale del profitto, tocca ad un capitale di entità determinata, qualunque sia la composizione organica.

pm = p’m . C

Il PREZZO di una merce che è pari al suo prezzo di costo (k) più la parte di profitto annuo medio sul capitale anticipato (pm)  nella produzione della merce ( e quindi non soltanto su quello consumato) e che tocca  alla merce stessa proporzionalmente alle sue condizioni di rotazione, è IL SUO PREZZO DI PRODUZIONE.

prezzo di produzione = k + pm = k + p’m . C

Si prenda ad esempio un capitale di 500 con un capitale fisso (cf) = 100 ed un logorio pari al 10% nel corso di un periodo di rotazione del capitale circolante (ccir) = 400 e si supponga che il profitto medio per la durata di questo periodo di rotazione sia p’m = 10%.

Il prezzo di costo del prodotto di questa rotazione sarà:

k = 10%.cf + (ccirc) = 10c + 400 = 410

Il prezzo di produzione sarà:

prezzo di produzione = 410 + 10% . 500 = 410 + 50 = 460

Sebbene i capitalisti delle diverse sfere di produzione ritraggano dalla vendita i valori – capitale consumati nella produzione delle loro merci, tuttavia non ritirano il plusvalore e, quindi, anche il profitto prodotto nella loro propria sfera a seguito della loro produzione, ma soltanto il plusvalore e quindi il profitto corrispondente a quella parte del plusvalore complessivo o di profitto complessivo ( prodotti dal capitale complessivo della società in un determinato periodo di tempo nel complesso di tutte le sfere di produzione) che, per effetto di una uguale ripartizione, tocca a ogni aliquota del capitale complessivo.

Ogni capitale anticipato, qualunque sia la sua composizione, ritrae in un anno o in altro periodo di tempo, la percentuale di profitto che in quel determinato periodo è stata prodotta da un’aliquota 100 del capitale complessivo.

Per quanto riguarda il profitto i vari capitalisti si trovano nelle condizioni di semplici azionisti di una società per azioni in cui le quote di profitto sono in percentuale egualmente ripartite per 100 e differiscono quindi per ciascuno di essi solo a seconda dell’entità del capitale con cui  ciascuno di essi ha concorso al complesso dell’impresa, cioè a seconda della loro proporzionale partecipazione all’impresa stessa, ossia del numero delle loro azioni.

Mentre la parte di questo prezzo delle merci, che sostituisce le parti di valore del capitale assorbite dalla loro produzione e deve quindi ricostituire questi valori-capitale che sono stati consumati, mentre questa parte (che è il prezzo di costo) è interamente determinata dalla spesa fatta entro le rispettive sfere di produzione, l’altro elemento del prezzo delle merci, cioè il profitto aggiunto a questo prezzo di costo, non dipende dalla massa del profitto prodotto da questo determinato capitale in questa determinata sfera di produzione in un dato tempo, ma dalla massa dei profitti che toccano in media durante un tempo determinato a ogni capitale impiegato, considerato come un’aliquota del capitale complessivo sociale impiegato nella produzione complessiva.

Quando dunque un capitalista vende le sue merci al prezzo di produzione, ritira danaro in proporzione dell’entità del valore del capitale da lui consumato nella produzione e ricava un profitto proporzionale al capitale che ha anticipato, considerato come semplice aliquota del capitale complessivo sociale.

I suoi prezzi di costo sono specifici. Il profitto addizionale su questo prezzo di costo è indipendente dalla sua particolare sfera di produzione.

Si supponga che i cinque investimenti di capitale sopra riportati nell’esempio appartengano ad una sola persona  e rappresentino altrettanti rami di produzione di merci diverse.

La percentuale di consumo (in capitale variabile e costante) del capitale impiegato, che avviene in ogni singolo impiego dei capitali I-V per la produzione di merci, sarebbe data; e questa parte di valore delle merci prodotte dai capitali I-V costituirebbe evidentemente un elemento del loro prezzo, poichè almeno questo prezzo è necessario per ricostituire la parte di capitale anticipata e consumata. Questi prezzi di costo sarebbero dunque diversi per ogni genere di merci prodotte dai capitali I-V e verrebbero quindi fissati dal capitalista in misura diversa.

Per quanto riguarda invece le diverse masse di plusvalore o di profitto prodotte dai medesimi capitali, il capitalista potrebbe benissimo considerarle come profitto del capitale complessivo da lui anticipato, di modo che a ogni cento del capitale stesso corrisponderebbe una determinata aliquota.

I prezzi di costo delle merci prodotte dall’impiego dei singoli capitali I-V sarebbero quindi diversi, ma la parte del prezzo di vendita proveniente dai profitti addizionali di ogni cento del capitale sarebbe in ogni caso eguale.

Il prezzo complessivo delle merci prodotte dai capitali I-V sarebbe quindi uguale al valore complessivo di esse, cioè alla somma dei prezzi di costo I – V più la somma del plusvalore o del profitto prodotto da I – V, di fatto rappresenterebbe l’espressione in denaro della quantità complessiva di lavoro, passato o aggiunto ex novo, contenuta nelle merci I – V.

In tal modo, considerando il complesso di tutti i rami della produzione, nella società la somma dei prezzi di produzione delle merci prodotte è pari alla somma dei valori di esse.

Questa asserzione sembra in contrasto col fatto che nella produzione capitalistica gli elementi del capitale produttivo sono di regola acquistati sul mercato, che i loro prezzi contengono quindi un profitto già realizzato e che per conseguenza il prezzo di produzione di un ramo dell’industria insieme col profitto che esso con tiene entra nel prezzo di costo dell’altro.

Ma se si mettono da un lato la somma dei prezzi di costo delle merci dell’intero paese e dall’altro la somma dei suoi profitti o plusvalori, è evidente che il conto deve tornare.

Prendiamo ad esempio una merce A il cui prezzo di costo contenga in sè i profitti di B, C, D, i quali a loro volta, contengono nei loro prezzi di costo i profitti di A.

Se facciamo il conto vedremo che il profitto di A manca nel suo stesso prezzo di costo, così come i profitti di B, C, D, mancano nel loro, nessuno di essi comprende il proprio profitto nel proprio prezzo di costo.

Se vi sono ad esempio n sfere di produzione ed in ciascuna di esse il profitto viene rappresentato da p, il complessivo prezzo di costo di tutte quelle sfere di produzione sarà:

prezzo di costo complessivo = K – n.p

Per quanto riguarda il calcolo complessivo , in quanto i profitti di una sfera di produzione entrano nel prezzo di costo dell’altra e quindi se ne tiene già conto agli effetti del prezzo complessivo del prodotto finale, essi non possono figurare una seconda volta dalla parte del profitto.

Se ciò avviene è soltanto perchè la merce stessa era un prodotto finale e quindi il suo prezzo di produzione non entra nel prezzo di costo di un’altra merce.

Se nel prezzo di costo di una merce entra una somma p per i profitti dei produttori dei mezzi di produzione ed a questo prezzo di costo si aggiunge un profitto p1, il profitto complessivo P sarà uguale a

P = p + p1

Prescindendo da tutte le aliquote di prezzo che entrano in qualità di profitto, il prezzo di costo complessivo (K) della merce sarà allora rappresentato dal suo prezzo di costo  meno P.

prezzo di costo complessivo K = prezzo di costo della merce  – P

Il prezzo di costo della merce sarà quindi dato da:

K + P = K + p + p1

Trattando del plusvalore, si è già visto nel Libro I (cap. VII, 2) che il prodotto di ogni capitale può essere considerato composto di due parti di cui una sostituisce semplicemente il capitale, mentre l’altra rappresenta soltanto il plusvalore.

L’applicazione di questo calcolo al prodotto complessivo della società dà luogo a rettifiche poichè, nel caso appunto dell’intera società, il profitto contenuto nel prezzo ad esempio del lino, non può figurare due volte, come parte del prezzo della tela e, al tempo stesso, come profitto del produttore di lino.

Il fatto che il plusvalore di A entra, ad esempio, nel capitale costante di B, non comporta quindi alcuna differenza fra profitto e plusvalore. Per quanto riguarda il valore delle merci è del tutto indifferente che il lavoro in esse contenuto consista di lavoro pagato o no, ciò indica soltanto che B paga il plusvalore di A.

Il plusvalore di A non può essere considerato due volte nel calcolo complessivo.

Ma la differenza è questa: oltre al fatto che il prezzo del prodotto ad esempio del capitale B differisce dal suo valore in quanto il plusvalore prodotto in B può essere superiore o inferiore al profitto aggiunto al prezzo del suo prodotto, la medesima condizione vale anche per le merci che costituiscono il capitale costante del capitale di B e indirettamente, anche la parte variabile del capitale in quanto costituisce i mezzi di sussistenza degli operai.

Per quanto riguarda la parte costante, essa è uguale al prezzo di costo più il plusvalore ovvero il prezzo di costo più il profitto, il quale a sua volta può essere  superiore o inferiore al plusvalore di cui prende il posto.

Per quanto riguarda il capitale variabile, il salario medio giornaliero è effettivamente sempre uguale al prodotto – valore del numero di ore lavorative occorrenti all’operaio per produrre i mezzi di sussistenza necessari, ma questo numero di ore è a sua volta alterato dalla differenza tra i prezzi di produzione dei necessari mezzi di sussistenza ed il loro valore.

Ciò viene tuttavia compensato dal fatto che se il plusvalore che entra in una merce è eccessivo, quello che entra in un’altra è piccolo e quindi le differenze di valore inerenti ai prezzi di produzione delle merci si compensano a vicenda.

In tutta la produzione capitalistica la LEGGE GENERALE si afferma come TENDENZA PREDOMINANTE solo in un modo assai complicato e approssimativo, sotto forma di una media, che non è mai possibile determinare, di oscillazioni incessanti.

Poiché il saggio generale del profitto è costituito dalla media dei diversi saggi del profitto su ogni cento unità di capitale anticipato in un determinato periodo di tempo, ad esempio in un anno, viene con ciò compensata anche la differenza dovuta ai diversi periodi di rotazione dei vari capitali.

Tuttavia tali differenze esercitano una decisa influenza sui diversi saggi del profitto delle diverse sfere di produzione, dalla media dei quali è costituito il saggio generale del profitto.

Nella illustrazione precedentemente data della formulazione del saggio generale del profitto, ogni capitale in ogni sfera di produzione è stato posto uguale a 100 allo scopo di rendere evidente la differenza percentuale dei saggi del profitto e quindi anche la differenza nel valore delle merci prodotte da capitali di uguale entità.

Ma s’intende che le vere masse del plusvalore  prodotto in ogni particolare sfera di produzione dipendono, essendo data la composizione  del capitale in ciascuna sfera, dall’entità dei capitali impiegati.

Il saggio particolare del profitto di una singola sfera di produzione non viene però influenzato dal fatto che si impiega un capitale di 100 o di suoi multipli:  m.100 o di x.m.100.

 

c

v

C

pv

Valore prodotto

Valore della merce

pv%

p’%

Ia

80

20

100

20

40

120

100

20

Ib

400

100

500

100

200

600

100

20

Ic

800

200

1000

200

400

1200

100

20

Poiché i saggi del profitto sono diversi nelle diverse sfere di produzione, mentre nella stessa, a seconda della proporzione del capitale variabile rispetto al capitale costante, vengono prodotte masse molto diverse di plusvalore e quindi di profitto (vedasi esempio sopra ), è chiaro che il profitto medio per ogni 100 unità di capitale sociale e quindi il saggio medio del profitto o il saggio generale del profitto saranno molto diversi a seconda delle rispettive grandezze dei capitali impiegati nelle diverse sfere.

Dati quattro capitali A,B,C,D facenti parte di un capitale complessivo di 400  ognuno composto da 100 unità

 

c

v

C

pv

Valore prodotto

Valore della merce

pv%

p’%

A

75

25

100

25

50

125

100

25

B

60

40

100

40

80

140

100

40

C

85

15

100

15

30

115

100

15

D

90

10

100

10

20

110

100

10

totale

310

90

400

90

180

490

 

90

Valor medio

77,5

22,5

100

22,5

 

 

 

22,5

se ora modifichiamo l’entità complessiva dei capitali, come sotto riportato:

 

c

v

C

pv

Valore prodotto

Valore della merce

pv%

p’%

A

150

50

200

50

100

250

100

25

B

180

120

300

120

240

420

100

40

C

850

150

1000

150

300

1150

100

15

D

3600

400

4000

400

800

4400

100

10

totale

4780

720

5500

720

1440

6220

 

 

Valor medio

1195

180

1375

180

 

 

 

13,09

Si osserverà che le masse dei valori complessivi prodotti sono diverse a seconda della diversa entità dei capitali complessivi anticipati in ciascuna sfera.

Nella formazione del saggio generale del profitto, non si tratta quindi soltanto della differenza dei saggi del profitto nelle diverse sfere di produzione, di cui basterebbe fare la media, bensì della proporzione in cui questi vari saggi del profitto contribuiscono alla formazione della media.

Ciò dipende però dalla grandezza relativa del capitale impiegato in ogni singola sfera, ovvero dall’entità dell’aliquota del capitale complessivo sociale costituita dal capitale impiegato in ogni particolare sfera di produzione.

Deve naturalmente verificarsi una fortissima differenza a seconda del profitto più o meno elevato dato da una maggiore o minor parte del capitale complessivo. E ciò dipende a sua volta dall’entità del capitale impiegato nella sfera in cui il capitale variabile è grande o piccolo in rapporto al capitale complessivo. Avviene esattamente in questo caso quanto si verifica in quello del saggio medio dell’interesse che un usuraio percepisce prestando capitali diversi a diversi saggi d’interesse, ad esempio al 4, 5, 6, 7%, ecc. Il saggio medio d’interesse dipende interamente dalla proporzione del capitale che egli ha prestato a ciascuno di quei diversi saggi d’interesse.

Il saggio generale del profitto è dunque determinato da due fattori:

1 – dalla composizione organica dei capitali nelle diverse sfere di produzione e, quindi, dai diversi saggi del profitto ad esse corrispondenti;

2 – dalla ripartizione del capitale complessivo sociale in queste diverse sfere, cioè dalla relativa entità del capitale impiegato in ogni singola sfera e, di conseguenza, ad un particolare saggio del profitto; cioè dalla proporzionale aliquota del capitale complessivo sociale assorbita da ogni singola sfera di produzione.

Nel libro I e II abbiamo studiato soltanto i valori delle merci.

Ora, da un lato il prezzo di costo si presenta alla nostra osservazione per conto proprio come una parte di questo valore mentre dall’altro assistiamo allo sviluppo di una nuova forma del valore, il prezzo di produzione della merce.

Se la composizione del capitale sociale medio è

80c + 20v = 100C

e il saggio del plusvalore annuo pv’ = 100%, il profitto medio annuo di un capitale C di 100 sarà

p’ = 20%

Qualunque sia il prezzo di costo (k) delle merci annualmente prodotte da un capitale di 100, il loro prezzo di produzione sarà

k + 20.

Rimanendo inalterato il saggio del plusvalore, nelle sfere di produzione in cui la composizione del capitale è

(80 – x)c + (20+x)v

il plusvalore realmente prodotto, ovvero il profitto annuo prodotto in una di esse, sarà 20+x, cioè maggiore di 20 ed il valore delle merci prodotte pari a:

k + 20 + x

a sua volta maggiore di k + 20, ovvero maggiore del prezzo di produzione.

Nelle sfere in cui invece, rimanendo inalterato il saggio del plusvalore, la composizione del capitale è

(80 + x)c + (20 - x)v

il plusvalore realmente prodotto, ovvero il profitto annuo prodotto in una di esse, sarà 20 - x , cioè minore di 20 ed il valore delle merci prodotte pari a:

k + 20 - x

minore del prezzo di produzione rappresentato da k +20.

Prescindendo da eventuali differenze nel periodo di rotazione, il prezzo di produzione delle merci sarebbe pari al loro valore soltanto in quelle sfere in cui la composizione del capitale fosse per avventura pari al capitale sociale medio, ossia nel caso preso in esame a:  80c + 20v.

Lo sviluppo specifico della forza produttiva sociale del lavoro differisce in ogni singola sfera di produzione, ossia è più elevata se la quantità dei mezzi di produzione messi in movimento da una determinata quantità di lavoro, cioè da un numero determinato di operai durante una data giornata lavorativa, è grande e quindi piccola la quantità di lavoro richiesta per una determinata quantità di mezzi di produzione.

Noi chiamiamo quindi capitali di composizione superiore quelli che contengono una percentuale maggiore di capitale costante (e pertanto minore di capitale variabile) di quella contenuta nel capitale sociale medio.

Viceversa chiamiamo capitali di composizione inferiore quelli in cui il capitale costante ha un peso relativamente minore (e il capitale variabile un peso relativamente maggiore) di quella del  capitale sociale medio.

Chiamiamo infine capitali di composizione media quelli in cui la composizione corrisponde alla composizione del capitale sociale medio.

Se la composizione percentuale del capitale sociale medio corrisponde ad esempio a 80c + 20v, un capitale di 90c + 10v sarà superiore mentre un altro di 70c + 30v sarà inferiore alla media sociale.

In generale, se la composizione del capitale sociale medio corrisponde a

mc + nv

in cui m e n rappresentano grandezze costanti e m + n = 100,

(m + x)c + (n—x)v

rappresenta la composizione superiore,

(m—x)c + (n + x)v

la composizione inferiore di un singolo capitale o di un gruppo di capitali.

Il funzionamento di questi capitali dopo la formazione del saggio medio del profitto, presupponendo che compiano una sola rotazione all’anno, è mostrato nel prospetto seguente in cui il capitale Ia rappresenta la composizione media ed il saggio medio del profitto è pari al 20%, ricordando che

prezzo di produzione =  prezzo di costo (k) + profitto medio (pm)

prezzo di produzione =  k + p’m . C

si ha

 

c

v

C

pv

Valore prodotto

Valore della merce

pv%

p’m%

Prezzo di produzione

Ia

80

20

100

20

40

120

100

20

120

Ib

90

10

100

10

20

110

100

20

120

Ic

70

30

100

30

60

130

100

20

120

Il valore delle merci prodotte dal capitale Ib è dunque inferiore al loro prezzo di produzione.

Il prezzo di produzione delle merci prodotte dal capitale Ic è invece inferiore al valore.

Valore e prezzo di produzione sono uguali nel caso del capitale Ia cui composizione coincide per caso con quella del capitale sociale medio.

Del resto, nell’applicare questi simboli a casi determinati, è evidente la necessità di tener conto del punto fino a cui lo scostamento dalla media generale del rapporto fra (c) e (v) è determinato non da una differenza nella composizione tecnica, ma da un semplice cambiamento di valore degli elementi del capitale costante.

Quanto sopra esposto introduce invero una modificazione nella determinazione del prezzo di costo delle merci.

Si era dapprima partiti dalla supposizione che il prezzo di costo di una merce sia uguale al valore delle merci consumate nella produzione di essa.

Però, per il compratore, il prezzo di produzione di una merce si identifica col prezzo di costo di essa e può quindi entrare come tale nella formazione del prezzo di una nuova merce.

Dato che il prezzo di produzione può differire dal valore della merce, anche il prezzo di costo di una merce, in cui è incluso il prezzo di produzione di altre, può essere superiore o inferiore a quella parte del valore complessivo di essa costituita dal valore dei mezzi di produzione che entrano in quella merce.

E’ necessario tener presente questo nuovo significato del prezzo di costo e ricordare quindi che un errore è sempre possibile quando, in una determinata sfera di produzione, il prezzo di costo della merce viene identificato col valore dei mezzi di produzione in essa consumati.

Rimane comunque esatto il principio che il prezzo di costo delle merci è costantemente inferiore al loro valore.

Per il capitalista, il fatto che il prezzo di costo della merce possa differire dal valore dei mezzi di produzione in essa contenuti, è indifferente dato che per lui il prezzo di costo delle merci è un prezzo dato, un presupposto indipendente, mentre il risultato della sua produzione è una merce che contiene plusvalore e quindi eccedenza di valore nei confronti del prezzo di costo.

Del resto l’affermazione che il prezzo di costo è inferiore al valore della merce è ora praticamente trasformata nell’altra che il prezzo di costo è inferiore a quello di produzione.

Per quanto riguarda il capitale complessivo sociale, in cui il prezzo di produzione è uguale al valore, quest’ultima affermazione è valida quanto la precedente in cui si asseriva che il prezzo di costo è inferiore al valore.

Benché essa abbia un senso differente per le particolari sfere di produzione, alla sua base rimane pur sempre il fatto che, per quanto riguarda il capitale complessivo sociale, il prezzo di costo delle merci da esso prodotte è inferiore al valore ovvero al prezzo di produzione il quale, in tal caso, per la massa complessiva delle merci prodotte è identico a questo valore.

Il prezzo di costo di una merce è in correlazione soltanto con la quantità di lavoro pagato in essa contenuto;

il valore è in correlazione con la quantità complessiva di lavoro pagato e non pagato in essa contenuto;

il prezzo di produzione, con la somma di lavoro pagato più una determinata quantità di lavoro non pagato indipendente dalla particolare sfera di produzione.

La formula in base alla quale il prezzo di produzione di una merce è data dal prezzo di costo più il profitto (p)

prezzo di produzione =  prezzo di costo (k) + profitto (p)

viene ora meglio determinata in quanto, dato il saggio generale del profitto (p’m), il profitto (p) è dato da:

p = k . p’m

Ne deriva che il prezzo di produzione è uguale a:

prezzo di produzione =  k + p’m . k = k.(1+p’m)

Ad esempio se il prezzo di costo è k = 300 ed il saggio generale del profitto p’m = 15%, il prezzo di produzione sarà di:

prezzo di produzione = 300. (1+15/100) = 300 . 1,15 = 345

Il prezzo di produzione delle merci può essere soggetto in ogni particolare sfera di produzione a mutamenti di grandezza nei casi seguenti:

1 – quando il valore delle merci rimane uguale ( in modo che nella produzione entri la stessa quantità di lavoro morto e di lavoro vivo) a causa di un cambiamento del saggio generale del profitto indipendente da quella sfera particolare;

2 – quando il saggio generale del profitto rimane lo stesso a causa di un cambiamento di valore che può avvenire in quella particolare sfera di produzione in conseguenza di un cambiamento tecnico, ovvero di un cambiamento di valore delle merci che entrano come elementi costitutivi nel suo capitale costante;

3  –  per l’azione concomitante di entrambe le circostanze precedenti.

Nonostante i grandi cambiamenti che si verificano costantemente negli effettivi saggi del profitto delle particolari sfere di produzione, un cambiamento reale nel saggio generale del profitto, che non sia l’eccezionale risultato di avvenimenti economici straordinari, deriva dall’assai lenta opera di una serie di oscillazioni che si compiono durante un periodo assai lungo, cioè di oscillazioni che impiegano molto tempo a consolidarsi e bilanciarsi, sì da comportare una modificazione del saggio generale del profitto.

Un cambiamento dei prezzi di produzione che avvenga in un periodo di tempo più breve ( prescindendo dalle oscillazioni dei prezzi del mercato) ha quindi la sua spiegazione, a prima vista, in un effettivo cambiamento di valore delle merci, cioè in un cambiamento della somma complessiva del tempo di lavoro necessario alla loro produzione.

E’ d’altro lato evidente che rispetto al capitale complessivo sociale, la somma di valore delle merci che esso produce (ossia, espresso in denaro, il loro prezzo) è uguale al valore del capitale costante (c) + il valore del capitale variabile (v) + il plusvalore (pv).

Supponendo costante il grado di sfruttamento del lavoro, il saggio del profitto può in tal caso variare, rimanendo invariata la massa del plusvalore, unicamente se cambia il valore del capitale costante o quello del capitale variabile o entrambi i valori, cosicché C cambia e di conseguenza cambia il rapporto pv/C ossia il

saggio generale del profitto = p’ = pv : C = pv : (c + v)

In ogni caso una variazione del saggio generale del profitto presuppone una variazione del valore delle merci che entrano come elementi costitutivi nel capitale costante o in quello variabile oppure contemporaneamente in entrambi.

Ovvero, se il valore delle merci rimane lo stesso, il saggio generale del profitto può cambiare se cambia il saggio generale del plusvalore, ossia il grado di sfruttamento del lavoro.

Se il grado di sfruttamento del lavoro rimane lo stesso (pv’), il saggio generale del profitto può cambiare se la somma del lavoro impiegato cambia in rapporto al capitale costante, in conseguenza di una modificazione tecnica del processo lavorativo.

Ma tali modificazioni tecniche si mostrano sempre e sono da esso sempre accompagnate, con un cambiamento di valore delle merci, la cui produzione esigerebbe ora una quantità maggiore o minore di lavoro nei confronti del periodo precedente.

Si è visto nella prima sezione che plusvalore e profitto, considerati dal punto di vista della massa, sono identici.

Il saggio del profitto (p’) è però fin dal principio diverso dal saggio del plusvalore (pv’) , ciò che dapprima appare come soltanto come un’altra forma di calcolo ma che pure dal principio oscura completamente o addirittura travisa l’origine reale del plusvalore (poichè il saggio del profitto può aumentare o decrescere mentre il saggio del plusvalore rimane costante o viceversa e poichè in pratica al capitalista interessa solo il saggio del profitto).

 Poichè nel saggio del profitto il plusvalore viene calcolato sul capitale complessivo anticipato e viene ad esso commisurato, il plusvalore sembra derivare dal capitale complessivo e precisamente da tutte le sue parti in eguale misura, in modo che nel concetto di profitto la differenza organica tra capitale costante e variabile viene a cessare; difatti il plusvalore, una volta assunta la nuova forma di profitto, rinnega la sua origine, perde il suo carattere e diviene irriconoscibile.

La differenza fra profitto e plusvalore si riferiva però ad un cambiamento di qualità, a una modificazione di forma, mentre in questa prima fase della trasformazione una reale differenza di entità esiste ancora soltanto fra saggio del profitto e saggio del plusvalore e non fra profitto e plusvalore.

La cosa cambia aspetto non appena viene prodotto un saggio generale del profitto e, in conseguenza di esso, un profitto medio corrispondente all’entità, determinata nelle diverse sfere della produzione, del capitale impiegato.

Si deve ora soltanto al caso se il plusvalore e, quindi, il profitto effettivamente prodotto in una particolare sfera di produzione, coincide con quello contenuto nel prezzo di vendita della merce.

Di regola il profitto ed il plusvalore e non soltanto il loro saggio, sono grandezze effettivamente differenti.

Con un determinato grado di sfruttamento del lavoro la massa del plusvalore prodotta in una particolare sfera di produzione è più importante per il complessivo profitto medio del capitale sociale e quindi per la classe capitalistica in generale, di quello che può essere direttamente per il capitalista entro ogni particolare sfera di produzione. Per esso ha importanza solo in quanto il plusvalore prodotto nel suo settore di attività interviene nella formazione del profitto medio. Ma questo è un processo che avviene a sua insaputa, che egli non vede né comprende e che, in realtà, non lo interessa.

La reale differenza di entità fra profitto e plusvalore nelle particolari sfere di produzione nasconde completamente la vera natura e l’origine del profitto non solo al capitalista ma allo stesso operaio.

La trasformazione dei lavori in prezzi di produzione, impedisce di vedere la base su cui si fonda la determinazione del valore.

Infine, nella semplice trasformazione del plusvalore in profitto, la parte di valore delle merci che costituisce il profitto si trova in opposizione all’altra che ne rappresenta il prezzo di costo.

A questo punto il concetto di valore sfugge già al capitalista in quanto egli non si trova in presenza del lavoro complessivo che la produzione delle merce costa, ma solo di quella parte di esso che egli ha pagato in forma di mezzi di produzione vivi o morti. Il profitto gli appare come qualcosa che rimane al di fuori del valore immanente della merce.

Si è formata così l’idea che entro una particolare sfera di produzione il profitto aggiunto al prezzo di costo non è determinato dai limiti della formazione di valore che in esso avviene, ma è invece determinato completamente al di fuori di esso.

Gli economisti sino ad ora hanno ignorato di mettere in luce le differenze fra plusvalore e profitti, tra saggio del plusvalore e saggio del profitto, fatti che invece ora, per la prima volta, vengono spiegati.

Anche il capitalista, che preso dalla lotta per la concorrenza, non è in grado di penetrare a fondo i fenomeni è assolutamente incapace di riconoscere l’essenza e la forma intrinseca di questo processo attraverso la sua apparenza.

Tutte le leggi esposte nella prima sezione sull’aumento e la diminuzione del saggio del profitto hanno in realtà il seguente doppio significato:

1 – da un lato esse sono le leggi del saggio generale del profitto.

Date le numerose e differenti cause che, secondo quanto è stato già esposto, fanno aumentare o decrescere il saggio del profitto, si potrebbe credere che il saggio generale del profitto debba variare ogni giorno. Ma il movimento che avviene in una sfera di produzione compensa quello che avviene in un’altra: le influenze interferiscono e si neuralizzano. Esamineremo più oltre la direzione verso cui le oscillazioni tendono in ultima analisi; ma esse sono lente. Il carattere improvviso, multilaterale, e la diversa durata di esse nelle singole sfere di produzione fanno sì che col tempo esse si compensano parzialmente nella loro successione; l’aumento di prezzo succede alla diminuzione e viceversa, per cui essi rimangono fenomeni locali, cioè limitati a una sfera particolare di produzione. Infine, le differenti oscillazioni locali si neutralizzano a vicenda.

 In seno a ogni singola sfera di produzione si verificano cambiamenti e scostamenti rispetto al saggio generale del profitto che, da un lato, si compensano in un determinato periodo di tempo senza ripercuotersi quindi sul saggio generale del profitto, mentre dall’altro non si ripercuotono su di esso in quanto vengono compensati da altre oscillazioni locali che si verificano contemporaneamente.

Il fatto che il saggio generale del profitto non è determinato soltanto dal saggio medio del profitto di ogni sfera, ma anche dalla ripartizione del capitale complessivo fra le diverse particolari sfere  e che tale ripartizione è soggetta a variazioni continue, costituisce a sua volta una causa costante di cambiamento del saggio generale del profitto.

Tale causa di cambiamento si paralizza però in gran parte da se stessa per effetto della continuità e universalità di questo movimento.

2 -  In ogni sfera di produzione vi è una zona in cui il saggio del profitto oscilla, per un tempo più o meno lungo, prima che questa oscillazione, dopo vari aumenti e diminuzioni, si sia abbastanza consolidata in modo da avere il tempo per influire sul saggio generale del profitto e quindi di acquistare una importanza che non sia soltanto locale.

Le leggi del saggio del profitto esposte nella prima sezione di questo libro sono dunque valide entro tali limiti di tempo e di spazio.

La teoria che - nella prima trasformazione del plusvalore in profitto – ogni parte del capitale produce una eguale aliquota di profitto esprime un fatto pratico.

Comunque sia composto il capitale industriale, sia che esso metta in movimento un quarto di lavoro morto e tre quarti di lavoro vivo, ovvero tre quarti di lavoro morto e un quarto di lavoro vivo, sia che nell’un caso assorba una quantità tripla di pluslavoro o che produca una quantità tripla di plusvalore che nell’altro, se il grado di sfruttamento del lavoro rimane lo stesso e si prescinde dalle differenze individuali, — che del resto scompaiono poichè in entrambi i casi noi esaminiamo soltanto la composizione media di tutta la sfera di produzione, — il profitto che il capitale industriale produce è lo stesso in entrambi i casi.

Il capitalista singolo (ovvero la totalità dei capitalisti di ogni particolare sfera di produzione), la cui visuale è limitata, crede con ragione che il suo profitto non provenga soltanto dal lavoro impiegato da lui o nel suo ramo di produzione.

Ciò è perfettamente esatto per quanto riguarda il suo profitto medio.

Fino a che punto questo profitto sia derivato dallo sfruttamento complessivo del lavoro operato dal capitale complessivo, cioè da tutti i capitalisti suoi colleghi, è per lui un assoluto mistero; tanto più che gli stessi teorici borghesi, gli economisti politici, non l’hanno sin’ora svelato.

Il risparmio di lavoro – non solo lavoro richiesto da un determinato prodotto, ma anche nel numero degli operai impiegati – e il maggiore impiego di lavoro morto (capitale costante), sembra una operazione perfettamente giusta dal punto di vista economico ed a  priori non sembra incidere in modo alcuno sul saggio generale del profitto e sul profitto medio.

Come potrebbe allora il lavoro vivo essere la fonte esclusiva di profitto se la diminuzione della massa di lavoro necessaria alla produzione non solo sembra incidere sul profitto, ma anzi, in certe condizioni, sembra essere la prima fonte di aumento di profitto, almeno per quanto riguarda il singolo capitalista?

Se in una data sfera di produzione di produzione la parte del prezzo di costo che rappresenta il valore del capitale costante, aumenta o diminuisce, essa proviene dalla circolazione ed entra fin dal principio ingrandita o diminuita nel processo di produzione della merce.

Se d’altro canto il numero degli operai impiegati produce di più o di meno nello stesso periodo di tempo e, quindi, restando uguale il numero di operai varia la quantità di lavoro richiesta per la produzione di una data quantità di merci, la parte del prezzo di costo che rappresenta il valore del capitale variabile può restare la stessa ed entrare quindi per una eguale grandezza nel prezzo del prodotto complessivo.

Ma su ognuna delle merci, la cui somma costituisce il prodotto complessivo, viene a ripartirsi una quantità maggiore o minore di lavoro (pagato e non pagato) e quindi una maggiore o minore spesa per tale lavoro, una maggiore o minore aliquota di salari.

Il salario complessivo pagato dal capitalista rimane lo stesso ma è diverso se viene calcolato per unità di merce prodotta. In quest’ultimo caso si avrebbe una modificazione in questa parte del prezzo di costo dato che verrebbe ripartita sul numero delle unità prodotte.

Aumenti o diminuisca il prezzo di costo delle singole merci per effetto di tale variazione di valore (sia che essa avvenga nella merce stessa o negli elementi che la costituiscono), aumenti o diminuisca il prezzo di costo della somma delle merci prodotte da un capitale di grandezza determinata, se il profitto medio è ad esempio del 10%, rimane del 10%; sebbene il 10%, considerando la singola merce, rappresenti una grandezza molto diversa a seconda del cambiamento di grandezza del prezzo di costo delle singole merci prodotto dal supposto cambiamento di valore. Quanto al capitale variabile — che è il più importante perchè è la fonte del plusvalore e perchè tutto ciò che maschera la sua relazione con l’arricchimento del capitalista travisa tutto il sistema — la cosa diviene più grossolana e si presenta al capitalista in questi termini: supponiamo che un capitale variabile di 24.000 € rappresenti, ad esempio, il salario settimanale di 100 operai.

Se questi 24.000 € (in base a una giornata lavorativa di una lunghezza determinata) danno un prodotto settimanale di 200 unità di merce, ossia 200 M, il prezzo di 1 M — prescindendo dalla parte del prezzo di costo aggiunta dal capitale costante — sarà (dato che 24.000 € = 200 M) eguale a 24.000 : 200  = 120 €.

Supponiamo ora che sia avvenuto un cambiamento nella forza produttiva del lavoro, cioè che questa sia raddoppiata e che lo stesso numero di operai producano 400 M nello stesso tempo in cui prima ne producevano 200. In questo caso (se il prezzo di costo è composto esclusivamente dal salario), essendo 24.000 € = 400 M, avremo :

1 M = 24.000 : 400 = 60 €.

Se la forza produttiva diminuisse della metà, lo stesso lavoro produrrebbe soltanto 100 M e dato che 24.000 € = 100M,  avremmo allora 1 M = 24.000 : 100 = 240 €.

I cambia menti nel tempo di lavoro necessario alla produzione delle merci, e quindi nel valore di esse, prendono ora, per quanto riguarda il prezzo di costo e quindi il prezzo di produzione, l’aspetto di una diversa ripartizione del medesimo salario su una quantità maggiore o minore di merci, a seconda della maggiore o minore quantità di n prodotte nello stesso tempo di lavoro e allo stesso salario. Ciò di cui il capitalista, e quindi anche l’economia, non si rendono conto è che la parte di lavoro pagato che entra in ogni unità di merce varia con la produttività del lavoro, ciò che comporta quindi anche una variazione nel valore di ogni singola unità; essi non si rendono conto che altrettanto accade per quanto riguarda il lavoro non pagato contenuto in ogni articolo, e tanto meno se ne rendono conto in quanto il profitto medio è in realtà solo casualmente determinato dal lavoro non pagato assorbito nella sua stessa sfera di produzione. Solo in questa forma rozza e irrazionale traspare ancora il fatto che il valore delle merci è determinato dal lavoro in esse contenuto.

 

AVVERTENZA PER IL LETTORE

Il testo del III libro del Capitale che viene qui riportato NON È UNA DELLE TRADUZIONI INTEGRALI DEL TESTO ORIGINALE che sono disponibili: esso infatti è una rivisitazione delle traduzioni esistenti (in italiano ed in francese) a cui sono state apportate le seguenti modifiche:

1 – non sono state riportate le note che Marx ed Engels richiamano nel testo (fatte salve alcune eccezioni);

2 – sono state introdotte delle modifiche per quanto riguarda gli esempi numerici in cui, per facilitare la lettura;

a – sono state cambiate le unità di misura e le grandezze;

b – diversi dati richiamati nella forma di testo sono stati trasformati in tabelle;

c – in alcuni esempi numerici le cifre decimali sono state limitate a due e nel caso di numeri periodici, ad esempio 1/3 o 2/3, la cifra periodica è stata indicata con un apice (‘).

Ci rendiamo conto che leggere un testo del Capitale in cui Marx formula esempi in Euro (€) invece che in Lire Sterline (Lst) o scellini potrebbe far sorridere e far pensare ad uno scherzo o ad una manipolazione che ha  travisato il pensiero dell’Autore, avvertiamo invece il lettore che il testo è assolutamente fedele al pensiero originale  e che ci siamo permessi di introdurre alcune “varianti” per consentire a coloro che non hanno dimestichezza con le unità di misura e monetarie inglesi di non bloccarsi di fronte a questa difficoltà e di facilitarne così la lettura o lo studio.

In altre parti si sono invece mantenute le unità di misura e monetarie inglesi originali perchè la lettura non creava problemi di comprensione o per ragioni di fedeltà storica.

Ci facciamo altresì carico dell’osservazione che Engels ha formulato nelle “considerazioni supplementari” poste all’inizio del III Libro, laddove, di fronte alle molteplici interpretazioni del testo che vennero fatte dopo la prima edizione, sostiene: “Nella presente edizione ho cercato innanzitutto di comporre un testo il più possibile autentico, di presentare, nel limite del possibile, i nuovi risultati acquisiti da Marx, usando i termini stessi di Marx, intervenendo unicamente quando era assolutamente necessario, evitando che, anche in quest’ultimo caso, il lettore potesse avere dei dubbi su chi gli parla. Questo sistema è stato criticato; si è pensato che io avrei dovuto trasformare il materiale a mia disposizione in un libro sistematicamente elaborato, en faire un livre, come dicono i francesi, in altre parole sacrificare l’autenticità del testo alla comodità del lettore. Ma non è in questo senso che io avevo interpretato il mio compito. Per una simile rielaborazione mi mancava qualsiasi diritto; un uomo come Marx può pretendere di essere ascoltato per se stesso, di tramandare alla posterità le sue scoperte scientifiche nella piena integrità della sua propria esposizione. Inoltre non avevo nessun desiderio di farlo: il manomettere in questo modo perchè dovevo considerare ciò una manomissione l’eredità di un uomo di statura così superiore, mi sarebbe sembrato una mancanza di lealtà. In terzo luogo sarebbe stato completamente inutile. Per la gente che non può o non vuole leggere, che già per il primo Libro si è data maggior pena a interpretarlo male di quanto non fosse necessario a interpretarlo bene — per questa gente è perfettamente inutile sobbarcarsi a delle fatiche”.

Marx ed Engels non ce ne vogliano, ma posti di fronte alle molteplici “fughe” dallo studio da parte di persone che non possedevano una cultura accademica, fughe che venivano imputate alla difficoltà presentate dal testo, abbiamo deciso di fare uno “strappo” alle osservazioni di Engels, intervenendo in alcune parti  avendo altresì cura di toccare il testo il meno possibile. Nel fare questo “strappo” eravamo tuttavia confortati dal fatto che, a differenza  della situazione in cui Engels si trovava, oggi chi vuole accedere al testo “originale”, dispone di diverse edizioni in varie lingue.

Coloro che volessero accostarsi al testo originale in lingua italiana si consigliano le seguenti edizioni:

  • Il capitale, Le Idee, Editori Riuniti, traduzione di Maria Luisa Boggeri;
  • Il capitale, Edizione Einaudi, traduzione di Maria Luisa Boggeri;
  • Il capitale, Edizione integrale - I mammut – Newton Compton, a cura di Eugenio Sbardella.

Chi volesse accedere ad edizioni del Capitale e di altri testi di Marx in lingue estere, si propone di consultare il sito internet di seguito riportato:

http://www.marxists.org/xlang/marx.htm