IL CAPITALE LIBRO II SEZIONE III
LA RIPRODUZIONE E LA CIRCOLAZIONE CAPITOLO 20 RIPRODUZIONE SEMPLICE I. IMPOSTAZIONE DEL PROBLEMA. Se consideriamo la funzione annua del Capitale sociale[42] — cioè del capitale complessivo, di cui i capitali individuali costituiscono soltanto frammenti, il cui movimento è tanto il loro movimento individuale quanto, contemporaneamente, un elemento integrante del movimento del capitale complessivo — nel suo risultato, cioè se consideriamo il prodotto-merce che la società fornisce durante l’anno, deve apparire in qual modo avvenga il processo di riproduzione del capitale sociale, quali caratteri distinguano questo processo di riproduzione dal processo di riproduzione di un capitale individuale, e quali caratteri siano comuni ad entrambi. Il prodotto annuo comprende tanto le parti del prodotto sociale che sostituiscono capitale, la [produzione, rispettivamente] riproduzione sociale, quanto le parti che entrano nel fondo di consumo e vengono consumate da operai e capitalisti, cioè tanto il consumo produttivo quanto quello individuale. Esso comprende [oltre alla riproduzione del mondo delle merci] anche la riproduzione (cioè conservazione) della classe capitalistica e della classe operaia, e quindi anche la riproduzione del carattere capitalistico dell’intero processo di produzione. È evidente che dobbiamo analizzare la figura della circolazione.
nella quale il consumo ha necessariamente una parte: infatti il punto di partenza M’ = M + m, il capitale-merce, include tanto il valore-capitale costante e variabile quanto il plusvalore. Il suo movimento, perciò, comprende tanto il consumo individuale quanto quello produttivo. Nei cicli D — M...P...M’ — D’ e P...M’ — D’ — M... P, il movimento del capitale è punto di partenza e di arrivo: ciò che in realtà include anche il consumo, poichè la merce, il prodotto, dev’essere venduta. Ma presupposto che ciò sia avvenuto, per il movimento del capitale singolo è indifferente che cosa diventi in seguito questa merce. Invece nel movimento di M’... M’ le condizioni della riproduzione sociale sono riconoscibili appunto dal fatto che dev’essere dimostrato che cosa diventa ogni parte di valore di questo prodotto complessivo M’. Il processo complessivo di riproduzione include qui tanto il processo di consumo mediato dalla circolazione, quanto il processo di riproduzione del capitale stesso. E precisamente, per gli scopi che ci stanno dinanzi, dobbiamo esaminare il processo di riproduzione dal punto di vista tanto della sostituzione del valore quanto della sostituzione della materia delle singole parti costitutive di M’. Ora non possiamo più, come abbiamo fatto nell’analisi del valore dei prodotti del capitale singolo, accontentarci di presupporre che il singolo capitalista può prima convertire in denaro le parti costitutive del suo capitale mediante la vendita dal suo prodotto-merce e poi ritrasformarle in capitale produttivo, ricomperando gli elementi di produzione sul mercato delle merci. Quegli elementi di produzione, in quanto sono di natura materiale, rappresentano una parte costitutiva del capitale sociale, esattamente come il prodotto individuale finito, che si scambia e si sostituisce con essi. D’altro lato, il movimento della parte del prodotto-merce sociale che viene consumata dall’operaio che spende il suo salario e dal capitalista che spende il plusvalore, costituisce non soltanto un elemento integrante del movimento del prodotto complessivo, ma si intreccia con il movimento di capitali individuali, e perciò non possiamo spiegare questo processo presupponendolo semplicemente. La questione si presenta immediatamente in questo modo: il capitale consumato nella produzione come viene sostituito, secondo il suo valore [e secondo la sua forma naturale] dal prodotto annuo, e come si intreccia il movimento di questa sostituzione con il consumo del plusvalore da parte dei capitalisti e del salario da parte degli operai? Si tratta quindi, per ora, della riproduzione su scala semplice. Inoltre, si presuppone non soltanto che i prodotti si scambino secondo il loro valore, ma anche che non avvenga alcuna rivoluzione di valore nelle parti costitutive del capitale produttivo. Le differenze tra prezzi e valori non possono del resto esercitare alcun influsso sul movimento del capitale sociale. Si scambiano complessivamente sempre le stesse masse di prodotti, sebbene i singoli capitalisti vi partecipino secondo rapporti di valore che non sarebbero più proporzionali ai loro rispettivi anticipi ed alle masse di plusvalore singolarmente prodotte da ciascuno di essi. Per quanto riguarda poi le rivoluzioni di valore, esse non cambiano nulla ai rapporti tra le parti costitutive di valore del prodotto sociale annuo, purché siano universalmente e ugualmente ripartite. Invece se sono ripartite parzialmente e non ugualmente, rappresentano perturbamenti, che, in primo luogo, possono essere intesi come tali soltanto se vengono considerate deviazioni da rapporti costanti di valore; in secondo luogo, poi, se è dimostrata la legge secondo la quale una parte di valore del prodotto annuo sostituisce capitale costante, un’altra sostituisce capitale variabile, una rivoluzione sia nel valore del capitale costante sia nel valore del capitale variabile non cambierebbe nulla a questa legge. Essa cambierebbe soltanto la grandezza relativa delle parti di valore che operano nell’una o nell’altra qualità, perchè i valori originari sarebbero sostituiti da altri valori. Finché abbiamo esaminato la produzione del valore e il valore dei prodotti del capitale in quanto capitale individuale, la forma naturale del prodotto-merce era del tutto indifferente per l’analisi, consistesse essa ad esempio in macchine oppure in grano oppure in specchi. Si trattava sempre di un esempio, e qualunque ramo di produzione poteva ugualmente servire da illustrazione. Ciò con cui avevamo a che fare era direttamente il processo di produzione stesso, che in ogni punto si presenta come processo di un capitale individuale. In quanto si considerava la riproduzione del capitale, era sufficiente presupporre che entro la sfera della circolazione la parte del prodotto-merce che rappresenta valore-capitale, trovi l’occasione di ritrasformarsi nei suoi elementi di produzione e perciò nella sua forma di capitale produttivo; come era sufficiente presupporre che operaio e capitalista trovino già sul mercato le merci in cui spendono salario e plusvalore. Questo modo puramente formale di esposizione non è più sufficiente, quando si consideri il capitale complessivo sociale e il suo prodotto-valore. La ritrasformazione di una parte del valore dei prodotti in capitale, il passaggio di un’altra parte nel consumo individuale sia della classe capitalistica che della classe operaia, Costituisce un movimento entro lo stesso valore dei prodotti, nel quale si è espresso il risultato del capitale complessivo; e questo movimento è non soltanto sostituzione di valore ma sostituzione d materia, e perciò è determinato tanto dal rapporto reciproco delle parti costitutive di valore del prodotto sociale quanto dal loro valore d’uso, dalla loro figura materiale. La riproduzione semplice[43] su scala invariata appare come un’astrazione in quanto, da un lato, su base capitalistica, l’assenza di ogni accumulazione o riproduzione su scala allargata è un’ipotesi improbabile, dall’altro, le condizioni nelle quali si produce non rimangono perfettamente invariate (e questo è presupposto) in anni differenti. Il presupposto è che un capitale sociale di valore dato fornisca tanto nell’anno precedente che nel presente nuovamente la stessa massa di valori-merce e soddisfi la stessa quantità di bisogni sebbene possano mutarsi le forme delle merci nel processo di riproduzione. Ma, quando si svolge l’accumulazione, la riproduzione semplice ne costituisce sempre una parte, può essere quindi considerata a sé ed è un fattore reale dell’accumulazione. Il valore del prodotto annuo può diminuire, sebbene rimanga costante la massa dei valori d’uso; il valore può rimanere lo stesso, sebbene diminuisca la massa dei valori d’uso; massa di valore e massa dei valori d’uso riprodotti possono diminuire contemporaneamente. Tutto ciò si riduce al fatto che la riproduzione si svolge in circostanze o più favorevoli di prima, o più difficili, le quali possono risultare in una riproduzione incompleta, manchevole. Tutto ciò può influire soltanto sul lato quantitativo dei differenti elementi della riproduzione, ma non sulle funzioni che assolvono, come capitale riproduttore o come reddito riprodotto, nel processo complessivo. II. LE DUE SEZIONI DELLA PRODUZIONE SOCIALE[44] Il prodotto complessivo, quindi anche la produzione complessiva, della società si suddivide in due grandi sezioni: I. Mezzi di produzione, merci che possiedono una forma in cui devono, o almeno possono, entrare nel consumo produttivo. Il. Mezzi di consumo, merci che possiedono una forma in cui entrano nel consumo individuale della classe capitalistica e della classe operaia. In ciascuna di queste sezioni tutti i differenti rami di produzione ad essa appartenenti costituiscono un unico grande ramo di produzione, gli uni, quello dei mezzi di produzione, gli altri, quello dei mezzi di consumo. Il capitale complessivo impiegato in ciascuno dei due rami di produzione costituisce una grande sezione particolare del capitale sociale. In ogni sezione il capitale si suddivide in due parti costitutive: 1) Capitale variabile. Questo, considerato secondo il valore, è uguale al valore della forza-lavoro sociale impiegata in questo ramo di produzione, cioè uguale alla somma dei salari per essa spesi. Considerato secondo la materia, esso consiste della forza-lavoro stessa che si attiva, cioè del lavoro vivente messo in movimento da questo valore-capitale. 2) Capitale costante, cioè il valore di tutti i mezzi di produzione impiegati in questo ramo per la produzione. Questi a loro volta si suddividono in capitale fisso: macchine, strumenti di lavoro, fabbricati, bestiame da lavoro ecc.; e in capitale costante circolante: materiali di produzione come materie prime ed ausiliarie, semilavorati, ecc. Il valore del prodotto complessivo annuo, fabbricato con l’aiuto di questo capitale in ognuna delle due sezioni, si suddivide in una parte di valore che rappresenta il capitale costante (c) consumato nella produzione e, secondo il suo valore, solamente trasferito sul prodotto, e nella parte di valore aggiunta mediante il lavoro complessivo annuo. Quest’ultima si suddivide a sua volta nella sostituzione del capitale variabile (v) anticipato e nell’eccedenza rispetto ad esso, che costituisce il plusvalore (pv). Come il valore di ogni singola merce, così anche quello del prodotto complessivo annuo di ciascuna sezione si suddivide in c + v + pv. La parte di valore (c) che rappresenta il capitale costante consumato nella produzione, non coincide con il valore del capitale costante impiegato nella produzione. Le materie di produzione sono interamente consumate e il loro valore perciò è trasferito interamente al prodotto. Ma soltanto una parte del capitale fisso impiegato è stata interamente consumata, perciò il suo valore è passato al prodotto. Un’altra parte del capitale fisso, macchine, fabbricati ecc. continua tuttora ad esistere e a operare, sia pure con un valore diminuito dal logorio annuo. Questa parte del capitale fisso che continua a operare non esiste per noi, se consideriamo il valore dei prodotti. Essa costituisce una parte del valore-capitale indipendente da questo valore-merce di nuova produzione, presente accanto ad esso. Ciò si è mostrato già quando abbiamo esaminato il valore dei prodotti di un capitale singolo (Libro I, cap. VI,). Ma qui dobbiamo per ora fare astrazione dal modo di indagine là impiegato. Nel considerare il valore dei prodotti del capitale singolo, abbiamo visto che il valore sottratto al capitale fisso dal logorio si trasferisce nel prodotto-merce fabbricato durante il tempo del logorio, sia che una parte di questo capitale fisso durante questo tempo venga sostituita in natura da questo valore trasferito, o no. Qui invece, nell’esaminare il prodotto complessivo sociale e il suo valore, siamo costretti a far astrazione, almeno per ora, dalla parte di valore trasferita durante l’anno nel prodotto annuo con il logorio del capitale fisso, nella misura in cui questo capitale fisso non è stato anche sostituito di nuovo in natura durante l’anno. In un paragrafo successivo di questo capitolo discuteremo poi separatamente tale punto. Porremo a base della nostra indagine sulla riproduzione semplice lo schema seguente, in cui: c = capitale costante, v = capitale variabile, pv = plusvalore e il rapporto di valorizzazione è supposto uguale ai 100%. I numeri possono indicare milioni di marchi, di franchi o di sterline [o di euro]. I. Produzione di mezzi di produzione:
esistenti in mezzi di produzione. II. Produzione di mezzi di consumo:
esistenti in mezzi di consumo. Ricapitolando, il prodotto-merce complessivo annuo:
Secondo il nostro presupposto dal valore complessivo di 9.000, è escluso il capitale fisso che continua a operare nella sua forma naturale. Se ora esaminiamo le conversioni necessarie sulla base della riproduzione semplice, quando cioè l’intero plusvalore viene consumato improduttivamente, trascurando per il momento la circolazione monetaria che ne è il nesso, ne risultano immediatamente tre importanti punti basilari. 1) I 500v, salario degli operai, e i 500pv, plusvalore dei capitalisti della sezione Il, devono essere spesi in mezzi di consumo. Ma il loro valore esiste in mezzi di consumo del valore di 1.000, che nelle mani dei capitalisti, sezione II, sostituiscono i 500v anticipati e rappresentano i 500pv. Salario e plusvalore della sezione II, dunque, vengono entro la sezione II scambiati contro il prodotto di Il. Con ciò scompaiono dal prodotto complessivo (500v + 500pv) Il = 1.000 in mezzi di consumo. 2) I 1.000v + 1.000pv della sezione I devono essere parimenti spesi in mezzi di consumo, cioè in prodotto della sezione II. Devono dunque scambiarsi contro 2.000c, cioè contro la parte di capitale residua di questo prodotto, costante e di uguale importo. La sezione II riceve per essa un importo uguale di mezzi di produzione, prodotto dalla I, in cui è incorporato il valore dei 1.000v + 1.000pv della I. Scompaiono così dal computo 2.000 IIc e (1.000v + 1.000pv) I. 3) Rimangono ancora 4.000 Ic. Questi consistono in mezzi di produzione che possono essere utilizzati soltanto nella sezione I, servono a sostituire il suo capitale costante consumato e trovano perciò il loro assestamento attraverso un reciproco scambio tra i singoli capitalisti della I, così come i (500v + 500pv) Il lo trovano attraverso lo scambio tra gli operai e i capitalisti, rispettivamente tra i singoli capitalisti della Il. Questo va detto per ora, unicamente per una migliore comprensione di quanto segue.
III. LO SCAMBIO TRA LE DUE SEZIONI: I (v + pv) CONTRO IIc[45] Cominciamo con il grande scambio tra le due classi. (1.000v + 1.000pv) I questi valori che nelle mani dei loro produttori esistono nella forma naturale di mezzi di produzione, si scambiano contro 2.000 IIc, contro valori che esistono nella forma naturale di mezzi di consumo. Per tal mezzo la classe capitalistica II ha riconvertito il suo capitale costante pari a 2.000 dalla forma di mezzi di consumo in quella di mezzi di produzione dei mezzi di consumo, in una forma in cui può nuovamente operare come fattore del processo lavorativo e per la valorizzazione come valore-capitale costante. D’altro lato, con questo mezzo l’equivalente per la forza-lavoro in I (1.000v) e il plusvalore dei capitalisti I (1.000pv) è realizzato in mezzi di consumo; ambedue sono convertiti dalla loro forma naturale di mezzi di produzione in una forma naturale in cui possono essere consumati come reddito.
Questa reciproca conversione si effettua però attraverso una circolazione monetaria che la media tanto quanto ne rende difficile la comprensione, ma che è di importanza decisiva perchè la parte variabile di capitale deve presentarsi sempre di nuovo in forma di denaro, come capitale monetario che dalla forma di denaro si converte in forza-lavoro. Il capitale variabile dev’essere anticipato in forma di denaro in tutte le branche che svolgono la loro attività contemporaneamente una accanto all’altra in tutto l’ambito della società, sia che appartengano alla categoria I oppure alla II. Il capitalista compra la forza-lavoro prima che entri nel processo di produzione, ma la paga solo a termini convenuti, dopo che essa è stata già spesa nella produzione di valore d’uso. Come la rimanente parte di valore del prodotto, gli appartiene anche quella parte che è soltanto un equivalente per il denaro speso in pagamento della forza-lavoro, cioè la parte di valore del prodotto che rappresenta il valore-capitale variabile. In questa stessa parte di valore, l’operaio gli ha già fornito l’equivalente per il suo salario. Ma è la ritrasformazione della merce in denaro, la sua vendita, a ricostituire al capitalista il suo capitale variabile come capitale monetario, che egli può di nuovo anticipare nell’acquisto di forza-lavoro. Nella sezione I dunque il capitalista complessivo ha pagato agli operai 1.000 Lst. (dico Lst. solo per indicare che è valore in forma di denaro) ossia 1.000v per la parte di valore, già esistente come parte (v), del prodotto I, cioè dei mezzi di produzione da essi prodotti. Con queste 1.000 Lst. gli operai comprano dai capitalisti Il mezzi di consumo per lo stesso valore, e trasformano così in denaro una metà del capitale costante II; i capitalisti Il, a loro volta, con queste 1.000 Lst. comprano mezzi di produzione del valore di 1.000 dai capitalisti I; con ciò il valore-capitale variabile pari a 1.000v, che esisteva come parte del loro prodotto nella forma naturale di mezzi di produzione, è per questi ultimi ritrasformato in denaro, e nelle mani dei capitalisti I può ora operare nuovamente come capitale monetario che viene convertito in forza-lavoro, cioè nell’elemento più essenziale del capitale produttivo. Per questa via rifluisce loro in forma di denaro il loro capitale variabile, in conseguenza del realizzo di una parte del loro capitale-merce.
Quanto al denaro necessario allo scambio della parte (pv) del capitale-merce I contro la seconda metà della parte costante del capitale II, esso può venire anticipato in diversi modi. Nella realtà, questa circolazione comprende una innumerevole massa di singole compra vendite dei capitalisti individuali delle due categorie, ma il denaro deve provenire in ogni caso da questi capitalisti, poichè abbiamo già eliminato la massa di denaro messa in circolazione dagli operai. Ora è un capitalista della categoria Il che compra dai capitalisti della categoria I mezzi di produzione con il suo capitale monetario presente accanto al capitale produttivo, ora è, all’inverso, un capitalista della categoria I che compra mezzi di consumo presso i capitalisti della categoria Il dal suo fondo monetario destinato non alle spese di capitale ma alle spese personali. Come si è visto già sopra, nei paragrafi I e Il, devono essere presupposte certe scorte monetarie — sia per anticipare capitale sia per spendere reddito — in ogni caso presenti accanto al capitale produttivo nelle mani dei capitalisti. Supponiamo — qui la proporzione è del tutto indifferente ai nostri fini — che la metà del denaro venga anticipata dai capitalisti II nell’acquisto di mezzi di produzione per la sostituzione del loro capitale costante, e l’altra metà spesa dai capitalisti I per il consumo. La sezione II anticipa allora 500 Lst. e compra con esse dalla I mezzi di produzione, sostituendo con ciò in natura (comprendendo le summenzionate 1.000 Lst. provenienti dagli operai I) 3/4 del suo capitale costante; la sezione I con le 500 Lst. così ottenute compera dalla II mezzi di consumo ed ha quindi compiuto, per la metà del suo capitale-merce consistente in (pv), la circolazione m — d — m, realizzando questo suo prodotto in fondo di consumo. Attraverso questo secondo processo, le 500 Lst. ritornano nelle mani della II come capitale monetario che essa possiede accanto al suo capitale produttivo. D’altro lato, la I per la metà della parte (pv) del suo capitale-merce ancora giacente come prodotto — prima della sua vendita — anticipa una spesa di denaro dell’ammontare di 500 Lst. per l’acquisto di mezzi di consumo II. Con le stesse 500 Lst. la II compra mezzi di produzione dalla I, ed ha così sostituito in natura il suo intero capitale costante (1.000 + 500 + 500 = 2.000), mentre la I ha realizzato l’intero suo plusvalore in mezzi di consumo.
Complessivamente si sarebbe svolto uno scambio di merci dell’ammontare di 4.000 Lst. con una circolazione monetaria di 2.000 Lst.; la grandezza di quest’ultima dipende unicamente dal fatto che, secondo la nostra ipotesi, il prodotto complessivo annuo viene scambiato tutto in una volta in poche, grandi quote. L’importante è qui soltanto che la II non solo ha riconvertito nella forma di mezzi di produzione il suo capitale costante riprodotto nella forma di mezzi di consumo, ma per di più le ritornano le 500 Lst. che essa ha anticipato alla circolazione nell’acquisto di mezzi di produzione, e che la I parimenti non soltanto possiede nuovamente in forma di denaro, come capitale monetario che di nuovo è convertibile direttamente in forza-lavoro, il suo capitale variabile che essa riproduce nella forma di mezzi di produzione, ma che per di più le rifluiscono le 500 Lst. che, prima della vendita della parte di plusvalore del suo capitale, essa ha speso anticipandole nell’acquisto di mezzi di consumo. Ma esse le rifluiscono non in conseguenza dell’esborso fatto, bensì in conseguenza della susseguente vendita di una parte del suo prodotto-merce depositaria di metà del suo plusvalore. In ambedue i casi, non soltanto il capitale costante della Il viene riconvertito dalla forma di prodotto nella forma naturale di mezzi di produzione, nella quale soltanto può operare come capitale; e, parimenti, non soltanto la parte variabile di capitale della I viene convertita in forma di denaro, e la parte di plusvalore dei mezzi di produzione I in una forma adatta al consumo, in una forma in cui può essere consumata come reddito. Ma inoltre, alla Il rifluiscono le 500 Lst. di capitale monetario che essa ha anticipato nell’acquisto di mezzi di produzione, prima di vendere quella corrispondente parte di valore del capitale costante, esistente in forma di mezzi di consumo, che la compensa; e, per di più, alla I rifluiscono le 500 Lst. che essa ha speso, anticipando, nell’acquisto di mezzi di consumo. Se alla Il rifluisce il denaro anticipato sul conto della parte costante del suo prodotto-merce, e alla I il denaro anticipato sul conto di una parte di plusvalore del suo prodotto-merce, ciò avviene unicamente perché la prima categoria di capitalisti oltre al capitale costante esistente in forma di merce Il, e la seconda categoria, oltre al plusvalore esistente in forma di merce I, avevano immesso nella circolazione ciascuna altre 500 Lst. in denaro. In conclusione, le due categorie si sono reciprocamente pagate per intero mediante lo scambio dei loro rispettivi equivalenti-merce. Il denaro che hanno immesso nella circolazione, oltre all’ammontare di valore delle loro merci, come mezzo di questo scambio di merci, ritorna a ciascuna di esse dalla circolazione, pro rata (in proporzione) delle quote di esso che ciascuna delle due ha immesso nella circolazione. Ciò non le ha arricchite di un soldo. II possedeva un capitale costante pari a 2.000 in forma di mezzi di consumo + 500 in denaro; possiede ora 2.000 in mezzi di produzione e 500 in denaro come prima; così I possiede un plusvalore di 1.000 (in merci, mezzi di produzione trasformati ora in fondi di consumo) + 500 in denaro, come prima. Ne consegue in generale: del denaro che i capitalisti industriali mettono in circolazione perché la loro circolazione delle merci si possa compiere, sia sul conto della parte costante di valore della merce sia del plusvalore esistente nelle merci, in quanto viene speso come reddito, ritorna nelle mani dei rispettivi capitalisti esattamente quanto essi hanno anticipato per la circolazione monetaria. Quanto alla ritrasformazione del capitale
variabile della classe I in forma di denaro, esso esiste per i
capitalisti I, dopo che essi l’hanno sborsato in salario, dapprima
nella forma di merci in cui gli operai l’hanno loro fornito. Essi l’hanno
pagato a questi ultimi in forma di denaro come prezzo della loro
forza-lavoro. In questo senso, essi hanno pagato la parte costitutiva di
valore del loro prodotto-merce, che è uguale a questo capitale variabile
sborsato in denaro. Per questo essi sono proprietari anche di questa parte
del prodotto- merce. Ma la parte della classe operaia da essi impiegata
non è compratrice dei mezzi di produzione da essa stessa prodotti; è
compratrice dei mezzi di consumo prodotti dalla Il. Ne deriva che nella riproduzione semplice la somma di valore (v + pv) del capitale-merce I (quindi anche una corrispondente parte proporzionale del prodotto-merce complessivo I) dev’essere uguale al capitale costante (c) parimenti isolato come parte proporzionale del prodotto-merce complessivo della classe Il; ossia I (v+pv) = IIc. IV. LO SCAMBIO ENTRO LA SEZIONE II. MEZZI DI SUSSISTENZA NECESSARI E OGGETTI DI LUSSO. Del valore del prodotto-merce della sezione Il restano ancora da esaminare le parti costitutive (v + pv). Tale indagine non ha nulla a che fare con la questione più importante di cui qui ci occupiamo: cioè in qual misura la suddivisione del valore di ogni individuale prodotto-merce capitalistico in c + v + pv, valga parimenti per il valore del prodotto complessivo annuo anche se attuata per mezzo di differenti forme fenomeniche. Questa questione viene risolta mediante lo scambio di I (v + pv) contro IIc, da un lato, mediante l’esame, da effettuare in un secondo tempo, della riproduzione di Ic nel prodotto-merce annuo I, dall’altro. Poiché Il (v + pv) esiste nella forma naturale di articoli di consumo, poiché il capitale variabile anticipato agli operai in pagamento della forza-lavoro dev’essere da questi in complesso speso in mezzi di consumo, e poiché la parte di valore (pv) delle merci, presupposta la riproduzione semplice, di fatto viene spesa come reddito in mezzi di consumo, è chiaro prima facie che gli operai Il con il salario ricevuto dai capitalisti Il ricomprano una parte del proprio prodotto, corrispondente alla grandezza del valore monetario ricevuto come salario. Per questa via i capitalisti della sezione Il ritrasformano in forma di denaro il loro capitale monetario anticipato nel pagamento di forza-lavoro; esattamente come se avessero pagato gli operai con puri e semplici contrassegni di valore.
Questi contrassegni realizzati dagli operai con l’acquisto di una parte del prodotto-merce da essi prodotto e appartenente ai capitalisti, ritornerebbero nelle mani dei capitalisti, solo che qui il contrassegno non soltanto rappresenta un valore, ma lo possiede nella sua corporeità di oro o di argento. Approfondiremo in seguito l’indagine di questa specie di riflusso del capitale variabile anticipato in forma di denaro che si attua mediante un processo in cui la classe operaia compare come acquirente e la classe capitalistica come venditrice. Qui però dobbiamo esaminare un’altra questione riguardante questo riflusso del capitale variabile al suo punto di partenza. La categoria Il della produzione annua di merci consta dei più svariati rami d’industria, i quali però — rispetto ai loro prodotti — possono essere suddivisi in due grandi sottosezioni: a) mezzi di consumo che entrano nel consumo della classe operaia e, in quanto sono mezzi necessari di sussistenza, costituiscono anche una parte del consumo della classe capitalistica, sebbene in questo caso spesso siano differenti per qualità e valore da quelli della classe operaia. Per il nostro scopo, possiamo raggruppare tutta questa sottosezione sotto la denominazione: mezzi di consumo necessari, dove è del tutto indifferente se un prodotto, come ad esempio il tabacco, dal punto di vista fisiologico sia o no un mezzo necessario di consumo; è sufficiente che lo sia per consuetudine; b) mezzi di consumo di lusso, che entrano solo nel consumo della classe capitalistica, e possono quindi essere scambiati soltanto contro l’esborso di plusvalore, che non tocca mai all’operaio.
Quanto alla prima sottosezione, è chiaro che il capitale variabile anticipato nella produzione dei generi di merci che le appartengono, deve rifluire direttamente in forma di denaro a quella parte dei capitalisti II (cioè ai capitalisti IIa) che produce questi mezzi necessari di sussistenza. Essi li vendono ai propri operai per l’ammontare del capitale variabile ad essi pagato in salario. Questo riflusso è diretto, in relazione all’intera sottosezione a dei capitalisti Il, per quanto numerose possano essere le transazioni tra i capitalisti dei differenti rami d’industria che ne fanno parte, mediante le quali questo capitale variabile rifluente viene ripartito pro rata. Sono processi di circolazione i cui mezzi di circolazione vengono forniti direttamente dal denaro speso dagli operai. Diversamente avviene invece per la sottosezione IIb. Tutta la parte del prodotto-merce di cui si tratta qui, IIb (v + pv), esiste nella forma naturale di articoli di lusso, cioè di articoli che la classe operaia non può comprare, così come non può comprare il valore-merce Iv che esiste nella forma di mezzi di produzione; sebbene questi oggetti di lusso, come quei mezzi di produzione, siano prodotti di questi operai. Il riflusso, mediante il quale il capitale variabile anticipato in questa sottosezione ritorna ai produttori capitalistici nella sua forma di denaro, non può dunque essere diretto ma dev’essere mediato, analogamente come sub Iv. Supponiamo, ad esempio , come sopra per l’intera classe Il: v = 500; pv = 500; ma il capitale variabile e il plusvalore ad esso corrispondente siano ripartiti come segue: Sottosezione a:
mezzi necessari di sussistenza: v
= 400, pv = 400; quindi una massa di merce in mezzi necessari di
consumo, del valore di 400v + 400pv = 800, ossia: Sottosezione b:
oggetti di lusso del valore di 100v
+ 100pv = 200, ossia:
Gli operai di IIb hanno ricevuto in denaro come pagamento della loro forza-lavoro 100, diciamo 100 sterline; con esse comprano dai capitalisti IIa mezzi di consumo dell’ammontare di 100. Questa categoria di capitalisti compra con tale denaro merce IIb per un importo di 100, ed ai capitalisti IIb rifluisce così in forma di denaro il loro capitale variabile.
In IIa già 400v esistono di nuovo in forma di denaro nelle mani dei capitalisti per effetto dello scambio che questi hanno attuato con i propri operai; inoltre, della parte del loro prodotto che rappresenta il plusvalore, un quarto è stato ceduto agli operai IIb e per essa IIb (100v) acquistata in merci di lusso.
Supponiamo ora che il reddito speso dai capitalisti IIa e IIb sia ripartito nelle stesse proporzioni in mezzi necessari di sussistenza e oggetti di lusso, che ambedue spendano 3/5 in mezzi necessari di sussistenza e 2/5 in oggetti di lusso. I capitalisti della sottoclasse IIa sborseranno il loro reddito di plusvalore di 400pv per 3/5 in prodotti propri, mezzi necessari di sussistenza, cioè 240; e per 2/5 = 160, in oggetti di lusso. I capitalisti della sottoclasse IIb ripartiranno il loro plusvalore = 100pv allo stesso modo: 3/5 = 60 in mezzi necessari e 2/5 = 40 in oggetti di lusso; questi ultimi sono prodotti e convertiti entro la loro propria sottoclasse.
I 160 in oggetti di lusso che riceve (IIa)pv, affluiscono ai capitalisti IIa come segue: dei (IIa)400pv, come abbiamo visto, 100 sono stati scambiati in forma di mezzi necessari di sussistenza con un uguale ammontare di (IIb) che esistono in oggetti di lusso e altri 60 in mezzi necessari di sussistenza sono stati scambiati con (IIb) 60pv in oggetti di lusso.
Il computo totale si presenta allora: IIa: 400v + 400pv; IIb: 100v + 100pv. 1) 400v (a) vengono consumati dagli operai IIa, del cui prodotto (mezzi necessari di sussistenza) costituiscono una parte; gli operai li comprano dai produttori capitalistici della propria sezione. Con ciò ritornano a questi 400 Lst. in denaro, il loro valore-capitale variabile di 400, pagato a quegli operai in salario; con esso possono comprare di nuovo forza-lavoro. 2) Una parte dei 400pv (a) uguale ai 100v (b), cioè 1/4 del plusvalore (a), viene realizzato in articoli di lusso come segue: gli operai (b) hanno ricevuto dai capitalisti della loro sezione (b) 100 Lst. in forma di salario; con esse comprano 1/4 di pv (a), cioè merci che consistono in mezzi necessari di sussistenza; i capitalisti di (a) con questo denaro comprano articoli di lusso dello stesso importo di valore 100v (b), cioè una metà dell’intera produzione di lusso. Ritorna così ai capitalisti (b) in forma di denaro il loro capitale variabile e rinnovando l’acquisto della forza-lavoro essi possono cominciare di nuovo la loro riproduzione, poiché l’intero capitale costante dell’intera classe II è già stato sostituito con lo scambio di I (v + pv) con IIc. La forza-lavoro degli operai occupati nella produzione di lusso è quindi nuovamente vendibile solo perché la parte del loro proprio prodotto creata come equivalente per il loro salario, attratta dai capitalisti nel loro fondo di consumo, viene convertita in denaro. (La stessa cosa vale per la vendita della forza-lavoro sub I; poiché il IIc con cui si scambia I (c + v) consta tanto di oggetti di lusso quanto di mezzi necessari di sussistenza, e ciò che viene rinnovato mediante I (c + v) costituisce i mezzi di produzione tanto degli oggetti di lusso quanto dei mezzi necessari di sussistenza). 3) Veniamo ora allo scambio tra (a) e (b); in quanto è soltanto uno scambio tra capitalisti delle due sottosezioni. Con quanto è stato detto fin qui abbiamo esaurito le questioni riguardanti il capitale variabile (400v) e una parte del plusvalore (100pv) in (a), e il capitale variabile (100v) in (b). Abbiamo inoltre presupposto che il rapporto medio dell’esborso capitalistico del reddito in ambedue le classi fosse di 2/5 per lusso e 3/5 per bisogni necessari di esistenza. Perciò oltre alle 100 già spese per lusso, all’intera sottoclasse (a) toccano ancora 60 per lusso, e nella stessa proporzione 40 alla sottoclasse (b). (IIa)pv viene quindi ripartito in 240
per mezzi di sussistenza e 160 per oggetti di lusso: (IIb)pv si ripartisce in 60 per mezzi di sussistenza e 40 per lusso: 60 + 40 = 100pv (IIb). La sottoclasse consuma questi ultimi 40 attingendoli dal proprio prodotto (2/5 del suo plusvalore); mentre riceve 60 per mezzi di sussistenza scambiando 60 del suo plusprodotto con 60pv (a). Per l’insieme dei capitalisti della sezione Il (tenendo presente che v + pv nella sottosezione (a) esiste in mezzi necessari di sussistenza, in (b) in oggetti di lusso) abbiamo dunque: IIa (400v + 400pv) + lIb (100v + 100pv) = 1.000; vengono così realizzati col movimento: 500v (a + b) [realizzati in 400v (a) e 100pv (a)] + 500pv (a + b) [realizzato in 300pv (a) + 100v (b) + 100pv. (b)] = 1.000.
Per (a) e (b), ciascuno considerato separatamente, otteniamo la seguente realizzazione:
Se manteniamo fermo, per maggior semplicità, lo stesso rapporto tra capitale variabile e costante (cosa che, del resto, non è affatto necessaria), a 400v (a) corrisponde un capitale costante = 1.600, e a 100v (b) un capitale costante = 400, e per Il abbiamo le seguenti due sezioni (a) e (b):
Corrispondentemente, dei 2.000 IIc in mezzi di consumo che vengono scambiati con 2.000 I(v + pv), 1.600 vengono convertiti in mezzi di produzione di mezzi necessari di sussistenza e 400 in mezzi di produzione di oggetti di lusso. 2.000 I (v + pv) si suddividerebbe quindi a sua volta in (800v + 800pv) I per (a) = 1.600 di mezzi di produzione di mezzi necessari di sussistenza, e (200v + 200pv) I per (b) = 400 di mezzi di produzione per oggetti di lusso.
Una parte importante non soltanto dei veri e propri mezzi di lavoro ma anche delle materie prime e ausiliarie ecc. è della stessa natura per le due sezioni. Ma quanto alla conversione delle differenti parti di valore del prodotto complessivo I (v+ pv), questa ripartizione sarebbe del tutto indifferente. Così i precedenti 800 Iv come i 200 Iv vengono realizzati perché il salario viene speso in mezzi di consumo 1.000 IIc, e quindi il capitale monetario anticipato per esso si ripartisce al ritorno regolarmente tra i produttori capitalistici I, sostituisce loro di nuovo in denaro pro rata il loro capitale variabile anticipato; d’altro lato, quanto alla realizzazione dei 1.000pv, anche qui i capitalisti dalla seconda metà complessiva di IIc = 1.000, trarranno in modo uguale (proporzionalmente alla grandezza del loro pv) 600 IIa e 400 lIb in mezzi di consumo; quindi quelli che sostituiscono il capitale costante di IIa: 480 (3/5) da 600c (IIa) e 320 (2/5) da 400c (Ilb) = 800, quelli che sostituiscono il capitale costante di lIb ; 120 (3/5) da 600c (lIa) e 80 (2/5) da 400c (lIb) = 200. Totale = 1.000. Ciò che qui è arbitrario, tanto per I quanto per Il, è il rapporto tra capitale variabile e costante, come l’identità di questo rapporto per I e per II e per le loro sottosezioni. Quanto a questa identità, essa è qui presupposta soltanto per semplificazione; supponendo rapporti differenti non si muterebbe assolutamente nulla alle condizioni del problema e alla sua soluzione. Ma ciò che ne deriva come risultato necessario, premessa la riproduzione semplice, è: 1) Che il nuovo prodotto-valore del lavoro annuo, creato nella forma naturale di mezzi di produzione (scomponibile in v + pv), è uguale al valore-capitale costante (c) del valore in prodotti fabbricato dall’altra parte del lavoro annuo, riprodotto in forma di mezzi di consumo. Se fosse più piccolo di IIc, Il non potrebbe sostituire interamente il suo capitale costante; se fosse più grande, rimarrebbe inutilizzata un’eccedenza. In ambedue i casi verrebbe violato il presupposto: riproduzione semplice. 2) Che nel prodotto annuo riprodotto sotto la forma di mezzi di consumo, il capitale variabile (v) anticipato in forma di denaro è realizzabile da coloro che lo ricevono, in quanto sono operai occupati nella produzione di lusso, soltanto in quella parte dei mezzi di sussistenza necessari che per i loro produttori capitalistici ne rappresenta prima facie il plusvalore; che quindi il (v) sborsato nella produzione di lusso è uguale ad una parte di (pv), prodotto nella forma di mezzi di sussistenza necessari, corrispondenti alla sua grandezza di valore, deve dunque essere più piccolo di questo (pv) totale — cioè (IIa)pv — e che soltanto mediante la realizzazione di quel (v) in questa parte di (pv), ai produttori capitalistici degli articoli di lusso ritorna in forma di denaro il loro capitale variabile anticipato. È questo un fenomeno del tutto analogo alla realizzazione di I (v + pv) in IIc; che solo nel secondo caso (IIb)v si realizza in una parte di (IIa)pv ad esso uguale per grandezza di valore. Questi rapporti rimangono qualitativamente determinati in ogni ripartizione del prodotto annuo complessivo, in quanto esso entra realmente nel processo della riproduzione annua mediata dalla circolazione. I (v + pv) può essere realizzato soltanto in IIc, come IIc nella sua funzione di parte costitutiva del capitale produttivo è a sua volta rinnovabile soltanto attraverso questa realizzazione; parimenti (Ilb)v è realizzabile soltanto in una parte di (IIa)pv, e solo così (IIb)v può essere di nuovo riconvertito nella sua forma di capitale monetario. Naturalmente, questo vale unicamente in quanto tutto ciò sia realmente un risultato del processo stesso di riproduzione, cioè in quanto, ad esempio , i capitalisti lIb non prendano altrove a credito del capitale monetario per (v). Per quanto riguarda invece la quantità, le conversioni delle differenti parti del prodotto annuo possono svolgersi con la proporzionalità rappresentata sopra soltanto in quanto scala e rapporti di valore della produzione rimangano stazionari, e in quanto questi rapporti rigidi non siano alterati dal commercio estero. Se si dicesse, secondo il modo di A. Smith, I (v + pv) si risolvono in IIc e IIc si risolve in I (v + pv), ovvero, come egli usa dire più spesso e ancor più assurdamente I (v + pv) rappresentano parti costitutive del prezzo (rispettivamente del valore, egli dice value in exchange valore di scambio) di IIc, e IIc rappresenta l’intera parte costitutiva del valore I (v + pv), allora si potrebbe e dovrebbe dire parimenti che (IIb)v si risolve in (IIa)pv, ossia che (IIa)pv si risolve in (IIb)v o che (IIb)v rappresenta una parte costitutiva del plusvalore Ila e vice versa: il plusvalore si risolverebbe così in salario, rispettivamente capitale variabile, e il capitale variabile rappresenterebbe una «parte costitutiva» del plusvalore. Di fatto quest’assurdità si ritrova in A. Smith, nel senso che per lui il salario è determinato dal valore dei mezzi di sussistenza necessari, e questi valori-merce a loro volta sono determinati dal valore del salario (capitale variabile) e plusvalore in essi contenuti. Egli è così assorbito dai frammenti in cui è suddivisibile il prodotto-valore di una giornata lavorativa su base capitalistica — cioè v + pv — da dimenticare del tutto come nello scambio semplice di merci sia totalmente indifferente che gli equivalenti esistenti in diverse forme naturali constino di lavoro pagato o non pagato, poiché in ambedue i casi esigono per la loro produzione una pari quantità di lavoro; e come sia parimenti indifferente che la merce di A sia un mezzo di produzione e quella di B un mezzo di consumo e che dopo la vendita una merce debba avere la funzione di parte costitutiva di capitale, l’altra invece entrare nel fondo di consumo e, secundum Adam venga consumata come reddito. L’uso che l’acquirente individuale fa della sua merce non rientra nello scambio di merci, nella sfera della circolazione, e non tocca il valore della merce. Ciò non cambia in alcun modo per il fatto che nell’analisi della circolazione del prodotto complessivo sociale annuo deve essere presa in considerazione la destinazione d’uso determinata, il momento del consumo delle differenti parti costitutive di quel prodotto. Nello scambio constatato sopra di (IIb)v con una parte equivalente di (IIa)pv e negli ulteriori scambi tra (IIa)pv e (IIb)pv, non è affatto presupposto che i capitalisti sia di IIa che di IIb, singolarmente o presi nel loro rispettivo insieme, ripartiscano nello stesso rapporto il loro plusvalore tra oggetti di consumo necessari e articoli di lusso. Uno può spendere di più in questo consumo, un altro di più in quello. Sul terreno della riproduzione semplice è presupposto unicamente che una somma di valore, uguale all’intero plusvalore, viene realizzata in fondo di consumo. I limiti sono quindi dati, all’interno di ogni sezione, l’uno può spendere di più in (a), l’altro di più in (b); ma ciò può scambievolmente compensarsi, così che le categorie di capitalisti (a) e (b), ciascuna presa nel suo insieme, partecipino nello stesso rapporto ad (a) e (b). I rapporti di valore — la quota proporzionale del valore complessivo del prodotto II spettante alle due categorie di produttori (a) e (b), — quindi anche un determinato rapporto quantitativo tra i rami di produzione che forniscono quei prodotti — sono però dati necessariamente in ogni caso concreto; solo il rapporto assunto nell’esempio è ipotetico; assumendone un altro non si muta nulla ai momenti qualitativi; muterebbero soltanto le determinazioni quantitative. Ma se nella grandezza proporzionale di (a) e (b), per una qualsiasi circostanza, intervenisse un mutamento reale, muterebbero anche corrispondentemente le condizioni della riproduzione semplice. Dal fatto che (IIb)v viene realizzato in una parte equivalente di (IIa)pv, deriva che nella misura in cui aumenta la parte di lusso del prodotto annuo, in cui quindi una crescente quota della forza- lavoro viene assorbita nella produzione di lusso, nella stessa misura la ritrasformazione del capitale variabile anticipato in (IIb)v, in capitale monetario, che opera nuovamente come forma di denaro del capitale variabile, e con ciò l’esistenza e la riproduzione della parte della classe operaia occupata in IIb — il suo approvvigionamento di mezzi necessari di consumo — viene condizionata dalla prodigalità della classe capitalistica, dalla conversione di una parte importante del suo plusvalore in articoli di lusso. Ogni crisi diminuisce momentaneamente il consumo di lusso; essa rallenta, ritarda la ritrasformazione di (IIb)v in capitale monetario, la consente solo in modo parziale, e con ciò getta sul lastrico una parte degli operai della produzione di lusso, mentre, d’altro lato, appunto per questo ostacola e riduce anche la vendita dei mezzi necessari di consumo. Prescindiamo qui del tutto dai lavoratori improduttivi, contemporaneamente licenziati, che per i loro servizi beneficiavano di una parte delle spese di lusso dei capitalisti (questi operai sono essi stessi pro tanto articoli di lusso) e che segnatamente partecipavano in forte misura anche al consumo dei mezzi necessari di sussistenza ecc. Inversamente avviene nei periodi di prosperità, e segnatamente nel tempo della sua falsa euforia, quando il valore relativo del denaro espresso in merci cade già per altri motivi (senza altra reale rivoluzione di -valore), e quindi il prezzo delle merci sale, indipendentemente dal loro proprio valore. Non cresce soltanto il consumo dei mezzi necessari di sussistenza; la classe operaia (in cui è entrato ora attivamente il suo intero esercito di riserva) partecipa anche momentaneamente al consumo di articoli di lusso, che in generale le sono inaccessibili, e per di più partecipa anche al consumo della categoria di articoli necessari di sussistenza che in generale costituiscono per la maggior parte mezzi di sussistenza «necessari» soltanto per la classe capitalistica, cosa che, a sua volta, provoca un aumento dei prezzi. È pura tautologia dire che le crisi provengono dalla mancanza di un consumo in grado di pagare o di consumatori in grado di pagare. Il sistema capitalistico non conosce altre specie di consumo all’infuori del consumo pagante, eccettuate quelle sub forma pauperjs o quelle del «mariuolo». Il fatto che merci siano invendibili non significa altro se non che non si sono trovati per esse dei compratori in grado di pagare, cioè consumatori (sia che le merci in ultima istanza vengano comprate per consumo produttivo ovvero individuale). Ma se a questa tautologia si vuol dare una parvenza di maggior approfondimento col dire che la classe operaia riceve una parte troppo piccola del proprio prodotto, e che al male si porrebbe quindi rimedio quando essa ne ricevesse una parte più grande, e di conseguenza crescesse il suo salario, c’è da osservare soltanto che le crisi vengono sempre preparate appunto da un periodo in cui il salario in generale cresce e la classe operaia realiter riceve una quota maggiore della parte del prodotto annuo destinata al consumo. Al contrario, quel periodo — dal punto di vista di questi cavalieri del sano e «semplice» buon senso — dovrebbe allontanare la crisi. Sembra quindi che la produzione capitalistica comprenda delle condizioni indipendenti dalla buona o cattiva volontà, che solo momentaneamente consentono quella relativa prosperità della classe operaia, e sempre soltanto come procellaria di una crisi[46]. Si è visto in precedenza come il rapporto proporzionale tra la produzione di mezzi necessari di consumo e la produzione di lusso determini la ripartizione di II (v + pv) tra ha e IIb, quindi anche quella di IIc tra (IIa)c e (IIb)c. Esso ha quindi un’importanza fondamentale per il carattere e i rapporti quantitativi della produzione ed è un momento determinante essenziale di tutta la sua configurazione. La riproduzione semplice è diretta in sostanza al consumo come fine, sebbene l’appropriazione di plusvalore appaia come il motivo che spinge il capitalista individuale; ma il plusvalore — qualunque sia la sua grandezza proporzionale — in definitiva deve servire qui unicamente al consumo individuale del capitalista. In quanto la riproduzione semplice è parte, e la parte più importante, anche di ogni riproduzione annua su scala allargata, questo motivo permane in unione e in contrasto con il motivo dell’arricchimento come tale. In realtà la cosa appare più complicata, perchè partecipanti (partners) al bottino — il plusvalore del capitalista — compaiono come consumatori indipendenti da quest’ultimo. V. LA CIRCOLAZIONE MONETARIA MEDIATRICE DELLE CONVERSIONI. Da quanto è stato qui svolto, la circolazione tra le differenti classi di produttori procede secondo il seguente schema. 1) Tra la classe I e la classe Il:
Abbiamo quindi passato in esame la circolazione di IIc = 2.000, che viene convertito in I (1.000v + 1.000pv).
Rimane ancora — poiché per il momento lasciamo da parte 4.000 Ic — la circolazione di v + pv entro la classe II. II (v + pv) si ripartiscono come segue tra le sottoclassi IIa e lIb: 2) II 500v + 500pv = a (400v + 400pv) +b (100v + 100pv). I 400v (a) circolano entro la propria sottoclasse; gli operai pagati cori essi comprano per tale importo da coloro che li impiegano, i capitalisti IIa, i mezzi necessari di sussistenza da essi stessi prodotti. Poiché i capitalisti di ambedue le sottoclassi, spendono il loro plusvalore ciascuno per 3/5 in prodotti di IIa (mezzi necessari di sussistenza) e per 2/5 in prodotti di IIb (oggetti di lusso), i 3/5 del plusvalore a, ossia 240, vengono consumati entro la stessa sottoclasse ha; analogamente, i 2/5 del plusvalore (b) (che è stato prodotto ed esiste in oggetti di lusso) entro la sottoclasse IIb. Restano dunque ancora da scambiare tra IIa e IIb: dalla parte di IIa: l60pv, dalla parte di lIb: 100v + 60pv. Questi si risolvono gli uni negli altri. Gli operai IIb con il loro 100 ricevuto in forma di salario in denaro comprano da ha mezzi necessari di sussistenza per l’ammontare di 100. I capitalisti IIb per l’ammontare di 3/5 del loro plusvalore = 60 Comprano parimenti da IIa i loro mezzi necessari di sussistenza. I capitalisti ha ricevono così il denaro necessario per impiegare, come sopra abbiamo presupposto, i 2/5 del loro plusvalore = 160pv, nelle, merci di lusso prodotte da lIb (100v, che nelle mani dei capitalisti IIb sono immagazzinati come prodotto che sostituisce il salario pagato, e 60pv). Lo schema corrispondente è quindi: 3)
dove le grandezze tra parentesi sono quelle che circolano e vengono consumate solo all’interno della propria sottoclasse. Il riflusso diretto del capitale monetario anticipato in capitale variabile che si verifica soltanto per i capitalisti della sezione Ila, che produce mezzi necessari di sussistenza, non è altro che una manifestazione, modificata da condizioni speciali, della legge generale menzionata prima, per cui il denaro, se la circolazione delle merci si svolge normalmente, ritorna ai produttori di merce che lo anticipano alla circolazione. Da cui, per incidenza, consegue che, se dietro ai produttori di merce in generale sta un capitalista monetario, il quale anticipa al capitalista industriale capitale monetario (nel senso più stretto della parola, cioè valore-capitale in forma di denaro), il vero e proprio punto di riflusso di questo denaro è la tasca del capitalista monetario. In questo modo, sebbene il denaro circoli più o meno per tutte le mani, la massa del denaro circolante appartiene alla sezione del capitale monetario organizzata e concentrata in forma di banche ecc.; la maniera con cui questa anticipa il suo capitale determina il costante riflusso finale verso di essa in forma di denaro; sebbene questo si attui a sua volta mediante la ritrasformazione del capitale industriale in capitale monetario. Per la circolazione delle merci sono necessarie sempre due cose: merci, che vengono messe in circolazione, e denaro, che viene messo in circolazione. «Il processo di circolazione non si estingue.... come lo scambio immediato di prodotti, col cambiamento di luogo e di mano dei valori d’uso. Il denaro non scompare per il fatto che alla fine cade fuori della serie di metamorfosi di una merce. Esso torna sempre a precipitare su un punto della circolazione sgombrato dalle merci» ecc. (Libro I, cap. III). Ad esempio, nella circolazione tra lIc e I (v + pv), abbiamo presupposto che per questa circolazione vengano anticipate da Il 500 Lst: in denaro. Nell’infinito numero di processi di circolazione in cui si risolve la circolazione tra grandi gruppi sociali di produttori, ora uno di questo, ora uno di quel gruppo si presenterà prima come compratore, e metterà quindi in circolazione denaro. Prescindendo completamente da circostanze individuali, ciò è imposto già dalla differenza dei periodi di produzione e di conseguenza delle rotazioni dei differenti capitali-merce. Dunque Il con 500 Lst. compra da I mezzi di produzione per lo stesso ammontare di valore, questo compra a sua volta da II mezzi di consumo per 500 Lst.; il denaro rifluisce quindi a Il; ma questo non viene affatto arricchito da tale riflusso. Esso ha messo in circolazione dapprima 500 Lst. in denaro, e ne ha prelevato merci dello stesso ammontare di valore, poi vende merci per 500 Lst. e ne preleva denaro dello stesso ammontare di valore; così le 500 Lst. rifluiscono. Di fatto, Il ha gettato così in circolazione denaro per 500 Lst. e merci per 500 Lst. = 1.000 Lst. e preleva dalla circolazione merci per 500 Lst. e denaro per 500 Lst.
Per la conversione di merci (I) di 500 Lst. e di denaro (Il) di 500 Lst. la circolazione ha bisogno soltanto di 500 Lst.; chi dunque ha anticipato il denaro per l’acquisto di merce estranea, lo recupera con la vendita della propria. Perciò se I avesse dapprima comprato merce per 500 Lst. da Il e più tardi venduto merce per 500 Lst. a II le 500 Lst. sarebbero ritornate a I anziché a Il. Nella classe I il denaro investito in salario, cioè il capitale variabile anticipato in forma di denaro non ritorna direttamente in questa forma, ma indirettamente, attraverso un giro. Invece in Il le 500 Lst. in salario ritornano direttamente dagli operai ai capitalisti, come è sempre diretto questo ritorno quando la compra-vendita tra le stesse persone si ripete in modo che essi alternativamente si contrappongono sempre come compratori e venditori di merci. Il capitalista Il paga la forza-lavoro in denaro; egli incorpora così la forza-lavoro nel suo capitale e soltanto per questo processo di circolazione, che per lui e unicamente trasformazione di capitale monetario in capitale produttivo, si contrappone come capitalista industriale all’operaio quale suo salariato. E a sua volta l’operaio, che in prima istanza era venditore, commerciante in forza-lavoro propria, in seconda istanza si contrappone come compratore, possessore di denaro, al capitalista quale venditore di merce; rifluisce così a quest’ultimo il denaro sborsato in salario. Nella misura in cui la vendita di queste merci avviene senza trucchi ecc., ma vengono scambiati equivalenti in denaro e in merce, non e questo un processo mediante il quale il capitalista si arricchisce. Egli non paga l’operaio due volte, prima in denaro e poi in merce; il suo denaro gli rifluisce quando l’operaio lo scambia presso di lui con merce. Il capitale monetario trasformato in capitale variabile (cioè il denaro anticipato in salario) ha quindi una parte di fondamentale importanza nella stessa circolazione monetaria, perché — dovendo la classe operaia vivere alla giornata, e non potendo concedere lunghi crediti ai capitalisti industriali — in innumerevoli punti della società spazialmente distinti dev’essere contemporaneamente anticipato capitale variabile in denaro in certi termini brevi, come una settimana ecc. — in intervalli che si ripetono con relativa rapidità (quanto più brevi questi intervalli, tanto più piccola può essere relativamente la somma complessiva di denaro immessa in una sola volta nella circolazione attraverso questo canale) — qualunque siano i differenti periodi di rotazione dei capitali in differenti rami d’industria. In ogni paese a produzione capitalistica, il capitale monetario così anticipato costituisce una aliquota decisiva della circolazione complessiva, tanto più che lo stesso denaro — prima del suo riflusso al punto di partenza — va girando per i più svariati canali e opera come mezzo di circolazione per moltissimi altri affari. Consideriamo ora la circolazione tra I (v + pv) e IIc da un altro punto di vista. I capitalisti I anticipano 1.000 Lst. in pagamento di salario, con il quale gli operai comperano dai capitalisti Il mezzi di sussistenza per 1.000 Lst., e questi a loro volta comperano mezzi di produzione dai capitalisti I per la stessa somma. A questi ultimi è ritornato ora in forma di denaro il loro capitale variabile, mentre i capitalisti II hanno ritrasformato la metà del loro capitale costante dalla forma di capitale-merce in capitale produttivo.
I capitalisti Il anticipano altre 500 Lst. in denaro per prelevare da I mezzi di produzione; i capitalisti I spendono il denaro in mezzi di consumo di II; queste 500 Lst. rifluiscono così ai capitalisti II; essi le anticipano di nuovo per ritrasformare nella sua naturale forma produttiva l’ultimo quarto del loro capitale costante trasformato in merce. il denaro rifluisce nuovamente a I e di nuovo preleva da Il mezzi di consumo per lo stesso importo; le 500 Lst. rifluiscono in tal modo a II, i cui capitalisti sono tuttora in possesso di 500 Lst. in denaro e di 2.000 Lst. in capitale costante, che è stato però convertito ex novo dalla forma di capitale-merce in capitale produttivo. Con 1.500 Lst. di denaro è stata fatta circolare una massa di merci di 5.000 Lst.; infatti, 1) I paga agli operai 1.000 Lst. per forza-lavoro di pari ammontare di valore; 2) con le stesse 1.000 Lst. gli operai comprano da II mezzi di sussistenza; 3) con lo stesso denaro II compra mezzi di produzione da I, per il quale, in tal modo, vengono a ricostituirsi in forma di denaro 1.000 Lst. di capitale variabile; 4) II con 500 Lst. compra mezzi di produzione da I; 5) I con le stesse 500 Lst. compra mezzi di consumo da lI; 6) con le stesse 500 Lst. Il compra mezzi di produzione da I ; 7) con le stesse 500 Lst. I compra da II mezzi si sussistenza. A Il sono rifluite 500 Lst. che esso ha immesso nella circolazione oltre alle sue 2.000 Lst. in merce e per le quali non ha sottratto alla circolazione un equivalente in merce[47]. Lo scambio procede dunque nel seguente modo: 1) I paga 1.000 Lst. in denaro per forza-lavoro, dunque per merce = 1.000 Lst. 2) gli operai con il loro salario comprano da II mezzi di consumo per l’importo di 1.000 Lst. in denaro; dunque merce = 1.000 Lst. 3) con le 1.000 Lst. ricavate dagli operai, II compra da I mezzi di produzione dello stesso valore; dunque merce = 1.000 Lst. Sono così rifluite a I 1.000 Lst. in denaro come forma di denaro del capitale variabile. 4 ) II compra da I mezzi di produzione per 500 Lst.; dunque merce = 500 Lst. 5) con le stesse 500 Lst. I compra da Il mezzi di consumo; dunque merce = 500 Lst. 6) con le stesse 500 Lst. II compra da I mezzi di produzione; dunque merce = 500 Lst. 7) con le stesse 500 Lst. I compra da Il mezzi di consumo; dunque merce = 500 Lst. Somma del valore-merce scambiato = 5.000 Lst. Le 500 Lst. che vennero da Il anticipate per l’acquisto, gli sono ritornate.
Il risultato è: 1) I possiede capitale variabile in forma di denaro per l’ammontare di 1.000 Lst., che originariamente ha anticipato alla circolazione; inoltre ha speso 1.000 Lst. per il suo consumo individuale, nel suo stesso prodotto-merce; cioè ha spesa il denaro che incassò vendendo mezzi di produzione dell’ammontare di valore di 1.000 Lst. D’altra parte, la forma naturale in cui si deve convertire il capitale variabile esistente in forma di denaro — cioè la forza-lavoro — mediante il consumo è mantenuta, riprodotta e di nuovo presente come l’unico articolo di commercio dei suoi possessori, che questi devono. vendere se vogliono vivere. È riprodotto quindi anche il rapporto tra operai salariati e capitalisti. 2) Il capitale costante di II è sostituito in natura, e le 500 Lst. da esso anticipate alla circolazione gli sono ritornate. Per gli operai I la circolazione è quella semplice di M — D — M
queste 1.000 Lst. monetizzano per lo stesso ammontare di valore il capitale costante II esistente in forma di merce, cioè mezzi di sussistenza. Per i capitalisti Il il processo è: M — D, trasformazione di una parte del loro prodotto-merce in forma di denaro, da cui viene ritrasformato in parti costitutive del capitale produttivo, cioè in una parte dei mezzi di produzione loro necessari. Con l’anticipo di D (500 Lst.), che i capitalisti Il fanno per l’acquisto delle altre parti dei mezzi di produzione, è anticipata la forma di denaro della parte di esistente ancora in forma di merce (mezzi di consumo); nell’atto D — M, in cui Il compra con D e M viene venduto da I, il denaro (Il) si trasforma in una parte del capitale produttivo, mentre M (I) compie l’atto M — D, si trasforma in denaro, che non rappresenta però per I una parte costitutiva del valore-capitale ma plusvalore monetizzato, che viene speso solo in mezzi di consumo. Nella circolazione D — M... P... M’ — D’, il primo atto D — M di un capitalista è l’ultimo M’ — D’ di un altro (o parte di esso); che questo M, per mezzo del quale D viene convertito in capitale produttivo, per il venditore di M (che converte quindi in denaro questo M) rappresenti una parte costitutiva costante di capitale, una parte costitutiva variabile di capitale oppure plusvalore, è del tutto indifferente per la circolazione stessa delle merci. Per quanto riguarda la classe I, in relazione alla parte costitutiva v + pv del suo prodotto-merce, essa estrae dalla circolazione più denaro di quel che vi ha immesso. In primo luogo, le ritornano le 1.000 Lst. di capitale variabile, in secondo luogo (vedi sopra, scambio n. 4), essa vende mezzi di produzione per 500 Lst.: con ciò è monetizzata la metà del suo plusvalore; quindi (scambio n. 6) vende di nuovo mezzi di produzione per 500 Lst., la seconda metà del suo plusvalore e con ciò è sottratto alla circolazione in forma di denaro l’intero plusvalore; dunque successivamente: 1) capitale variabile ritrasformato in denaro = 1.000 Lst.; 2) la metà del plusvalore monetizzata = 500 Lst.; 3) l’altra metà del plusvalore = 500 Lst.; dunque, totale: 1.000v +1.000pv = 2.000 Lst. Sebbene I (prescindendo dagli scambi, da esaminare più tardi, che mediano la riproduzione di Ic) abbia immesso nella circolazione soltanto 1.000 Lst., gliene ha sottratto il doppio. Naturalmente il pv monetizzato (trasformato in denaro) scompare subito passando in altre mani (Il), in quanto questo denaro viene speso in mezzi di consumo. I capitalisti di I hanno sottratto in denaro solo quanto di valore in merce avevano immesso; che questo valore sia plusvalore, cioè non costi nulla ai capitalisti, non cambia assolutamente nulla al valore di queste merci stesse; quindi, in quanto si tratta di conversione di valore nella circolazione delle merci, è del tutto indifferente. Naturalmente la monetizzazione del plusvalore è transitoria, come tutte le altre forme per le quali il capitale anticipato passa nelle sue conversioni. La sua durata è esattamente uguale all’intervallo tra la trasformazione in denaro della merce I e la conseguente trasformazione del denaro I in merce II. Se si presupponessero rotazioni più brevi — ovvero, considerando la cosa dal punto di vista della circolazione semplice delle merci, un più rapido corso del denaro circolante — sarebbe sufficiente una massa ancor minore di denaro per far circolare i valori-merce scambiati; la somma è determinata sempre — se è dato il numero degli scambi successivi — dalla somma dei prezzi, rispettivamente dalla somma dei valori delle merci circolanti. La proporzione con la quale questa somma di valori consta da un lato di plusvalore e dall’altro di valore-capitale, è qui del tutto indifferente. Se nel nostro esempio il salario presso I venisse pagato quattro volte nell’anno, avremmo 4 x 250 = 1.000. 250 Lst. in denaro sarebbero dunque sufficienti per la circolazione Iv — 1/2 IIc e per la circolazione tra il capitale variabile Iv e la forza-lavoro I. Parimenti, se la circolazione tra Ipv e IIc avvenisse in quattro rotazioni, sarebbero necessarie a ciò soltanto 250 Lst., dunque in totale una somma di denaro, rispettivamente un capitale monetario, di 500 Lst. per la circolazione di merci dell’ammontare di 5.000 Lst. Il plusvalore verrebbe allora monetizzato successivamente quattro volte per 1/4, anziché successivamente due volte per la metà. Se anziché Il comparisse I come compratore nello scambio n. 4, quindi 500 Lst. venissero spese in mezzi di consumo dello stesso ammontare di valore, Il comprerebbe mezzi di produzione con le stesse 500 Lst. nello scambio n. 5; 6) I compra mezzi di consumo con le stesse 500 Lst.; 7) Il compra mezzi di produzione con le stesse 500 Lst.; le 500 Lst. ritornano quindi infine a I, come prima a II. Il plusvalore viene qui monetizzato mediante denaro speso dal suo stesso produttore capitalistico nel suo consumo privato, denaro che rappresenta reddito anticipato, entrate anticipate dal plusvalore che si trova nella merce ancora da vendere. La monetizzazione del plusvalore non avviene attraverso il riflusso delle 500 Lst.; perché accanto alle 1.000 Lst. in merce Iv, alla fine della conversione n. 4, I ha immesso nella circolazione 500 Lst. in denaro il quale era addizionale, non — come sappiamo — ricavato di merce venduta. Quando questo denaro rifluisce a I, questo ha unicamente riottenuto il suo denaro addizionale, non monetizzato il suo plusvalore. La monetizzazione del plusvalore di I avviene soltanto mediante la vendita delle merci Ipv, nelle quali si trova, e ogni volta dura soltanto finché il denaro ricavato mediante la vendita della merce non è speso di nuovo in mezzi di consumo.
Con denaro addizionale (500 Lst.) I acquista da Il mezzi di consumo; questo denaro è speso da I, che ha ottenuto per esso un equivalente in merce Il; il denaro rifluisce la prima volta per il fatto che Il compera merce da I per 500 Lst.; rifluisce quindi come equivalente della merce venduta da I, ma a I questa merce non costa nulla, costituisce perciò plusvalore per I, e così il denaro da lui stesso messo in circolazione monetizza il suo proprio plusvalore; analogamente al suo secondo acquisto (n. 6) I ha ricevuto in merce Il il suo equivalente. Ora ponendo che Il non compri da I (n. 7) mezzi di produzione, di fatto I avrebbe pagato mezzi di consumo per 1.000 Lst. — consumato come reddito l’intero suo plusvalore — e cioè 500 nelle sue merci I (mezzi di produzione) e 500 in denaro; invece avrebbe ancora in magazzino 500 Lst. in merci I (mezzi di produzione) e avrebbe speso 500 Lst. in denaro. Il avrebbe viceversa ritrasformato tre quarti del suo capitale costante dalla forma di capitale-merce in capitale produttivo; un quarto invece nella forma di capitale monetario (500 Lst.), in realtà di denaro inutilizzato ossia di denaro che ha interrotto la sua funzione e che si trova in uno stato di attesa. Se questa situazione durasse più a lungo, II dovrebbe ridurre di un quarto la scala della riproduzione. Ma le 500 in mezzi di produzione che I ha sulle spalle non sono plusvalore esistente in forma di merce; esse stanno al posto delle 500 Lst. anticipate in denaro, che I possedeva accanto al suo plusvalore di 1.000 Lst. in forma di merce. Come denaro si trovano in una forma sempre realizzabile; come merce sono momentaneamente invendibili. È chiaro come la riproduzione semplice cui ogni elemento del capitale produttivo tanto in I quanto in II dev’essere sostituito — rimane qui possibile soltanto se i 500 uccelli d’oro ritornano a I, che per primo li mise in libertà. Se un capitalista (qui abbiamo davanti a noi ancora soltanto capitalisti industriali, che contemporaneamente rappresentano tutti gli altri) spende denaro in mezzi di consumo, esso per lui è finito, ha subito il destino di tutte le cose terrene. Se rifluisce a lui, ciò può avvenire unicamente in quanto egli lo pesca dalla circolazione in cambio di merci, cioè mediante il suo capitale-merce. Come il valore del suo intero prodotto-merce annuo (che per lui = capitale-merce) anche quello di ogni singolo elemento di esso, cioè anche il valore di ogni singola merce, è per lui scomponibile in valore-capitale costante, valore-capitale variabile e plusvalore. La monetizzazione di ognuna delle merci (che sono elementi costitutivi del prodotto-merce) è quindi insieme monetizzazione di una determinata quota del plusvalore che si trova nell’intero prodotto-merce. Nel caso dato è quindi assolutamente esatto dire che il capitalista stesso ha immesso nella circolazione — e precisamente quando lo ha speso in mezzi di consumo — il denaro con cui il suo plusvalore viene monetizzato, alias realizzato. Non si tratta, naturalmente, delle identiche monete, ma di un ammontare in denaro sonante pari a quello (o pari a una parte di quello) che egli ha immesso nella circolazione per soddisfare bisogni personali. Nella pratica ciò avviene in duplice maniera: se l’impresa ha avuto inizio solo nell’anno in corso, trascorre parecchio tempo, nel migliore dei casi alcuni mesi, prima che il capitalista possa spendere per il suo consumo personale denaro attinto dalle entrate dell’impresa stessa. Ma non per questo egli sospende un solo istante il suo consumo. Egli anticipa a se stesso (se di tasca propria o di tasca altrui, per credito, è qui del tutto indifferente) denaro sul plusvalore che deve ancora carpire; ma così facendo anticipa anche il medio circolante per la realizzazione del plusvalore da realizzare più tardi. Se invece l’impresa già da qualche tempo funziona con regolarità, pagamenti ed entrate si ripartiscono a scadenze differenti durante l’anno. Una cosa però procede ininterrottamente, il consumo del capitalista, che viene anticipato e la cui grandezza viene calcolata secondo una determinata proporzione sulle entrate usuali o preventivate. Con ogni porzione di merce venduta viene anche realizzata una parte del plusvalore da conseguire annualmente. Ma se, durante l’intero anno, della merce prodotta si vendesse solo quanto è necessario per sostituire i valori-capitali costanti e variabili in essa contenuti, o se i prezzi cadessero in modo che con la vendita dell’intero prodotto-merce annuo si realizzasse unicamente il valore-capitale anticipato contenuto in esso, risulterebbe con chiarezza il carattere di anticipazione del denaro speso sul futuro plusvalore. Se il nostro capitalista fallisce, i suoi creditori e il tribunale esaminano se le sue spese private anticipate sono proporzionate alla grandezza della sua impresa e del ricavato di plusvalore ad essa usualmente o normalmente corrispondente. Ma rispetto all’intera classe capitalistica, l’affermazione secondo la quale essa stessa deve immettere nella circolazione il denaro per la realizzazione del suo plusvalore (rispettivamente anche per la circolazione del suo capitale, costante e variabile), non solo non appare paradossale, ma come necessaria condizione dell’intero meccanismo: infatti vi sono qui soltanto due classi: la classe operaia, che dispone unicamente della sua forza-lavoro; la classe capitalistica, che ha il possesso monopolistico sia dei mezzi sociali di produzione, che del denaro. Il paradosso ci sarebbe se la classe operaia anticipasse in prima istanza dai suoi propri mezzi il denaro necessario per la [circolazione delle merci e quindi anche per la] realizzazione del plusvalore insito nelle merci. Il singolo capitalista fa quest’anticipo, ma sempre solo nella forma per cui agisce come compratore, spende denaro nell’acquisto di mezzi di consumo, o anticipa denaro nell’acquisto di elementi del suo capitale produttivo, sia di forza-lavoro sia di mezzi di produzione. Egli dà via il denaro sempre soltanto contro un equivalente. Anticipa del denaro alla circolazione soltanto nello stesso modo in cui le anticipa della merce. In ambedue i casi agisce come punto di partenza della sua circolazione. Il processo reale viene oscurato da due circostanze: 1) la comparsa del capitale commerciale (la cui prima forma è sempre quella del denaro, poiché il commerciante non fabbrica «prodotti» o «merci»), e del capitale monetario, come oggetto della manipolazione di una categoria particolare di capitalisti, nel processo di circolazione del capitale industriale; 2) la divisione del plusvalore che nel suo primo stadio deve trovarsi sempre nelle mani del capitalista industriale — fra diverse categorie, come rappresentanti delle quali, accanto al capitalista industriale, compaiono il proprietario fondiario (per la rendita fondiaria), l’usuraio (per l’interesse) ecc., idem il governo ed i suoi impiegati, rentiers, ecc. Questi signori compaiono di fronte al capitalista industriale come compratori e, in quanto tali, come monetizzatori delle sue merci; pro parte anch’essi immettono «denaro» nella circolazione, e quegli lo riceve da essi. A questo proposito si dimentica continuamente da quale fonte essi lo hanno ricevuto in origine e sempre di nuovo lo ricevono. VI- IL CAPITALE COSTANTE DELLA SEZIONE I[48] Rimane ancora da esaminare il capitale costante della sezione I pari a 4.000c. Questo valore è uguale al valore dei mezzi di produzione consumati nella produzione del prodotto-merce I, nel quale ricompare. Questo valore che ricompare non è stato prodotto nel processo di produzione I ma è entrato in esso l’anno precedente come valore costante, come valore dato dei suoi mezzi di produzione ed esiste ora in tutta quella parte della massa di merce I che non è assorbita dalla categoria II; e precisamente il valore di questa massa di merce che rimane così nelle mani dei capitalisti è pari a 2/3 del valore del loro intero prodotto-merce annuo. Del singolo capitalista che produce un particolare mezzo di produzione abbiamo potuto dire: egli vende il suo prodotto-merce, lo trasforma in denaro. Avendolo trasformato in denaro, ha anche ritrasformato in denaro la parte di valore costante del suo prodotto. Con questa parte di valore trasformata in denaro, egli compra poi di nuovo da altri venditori di merci i suoi mezzi di produzione, ossia trasforma la parte di valore costante del suo prodotto in una forma naturale in cui può di nuovo operare come capitale costante produttivo. Ma ora questo presupposto diviene impossibile. La categoria capitalistica I comprende la totalità dei capitalisti che producono mezzi di produzione. Inoltre il prodotto-merce di 4.000 che è rimasto nelle loro mani è una parte del prodotto sociale che non si può scambiare con un’altra perché non esiste più alcun’altra parte del prodotto annuo. Ad eccezione di questi 4.000, si è già disposto di tutto; una parte è assorbita dal fondo sociale di consumo e un’altra parte deve sostituire il capitale costante della sezione Il, che ha già scambiato tutto ciò di cui poteva disporre nello scambio con la sezione I. La difficoltà si risolve assai semplicemente, quando si consideri che l’intero prodotto-merce I nella sua forma naturale consiste in mezzi di produzione, cioè negli elementi materiali dello stesso capitale costante. Si manifesta qui lo stesso fenomeno di prima sub Il, ma sotto un altro aspetto. Sub Il l’intero prodotto-merce consisteva in mezzi di consumo; una parte di esso, misurata dal salario contenuto in questo prodotto-merce più plusvalore poteva essere perciò consumata dai suoi stessi produttori. Qui, sub I, l’intero prodotto-merce consiste in mezzi di produzione, fabbricati, macchinari, recipienti, materie prime ed ausiliarie, ecc. Una parte di questi, quella che sostituisce il capitale costante impiegato in questa sfera, può quindi operare subito di nuovo nella sua forma naturale come parte costitutiva del capitale produttivo. In quanto entra nella circolazione, essa circola entro la classe I. Sub II una parte del prodotto merce viene consumata individualmente in natura dai suoi stessi produttori, sub I invece una parte del prodotto viene consumata produttivamente in natura dai suoi produttori capitalistici. Nella parte del prodotto-merce I pari a 4.000c il valore-capitale costante consumato in questa categoria ricompare e precisamente in una forma naturale in cui può operare subito di nuovo come capitale costante produttivo. Sub II la parte del prodotto-merce di 3.000, il cui valore è uguale al salario più il plusvalore (pari a 1.000), entra direttamente nel consumo individuale dei capitalisti e operai di Il, mentre invece il valore-capitale costante di questo prodotto-merce (pari a 2.000) non può entrare di nuovo nel consumo produttivo dei capitalisti Il, ma dev’essere sostituita mediante lo scambio con I. Sub I invece la parte del suo prodotto-merce di 6.000, il cui valore è uguale al salario più plusvalore (pari a 2.000), non entra nel consumo individuale dei suoi produttori, e neppure lo potrebbe, per la sua forma naturale. Deve invece essere prima scambiata con II. All’inverso, la parte di valore costante di questo prodotto, pari a 4.000, si trova in una forma naturale in cui — considerando l’intera categoria capitalistica I — può di nuovo operare direttamente come suo capitale costante. In altre parole: tutto il prodotto della sezione I consiste in valori d’uso che, per la loro forma naturale, — nel modo capitalistico di produzione — possono servire unicamente da elementi del capitale costante. Di questo prodotto del valore di 6.000, un terzo (2.000) sostituisce dunque il capitale costante della sezione II, e i rimanenti 2/3 il capitale costante della sezione I. Il capitale costante I consta di una massa di diversi gruppi di capitale che sono investiti nei diversi rami di produzione di mezzi di produzione, tanto in ferriere, tanto in miniere, ecc. Ciascuno di questi gruppi di capitale, ossia ciascuno di questi capitali sociali raggruppati, si compone a sua volta di una massa più o meno grande di singoli capitali che operano autonomamente. Innanzitutto, il capitale della società, ad esempio 7.500 (che può significare milioni, ecc.) si suddivide in diversi gruppi di capitale; il capitale sociale di 7.500 si suddivide in parti particolari, ciascuna delle quali è investita in un ramo particolare di produzione; la parte del valore-capitale sociale investita in ogni ramo particolare di produzione consiste, Secondo la sua forma naturale, parte nei mezzi di produzione di ogni sfera particolare di produzione, parte nella forza-lavoro necessaria perché possa svolgere la sua attività e corrispondentemente qualificata, variamente modificata dalla divisione del lavoro, a seconda del genere specifico del lavoro che deve fornire in ogni singola sfera di produzione. La parte del capitale sociale investita in ogni ramo particolare di produzione consiste a sua volta nella somma dei singoli capitali in esso investiti, che operano autonomamente. Ciò vale evidentemente per ambedue le sezioni, per la I come per la Il. Quanto poi al valore-capitale costante che compare nuovamente sub I nella forma del suo prodotto-merce, in parte entra di nuovo come mezzo di produzione nella sfera particolare di produzione (o addirittura nell’impresa individuale) donde proviene come prodotto; ad esempio, grano nella produzione del grano, carbone nella produzione del carbone, ferro, in forma di macchine, nella produzione siderurgica, ecc. Invece i prodotti parziali, di cui consta il valore-capitale costante di I, quando non entrano di nuovo direttamente nella loro sfera di produzione particolare o individuale, cambiano solo di posto. In forma naturale essi entrano in un’altra sfera di produzione della sezione I, mentre il prodotto di altre sfere di produzione della stessa sezione li sostituisce in natura. È un puro e semplice cambiamento di posto di questi prodotti. Essi entrano tutti di nuovo come fattori che sostituiscono capitale costante in I: soltanto, anziché in un gruppo di I, in un altro. In quanto qui si svolge uno scambio tra i singoli capitalisti di I, si tratta di scambio di una forma naturale di capitale costante contro un’altra forma naturale di capitale costante, di una specie di mezzi di produzione contro un’altra specie di mezzi di produzione. È scambio reciproco delle differenti parti di capitale costante individuale di I. Se non servono direttamente da mezzi di produzione nei loro propri rami di produzione, i prodotti vengono dislocati dal loro luogo di produzione in un altro, e si sostituiscono così scambievolmente. In altre parole (analogamente a quanto è avvenuto sub Il per il plusvalore): ogni capitalista sub I, nella proporzione in cui è comproprietario di questo capitale costante di 4.000, estrae da questa massa di merci i corrispondenti mezzi di produzione a lui necessari. Se la produzione fosse sociale, anziché capitalistica, è chiaro che questi prodotti della sezione I sarebbero non meno costantemente ripartiti di nuovo tra i rami di produzione di questa sezione, al fine della riproduzione; una parte rimarrebbe direttamente nella sfera di produzione da cui è uscita come prodotto, un’altra parte invece sarebbe dislocata in altri luoghi di produzione, e si verificherebbe così un continuo movimento tra i diversi luoghi di produzione di questa sezione. VII - CAPITALE VARIABILE E PLUSVALORE NELLE DUE SEZIONI. Il valore complessivo dei mezzi di consumo annualmente prodotti è dunque pari al valore-capitale variabile Il riprodotto durante l’anno più il plusvalore Il prodotto ex novo (cioè, uguale al valore prodotto sub Il durante l’anno) più il valore-capitale variabile I riprodotto durante l’anno e più il plusvalore I prodotto ex novo (dunque più il valore prodotto sub I durante l’anno).
Premessa la riproduzione semplice, il valore complessivo dei mezzi di consumo prodotti annualmente è quindi uguale al prodotto-valore annuo, cioè uguale all’intero valore prodotto dal lavoro sociale durante l’anno, e tale dev’essere, poichè con la riproduzione semplice tutto questo valore viene consumato. La giornata lavorativa totale della società si suddivide in due parti: 1) lavoro necessario; nel corso dell’anno esso crea un valore di 1.500v; 2) pluslavoro; esso crea un valore addizionale, o plusvalore, di 1.500pv. La somma di questi valori pari a 3.000 è uguale al valore dei mezzi di consumo annualmente prodotti pari a 3.000. Il valore totale dei mezzi di consumo prodotti durante l’anno è quindi uguale al valore totale prodotto dalla giornata lavorativa totale della società durante l’anno, uguale al valore del capitale variabile sociale più il plusvalore sociale, uguale al nuovo prodotto totale annuo. Ma noi sappiamo che, sebbene queste due grandezze di valore coincidano, non per questo il valore totale delle merci Il, mezzi di consumo, è stato prodotto in questa sezione della produzione sociale. Esse coincidono perché il valore-capitale costante che compare nuovamente sub II è uguale al valore prodotto ex novo sub I (valore-capitale variabile più plusvalore); perciò I(v + pv) può comprare la parte del prodotto di Il che per i suoi produttori (nella sezione Il) rappresenta valore-capitale costante. Si comprende così per qual ragione, sebbene per i capitalisti Il il valore del loro prodotto si suddivida in c + v + pv, considerato dal punto di vista sociale il valore di questo prodotto sia suddivisibile in v + pv. Ciò avviene infatti solo perché IIc è uguale qui a I(v + pv) e queste due parti costitutive del prodotto sociale attraverso il loro scambio si scambiano reciprocamente le loro forme naturali, perciò dopo questa conversione IIc esiste nuovamente in mezzi di produzione, mentre I(v + pv) esiste in mezzi di consumo. Ed è questa circostanza che ha indotto A. Smith ad affermare che il valore del prodotto annuo si risolva in v + pv. Ciò 1) vale soltanto per la parte del prodotto annuo che consiste in mezzi di consumo, e 2) non vale nel senso che questo valore complessivo viene prodotto in Il, e perciò il suo valore in prodotti è uguale al valore-capitale variabile anticipato sub II più il plusvalore prodotto sub Il. Vale invece soltanto nel senso che II(c + v + pv) = Il (v + pv) + I(v + pv), ossia perché IIc = I(v + pv). Ne consegue ancora: Sebbene la giornata lavorativa sociale (cioè il lavoro speso durante l’intero anno dall’intera classe operaia) come ogni giornata lavorativa individuale si suddivida in due sole parti, cioè lavoro necessario più pluslavoro, sebbene perciò il valore prodotto da questa giornata lavorativa si suddivida anch’esso in due sole parti, cioè il valore-capitale variabile, vale a dire la parte di valore con cui l’operaio compera i mezzi della propria riproduzione, e il plusvalore, che il capitalista può spendere per il suo consumo individuale, tuttavia, considerata la cosa dal punto di vista sociale, una parte della giornata lavorativa sociale viene spesa esclusivamente in produzione di capitale costante fresco, cioè di prodotti che sono destinati esclusivamente a operare come mezzi di produzione nel processo lavorativo, e perciò come capitale costante nel processo di valorizzazione che lo accompagna. Secondo la nostra ipotesi, l’intera giornata lavorativa sociale è rappresentata da un valore monetario di 3.000, di cui solo 1/3 pari a 1.000 viene prodotto nella sezione Il, che produce mezzi di consumo, cioè merci in cui in definitiva si realizza il valore-capitale variabile complessivo e il plusvalore complessivo della società. Secondo questa ipotesi, 2/3 della giornata lavorativa sociale vengono quindi impiegati nella produzione di nuovo capitale costante. Sebbene dal punto di vista dei capitalisti individuali e degli operai della sezione I questi 2/3 della giornata lavorativa sociale servano solo per la produzione di valore-capitale variabile più plusvalore, proprio come l’ultimo terzo della giornata lavorativa sociale nella sezione Il, tuttavia questi 2/3 della giornata lavorativa sociale, considerati dal punto di vista sociale — e anche considerati secondo il valore d’uso del prodotto producono soltanto gli elementi che sostituiscono il capitale costante inserito ossia consumato nel processo del consumo produttivo. Anche considerati da un punto di vista individuale, questi 2/3 della giornata lavorativa, pur producendo un valore complessivo che per i suoi produttori è uguale soltanto al valore-capitale variabile più il plusvalore, non producono valori d’uso di natura tale che in cambio di essi si possano spendere salario o plusvalore; il loro prodotto è un mezzo di produzione. Anzitutto è da osservare che nessuna parte della giornata lavorativa sociale, né sub I né sub Il, serve a produrre il valore del capitale costante impiegato e operante in queste due grandi sfere di produzione. Esse producono solo valore addizionale, 2.000 I(v + pv) + 1.000 II(v + pv), in aggiunta al valore capitale costante pari a 4.000 Ic + 2.000 IIc. Il nuovo valore che viene prodotto nella forma di mezzi di produzione, non è ancora capitale costante. È soltanto destinato a operare in futuro come tale. Il prodotto complessivo di Il — i mezzi di consumo — considerato secondo il suo valore d’uso, in concreto, nella sua forma naturale, è un prodotto di quel terzo della giornata lavorativa che spetta a II, è un prodotto dei lavori nella loro forma concreta di lavoro di tessitura, lavoro di panificazione ecc., impiegati in questa sezione, di questo lavoro in quanto esso opera come elemento soggettivo del processo lavorativo. Invece, per quanto riguarda la parte di valore costante di questo prodotto II, essa ricompare unicamente in un nuovo valore d’uso in una nuova forma naturale, la forma di mezzi di consumo, mentre prima esisteva nella forma di mezzi di produzione. Il suo valore è stato trasferito dalla sua antica nella sua nuova forma naturale dal processo lavorativo. Ma il valore di questi 2/3 del valore dei prodotti pari a 2.000 non è stato prodotto nel processo di valorizzazione Il di quest’anno. Esattamente come, considerato dal punto di vista del processo lavorativo, il prodotto Il è il risultato di lavoro vivente che opera ex novo e dei presupposti mezzi di produzione ad esso dati, nei quali esso si realizza come nelle sue condizioni oggettive, così dal punto di vista del processo di valorizzazione il valore dei prodotti Il pari a 3.000 è composto del nuovo valore prodotto da 1/3 del lavoro sociale aggiunto ex novo (500v + 500pv = 1.000) e di un valore costante in cui sono oggettivati 2/3 di una passata giornata lavorativa sociale, trascorsa prima del processo di produzione II qui considerato. Questa parte di valore del prodotto è rappresentata da una parte del prodotto stesso. Essa esiste in una certa quantità di mezzi di consumo del valore di 2.000 = 2/3 di una giornata lavorativa sociale. È questa la nuova forma d’uso in cui essa ricompare. Lo scambio di una parte dei mezzi di consumo pari a 2.000c contro mezzi di produzione I = I (1.000v + 1.000pv). è quindi, di fatto, scambio di 2/3. della giornata lavorativa complessiva, che non fanno parte del lavoro di quest’anno ma sono trascorsi prima di quest’anno con 2/3 della giornata lavorativa di quest’anno, aggiunta nuova quest’anno. I 2/3 della giornata lavorativa sociale di quest’anno non potrebbero essere impiegati nella produzione di capitale costante, e costituire in pari tempo, per i loro produttori, valore-capitale variabile più plusvalore, se non dovessero essere scambiati con una parte di valore dei mezzi di consumo annualmente consumati, in cui sono contenuti 2/3 di una giornata lavorativa spesa e realizzata prima di quest’anno non nel corso di esso. È uno scambio di 2/3 di giornata lavorativa di quest’anno contro 2/3 di giornata lavorativa che furono spesi prima di quest’anno, scambio tra tempo di lavoro di quest’anno e di anni precedenti. Ciò spiega dunque l’enigma, perché il prodotto-valore della giornata lavorativa sociale complessiva possa risolversi in valore-capitale variabile più plusvalore, sebbene 2/3 di questa giornata lavorativa non siano spesi nella produzione di oggetti in cui si possano realizzare capitale variabile o plusvalore, ma nella produzione di mezzi di produzione, a sostituzione del capitale consumato durante l’anno. Si spiega semplicemente per il fatto che i 2/3 del valore dei prodotti lI, in cui capitalisti e operai I realizzano il valore-capitale variabile da essi prodotto più il plusvalore (e che costituiscono i 2/9 del complessivo valore annuo dei prodotti), considerati secondo il valore, sono il prodotto di 2/3 di una giornata lavorativa sociale trascorsa prima di questo anno. Mezzi di produzione e mezzi di consumo, somma del prodotto sociale I e Il, secondo il loro valore d’uso, concretamente, considerati nella loro forma naturale, sono bensì il prodotto del lavoro di quest’anno, ma solo in quanto questo lavoro venga a sua volta considerato come lavoro utile, concreto, non in quanto venga considerato come erogazione di forza-lavoro, come lavoro creatore di valore. E anche ciò solo nel senso che i mezzi di produzione sono stati trasformati in prodotto nuovo, nel prodotto di quest’anno, soltanto dal lavoro vivente ad essi aggiunto, che li ha adoperati. Inversamente, però, anche il lavoro di quest’anno non avrebbe potuto, a sua volta, trasformarsi in prodotto senza mezzi di produzione indi pendenti da esso, senza mezzi di lavoro e materie di produzione. VIII - IL CAPITALE COSTANTE NELLE DUE SEZIONI. Quanto al valore complessivo dei prodotti di 9.000, e alle categorie in cui esso si suddivide, la sua analisi non offre difficoltà maggiori di quella del valore dei prodotti di un capitale singolo, anzi le due analisi sono identiche. Nell’intero prodotto sociale annuo sono contenuti qui 3 giornate lavorative sociali di un anno. L’espressione di valore di ciascuna di queste giornate lavorative è pari a 3.000; perciò l’espressione di valore del prodotto totale è uguale a 3 x 3.000 = 9.000. Inoltre, di questo tempo di lavoro prima del processo di produzione di un anno, il cui prodotto noi analizziamo, sono trascorsi: nella sezione I, 4/3 di giornata lavorativa (prodotto-valore 4.000) e, nella sezione lI, 2/3 di giornata lavorativa (prodotto-valore 2.000). espressione in valore di 1 giornata lavorativa sociale annua = 3.000
Complessivamente 2 giornate lavorative sociali, il cui prodotto-valore è pari a 6.000. Perciò 4.000 Ic + 2.000 IIc = 6.000 figurano come il valore dei mezzi di produzione o valore-capitale costante che ricompare nel valore complessivo dei prodotti della società. Inoltre, della giornata lavorativa sociale annua aggiunta ex novo, nella sezione I, 1/3 è lavoro necessario, ossia lavoro che sostituisce il valore del capitale variabile Iv, e paga il prezzo del lavoro impiegato sub I. Parimenti, in Il, 1/6 della giornata lavorativa sociale è lavoro necessario con un ammontare di valore di 500. Dunque 1.000 Iv + 500 IIv = 1.500v, espressione di valore della mezza giornata lavorativa sociale, espressione di valore della prima metà della giornata lavorativa complessiva aggiunta quest’anno, consistente in lavoro necessario. Infine, sub I, 1/3 della giornata lavorativa complessiva, prodotto-valore 1.000, è pluslavoro; sub Il, 1/6 della giornata lavorativa, prodotto-valore pari a 500, è pluslavoro; insieme costituiscono l’altra metà della giornata lavorativa complessiva aggiunta. Perciò il plusvalore complessivo prodotto pari a 1.000 Ipv + 500 IIpv = 1.500pv. Riassumendo: Parte costante di capitale del valore del prodotto sociale (c):
espressione di valore = 6.000. Lavoro necessario speso durante l’anno (v):
espressione di valore = 1.500. Pluslavoro speso durante l’anno (pv):
espressione di valore = 1.500. Prodotto-valore del lavoro annuo (v + pv) = 3.000. Valore complessivo dei prodotti (c + v + pv) = 9.000.
La difficoltà non consiste dunque nell’analisi del valore del prodotto sociale in sè. Essa sorge quando si confrontano le parti costitutive di valore del prodotto sociale con le sue parti costitutive materiali. La parte di valore costante, che semplicemente ricompare, è uguale al valore della parte di questo prodotto che consiste in mezzi di produzione, ed è materializzata in questa parte. Il nuovo prodotto-valore dell’anno pari a v + pv è uguale al valore della parte di questo prodotto che consiste in mezzi di consumo ed è materializzata in essa. Ma, con eccezioni che qui non ci riguardano, mezzi di produzione e mezzi di consumo sono categorie di merci completamente diverse, prodotti di forma naturale o d’uso completamente diversa, quindi anche prodotti di generi di lavoro concreto completamente diversi. Il lavoro che impiega macchine per la produzione di mezzi di sussistenza è del tutto diverso dal lavoro che fabbrica macchine. L’intera giornata lavorativa complessiva annua, la cui espressione di valore è pari a 3.000, appare spesa nella produzione di mezzi di consumo = 3.000, nei quali non ricompare alcuna parte costante di valore, poichè questi 3.000 = 1.500v + 1.500pv si risolvono interamente in valore-capitale variabile più plusvalore. D’altro lato, il valore-capitale costante pari a 6.000 ricompare in una categoria di prodotti del tutto diversa dai mezzi di consumo, in mezzi di produzione, mentre nessuna parte della giornata lavorativa sociale appare spesa nella produzione di questi prodotti; tutta questa giornata lavorativa sembra invece consistere soltanto in generi di lavoro che hanno come risultato non mezzi di produzione ma mezzi di consumo. Il mistero è già svelato. Il prodotto-valore del lavoro annuo è uguale al valore dei prodotti della sezione II (3000), uguale al valore totale dei mezzi di consumo prodotti ex novo. Ma il valore di questi prodotti è di 2/3 maggiore della parte del lavoro annuo spesa nella produzione di mezzi di consumo (sezione Il = 1000). Nella loro produzione è speso soltanto 1/3 del lavoro annuo. 2/3 di questo lavoro annuo sono spesi nella produzione di mezzi di produzione, cioè nella sezione I. Il prodotto-valore prodotto sub I durante questo tempo, uguale al valore-capitale variabile più plusvalore prodotti sub I, è uguale al valore-capitale costante di Il, che ricompare sub Il in mezzi di consumo. Perciò essi possono reciprocamente scambiarsi e sostituirsi in natura. Il valore totale dei mezzi di consumo II, perciò, è uguale alla somma del nuovo prodotto-valore sub I + Il, ossia II(c + v + pv) = I(v + pv) + II(v + pv), uguale dunque alla somma del nuovo valore prodotto dal lavoro annuo nella forma di v + pv. D’altro lato, il valore complessivo dei mezzi di produzione (I) è uguale alla somma del valore-capitale costante che ricompare nella forma di mezzi di produzione (I) e del valore-capitale costante che ricompare nella forma di mezzi di consumo (II), cioè alla somma del valore-capitale costante che ricompare nel prodotto complessivo della società (6.000 = 4.000Ic + 2.000IIc) . Questo valore complessivo è uguale all’espressione di valore di 4/3 di giornate lavorative trascorse prima del processo di produzione sub I e di 2/3 di giornate lavorative trascorse prima del processo di produzione sub II, ossia, in tutto, di 2 giornate lavorative complessive. Nel caso del prodotto sociale annuo la difficoltà deriva quindi dal fatto che la parte costante di valore si presenta in una specie di prodotti — mezzi di produzione — del tutto diversi da quelli—mezzi di consumo in cui si presenta il nuovo valore v + pv aggiunta a questa parte costante di valore. Così appare come se — considerati secondo il valore — 2/3 della massa di prodotti consumata si trovassero di nuovo in una forma nuova, come prodotto nuovo, senza che nella loro produzione sia stato speso da parte della società un qualsiasi lavoro. Ciò non si verifica con il capitale singolo. Ogni capitalista individuale impiega un determinato e concreto tipo di lavoro, che trasforma in un prodotto i mezzi di produzione ad esso peculiari. Poniamo ad esempio che il capitalista sia un costruttore di macchine, il capitale costante speso durante l’anno sia di 6.000c, il capitale variabile di 1.500v, il plusvalore pari a 1.500pv; il prodotto 9.000, intendiamo un prodotto di 18 macchine, ciascuna delle quali di 500. L’intero prodotto esiste qui nella stessa forma, quella di macchine. (Se egli ne produce parecchi tipi, ciascuno viene calcolato a sè). L’intero prodotto-merce è prodotto del lavoro speso durante l’anno in costruzione di macchine, combinazione dello stesso tipo concreto di lavoro con gli stessi mezzi di produzione. Le differenti parti del valore dei prodotti si presentano perciò nella stessa forma naturale: in 12 macchine sono contenuti 6.000c, in 3 macchine 1.500v, in 3 macchine 1.500pv. È chiaro qui che il valore delle 12 macchine è 6.000c non perchè in queste 12 macchine sia materializzato solo lavora trascorso prima della costruzione delle macchine e non speso in essa. Il valore dei mezzi di produzione per 18 macchine non si è trasformato da sè in 12 macchine, ma il valore di queste 12 macchine (che a sua volta consta di 4.000c + 1.000v + 1.000pv) è uguale al valore complessivo del valore-capitale costante contenuto nelle 18 macchine. Il costruttore di macchine deve perciò vendere 12 delle 18 macchine per sostituire il suo capitale costante speso, che gli è necessario per la riproduzione di 18 nuove macchine. La cosa sarebbe invece inspiegabile se, sebbene il lavoro impiegato consista esclusivamente in costruzione di macchine, ne derivassero come risultato: da un lato macchine pari a 1.500v + 1.500pv, dall’altro, ferro, rame, viti, corregge ecc. dell’ammontare di valore di 6.000c, cioè i mezzi di produzione delle macchine nella loro forma naturale, che, come è noto, il singolo capitalista che costruisce macchine non produce da sè, ma deve sostituire mediante il processo di circolazione. E tuttavia, a prima vista, sembra che la produzione del prodotto sociale annuo si compia in un modo così assurdo. Il prodotto del capitale individuale, cioè di ogni frammento del capitale sociale che opera autonomamente, dotato di vita propria, può avere qualsivoglia forma naturale. L’unica condizione è che esso abbia realmente una forma d’uso, un valore d’uso che gli dà l’impronta la quale ne fa un elemento del mondo delle merci idoneo alla circolazione. È del tutto indifferente e casuale che come mezzo di produzione esso possa nuovamente entrare nello stesso processo di produzione dal quale proviene come prodotto e che quindi la parte del suo valore in prodotti che rappresenta la parte costante di capitale possieda una forma naturale con la quale essa può effettivamente operare di nuovo come capitale costante. Se ciò non avviene, questa parte del valore dei prodotti viene ritrasformata mediante vendita e acquisto nella forma dei suoi elementi materiali di produzione, e il capitale costante viene così riprodotto nella sua forma naturale idonea alla sua funzione. Diversamente avviene con il prodotto del capitale complessivo sociale. Tutti gli elementi materiali della riproduzione devono costituire parti di questo prodotto stesso nella loro forma naturale. La parte di capitale costante consumata può essere sostituita per mezzo della produzione complessiva solo in quanto nel prodotto la parte di capitale costante che ricompare ricompaia nella forma naturale di nuovi mezzi di produzione, che possono realmente avere la funzione di capitale costante. Presupposta la riproduzione semplice, il valore della parte del prodotto consistente in mezzi di produzione dev’essere perciò uguale alla parte costante di valore del capitale sociale. Inoltre: considerato sotto l’aspetto individuale, nel valore dei suoi prodotti il capitalista produce mediante il lavoro aggiunto ex novo soltanto il suo capitale variabile più plusvalore, mentre la parte costante di valore viene trasferita al prodotto per mezzo del carattere concreto del lavoro aggiunto ex novo. Considerata la questione dal punto di vista sociale, la parte della giornata lavorativa sociale che produce mezzi di produzione, e perciò a un lato aggiunge ad essi nuovo valore dall’altro trasferisce su di essi il valore dei mezzi di produzione consumati nella loro produzione, non produce altro che nuovo capitale costante, destinato a sostituire il capitale costante consumato sia sub I che sub II nella forma dei vecchi mezzi di produzione. Essa produce unicamente un prodotto destinato a entrare nel consumo produttivo. L’intero valore di questo prodotto è quindi soltanto valore che può operare di nuovo come capitale costante, che può ricomprare capitale costante nella sua forma naturale, che perciò, dal punto di vista sociale, non si risolve né in capitale variabile né in plusvalore. D’altro lato, la parte della giornata lavorativa sociale che produce mezzi di consumo, non produce alcuna parte del capitale sociale di sostituzione. Produce soltanto prodotti che nella loro forma naturale sono destinati a realizzare il valore del capitale variabile e il plusvalore sub I e sub Il. Se ai dice di considerare la questione dal punto di vista sociale, se si considera, cioè, il prodotto complessivo sociale, che comprende sia la riproduzione del capitale sociale che il consumo individuale, non si deve cadere nella maniera dell’economia borghese imitata da Proudhon, e considerare la cosa come se una società a modo capitalistico di produzione, en bloc, considerata come totalità, perda questo suo carattere specifico, storico-conomico. Al contrario. Allora ci si trova di fronte al capitalista complessivo. Il capitale complessivo appare come il capitale azionario dell’insieme di tutti i capitali singoli. Questa società per azioni ha in comune con molte altre società per azioni il fatto che ciascuno sa che cosa vi immette, ma non che cosa ne tirerà fuori. IX – SGUARDO RETROSPETTIVO A A. SMITH, STORCH E RAMSAY. Il valore complessivo del prodotto sociale ammonta a 9.000 = 6.000c + 1.500v + 1.500pv in altre parole: 6.000 riproducono il valore dei mezzi di produzione e 3.000 il valore dei mezzi di consumo. Il valore del reddito sociale (v + pv) ammonta dunque soltanto a 1/3 del valore complessivo dei prodotti, e soltanto per l’ammontare di valore di questo terzo l’insieme dei consumatori, sia operai che capitalisti, può sottrarre merci, prodotti, al prodotto complessivo sociale e incorporarli nel suo fondo di consumo. Invece 6.000 pari a 2/3 del valore dei prodotti sono il valore del capitale costante che dev’essere sostituito in natura. Senza riuscire a dimostrarlo, Storch comprende che ciò è necessario: «È chiaro che il valore del prodotto annuo si divide in capitali e profitti, e che ciascuna di queste parti del valore del prodotto annuo compra regolarmente i prodotti di cui la nazione ha bisogno sia per conservare il suo capitale, sia anche per rinnovare il suo fondo di consumo... i prodotti che costituiscono il capitale di una nazione non sono consumabili» (STORCH, Considérations sur la nature du revenu national, Paris, 1824, pp. 134-135, 150). A. Smith ha tuttavia sostenuto questo incredibile dogma, al quale si presta fede ancor oggi, non soltanto nella forma già menzionata, secondo la quale il valore sociale complessivo dei prodotti si risolve in reddito, in salario più plusvalore, ossia, com’egli si esprime, in salario più profitto (interesse) più rendita fondiaria, ma anche nella forma ancora più popolare, per cui in ultima istanza (ultimately) i consumatori devono pagare ai produttori l’intero valore dei prodotti. Fino ad oggi questo è uno dei più accreditati luoghi comuni o meglio verità eterne della cosiddetta scienza dell’economia politica. Se ne dà un’illustrazione plausibile nel seguente modo. Prendete un qualsiasi articolo, ad esempio. camicie di lino. Dapprima il filandiere deve pagare al coltivatore di lino l’intero valore del lino, dunque semi di lino, concime, foraggio per il bestiame da lavoro, ecc., insieme con la parte di valore che il capitale fisso del coltivatore di lino come fabbricati, attrezzi agricoli ecc., cede al prodotto; il salario pagato nella produzione del lino; il plusvalore (profitto, rendita fondiaria) contenuto nel lino; infine le spese del trasporto del lino dal suo luogo di produzione alla filanda. L’industriale tessile poi deve restituire al filandiere non soltanto questo prezzo del lino, ma anche la parte di valore del macchinario, dei fabbricati ecc., insomma del capitale fisso che viene trasferito nel lino, inoltre tutte le materie prime consumate durante il processo di filatura, salario dei filatori, plusvalore ecc., e la faccenda continua nello stesso modo con il candeggiatore, con le spese di trasporto della tela finita, infine con il fabbricante di camicie, che ha pagato l’intero prezzo di tutti produttori precedenti, che gli hanno fornito soltanto la sua materia prima. Nelle sue mani avviene ora un’ulteriore aggiunta di valore, parte, mediante il valore del capitale costante, che viene consumato nella forma di mezzi di lavoro, materie ausiliarie ecc. nella fabbricazione delle camicie, parte, mediante il lavoro ivi speso, che aggiunge il valore del salario dei lavoratori camiciai più il plusvalore del fabbricante di camicie. Poniamo che l’intero prodotto in camicie costi alla fine 100 Lst., e questa sia la parte dell’intero valore annuo dei prodotti che la società spende in camicie. I consumatori delle camicie pagano le 100 Lst., cioè il valore di tutti i mezzi di produzione contenuti nelle camicie, ed anche il salario più il plusvalore del coltivatore di lino, del filandiere, dell’industriale tessile, del candeggiatore, del fabbricante di camicie, come quello di tutti i trasportatori. Ciò è completamente esatto. È, di fatto, ciò che anche un bambino può vedere. Ma poi si prosegue dicendo: così avviene per il valore di tutte le altre merci. Si dovrebbe invece dire: così avviene per il valore di tutti i mezzi di consumo, per il valore della parte del prodotto sociale che entra nel fondo di consumo, cioè per la parte del valore del prodotto sociale che può essere spesa come reddito. La somma di valore di tutte queste merci è certamente uguale al valore di tutti i mezzi di produzione in esse consumati (parti costanti di capitale) più il valore creato dal lavoro da ultimo aggiunto (salario più plus valore). La totalità dei consumatori può quindi pagare questa intera somma di valore perchè, sebbene il valore di ogni singola merce consista in c + v + pv, la somma di valore di tutte le merci, prese nel loro insieme, che entrano nel fondo di consumo può essere, al massimo, uguale soltanto alla parte del valore del prodotto sociale che si risolve in v + pv, cioè uguale al valore che il lavoro speso durante l’anno ha aggiunto ai mezzi di produzione che ha già trovati pronti, al valore-capitale costante. Ma, quanto al valore-capitale costante, abbiamo visto che esso viene sostituito in duplice modo dalla massa sociale di prodotti. Primo, mediante lo scambio tra capitalisti II, che producono mezzi di consumo, e i capitalisti I che producono i mezzi di produzione a ciò necessari. E qui è l’origine della frase, secondo cui ciò che per l’uno è capitale è reddito per l’altro. Ma la cosa non sta così. I 2.000 IIc che esistono in mezzi di consumo del valore di 2.000 costituiscono valore-capitale costante per i capitalisti della classe II. Non lo possono quindi consumare essi stessi, sebbene il prodotto per la sua forma naturale debba essere consumato. D’altra parte, 2.000 I(v + pv) sono il salario più plusvalore prodotti dai capitalisti e dagli operai della classe I. Essi esistono nella forma naturale di mezzi di produzione, di cose nelle quali il loro proprio valore non può essere consumato. Abbiamo dunque qui una somma di valore di 4.000 [ di cui solo 2.000 possono essere consumati, cioè] di cui, sia prima che dopo lo scambio, la metà sostituisce soltanto capitale costante e la metà costituisce soltanto reddito. In secondo luogo, però, il capitale costante della sezione I viene sostituito in natura, parte mediante scambio tra i capitalisti I, parte mediante sostituzione in natura in ogni singola impresa. La frase, secondo cui l’intero valore annuo dei prodotti in definitiva dev’essere pagato dai consumatori, sarebbe esatta soltanto se tra i consumatori si comprendessero due categorie del tutto differenti, consumatori individuali e consumatori produttivi. Ma che una parte del prodotto debba essere consumata produttivamente, non significa altro se non che essa deve operare come capitale e non può essere consumata come reddito. Se suddividiamo il valore del prodotto complessivo, pari a 9.000, in 6.000c + 1.500v + 1.500pv, e consideriamo 3.000(v + pv) unicamente nella loro qualità di reddito, sembra invece che scompaia il capitale variabile e che il capitale, considerato dal punto di vista sociale, consista solo in capitale costante. Infatti, ciò che in origine apparve come 1.500v si è risolto in una parte del reddito sociale, in salario, reddito della classe operaia, ed è così scomparso il suo carattere di capitale. Di fatto, Ramsay perviene a questa conclusione. Secondo lui il capitale, considerato dal punto di vista sociale, consta unicamente di capitale fisso, ma per capitale fisso egli intende capitale costante, la massa di valore consistente in mezzi di produzione, siano questi mezzi di produzione mezzi di lavoro o materiale di lavoro, come materie prime, semilavorati, materie ausiliarie ecc. Egli chiama circolante il capitale variabile: «Il capitale circolante consiste esclusivamente in mezzi di sussistenza e altri articoli di necessità, anticipati agli operai prima che sia terminato il prodotto del loro lavoro... Solo il capitale fisso, non quello circolante, è, propriamente parlando, una sorgente della ricchezza nazionale... Il capitale circolante non è una forza che agisca direttamente nella produzione, e non è nemmeno essenziale ad essa, ma è soltanto un ripiego, reso necessario dalla deplorevole miseria della massa del popolo... Il capitale fisso soltanto, dal punto di vista nazionale, costituisce un elemento dei costi di produzione» (RAMSAY, ib., pp. 23-26 sgg.). Ramsay chiarisce meglio il suo concetto di capitale fisso, con cui intende il capitale costante, come segue: «La durata del periodo in cui una parte del prodotto di quel lavoro» (cioè del lavoro impiegato nella fabbricazione di qualsiasi merce) «è esistita come capitale fisso, cioè in una forma in cui essa, sebbene contribuisca alla produzione della merce futura, non mantiene operai» (p. 59). Qui ci si rende nuovamente conto del male che ha fatto A. Smith, annegando la distinzione tra capitale costante e variabile nella distinzione tra capitale fisso e circolante. Il capitale costante di Ramsay consta di mezzi di lavoro, quello circolante di mezzi di sussistenza; ambedue sono merci di valore dato, ne gli uni ne gli altri possono produrre plusvalore. X - CAPITALE E REDDITO: CAPITALE VARIABILE E SALARIO[49] L’intera riproduzione annua, l’intero prodotto di quest’anno è il prodotto del lavoro utile di quest’anno. Ma il valore di questo prodotto complessivo è maggiore della sua parte di valore in cui si materializza il lavoro annuo quale forza-lavoro spesa durante quest’anno. Il prodotto-valore di quest’anno, il valore creato ex-novo quest’anno in forma di merce, è minore del valore dei prodotti, del valore complessivo della massa di merci fabbricata durante l’intero anno. La differenza, che otteniamo detraendo dal valore complessivo del prodotto annuo il valore che gli è stato aggiunto dal lavoro dell’anno in corso, non è valore realmente riprodotto, ma unicamente valore che ricompare in una nuova forma d’esistenza; valore trasferito nel prodotto annuo di un valore esistente prima di esso, il quale, a seconda della durata delle parti costitutive costanti di capitale che hanno cooperato nel processo lavorativo sociale di quest’anno, può essere di data più o meno recente, può provenire dal valore di un mezzo di produzione che venne al mondo nell’anno precedente o in uno degli anni antecedenti. In ogni caso è un valore trasferito dai mezzi di produzione degli anni precedenti nel prodotto dell’anno in corso. Se prendiamo il nostro schema, dopo lo scambio degli elementi finora considerati tra I e II e, entro Il, abbiamo: I) 4.000c + 1.000v + 1.000pv (gli ultimi 2.000 realizzati in mezzi di consumo IIc) = 6.000. Il) 2.000c (riprodotti mediante lo scambio con I(v + pv)) + 500v + 500pv = 3.000. Somma di valore = 9.000. Il valore prodotto ex novo durante l’anno è contenuto soltanto nei (v) e (pv). La somma del prodotto-valore di quest’anno è quindi uguale alla somma dei v + pv = 2.000 I(v + pv) + 1.000 II(v +pv) = 3.000. Tutte le rimanenti parti del valore dei prodotti di quest’anno sono soltanto valore trasferito, attinto dal valore di preesistenti mezzi di produzione consumati nella produzione annua. Oltre al valore di 3.000, il lavoro dell’anno in corso non ha prodotto alcun valore; questo è tutto il suo prodotto-valore annuo. Ma, come abbiamo visto, i 2.000 I(v + pv) sostituiscono alla classe II i suoi 2.000c, nella forma naturale di mezzi di produzione. Due terzi del lavoro annuo, spesi nella categoria I, hanno dunque prodotto ex novo il capitale costante Il, sia il suo intero valore che la sua forma naturale. Considerati dal punto di vista sociale, due terzi del lavoro speso durante l’anno hanno quindi creato nuovo valore-capitale costante, realizzato nella forma naturale appropriata alla sezione Il. La maggior parte del lavoro sociale annuo è stata quindi spesa nella produzione di nuovo capitale costante (valore capitale esistente in mezzi di produzione) a sostituzione del valore-capitale costante speso nella produzione di mezzi di consumo. Ciò che distingue qui la società capitalistica dal selvaggio non è, come ritiene Senior[50], il fatto che il selvaggio abbia il privilegio e la peculiarità di spendere il suo lavoro in un certo tempo; che non gli procura frutti risolvibili (convertibili) in reddito, cioè in mezzi di consumo. La differenza è invece la seguente: a) La società capitalistica impiega una parte maggiore del suo lavoro annuo disponibile nella produzione di mezzi di produzione (ergo di capitale costante) che non possono risolversi in reddito né nella forma di salario né di plusvalore, ma possono operare soltanto come capitale. b) Quando il selvaggio costruisce archi, frecce, martelli di pietra, asce, ceste ecc., sa perfettamente che non ha impiegato questo tempo nella fabbricazione di mezzi di consumo, che quindi ha coperto il suo bisogno di mezzi di produzione e non altro. Inoltre il selvaggio commette un grave peccato economico con la sua assoluta indifferenza riguardo alle perdite di tempo, e talvolta, come racconta Tylor, impiega un mese intero per fabbricare una freccia[51]. La concezione corrente, mediante la quale una parte degli economisti cerca di liberarsi della difficoltà teorica, cioè la comprensione del nesso reale, — il fatto che ciò che per uno è capitale per l’altro è reddito e viceversa — è parzialmente esatta, e diviene interamente falsa (contiene quindi un’assoluta incomprensione di tutto il processo di scambio che si svolge con la riproduzione annua, quindi anche un’incomprensione del fondamento effettivo di quel che è parzialmente esatto), non appena viene generalizzata. Riassumiamo ora i rapporti effettivi su cui si fonda la parziale esattezza di questa concezione si mostrerà così contemporaneamente la falsa interpretazione di questi rapporti. 1. Il capitale variabile opera come capitale nelle mani del capitalista e come reddito nelle mani dell’operaio salariato. Il capitale variabile esiste dapprima nelle mani del capitalista come capitale monetario; e ha la funzione di capitale monetario poichè egli con esso compra forza-lavoro. Fino a che permane nelle sue mani in forma di denaro, non è altro che valore dato esistente nella forma di denaro, ossia una grandezza costante e non variabile. È capitale variabile solo potenzialmente, appunto per la sua capacità di convertirsi in forza-lavoro. Diventa capitale variabile reale sol tanto dopo essersi spogliato della sua forma di denaro, dopo esser stato convertito in forza-lavoro e dopo che questa ha funzionato come parte costitutiva del capitale produttivo nel processo capitalistico. Il denaro che dapprima funzionava come forma di denaro del capitale variabile per il capitalista, ora nelle mani dell’operaio funziona come forma di denaro del suo salario, che egli converte in mezzi di sussistenza; ossia come forma di denaro del reddito che egli ricava dalla vendita sempre ripetuta della sua forza-lavoro. Qui abbiamo soltanto il semplice fatto che il denaro del compratore, qui il capitalista, passa dalle sue mani a quelle del venditore, qui del venditore della forza-lavoro, l’operaio. Non è il capitale variabile ad avere una duplice funzione, come capitale per il capitalista e come reddito per l’operaio, ma è lo stesso denaro, che prima nelle mani del capitalista esiste come forma di denaro del suo capitale variabile, ossia come capitale variabile potenziale, e che, quando il capitalista lo ha convertito in forza-lavoro, serve nelle mani dell’operaio come equivalente della forza-lavoro venduta. Ma che lo stesso denaro nelle mani del venditore abbia una utilizzazione diversa che nelle mani del compratore, è un fenomeno inerente ad ogni compravendita di merci. Economisti apologeti rappresentano
falsamente la cosa, come risulta nel modo più chiaro se concentriamo la
nostra indagine esclusivamente sull’atto di circolazione 2. Nello scambio di 1.000 Iv + 1.000 Ipv contro 2.000 IIc, ciò che per gli uni è capitale costante (2.000 IIc) diviene quindi capitale variabile e plusvalore, ossia in generale reddito, per gli altri; e ciò che è capitale variabile e plusvalore (2.000 I(v + pv)), ossia reddito in generale, per gli uni, diviene per gli altri capitale costante. Esaminiamo in primo luogo lo scambio di Iv con IIc, e precisamente dapprima dal punto di vista dell’operaio. L’operaio complessivo di I ha venduto
per 1.000 la sua forza- lavoro al capitalista complessivo di I;
questo valore gli viene pagato in denaro nella forma di salario. Con
questo denaro acquista mezzi di consumo dello stesso ammontare di valore
da Il. Esaminiamo ora lo stesso scambio Iv contro IIc dal punto di vista del capitalista. L’intero prodotto-merce di Il consta di mezzi di consumo; ossia di cose destinate ad entrare nel consumo annuo, cioè a servire da reddito per qualcuno, nel caso presente, per l’operaio complessivo I. Per il capitalista complessivo Il, però, una parte del suo prodotto-merce pari a 2.000 è ora la forma trasformata in merce del valore-capitale costante del suo capitale produttivo, che da questa forma di merce dev’essere nuovamente ritrasformato nella forma naturale in cui può di nuovo operare come parte costante del capitale produttivo. Ciò che fino ad ora ha ottenuto il capitalista Il, è di avere, mediante la vendita all’operaio I, ritrasformato in forma di denaro la metà (ossia di 1.000) del suo capitale costante riprodotto in forma di merce. Non è quindi il capitale variabile Iv che si è convertito nella prima metà del valore-capitale costante IIc, ma il denaro che nello scambio contro forza-lavoro assolveva per I la funzione di capitale monetario, e che era venuto così in possesso del venditore della forza-lavoro, per il quale esso non rappresenta capitale ma reddito in forma di denaro, cioè viene speso come mezzo d’acquisto di oggetti di consumo. Il denaro di 1.000 affluito ai capitalisti Il dagli operai I, non può, d’altro lato, operare come elemento costante del capitale produttivo Il. Esso è ancora soltanto la forma di denaro del suo capitale-merce, deve essere ancora convertito in parti costitutive fisse o circolanti di capitale costante. Con il denaro ricevuto dagli operai I, i compratori della sua merce, Il compra quindi da I mezzi di produzione per 1.000. Con ciò, il valore-capitale costante Il è rinnovato per una metà del suo ammontare complessivo nella forma naturale in cui può operare di nuovo come elemento del capitale produttivo Il. In questo caso, la forma della circolazione è stata M — D — M: mezzi di consumo del valore di 1.000 — denaro = 1.000 — mezzi di produzione del valore di 1.000. Ma M — D — M è qui movimento di capitale. M, venduto agli operai, si trasforma in D, e questo D viene convertito in mezzi di produzione; è ritrasformazione da merce negli elementi materiali di formazione di questa merce. D’altro lato, come il capitalista II di fronte al I ha solo la funzione di compratore di merce, qui il capitalista I di fronte al Il ha solo la funzione di venditore di merce. In origine con 1.000 in denaro, destinate a operare come capita variabile, I ha comperato forza-lavoro del valore di 1.000; per i suoi 1.000v sborsati in forma di denaro egli ha ricevuto quindi un equivalente; il denaro appartiene ora all’operaio, che lo spende in acquisiti da II; I può riottenere questo denaro, che si è così riversato nelle casse di II, soltanto ripescandolo mediante vendita di merci dello stesso ammontare di valore. I possedeva all’inizio una determinata somma di denaro pari a 1.000 destinata a operare come parte variabile di capitale; come tale essa opera mediante la sua conversione in forza-lavoro dello stesso ammontare di valore. Ma come risultato del processo di produzione l’operaio gli ha fornito una massa di merci (mezzi di produzione) del valore di 6.000, di cui 1/6, ossia 1.000, rappresentano, secondo il loro valore, un equivalente della parte variabile di capitale anticipata in denaro. Come prima nella sua forma di denaro, così ora nella sua forma di merce il valore-capitale variabile non opera come capitale variabile; lo può soltanto dopo essersi convertito in forza- lavoro vivente, e solo fino a che questa forza-lavoro opera nel processo di produzione. Come denaro, il valore-capitale variabile era unicamente capitale variabile potenziale. Ma si trovava in una forma in cui poteva essere convertito direttamente in forza-lavoro. Come merce, questo stesso valore-capitale variabile è valore monetario ancora solo potenziale; viene ricostituito nella sua originaria forma di denaro soltanto mediante la vendita della merce, qui dunque per il fatto che II compra merce per 1.000 da I Il movimento di circolazione è qui: 1.000v (denaro) — forza-lavoro del valore di 1.000 — 1.000 in merce (equivalente del capitale variabile) — 1.000v (denaro); dunque D — M ... M — D ( = D — L ... M — D). Il processo di produzione stesso che cade tra M ed M non appartiene alla sfera della circolazione; non appare nello scambio reciproco dei diversi elementi della riproduzione annua, sebbene questo scambio comprenda la riproduzione di tutti gli elementi del capitale produttivo, così del suo elemento costante come del variabile, la forza-lavoro. Tutti gli agenti di questo scambio compaiono soltanto come compratori o venditori, o ambedue le cose; gli operai vi compaiono soltanto come compratori di merce; i capitalisti alternativamente come compratori e venditori; e, entro determinati limiti, soltanto unilateralmente come compratori di merce o come venditori di merce. Risultato: I possiede di nuovo la parte variabile di valore del suo capitale in forma di denaro, dalla quale soltanto essa e convertibile direttamente in forza-lavoro, cioè la possiede di nuovo nell’unica forma in cui può essere realmente anticipata come elemento variabile del suo capitale produttivo. D’altro lato, per poter agire di nuovo come compratore di merce, l’operaio ora deve prima agire di nuovo come venditore di merce, come venditore della sua forza-lavoro. Rispetto al capitale variabile della categoria Il (500v), il processo di circolazione tra capitalisti e operai della stessa classe produttiva si presenta in forma immediata, in quanto lo consideriamo come svolgentesi tra il capitalista complessivo Il e l’operaio complessivo Il. Il capitalista complessivo II anticipa 500v in acquisto di forza-lavoro dello stesso ammontare di valore; il capitalista complessivo qui è compratore, l’operaio complessivo venditore. L’operaio agisce poi con il denaro ricavato per la sua forza-lavoro come compratore di una parte delle merci da lui stesso prodotte. Qui dunque il capitalista è venditore. L’operaio ha sostituito per il capitalista il denaro speso da questo nell’acquisto della sua forza-lavoro con una parte del capitale-merce II prodotto, cioè 500v in merce; il capitalista possiede ora in forma di merce lo stesso v che in forma di denaro possedeva prima della conversione in forza-lavoro; d’altro lato l’operaio ha realizzato in denaro il valore della sua forza-lavoro e ora per provvedere al proprio consumo realizza di nuovo questo denaro spendendolo come reddito nell’acquisto di una parte dei mezzi di consumo da lui stesso prodotti. È questo uno scambio del reddito in denaro dell’operaio contro la parte costitutiva di merci 500v del capitalista da lui stesso riprodotta in forma di merce. Questo denaro ritorna così al capitalista II come forma di denaro del suo capitale variabile. Un valore-reddito equivalente in forma di denaro sostituisce qui un valore-capitale variabile in forma di merce. Il capitalista non si arricchisce per il fatto di sottrarre nuovamente all’operaio, vendendogli una massa equivalente di merci, quel denaro che gli paga quando acquista la forza-lavoro. Di fatto, pagherebbe l’operaio due volte se dapprima gli pagasse 500 quando acquista la sua forza-lavoro, e per di più gli desse ancora gratuitamente la massa di merci del valore di 500 che ha fatto produrre all’operaio. All’inverso, se l’operaio non gli producesse altro che un equivalente in merce di 500 per il prezzo della sua forza-lavoro di 500, dopo l’operazione il capitalista sarebbe esattamente allo stesso punto di prima. Ma l’operaio ha riprodotto un prodotto di 3.000; ha conservato la parte costante di valore del prodotto, cioè il valore dei mezzi di produzione consumati in esso, pari a 2.000, trasformandoli in prodotto nuovo; inoltre, ha aggiunto a questo valore dato un valore di 1000(v + pv). (La concezione secondo la quale il capitalista si arricchirebbe nel senso che ottiene plusvalore mediante il riflusso delle 500 in denaro, è sviluppata da Destutt de Tracy: ne tratterà più ampiamente il paragrafo XIII di questo capitolo). Mediante l’acquisto dei mezzi di consumo del valore di 500 da parte dell’operaio Il, il valore di 500 l che il capitalista II possedeva appunto ancora in merce, gli ritorna in denaro, nella forma in cui egli lo anticipò in origine. Risultato immediato della transazione, come in ogni altra vendita di merce, è la conversione di un valore dato da forma di merce in forma di denaro Anche il riflusso del denaro al suo punto di partenza, avvenuto per mezzo di questa transazione, non è nulla di specifico. Se il capitalista Il avesse comprato merce dal capitalista I per 500 in denaro e poi a sua volta venduto a I merce dell’ammontare di 500, gli sarebbero ugualmente rifluiti in denaro 500. I 500 in denaro avrebbero unicamente servito allo scambio di una massa di merci di 1.000 e, secondo la legge generale precedentemente esposta, sarebbero rifluiti a colui che aveva messo in circolazione il denaro per lo scambio di questa massa di merce. Ma 500 in denaro rifluiti al capitalista Il sono contemporaneamente un rinnovato capitale variabile potenziale in forma di denaro. Perché ciò? Il denaro, e quindi anche il capitale monetario, è capitale variabile potenziale solo perché e in quanto è convertibile in forza-lavoro. Il ritorno delle 500 Lst. in denaro al capitalista II è accompagnato dal ritorno della forza-lavoro Il sul mercato. Il ritorno delle due a poli opposti — quindi anche la ricomparsa dei 500 in denaro non soltanto come denaro ma anche come capitale variabile in forma di denaro — è determinato da una sola identica procedura. Il denaro di 500 rifluisce al capitalista Il perché egli ha venduto all’operaio Il mezzi di consumo dell’ammontare di 500, cioè perchè l’operaio ha speso il suo salario ed ha mantenuto così se stesso e la famiglia e con ciò anche la sua forza-lavoro. Per continuare a vivere e per poter continuare a agire come compratore di merce, egli deve vendere di nuovo la sua forza-lavoro. Il ritorno dei 500 in denaro al capitalista II è quindi contemporaneamente il ritorno, rispettivamente il permanere della forza-lavoro come merce acquistabile mediante i 500 in denaro, e con ciò il ritorno dei 500 in denaro come capitale variabile potenziale. Quanto alla categoria lIb, produttrice di oggetti di lusso, per il suo v — (IIb)v — avviene come per Iv. Il denaro, che ai capitalisti lIb rinnova in forma di denaro il capitale variabile, fluisce a loro per via indiretta, passando per le mani dei capitalisti Ila. Tuttavia vi è differenza se gli operai comprano i loro mezzi di sussistenza direttamente dai produttori capitalistici ai quali essi vendono la propria forza-lavoro, oppure se li comprano da un’altra categoria di capitalisti, per mezzo dei quali il denaro rifluisce ai primi solo per via indiretta. Poichè la classe operaia vive alla giornata, compra fino a che può comprare. Diversamente avviene per i capitalisti, ad esempio. nello scambio di IIc con 1.000 Iv. Il capitalista non vive alla giornata. Il motivo che lo spinge è la maggiore valorizzazione possibile del suo capitale. Se perciò sopravvengono circostanze di qualunque genere che fanno apparire al capitalista Il che sarebbe più vantaggioso mantenere più a lungo, almeno parzialmente, in forma di denaro, il proprio capitale costante, anziché rinnovarlo immediatamente, il riflusso dei 1.000 IIc (in denaro) a I ritarda; ritarda di conseguenza anche la ricostituzione dei 1.000v in forma di denaro, e il capitalista I può continuare a lavorare sulla stessa scala soltanto se ha a disposizione denaro di riserva, come in generale è necessario un capitale di riserva in denaro per poter continuare a lavorare ininterrottamente, senza dover dipendere dalla velocità del riflusso del valore-capitale variabile in denaro. Dovendo esaminare lo scambio dei diversi elementi della riproduzione annua corrente, si deve anche esaminare il risultato del lavoro dell’anno trascorso, del lavoro dell’anno già terminato. Il processo di produzione che ebbe per risultato questo prodotto annuo, sta dietro a noi, è scomparso, dissolto nel suo prodotto, e tanto più lo è quindi anche il processo di circolazione che precede il processo di produzione o corre parallelo ad esso, la conversione di capitale variabile potenziale in reale, cioè la compravendita di forza-lavoro. Il mercato del lavoro non fa più parte del mercato delle merci che si ha qui dinanzi a sè. Qui l’operaio non soltanto ha già venduto la sua forza-lavoro, ma oltre al plusvalore ha fornito un equivalente in merce del prezzo della sua forza-lavoro; d’altro lato, ha in tasca il suo salario, e durante lo scambio figura soltanto come compratore di merce (mezzi di consumo). Ma, d’altra parte, il prodotto annuo deve contenere tutti gli elementi della riproduzione, ricostituire tutti gli elementi del capitale produttivo, innanzitutto quindi il suo elemento più importante, il capitale variabile. E infatti abbiamo visto che, rispetto al capitale variabile, il risultato della conversione si presenta come segue: quale compratore di merci, spendendo il suo salario e consumando la merce acquistata, l’operaio conserva e riproduce la sua forza-lavoro come l’unica merce che egli può vendere; come il denaro ritorna al capitalista che lo ha anticipato nell’acquisto di questa forza-lavoro, anche la forza-lavoro, quale merce che può essere scambiata con questo denaro, ritorna sul mercato del lavoro; come risultato specifico per i 1.000 Iv, otteniamo: 1.000v in denaro dal lato dei capitalisti I — di contro: forza-lavoro del valore di 1.000 dal lato degli operai I, cosicchè l’intero processo di riproduzione I può ricominciare. Questo è uno dei risultati del processo di scambio. D’altro lato, l’esborso del salario degli operai I ha prelevato da Il mezzi di sussistenza per l’importo di 1.000c, trasformandoli così da forma di merce in forma di denaro; da questa forma di denaro II li ha ritrasformati nella forma naturale del suo capitale costante, mediante l’acquisto di merci = 1.000v da I, al quale rifluisce così in forma di denaro il suo valore-capitale variabile. Il capitale variabile I compie tre trasformazioni che non compaiono affatto, o solo come tracce, nello scambio del prodotto annuo. 1) La prima forma, 1.000 Iv in denaro viene convertito in forza- lavoro dello stesso ammontare di valore. Questa conversione non compare essa stessa nello scambio di merci tra I e II, ma il suo risultato appare nel fatto che gli operai della classe I con 1.000 in denaro si contrappongono al venditore di merce Il, proprio come gli operai della classe Il si contrappongono con 500 in denaro al venditore di merce di 500 Ilv in forma di merce. 2) La seconda forma, l’unica in cui il capitale variabile varii realmente, operi realmente come capitale variabile, in cui al posto di un valore dato, scambiato con essa, compaia una forza creatrice di valore, appartiene esclusivamente al processo di produzione che abbiamo già esaminato. 3) La terza forma, in cui il capitale variabile si è confermato tale nel risultato del processo di produzione, è il prodotto-valore annuo, cioè per I = 1.000v + 1.000pv = 2.000 I(v + pv). Al posto del suo valore originario in denaro = 1.000 è subentrato un valore di merce di grandezza doppia = 2.000. Anche il valore-capitale variabile in merce 1.000 costituisce perciò soltanto la metà del prodotto-valore creato dal capitale variabile come elemento del capitale produttivo. I 1.000 Iv in merce sono un equivalente esatto della parte del capitale complessivo originariamente anticipata da I in 1.000v in denaro e variabile per sua destinazione; ma in forma di merce sono denaro soltanto potenzialmente (lo diventano realmente soltanto con la loro vendita), a maggior ragione, quindi, non sono capitale monetario direttamente variabile. Lo diventano alla fine con la vendita della merce 1.000 Iv a IIc e con l’immediata ricomparsa della forza-lavoro come merce acquistabile, come materiale in cui si possono convertire i 1.000v in denaro. Durante tutte queste trasformazioni, il capitalista I tiene costantemente nelle sue mani il capitale variabile; 1) all’inizio come capitale monetario; 2) poi come elemento del suo capitale produttivo; 3) quindi ancora come parte di valore del suo capitale-merce, cioè in valore-merce; 4) infine di nuovo in denaro, cui si contrappone di nuovo la forza-lavoro in cui esso è convertibile. Durante il processo lavorativo il capitalista ha nelle sue mani il capitale variabile come forza-lavoro che si attiva, crea valore, ma non come valore di grandezza data; tuttavia poichè egli paga l’operaio sempre solo dopo che la sua forza ha già operato per un determinato tempo, più o meno lungo, prima di pagana ha già nelle sue mani anche il valore da essa creato a sostituzione di se stessa più il plusvalore. Poichè il capitale variabile in una forma qualsiasi rimane sempre nelle mani del capitalista, non si può dire in alcun modo che si converta in reddito per chicchessia. 1.000 Iv in merce si convertono invece in denaro con la loro vendita a II, cui sostituiscono in natura la metà del suo capitale costante. Ciò che si risolve in reddito non è il capitale variabile I, 1.000v in denaro; questo denaro cessa di operare come forma di denaro del capitale variabile I, non appena è convertito in forza-lavoro, come il denaro di un qualsiasi venditore di merce (nel testo Warenverkäufer: venditore di merce. Potrebbe trattarsi di una svista tipografica per Warenkäufer: compratore di merce, che si adatta maggiormente al contesto) cessa di rappresentare qualcosa che gli appartiene non appena egli l’abbia convertito nella merce di un venditore. Le conversioni che il denaro ricevuto come salario compie nelle mani della classe operaia non sono conversioni del capitale variabile, ma del valore della sua forza-lavoro trasformata in denaro; esattamente come la conversione del prodotto-valore (2.000 I (v + pv)) creato dall’operaio è unicamente la conversione di una merce appartenente ai capitalisti, e non riguarda l’operaio. Ma il capitalista — e più ancora il suo interprete teorico, l’economista — difficilmente può liberarsi della convinzione che il denaro pagato all’operaio sia ancor sempre il suo denaro, il denaro del capitalista. Se il capitalista è produttore d’oro, la parte variabile di valore — cioè l’equivalente in merce che gli sostituisce il prezzo d’acquisto del lavoro — compare essa stessa direttamente in forma di denaro e può quindi anche operare di nuovo come capitale monetario variabile senza dover passare per la via indiretta del riflusso. Ma quanto all’operaio in Il — prescindiamo qui dall’operaio occupato nella produzione di lusso — i 500v esistono essi in merci che sono destinate al consumo dell’operaio e che egli, considerato come operaio complessivo, può di nuovo acquistare direttamente da quello stesso capitalista complessivo cui ha venduto la sua forza-lavoro. La parte variabile di valore del capitale II consiste, nella sua forma naturale, in mezzi di consumo, destinati per la maggior parte al consumo della classe operaia. Ma non è il capitale variabile ad essere speso in questa forma dall’operaio; è il salario, il denaro dell’operaio, che appunto con la sua realizzazione in questi mezzi di consumo ricostituisce per il capitalista il capitale variabile 500 lIv nella sua forma di denaro. Il capitale variabile lIv è riprodotto in mezzi di consumo, così come il capitale costante IIc; né l’uno né l’altro si risolve in reddito. In ambedue i casi, ciò che si risolve in reddito è il salario. Ma nello scambio del prodotto annuo è importante il fatto che mediante l’esborso del salario come reddito vengano ricostituiti come capitale monetario nel primo caso 1.000 IIc, e per la stessa via indiretta 1.000 Iv e nell’altro caso 500 lIv, dunque capitale costante e variabile (questo con riflusso in parte diretto, in parte indiretto). XI - SOSTITUZIONE DEL CAPITALE FISSO. Una notevole difficoltà che si incontra nella trattazione degli scambi della riproduzione annua è la seguente. Se prendiamo la forma più semplice in cui la cosa si presenta, abbiamo:
ciò che alla fine si risolve in: 4.000 Ic + 2.000 IIc + 1.000 Iv + 500 lIv + 1.000 Ipv + 500 IIpv= 6.000c + 1.500v + 1.500pv = 9.000. Una parte di valore del capitale costante, e precisamente quanto consta di mezzi di lavoro veri e propri (come categoria distinta dei mezzi di produzione) viene trasferita dai mezzi di lavoro nel prodotto del lavoro (la merce); questi mezzi di lavoro continuano a operare come elementi del capitale produttivo e ciò nella loro forma naturale; è il loro logorio, la perdita di valore che via via subiscono durante la loro funzione continuata in un periodo determinato a ricomparire come elemento di valore delle merci prodotte mediante essi, ad essere trasferita dagli strumenti di lavoro nel prodotto del lavoro. Rispetto alla riproduzione annua rientrano quindi a priori nella nostra analisi soltanto quelle parti costitutive del capitale fisso la cui vita dura più di un anno. Se entro l’anno periscono interamente, devono essere anche sostituite e rinnovate per intero dalla riproduzione annua, e perciò la questione relativa fin dall’inizio non le concerne. Per macchine e altre forme del capitale fisso che durano più a lungo, può avvenire — e avviene di frequente — che certi organi parziali di esse debbano essere sostituiti interamente entro l’anno, sebbene l’intero corpo dell’edificio o della macchina viva a lungo. Questi organi parziali rientrano nella stessa categoria degli elementi del capitale fisso da sostituire entro l’anno. Questo elemento di valore delle merci non si deve confondere assolutamente con i costi di riparazione. Se la merce viene venduta anche questo elemento di valore viene monetizzato, trasformato in denaro come gli altri; ma dopo la sua trasformazione in denaro appare la sua differenza dagli altri elementi di valore. Le materie prime e materie ausiliarie consumate nella produzione delle merci devono essere sostituite in natura, affinché inizi la riproduzione delle merci (e in generale il processo di produzione delle merci sia continuativo); la forza-lavoro spesa in esse dev’essere parimenti sostituita con forza-lavoro fresca. Il denaro ricavato dalla merce dev’essere quindi costantemente riconvertito in questi elementi del capitale produttivo, da forma di denaro in forma di merce. Non cambia nulla alla cosa il fatto che, ad esempio., materie prime e materie ausiliarie in certi momenti vengano acquistate in masse relativamente grandi — cosicchè costituiscono scorte produttive — che di conseguenza durante un certo lasso di tempo non sia necessario comprare di nuovo questi mezzi di produzione, quindi — fino a che essi durano — anche il denaro riscosso dalla vendita delle merci — in quanto serve a questo scopo — può accumularsi, e perciò questa parte del capitale costante appare temporaneamente come capitale monetario la cui funzione attiva è sospesa. Non è capitale-reddito; è capitale produttivo rimasto sospeso in forma di denaro. Il rinnovo dei mezzi di produzione deve svolgersi costantemente, sebbene la sua forma — rispetto alla circolazione — possa variare. Il nuovo acquisto, l’operazione di circolazione con cui essi vengono rinnovati, sostituiti, può avvenire a scadenze relativamente lunghe; nel qual caso si ha un grande investimento di denaro in una sola volta, compensato da una corrispondente scorta produttiva, oppure a scadenza ravvicinata, e allora abbiamo un esborso di denaro in dosi più piccole, che rapidamente si susseguono, e piccole scorte produttive. Ciò non cambia nulla alla sostanza della cosa. Lo stesso avviene per la forza-lavoro. Dove la produzione si svolge continuativamente per tutto l’anno sulla stessa scala, la forza-lavoro consumata viene sostituita costantemente con nuova forza-lavoro; dove il lavoro viene impiegato stagionalmente, o dove la quantità del lavoro impiegata varia secondo i periodi, come nell’agricoltura, viene acquistata corrispondentemente una massa ora maggiore ora minore di forza-lavoro. Invece il denaro ricavato dalla vendita delle merci, in quanto monetizza la parte di valore-merce che è uguale al logorio del capitale fisso, non viene ritrasformato nella parte costitutiva del capitale produttivo, di cui sostituisce la perdita di valore. Esso si deposita accanto al capitale produttivo e permane nella sua forma di denaro. Questo depositarsi di denaro si ripete fino a che sia trascorsa l’epoca di riproduzione che consta di un numero più o meno grande di anni, e durante la quale l’elemento fisso del capitale costante continua a operare nel processo di produzione nella sua antica forma naturale. Non appena l’elemento fisso del capitale costante, fabbricati, macchinario, ecc. ha cessato di esistere, non può più operare oltre nel processo di produzione, il suo valore esiste accanto ad esso, completamente sostituito in denaro, la somma dei depositi di denaro, dei valori che dal capitale fisso sono stati trasferiti gradatamente nelle merci alla cui produzione ha cooperato, e che con la vendita delle merci sono passati alla forma di denaro. Questo denaro serve allora a sostituire in natura il capitale fisso (o alcuni elementi dello stesso, poiché i suoi diversi elementi hanno una diversa durata), e a rinnovare così realmente questa parte costitutiva del capitale produttivo. Il denaro è quindi forma di denaro di una parte del valore-capitale costante, della sua parte fissa. Questa tesaurizzazione è quindi essa stessa un elemento del processo capitalistico di riproduzione, è riproduzione e accumulazione — in forma di denaro — del valore del capitale fisso o dei singoli elementi di esso, fino al tempo in cui il capitale fisso ha cessato di esistere e di conseguenza ha ceduto tutto il suo valore alle merci prodotte e dev’essere sostituito in natura. Ma questo denaro perde la sua forma di tesoro, e perciò entra di nuovo attivamente nel processo di riproduzione del capitale mediato dalla circolazione, solo quando viene ritrasformato in elementi nuovi del capitale fisso, per sostituire quelli periti. Come la circolazione semplice delle merci non è identica al puro e semplice scambio di prodotti, così la conversione del prodotto-merce annuo non può risolversi in semplice, diretto scambio reciproco delle sue differenti parti costitutive. Il denaro vi ha una parte specifica, che trova la sua espressione anche e soprattutto nel modo di riproduzione del valore-capitale fisso. (Si dovrà poi esaminare quale quadro si presenterebbe invece, con una produzione collettiva che non avesse la forma della produzione di merci). Ritorniamo ora allo schema fondamentale. Per la classe II avevamo: 2.000c
+ 500v + 500pv. Tutti i mezzi di consumo prodotti nel corso
dell’anno sono uguali qui a un valore di 3.000; e ciascuno dei diversi
elementi di merce, di cui consta la somma di merce, secondo il suo
valore si suddivide in Ciascuna delle specie di merci (e in gran parte sono le stesse specie di merci) il cui valore complessivo è stato indicato come 2.000c + 500v + 500pv, secondo il valore è così identicamente a tutte le altre,ossia 66 2/3%c + 16 2/3%v + 16 2/3%pv. Ciò vale per ciascun 100 delle merci che figurano sia sotto (c), sia sotto (v), sia sotto (pv). Le merci in cui sono materializzati i 2.000c, secondo il valore sono a loro volta suddivisibili in: 1)1.333 1/3c + 333 1/3v + 333 1/3pv = 2.000c parimenti 500v in: 2) 333 1/3c + 83 1/3v + 83 1/3pv = 500v, infine 500pv in: 3) 333 1/3c + 83 1/3v + 83 1/3pv = 500pv Se sommiamo i (c) in 1, 2 e 3, abbiamo 1.333 1/3c + 333 1/3c + 333 1/3c = 2.000c. Parimenti 333 1/3v + 83 1/3v + 83 1/3v = 500v e così pure per pv; l’addizione complessiva dà il valore totale di 3.000, come sopra.
L’intero valore-capitale costante contenuto nella massa di merce lI del valore di 3.000, è dunque contenuto in 2.000c e né 500v né 500pv ne contengono un atomo. Lo stesso avviene, per quanto concerne v e pv. In altre parole; l’intera quota della massa di merce Il, che rappresenta valore-capitale costante ed è perciò nuovamente convertibile, sia nella forma naturale sia nella forma di denaro di quest’ultimo, è rappresentata da 2.000c. Tutto ciò che si riferisce alla conversione del valore costante delle merci Il è limitato quindi al movimento di 2.000 IIc; e questa conversione può avvenire soltanto con I (1.000v + 1.000pv). Parimenti per la classe I tutto ciò che si riferisce alla conversione del valore-capitale costante che le appartiene, dev’essere limitato all’esame di 4.000 Ic. 1. Sostituzione in forma di denaro della parte di valore rappresentata dal logorio. Se prendiamo dapprima:
la conversione delle merci 2.000 IIc in merci I dello stesso valore (1.000v + 1.000pv) presupporrebbe che 2.000 IIc tutti insieme si convertissero per intero in natura nelle parti costitutive naturali del capitale costante Il prodotte da I; ma il valore-merce di 2.000 in cui quello esiste contiene un elemento per la perdita di valore del capitale fisso che non si può immediatamente sostituire in natura, ma deve trasformarsi in denaro che via via si accumula come somma complessiva, finché scade il termine del rinnovo del capitale fisso nella sua forma naturale. Ogni anno è l’anno di morte per qualche capitale fisso che deve essere sostituito in questa o quell’impresa singola, o anche in questo o quel ramo d’industria; nello stesso capitale individuale dev’essere sostituita questa o quella parte del capitale fisso (poiché le sue parti hanno una durata diversa). Se esaminiamo la riproduzione annua — sia pure su scala semplice, cioè facendo astrazione da ogni accumulazione — non incominciamo ab ovo; prendiamo un anno tra molti che si susseguono, non il primo anno dalla nascita della produzione capitalistica. I diversi capitali investiti negli svariati rami di produzione della classe Il sono quindi di età diversa, e come annualmente muoiono persone che operano in questi rami di produzione, così annualmente masse di capitale fisso terminano in quest’anno la loro vita e devono essere rinnovate in natura da un fondo monetario accumulato. In questo senso nella conversione di 2.000 IIc in 2.000 I(v + pv) è compresa la conversione di 2.000 IIc dalla loro forma di merce (come mezzi di consumo) in elementi naturali che constano non soltanto di materie prime ed ausiliarie, ma anche di elementi naturali del capitale fisso, macchine, strumenti, fabbricati, ecc. Il logorio che dev’essere sostituito in denaro nel valore di 2.000 IIc, perciò, non corrisponde affatto al volume del capitale fisso in funzione, poiché annualmente una parte di esso dev’essere sostituita in natura; ma ciò presuppone che negli anni precedenti il denaro necessario a questa conversione si sia accumulato nelle mani dei capitalisti della classe Il. Ma appunto questo presupposto vale per l’anno corrente così come viene accolto per quelli precedenti. Nello scambio tra I (1.000v + 1.000pv) e 2.000 IIc, è da osservare innanzitutto che la somma di valore I (v + pv) non contiene elementi costanti di valore, quindi neppure elementi di valore per la sostituzione del logorio, cioè per valore che è stato trasferito dalla parte costitutiva fissa del capitale costante, nelle merci, nella cui forma naturale esistono v + pv. Questo elemento esiste invece in IIc, ed è appunto una parte di questo elemento di valore dovuto al capitale fisso che non si trasforma immediatamente da forma di denaro in forma naturale, ma deve permanere dapprima in forma di denaro. Perciò nello scambio di I (1.000v + 1.000pv) con 2.000 IIc urtiamo subito contro una difficoltà: i mezzi di produzione I, nella cui forma naturale esistono i 2.000 (v + pv), devono essere convertiti in equivalenti mezzi di consumo Il per l’intero loro ammontare di valore di 2.000 mentre, d’altro lato, i mezzi di consumo 2.000 IIc non possono essere convertiti nei mezzi di produzione I (1.000v + 1.000pv) per il loro pieno ammontare di valore, perché una parte aliquota del loro valore — pari al logorio, o perdita di valore del capitale fisso, da sostituire — deve depositarsi dapprima in denaro che, entro il corrente periodo annuo di riproduzione di cui solo ci occupiamo, non opera più come mezzo di circolazione. Ma il denaro con cui viene monetizzato l’elemento del logorio, che si trova nel valore merce 2.000 IIc, può provenire soltanto da I, poiché Il non può pagare se stesso, ma si paga appunto mediante la vendita della sua merce, e poiché, secondo l’ipotesi, I (v + pv) acquista l’intera somma di merce 2.000 lI; mediante questo acquisto, dunque, la classe I deve monetizzare quel logorio per II. Ma secondo la legge esposta prima, il denaro anticipato alla circolazione ritorna al produttore capitalistico, che più tardi immette nella circolazione un’uguale quantità in merce. Nell’acquisto di IIc, manifestamente, I non può dare a Il merci per 2.000 e per di più anche una somma eccedente di denaro una volta per tutte (senza che questa, mediante 1’operazione della conversione ritorni a lui). Altrimenti comprerebbe la massa di merci IIc al di sopra del suo valore. Se, di fatto, Il baratta I (1.000v + 1.000pv) nella conversione con i suoi 2.000c, non può esigere null’altro da I e il denaro che circola durante questa conversione ritorna a I o a Il, secondo chi dei due lo aveva messo in circolazione, cioè chi dei due è stato il primo a comparire come compratore. Contemporaneamente, in questo caso, II avrebbe ritrasformato il suo capitale-merce per la sua intera grandezza di valore nella forma naturale di mezzi di produzione, mentre è presupposto che durante il corrente periodo annuo di riproduzione egli non ritrasformi da denaro nella forma naturale di parti costitutive fisse del suo capitale costante una parte aliquota di esso, dopo la sua vendita. Una bilancia in denaro favorevole a II potrebbe stabilirsi soltanto se questi vendesse sì a I per 2.000, ma comprasse da I per meno di 2.000, ad esempio, solo per 1.800; allora I dovrebbe saldare con 200 in denaro che non gli rifluirebbe, perché non avrebbe nuovamente sottratto alla circolazione questo denaro anticipatole, immettendo nella circolazione merci uguali a 200. In questo caso avremmo un fondo monetario per II in conto del logorio del suo capitale fisso; avremmo però, dall’altro lato, per I, una sovrapproduzione di mezzi di produzione dell’ammontare di 200, e sarebbe distrutta così tutta la base dello schema, cioè la riproduzione su scala costante che presuppone una piena proporzionalità tra i diversi sistemi di produzione. La difficoltà sarebbe sostituita unicamente da un’altra, molto più spiacevole. Poiché questo problema presenta difficoltà particolari e finora non è stato trattato affatto dagli economisti, vogliamo esaminare per ordine tutte le possibili (per lo meno, apparentemente possibili) soluzioni, o meglio impostazioni del problema stesso. In primo luogo, abbiamo supposto or ora che II venda 2.000 a I, ma comperi da I merci per soli 1.800. Nel valore-merce 2.000 IIc erano contenuti 200 per la sostituzione del logorio, da tesaurizzare in denaro; così il valore 2.000 IIc si scomporrebbe in 1.800, da scambiare con mezzi di produzione I, e 200, sostituzione di logorio, da conservare in denaro (dopo la vendita dei 2.000c a I). Ovvero, rispetto alloro valore, 2.000 IIc sarebbero uguali a 1.800c + 200c (d), dove d = déchet (logorio. F.E.). Dovremmo quindi esaminare la conversione
Con 1.000 Lst. che erano affluite agli operai in salario, come pagamento della loro forza-lavoro, I acquista mezzi di consumo per 1.000 IIc; con le stesse 1.000 Lst., Il acquista mezzi di produzione per 1.000 Iv. Rifluisce così in forma di denaro ai capitalisti I il loro capitale variabile, ed essi possono acquistare con esso l’anno seguente forza-lavoro per lo stesso ammontare di valore, cioè sostituire in natura la parte variabile del loro capitale produttivo.
Inoltre con 400 Lst. anticipate II compra mezzi di produzione Ipv, e con le stesse 400 Lst. Ipv compra mezzi di consumo IIc. Le 400 Lst. anticipate da Il alla circolazione sono ritornate così ai capitalisti II, ma soltanto come equivalente di merce venduta. I compra mezzi di consumo per le 400 Lst. anticipate; Il compra mezzi di produzione per 400 Lst. da I, e queste 400 Lst. rifluiscono così a I.
Fin qui, il conto è quindi il seguente: I mette in circolazione 1.000v + 800pv in merce; mette inoltre in circolazione in denaro: 1.000 Lst. in salario e 400 Lst. per lo scambio con lI. Compiuto lo scambio, I ha: 1.000v in denaro, 800pv convertiti in 800 IIc (mezzi di consumo) e 400 Lst. in denaro. Il mette in circolazione 1.800c in merce (mezzi di consumo) e 400 Lst. in denaro; compiuto lo scambio, egli ha: 1.800 in merce I (mezzi di produzione) e 400 Lst. in denaro. Ora abbiamo ancora, da parte di I,
200pv (in mezzi di produzione) e da parte di II, Secondo l’ipotesi, con 200 Lst. I
compera i mezzi di consumo c (d) per l’ammontare di valore di 200;
ma Il trattiene queste 200 Lst., poiché 200c (d)
rappresentano il logorio e non sono quindi da convertire di nuovo
direttamente in mezzi di produzione. Dunque
Ciò non è soltanto in contraddizione col presupposto della riproduzione su scala semplice; in sè e per sè non è un’ipotesi che possa spiegare la monetizzazione di 200c (d); significa piuttosto che essa non è spiegabile. Poichè non si può dimostrare come si possano monetizzare 200c (d), si presuppone che I abbia la compiacenza di monetizzarli, proprio perchè I non è in grado di monetizzare il suo proprio resto di 200pv. Concepire questo come un’operazione normale del meccanismo della conversione, è proprio come se si supponesse che annualmente piovano dal cielo 200 Lst. per monetizzare regolarmente i 200c (d). L’assurdità di tale ipotesi, tuttavia, non balza immediatamente agli occhi se Ipv anziché presentarsi come qui nel suo primitivo modo di esistenza, — cioè come parte costitutiva del valore di mezzi di produzione, ossia come parte costitutiva del valore di merci che i loro produttori capitalistici devono realizzare in denaro mediante la vendita — compare nelle mani dei compartecipanti dei capitalisti, ad esempio. come rendita nelle mani di proprietari fondiari, o come interesse nelle mani di chi presta denaro. Ma se la parte del plusvalore delle merci che il capitalista industriale deve cedere come rendita fondiaria o interesse ad altri comproprietari del plusvalore a lungo andare non è realizzabile mediante la vendita delle stesse merci, allora cessa anche il pagamento di rendita o interesse, e perciò i proprietari fondiari o coloro che incassano gli interessi non possono servire da dei ex machina, spendendo questi introiti, per monetizzare a volontà determinate parti della riproduzione annua. Lo stesso avviene per le spese di tutti i cosiddetti lavoratori improduttivi, impiegati dello Stato, medici, avvocati ecc., e insomma per chiunque nella forma del «gran pubblico» presta «servizi» agli economisti politici, spiegando cose da essi non spiegate. Né giova che al posto dello scambio diretto tra I e Il — tra le .due grandi sezioni dei produttori capitalistici stessi — si ricorra al commerciante che operi come mediatore e con il suo «denaro» rimuova tutte le difficoltà. Nel caso dato, ad esempio, i 200 Ipv da ultimo e definitivamente devono essere smerciati ai capitalisti industriali di II. Possono passare per le mani di una serie di commercianti, l’ultimo — conformemente all’ipotesi — si trova di fronte a II nella stessa situazione in cui si trovavano al principio i produttori capitalistici di II, i quali non possono vendere a Il i 200 Ipv; e la somma d’acquisto arenatasi non può rinnovare lo stesso processo con I. Qui si vede come, prescindendo dal nostro scopo vero e proprio, sia assolutamente necessario l’esame del processo di riproduzione nella sua forma fondamentale — in cui sono eliminati tutti gli schermi che lo offuscano, — per liberarsi dei falsi sotterfugi che danno l’apparenza di una spiegazione «scientifica» quando il processo sociale di riproduzione viene immediatamente fatto oggetto di analisi nella sua complessa forma concreta. La legge per cui nel corso normale della riproduzione (sia su scala semplice, sia su scala allargata) il denaro anticipato alla circolazione dal produttore capitalistico deve ritornare al suo punto di partenza (dove è indifferente se il denaro appartiene ad esso o è preso a prestito), esclude dunque, una volta per tutte, l’ipotesi che 200 IIc (d) vengano monetizzati, con denaro anticipato da I. 2. Sostituzione in natura del capitale fisso. Dopo aver eliminato l’ipotesi or ora esaminata, rimangono ancora soltanto quelle possibilità che, oltre alla sostituzione in denaro del logorio, comprendono anche il compiersi della sostituzione in natura del capitale fisso interamente consumato. In precedenza avevamo presupposto: a) che 1.000 Lst. pagate in salario da I vengono spese dagli operai in IIc dello stesso ammontare di valore, cioè che essi le spendano comprando mezzi di consumo. Che qui le 1.000 Lst. vengano da I anticipate in denaro, non è che la constatazione di un fatto. Il salario dev’essere pagato in denaro dai rispettivi produttori capitalistici; questo denaro viene poi speso dagli operai in mezzi di sussistenza, e i venditori dei mezzi di consumo se ne servono a loro volta di nuovo come mezzo di circolazione nella conversione del loro capitale costante da capitale-merce in capitale produttivo. Esso percorre molti canali (merciai, proprietari di case, esattori delle tasse, lavoratori improduttivi come medici ecc., dei quali l’operaio stesso ha bisogno) e perciò soltanto in parte fluisce direttamente dalle mani degli operai I in quelle della classe capitalistica Il. Il flusso può arrestarsi in misura più o meno grande, perciò può essere necessaria una nuova riserva monetaria da parte dei capitalisti. Ma tutto questo non rientra nell’analisi di questa forma fondamentale. b) È stato presupposto che una volta I anticipa per acquisti da II altre 400 Lst. in denaro, che gli rifluisce, come un’altra volta II anticipa per acquisti da I 400 Lst. che gli rifluiscono. Questo presupposto dev’essere fatto, perché inversamente sarebbe arbitrario presumere che unilateralmente i capitalisti della classe I, oppure i capitalisti della classe II, anticipino alla circolazione denaro necessario alla conversione di merci. Poiché nel precedente paragrafo 1 è stato dimostrato che è da respingersi come assurda l’ipotesi secondo cui I mette in circolazione denaro addizionale per monetizzare i 200 IIc (d), manifestamente non rimarrebbe che l’ipotesi, in apparenza ancor più assurda, che Il stesso immetta nella circolazione il denaro con cui viene monetizzata la parte costitutiva di valore della merce che deve sostituire il logorio del capitale fisso. Ad esempio, la parte di valore che il filatoio del signor X perde nella produzione ricompare come parte di valore del filato; ciò che, da un lato, il suo filatoio perde in valore, ossia il logorio, deve, dall’altro lato, accumularsi presso di lui come denaro. X potrebbe allora, ad esempio, comprare cotone da Y per 200 Lst., e così anticipare alla circolazione 200 Lst. in denaro; con le stesse 200 Lst. Y compera da lui filo, e queste 200 Lst. servono a X come fondo per la sostituzione del logorio del filatoio. Tutto ciò si ridurrebbe al semplice fatto che X, prescindendo dalla sua produzione, dal prodotto di essa e dalla vendita di questo, tiene in petto 200 Lst. per ripagare se stesso della perdita di valore del filatoio, cioè che, oltre alla perdita di valore di 200 Lst. del suo filatoio deve aggiungere ancora annualmente 200 Lst. di tasca sua, per essere infine in grado di acquistare un nuovo filatoio.
Ma l’assurdità è soltanto apparente. La classe Il consta di capitalisti il cui capitale fisso si trova in fasi del tutto diverse della sua riproduzione. Per gli uni, esso ha raggiunto il punto in cui dev’essere interamente sostituito in natura. Per gli altri si trova più o meno lontano da questo stadio; a tutti i componenti di quest’ultima categoria è comune il fatto che il loro capitale fisso non viene realmente riprodotto, cioè rinnovato in natura o sostituito da un nuovo esemplare della stessa specie; il suo valore viene invece accumulato successivamente in denaro. I primi si trovano del tutto (rispettivamente in parte, cosa che, qui, non comporta nessuna differenza) nella stessa situazione che alla costituzione della loro impresa, quando comparvero sul mercato con un capitale monetario, per trasformarlo da un lato in capitale costante (fisso e circolante) e d’altro lato in forza-lavoro, in capitale variabile. Come allora, essi devono ora di nuovo anticipare alla circolazione questo capitale monetario, cioè tanto il valore del capitale fisso costante che quello del capitale circolante e del capitale variabile. Se si presuppone quindi che delle 400 Lst., che i capitalisti della classe Il mettono in circolazione per lo scambio con I, la metà provenga da quei capitalisti di II i quali devono rinnovare non soltanto, con le loro merci, i loro mezzi di produzione appartenenti al capitale circolante, ma anche, col loro denaro, il loro capitale fisso, in natura, mentre l’altra metà dei capitalisti Il con il suo denaro sostituisce in natura unicamente la parte circolante del suo capitale costante, ma non rinnova in natura il suo capitale fisso, non v’è nulla di contraddittorio nel fatto che le 400 Lst. rifluenti (rifluenti non appena I compra con esse mezzi di consumo) si ripartiscano ora diversamente tra queste due categorie di II. Esse rifluiscono alla classe Il, ma non rifluiscono nelle stesse mani, ma si ripartiscono diversamente entro questa classe, passano da una parte di essa all’altra. La prima parte di II, oltre alla parte di mezzi di produzione coperta infine dalle sue merci, ha convertito 200. Lst. in denaro in nuovi elementi fissi di capitale in natura. Il suo denaro così speso come all’inizio dell’impresa — le rifluisce dalla circolazione soltanto successivamente in una serie di anni, come parte costitutiva di valore corrispondente al logorio delle merci da produrre con questo capitale fisso. L’altra parte di II, invece, per 200 Lst. non ha acquistato da I merci, questo la paga invece con il denaro con cui la prima parte di II ha comprato elementi fissi di capitale. La prima parte di II possiede di nuovo in rinnovata forma naturale il suo valore-capitale fisso, l’altra è ancora occupata ad accumularlo in forma di denaro, per sostituire più tardi in natura il suo capitale fisso.
Lo stato di cose da cui dobbiamo prendere le mosse è il seguente. Dopo le conversioni precedenti il resto delle merci da convertire dalle due parti è, per I, 400pv, e, per II, 400c[52]. Supponiamo che Il anticipi 400 in denaro per la conversione di queste merci dell’ammontare di 800. Una metà delle 400 (ossia 200) in ogni caso dev’essere sborsata dalla parte di IIc che ha accumulato 200 in denaro come valore di logorio, e che ora lo deve ritrasformare nella forma naturale del suo capitale fisso. Esattamente nello stesso modo che valore-capitale costante, valore-capitale variabile e plusvalore — in cui è scomponibile il valore del capitale-merce di I come di II — possono essere rappresentati in particolari quote proporzionali delle merci II, rispettivamente I, così può essere rappresentata entro lo stesso valore-capitale costante anche la parte di valore che non può essere ancora convertita nella forma naturale del capitale fisso, ma deve essere per il momento ancora gradatamente tesaurizzata in forma di denaro. Una determinata quantità delle merci Il (nel nostro caso, dunque, la metà del resto pari a 200) è qui ormai soltanto portatrice di questo valore di logorio, che per mezzo dello scambio deve depositarsi in denaro. (La prima parte dei capitalisti Il che rinnova in natura capitale fisso, con il valore di logorio racchiuso nella massa di merci della quale figura qui soltanto il resto, può aver realizzato per sè già una parte del valore corrispondente al logorio; ma le restano così da realizzare ancora 200 in denaro). Quanto poi alla seconda metà (ossia 200) delle 400 Lst. messe in circolazione da II in questa operazione di resto, essa acquista da I parti costitutive circolanti del capitale costante. Una parte di queste 200 Lst. può essere messa in circolazione da ambedue le parti di lI o soltanto da quella che non rinnova in natura la parte costitutiva fissa di valore. Con le 400 Lst., a I vengono quindi prelevate 1) merci dell’ammontare di 200 Lst. che constano esclusivamente di elementi del capitale fisso, 2) merci dell’ammontare di 200 Lst., che costituiscono esclusivamente elementi naturali della parte circolante del capitale costante di II. I ha così venduto il suo intero prodotto-merce annuo, nella misura in cui questo si può vendere a II; ma il valore di un quinto di esso, 400 Lst., esiste ora nelle sue mani in forma di denaro. Ma questo denaro è plusvalore monetizzato, che dev’essere speso come reddito in mezzi di consumo. Con le 400, I compra quindi l’intera provvista di merci di Il pari a 400. Il denaro rifluisce dunque a II, prelevandone le merci.
Prendiamo ora tre casi. Chiamiamo qui «parte 1» la parte dei capitalisti Il che sostituisce in natura capitale fisso, e «parte 2» quella che accumula in forma di denaro il valore del logorio di capitale fisso. I tre casi sono i seguenti: a) di 400, che sussistono ancora sub Il in merci come resto, una quota deve sostituire per la parte 1 e la parte 2 (poniamo 1/2 ciascuna) determinate quote di parti circolanti del capitale costante; b) la parte 1 ha già venduto tutta la sua merce, e quindi la parte 2 deve ancora vendere 400; c) la parte 2 ha venduto tutto tranne i 200, che racchiudono il valore del logorio. Otteniamo allora le seguenti ripartizioni: a) del valore-merce pari a 400c che II ha ancora nelle mani, la parte 1 possiede 100 e la parte 2, 300; di queste 300, 200 rappresentano il logorio. In questo caso, delle 400 Lst. in denaro, che ora I restituisce per prelevare le merci II, la parte 1 ha sborsato originariamente 300, e precisamente 200 in denaro, per cui ha ritirato da I elementi fissi di capitale in natura, e 100 in denaro per rendere possibile il suo scambio di merci con I; invece la parte 2 ha anticipato delle 400 soltanto 1/4, cioè 100, sempre per rendere possibile il suo scambio di merci con I. Dei 400 in denaro, la parte 1 ha dunque anticipato 300 e la parte 2, 100.
Ma di questi 400 rifluiscono: Alla parte 1: 100, cioè soltanto 1/3 del denaro da essa anticipato. Ma per gli altri 2/3 essa possiede un rinnovato capitale fisso del valore di 200. Per questo elemento fisso di capitale del valore di 200, essa ha dato a I del denaro ma non lo ha fatto seguire da merce. Sotto questo aspetto, essa compare di fronte a I soltanto come compratrice e non anche, successivamente, come venditrice. Perciò questo denaro non può rifluire alla parte 1; diversamente, essa avrebbe avuto regalati da I gli elementi fissi di capitale. Rispetto all’ultimo terzo del denaro da essa anticipato, la parte 1 è comparsa dapprima come compratrice di parti costitutive circolanti del suo capitale costante. Con lo stesso denaro, I compra da essa il resto della sua merce del valore di 100. Il denaro rifluisce dunque ad essa (parte 1 di II) perché essa compare come venditrice di merce, subito dopo essere comparsa come compratrice. Se il denaro non rifluisse, Il (parte 1) per merci dell’ammontare di 100 avrebbe dato a I dapprima 100 in denaro e poi ancora per giunta 100 in merce, cioè gli avrebbe regalata la sua merce. Invece alla parte 2 che aveva sborsato 100 in denaro, rifluiscono 300 in denaro; 100, perché come compratrice essa ha messo in circolazione 100 in denaro, e come venditrice le riottiene; 200, perché opera soltanto come venditrice di merci dell’ammontare di 200, ma non come compratrice. Il denaro non può quindi rifluire a I. Il logorio di capitale fisso è quindi saldato per mezzo del denaro messo in circolazione da Il (parte 1) nell’acquisto di elementi fissi di capitale; ma esso perviene nelle mani della parte 2 non come denaro della parte 1, bensì come denaro appartenente alla classe I. b) Secondo questo presupposto, il resto di IIc si ripartisce in modo che la parte 1 possiede 200 in denaro e la parte 2 possiede 400 in merci.
La parte 1 ha venduto tutte le sue merci, ma 200 in denaro sono forma mutata di quella parte costitutiva fissa del suo capitale costante, che essa deve rinnovare in natura. Essa quindi compare qui soltanto come compratrice e al posto del suo denaro riceve merce I in elementi naturali del capitale fisso dello stesso ammontare di valore. La parte 2 deve mettere in circolazione al massimo (se per lo scambio di merci tra I e II non viene anticipato denaro da I) soltanto 200 Lst., poiché per la metà del suo valore-merce è soltanto venditrice, non compratrice nei confronti di I. Ad essa ritornano dalla circolazione 400 Lst.; 200, perchè le ha anticipate quale compratrice e le riottiene quale venditrice di 200 in merce; 200, perchè vende a I merce del valore di 200, senza ritirare da I un equivalente in merce.
c) La parte 1 possiede 200 in denaro e 200c in merce; la parte 2 possiede 200 c (d) in merci.
Secondo questo presupposto, la parte 2 non deve anticipare nulla in denaro, perchè, di fronte a I, non opera più affatto come compratrice ma ormai solo come venditrice e deve quindi attendere finché si compra da essa. La parte 1 anticipa 400 Lst. in denaro, 200 per uno scambio reciproco di merci con I, 200 come semplice compratrice da I. Con queste ultime 200 Lst. essa acquista gli elementi fissi di capitale. Con 200 Lst. in denaro I compra merce per 200 dalla parte 1, alla quale rifluiscono così le sue 200 Lst. anticipate in denaro per questo scambio di merci; e con le altre 200 Lst. — ottenute parimenti dalla parte 1 compra merci per 200 dalla parte 2, cui il logorio di capitale fisso si deposita così in denaro.
La cosa non muterebbe in alcun modo se supponessimo che nel caso c) anziché Il (parte 1) sia la classe I ad anticipare i 200 in denaro per la conversione delle merci esistenti. Se I compra allora dapprima merce per 200 da Il parte 2 — è presupposto che le sia rimasto da vendere soltanto questo resto di merce — le 200 Lst. non ritornano a I, poichè Il parte 2 non ricompare come compratore; ma Il parte 1 ha allora 200 Lst. in denaro per comprare, e altresì ancora 200 in merce da scambiare, cioè in tutto 400 da barattare con I. 200 Lst. in denaro rifluiscono allora da Il parte 1 a I. Se I le sborsa nuovamente per comprare i 200 in merce da II parte 1, esse gli rifluiscono quando II parte 1 preleva da I la seconda metà dei 400 in merce. Parte 1 (lI) ha sborsato 200 Lst. in denaro come pura e semplice acquirente di elementi del capitale fisso; perciò esse non le ritornano ma servono a monetizzare i 200c, merci residue di II parte 2, mentre a I il denaro sborsato per lo scambio delle merci, cioè le 200 Lst., è rifluito non via II parte 2, ma via II parte 1. Per la sua merce di 400 gli è ritornato un equivalente in merce dell’ammontare di 400; le 200 Lst. in denaro da lui anticipate per Io scambio degli 800 in merce, gli sono ritornate anch’esse, e così tutto è in ordine. La difficoltà che è risultata nello scambio:
è stata ricondotta alla difficoltà nello scambio dei resti: I ... 400pv lI (1) 200 in denaro+200c in merce + (2) 200c in merce
o, per rendere la cosa ancora più chiara: I 200pv + 200pv II (1) 200 in denaro + 200c in merce + (2) 200c in merce.
Poichè in Il, parte 1, 200c in merce si scambiano con 200 Ipv (merce) poichè tutto il denaro che circola tra I e Il in questo scambio di 400 in merci rifluisce a quello, I o II, che lo ha anticipato, questo denaro, come elemento dello scambio tra I e Il, di fatto non rappresenta un elemento del problema, che ci occupa qui.
In altri termini: supponiamo che nella conversione tra 200 Ipv (merce) e 200 IIc (merce di Il parte 1) il denaro operi come mezzo di pagamento, non come mezzo di acquisto e perciò neppure come «mezzo di circolazione» in senso stretto, è chiaro allora — poichè le merci 200 Ipv e 200 IIc (parte 1) sono dello stesso ammontare di valore, ossia mezzi di produzione del valore di 200 si scambiano contro mezzi di consumo del valore di 200 — che il denaro qui ha una funzione solo ideale e che non è necessario che questa o quella parte metta realmente in circolazione denaro per saldare il conto.
Il problema, quindi, si presenta nella sua forma pura soltanto quando noi cancelliamo dalle due parti I e Il la merce 200 Ipv ed il suo equivalente, la merce 200 IIc (parte 1).Eliminati questi due importi di merce di pari valore (I e II) che si compensano reciprocamente, rimane quindi il resto della conversione, in cui il problema emerge nella sua forma pura, cioè: I 200pv in merce II (1) 200c in denaro + (2) 200c in merce.
Qui è chiaro: Il parte 1, compra con 200 in denaro le parti costitutive del suo capitale fisso 200 Ipv; con ciò il capitale fisso di II parte1 è rinnovato in natura, e il plusvalore di I, per un ammontare di 200, è trasformato da forma di merce (mezzi di produzione e cioè elementi di capitale fisso) in forma di denaro. Con questo denaro, I compra mezzi di consumo da lI parte 2, e il risultato per II è che per la parte I è rinnovata in natura una parte costitutiva fissa del suo capitale costante mentre per la parte 2 un’altra parte costitutiva (che sostituisce logorio di capitale fisso) s’è depositata in denaro; e ciò prosegue anno per anno, finché anche questa parte costitutiva è da rinnovare in natura.
La condizione preliminare è qui evidentemente che questa parte costitutiva fissa del capitale costante II, che per il suo intero valore ritrasformata in denaro e perciò ogni anno dev’essere rinnovata in natura (parte 1), sia uguale al logorio annuo dell’altra parte costitutiva fissa del capitale costante II che continua ancora a operare nella sua antica forma naturale, e il cui logorio, la perdita di valore che esso trasferisce sulle merci nella cui produzione opera, dev’essere sostituito dapprima in denaro. Un tale equilibrio apparirebbe quindi come legge della riproduzione su scala costante; ciò che, in altre parole, significa che nella classe I che produce i mezzi di produzione deve rimanere invariata la proporzione tra le ripartizioni del lavoro che da un lato forniscono parti costitutive circolanti e dall’altro parti costitutive fisse del capitale costante della sezione Il. Prima di approfondire l’indagine di questo argomento, occorre vedere che cosa avviene se l’importo del resto di IIc (1) non è pari al resto di IIc (2); ossia se è maggiore o minore. Esaminiamo separatamente questi casi. Primo caso: I 200pv lI (1) 220c (in denaro) + (2) 200c (in merce).
Qui IIc (1) con 200 Lst. compra le merci 200 Ipv, e I con lo stesso denaro compra le merci 200 IIc (2), cioè quella parte costitutiva del capitale fisso che deve depositarsi in denaro, e che in questo modo è monetizzata. Ma 20 IIc (1) in denaro non è ritrasformabile in natura in capitale fisso.
Ma sembra che possiamo ovviare a questo inconveniente, fissando in 220 anziché in 200 il resto di Ipv, cosicchè dei 2.000 I sono stati assestati 1.780 anziché 1.800 dalla conversione precedente. In questo caso abbiamo: I 220pv II (1) 220c (in denaro) + (2) 200c (in merce).
IIc, parte 1, con 220 Lst. in denaro compra i 220 Ipv, e I con 200 Lst. compra allora i 200 IIc (2) in merce. Ma allora da parte di I rimangono 20 Lst. in denaro, un frammento di plusvalore che esso può soltanto conservare in denaro, non spendere in mezzi di consumo. Con ciò la difficoltà è soltanto spostata da IIc (parte 1) a Ipv.
Supponiamo ora, d’altro lato, che IIc (parte 1), sia minore di IIc (parte 2), dunque: Secondo caso: I 200pv (in merce) Il (1) 180c (in denaro) + (2) 200c (in merce).
Il (parte 1) con 180 Lst. in denaro compra merci per 180 Ipv; con questo denaro, I compra da Il (parte 2) merci dello stesso valore, cioè 180 IIc (2); rimangono, da un lato, 20 Ipv invendibili, e parimenti, dall’altro, 20 IIc (2); merci del valore di 40, non trasformabili in denaro.
Non ci gioverebbe a nulla porre il resto di 180; in tal caso, è vero, non rimarrebbe eccedenza in I, ma rimarrebbe sempre in IIc (parte 2) una eccedenza di 20 invendibile, non trasformabile in denaro. Nel primo caso, dove Il (1) è maggiore di II (2), dalla parte di IIc (1) rimane un’eccedenza in denaro, non ritrasformabile in capitale fisso, o, se il resto Ipv viene posto pari a IIc (1), la stessa eccedenza in denaro dal lato di Ipv, non trasformabile in mezzi di consumo. Nel secondo caso, dove IIc (1) è minore di IIc (2), rimane da parte di 200 Ipv e IIc (2) un deficit in denaro e pari eccedenza di merce da ambedue le parti, o, se il resto Ipv viene posto — IIc (2), un deficit in denaro e un’eccedenza in merce da parte di IIc (2). Se poniamo i resti Ipv sempre uguali a IIc (1) — poichè le ordinazioni determinano la produzione, e non cambia nulla alla riproduzione il fatto che nell’anno presente vien prodotta una quantità maggiore di parti costitutive fisse, in quello seguente una quantità maggiore di parti costitutive circolanti del capitale costante Il e I — nel primo caso, Ipv sarebbe ritrasformabile in mezzi di consumo, soltanto se con questo I acquistasse una parte del plusvalore da Il, se quindi questa, anziché essere consumata, venisse accumulata come denaro da I; nel secondo caso, si potrebbe ovviare all’inconveniente solo se I stesso spendesse il denaro, ossia l’ipotesi da noi scartata. Se IIc (1) è maggiore di IIc (2), è necessario importare merce straniera per realizzare l’eccedenza di denaro in Ipv. Se IIc (1) è minore di IIc (2), inversamente, è necessaria un’esportazione di merce Il (mezzi di consumo) per realizzare la parte di logorio IIc in mezzi di produzione. In ambedue i casi, dunque è necessario il commercio estero. Posto anche che nel considerare la riproduzione su scala costante si debba presumere che la produttività di tutti i rami d’industria, e di conseguenza anche i rapporti proporzionali di valore dei loro prodotti-merce, rimangano costanti, tuttavia i due casi ora menzionati in cui IIc (1) è maggiore o minore di IIc (2) presentano sempre un interesse per la produzione su scala allargata, in cui possono verificarsi incondizionatamente. 3. Risultati. Per quanto riguarda la sostituzione del capitale fisso, in generale è da osservare: Se — presupposte invariate tutte le altre circostanze, ossia non soltanto la scala della produzione ma anche e soprattutto la produttività del lavoro — si estingue una parte dell’elemento fisso di IIc maggiore che nell’anno precedente, e occorre quindi rinnovarne in natura una parte maggiore, la parte del capitale fisso che è ancora in via di estinzione e che fino al momento della sua morte dev’essere provvisoriamente sostituita in denaro, deve diminuire nella stessa proporzione, poichè, secondo l’ipotesi, la somma (anche la somma di valore) della parte fissa di capitale operante in IIc rimane la stessa. Ma ciò comporta i seguenti fenomeni. Primo: Quanto maggiore è la parte del capitale-merce I che consta di elementi del capitale fisso di IIc, tanto minore è la parte che consta delle parti costitutive circolanti di IIc, poichè la produzione complessiva di I per IIc rimane invariata. Se una parte di essa cresce, l’altra diminuisce, e viceversa. D’altra parte, però, anche la produzione complessiva della classe lI rimane della stessa grandezza. Ma come è possibile questo, data la diminuzione delle sue materie prime, semilavorati, materie ausiliarie? (Cioè degli elementi circolanti del capitale costante Il). Secondo: una parte maggiore del capitale fisso IIc ricostituito in forma di denaro affluisce a I, per essere ritrasformata da forma di denaro in forma naturale. A I affluisce quindi una maggiore quantità di denaro, oltre al denaro circolante tra I e Il per il puro e semplice scambio di merci; una maggiore quantità di denaro, che non media un reciproco scambio di merci, ma compare solo unilateralmente in funzione di mezzo d’acquisto. Ma contemporaneamente la massa di merci di IIc, depositaria della sostituzione di valore del logorio, sarebbe proporzionalmente diminuita, lo sarebbe cioè la massa di merci II che dev’essere scambiata non contro merce ma soltanto contro denaro di I. Da Il a I sarebbe affluita una maggiore quantità di denaro come puro e semplice mezzo di acquisto e ci sarebbe una minor quantità di merce di II, di fronte alla quale I dovrebbe operare solo come compratore. Una parte maggiore di Ipv — perchè Iv è già convertito in merce Il — non sarebbe quindi convertibile in merce II, ma dovrebbe permanere in forma di denaro. Dopo quanto è stato detto, non è necessario estendere l’esame anche al caso inverso, in cui in un anno la riproduzione del capitale fisso Il estinto è minore, e maggiore invece la parte di logorio. E così sarebbe la crisi — crisi di produzione — sebbene la riproduzione si svolga su scala costante. In breve: se nella riproduzione semplice e in circostanze invariate, cioè, in particolare, rimanendo invariata la forza produttiva, la grandezza totale e l’intensità del lavoro — non essendo presupposta una proporzione costante tra capitale fisso morente (da rinnovare) e perdurante nella antica forma naturale (che aggiunge valore ai prodotti unicamente per la sostituzione del suo logorio) — in un caso la massa delle parti costitutive circolanti da riprodurre rimarrebbe la stessa, ma sarebbe cresciuta la massa delle parti costitutive fisse da riprodurre; la produzione complessiva I dovrebbe quindi crescere, ovvero, anche prescindendo dai rapporti monetari, si verificherebbe un deficit nella riproduzione. Nell’altro caso: Se la grandezza proporzionale del capitale fisso II da riprodurre in natura diminuisse, e aumentasse quindi nella stessa proporzione la parte costitutiva del capitale fisso Il ancora da sostituire solo in denaro, la massa delle parti costitutive circolanti del capitale costante II riprodotte da I rimarrebbe invariata, mentre diminuirebbe quella del capitale fisso da riprodurre. Dunque o diminuzione della produzione complessiva I o invece eccedenza (come prima deficit) e eccedenza non monetizzabile. È vero che lo stesso lavoro può, nel primo caso, con una aumentata produttività, estensione o intensità fornire un prodotto maggiore, e così si potrebbe coprire il deficit nel primo caso; ma tale mutamento non potrebbe verificarsi senza uno spostamento di lavoro e capitale da un ramo di produzione di I all’altro, e ogni simile spostamento provocherebbe momentanee perturbazioni. In secondo luogo, poi (aumentando estensione e intensità del lavoro), I avrebbe da scambiare un valore maggiore contro un valore minore di Il, e si verificherebbe quindi un deprezzamento del prodotto di I. Inversamente, nel secondo caso, in cui I deve contrarre la sua produzione, il che comporta una crisi per gli operai e capitalisti in esso occupati, oppure fornisce un’eccedenza, il che comporta parimenti una crisi. In sè e per sè tali eccedenze non sono un danno, bensì un vantaggio; ma sono un danno nella produzione capitalistica. In ambedue i casi il commercio estero potrebbe soccorrere, nel primo caso, per convertire in mezzi di consumo la merce I bloccata in forma di denaro, nel secondo caso, per smerciare l’eccedenza in merce. Ma il commercio estero, in quanto non si limita a sostituire elementi (anche secondo il valore), non fa che trasferire le contraddizioni in una sfera più ampia, aprendo ad esse un più vasto campo d’azione. Una volta abolita la forma capitalistica della riproduzione, tutto si riduce al fatto che la grandezza della parte del capitale fisso (qui, del capitale che opera nella produzione dei mezzi di consumo) che perisce e che perciò ‘deve essere sostituita in natura varia di anno in anno. Se in un anno è molto grande (al di sopra della mortalità media, come per gli uomini) in quello successivo sarà certo corrispondentemente minore. Le masse di materie prime, semilavorati e materie ausiliarie necessarie alla produzione annua dei mezzi di consumo — supponendo circostanze per il resto invariate — non per ciò diminuisce; la produzione complessiva dei mezzi di produzione dovrebbe quindi in un caso aumentare, nell’altro diminuire. A ciò si può ovviare soltanto con una costante sovrapproduzione relativa; da un lato, una certa quantità di capitale fisso che produce più di quanto sia direttamente necessario; dall’altro, e soprattutto, scorta di materie prime ecc., che superi gli immediati bisogni annui (ciò vale in particolare per i mezzi di sussistenza). Tale genere di sovrapproduzione equivale al controllo della società sui mezzi oggettivi della sua propria riproduzione. Ma entro la società capitalistica è un elemento di anarchia. Questo esempio del capitale fisso — a scala costante della riproduzione — è convincente. La sproporzione nella produzione di capitale fisso e circolante è una delle cause che gli economisti adducono di preferenza per spiegare le crisi. Che tale sproporzione possa e debba scaturire nella semplice conservazione del capitale fisso; che possa o debba scaturire nell’ipotesi di una ideale produzione normale, con la riproduzione semplice del capitale sociale già in funzione, è per essi qualcosa di nuovo. XII- LA RIPRODUZIONE DEL MATERIALE MONETARIO. Fino ad ora è stato del tutto trascurato un momento, e cioè la riproduzione annua di oro e argento. Come materiale destinato unicamente ad articoli di lusso, dorature ecc., essi non sarebbero qui da menzionare in modo speciale, al pari di qualsiasi altro prodotto. Hanno una funzione importante come materiale monetario e perciò potentialiter come denaro. Come materiale monetario, per maggiore semplicità, prendiamo qui soltanto l’oro. La produzione annua dell’oro ammonterebbe, secondo dati piuttosto invecchiati, a 8-900.000 libbre pari in cifra tonda, a 1.100 o 1.250 milioni di marchi. Secondo Soetbeer[53] invece, essa ammontava a soli 170.675 chilogrammi, del valore, approssimativo, di 476 milioni di marchi nella media degli anni 1871-75. L’Australia ne forniva, approssimativamente, per 167 milioni, gli Stati Uniti per 166, e la Russia per 66 milioni di marchi. Il resto si suddivide tra diversi paesi con importi inferiori a 10 milioni di marchi ciascuno. La produzione annua d’argento durante lo stesso periodo ammontava a quasi 2 milioni di chilogrammi del valore di 354 1/2 milioni di marchi; il Messico ne forniva, in cifra tonda, per 108 milioni, gli Stati Uniti per 102, il Sud America per 67, Germania per 26 ecc. Dei paesi a prevalente produzione capitalistica, soltanto gli Stati Uniti sono produttori di oro e argento; i paesi capitalistici europei ricevono quasi tutto il loro oro e la parte di gran lunga maggiore del loro argento da Australia, Stati Uniti, Messico, Sud America e Russia. Noi trasferiamo però idealmente le miniere d’oro nel paese della produzione capitalistica la cui riproduzione annua qui analizziamo, e ciò per il seguente motivo: La produzione capitalistica in generale non esiste senza commercio estero. Ma se si presuppone una normale riproduzione annua su una scala data, si presuppone anche che il commercio estero si limiti a sostituire articoli locali con articoli di altra forma d’uso o altra forma naturale, senza toccare i rapporti di valore, e senza toccare quindi neppure i rapporti di valore in cui le due categorie, mezzi di produzione e mezzi di consumo, si scambiano reciprocamente, e nemmeno i rapporti tra capitale costante, capitale variabile e plusvalore, in cui è scomponibile il valore del prodotto di ciascuna di queste categorie. L’introduzione del commercio estero nell’analisi del valore dei prodotti annualmente riprodotto può quindi creare soltanto della confusione, senza fornire nessun momento nuovo né del problema né della sua soluzione. Si deve quindi farne completa astrazione; perciò, anche l’oro, qui, dev’essere trattato come elemento diretto della riproduzione annua, non come un elemento-merce introdotto dal di fuori mediante scambio. La produzione dell’oro, come tutta la produzione dei metalli, appartiene alla classe I, alla categoria che comprende la produzione di mezzi di produzione. Supponiamo che la produzione annua di oro sia uguale a 30 (per maggiore comodità, ma, di fatto, questa ipotesi è eccessiva rispetto alle cifre del nostro schema); questo valore sia scomponibile in 20c + 5v + 5pv ; 20c è da scambiare contro altri elementi di Ic, e di ciò si tratterà più tardi, mentre i 5v + 5pv (I) sono da scambiare contro elementi di IIc, cioè mezzi di consumo.
Quanto ai 5v, ogni impresa produttrice d’oro comincia dapprima con l’acquistare la forza-lavoro; non con oro prodotto da essa stessa, ma con una parte del denaro disponibile nel paese. Per questi 5v, gli operai prelevano mezzi di consumo da II, il quale, con questo denaro, compra da I mezzi di produzione.
Se poniamo che Il acquisti da I oro del valore di 2 come materiale-merce ecc. (parte costitutiva del suo capitale costante), 2v rifluiscono in denaro, che già prima apparteneva alla circolazione, al produttore d’oro. Se Il non compra altro materiale da I, I compra da II, immettendo il suo oro nella circolazione come denaro, poichè l’oro può comprare ogni merce. L’unica differenza è che I compare qui non come venditore ma soltanto come compratore. I produttori d’oro possono sempre smerciare la loro merce, essa si trova sempre in una forma direttamente convertibile. Supponiamo che un filandiere abbia pagato ai suoi operai 5v, e che essi — prescindendo dal plusvalore — gli forniscano in cambio un filato in prodotto uguale a 5; gli operai comprano per 5 da IIc, il quale compra filo da I per 5 in denaro, e così 5v rifluisce in denaro al filandiere.
Nel caso che stiamo esaminando, invece, Io (così vogliamo designare il produttore d’oro) anticipa ai suoi operai 5v in denaro, che già prima apparteneva alla circolazione; questi spendono il denaro in mezzi di sussistenza; ma dei 5, soltanto 2 ritornano da II a Io. Tuttavia Io può cominciare di nuovo il processo di riproduzione esattamente come il filandiere, perchè i suoi operai gli hanno fornito in oro 5, di cui egli ha venduto 2 mentre possiede 3 in oro, che deve quindi soltanto monetizzare[54] o trasformare in banconote, affinché il suo intero capitale variabile sia di nuovo direttamente nelle sue mani in forma di denaro, senza altra mediazione da parte di Il.
Ma già in questo primo processo della riproduzione annua è avvenuto un cambiamento nella massa di denaro appartenente realmente o virtualmente alla circolazione. Abbiamo presupposto che IIc abbia acquistato 2v (Io) come materiale, e che 3 siano stati di nuovo sborsati da Io in Il, come forma di denaro del capitale variabile. Della massa di denaro fornita per mezzo della nuova produzione d’oro, 3 sono quindi rimasti in Il e non sono rifluiti a I. Secondo la premessa, Il ha soddisfatto il suo bisogno di materiale d’oro. I 3 rimangono nelle sue mani come tesoro aureo. Poichè non possono costituire elementi del suo capitale costante, e poichè, inoltre, II aveva già prima capitale monetario sufficiente per l’acquisto della forza-lavoro; poichè, ancora, eccettuando l’elemento del logorio, questi 3o addizionali non hanno una funzione da assolvere in IIc, contro una parte del quale sono state scambiate (potrebbero servire unicamente a coprire l’elemento del logorio pro tanto se IIc (1) fosse minore di IIc (2), ciò che dipende dal caso) poichè d’altra parte, eccettuato appunto l’elemento del logorio, l’intero prodotto-merce IIc dev’essere scambiato contro i mezzi di produzione I (v + pv), questo denaro dev’essere interamente trasferito da IIc a IIpv, sia che questo consista in mezzi necessari di sussistenza o in mezzi di lusso, e, viceversa, un valore-merce corrispondente dev’essere trasferito da IIpv in IIc. Risultato: una parte del plusvalore viene accumulata come tesoro. Nel secondo anno di riproduzione, se continua ad essere utilizzata come materiale la stessa aliquota dell’oro annualmente prodotto, 2 rifluiranno nuovamente a Io e 3 saranno sostituiti in natura, cioè nuovamente liberati in Il come tesoro, e così via. Quanto al capitale variabile in generale, il capitalista Io, come ogni altro, deve costantemente anticipare in denaro questo capitale per l’acquisto del lavoro. Rispetto a questo v, non egli, ma i suoi operai devono acquistare da Il; non può dunque mai verificarsi il caso che egli intervenga come compratore, cioè che senza l’iniziativa di II immetta denaro in esso. Ma, in quanto Il acquista da lui materiale, deve convertire in materiale-oro il suo capitale costante IIc, gli rifluisce da lI parte di (Io)v allo stesso modo in cui rifluisce agli altri capitalisti di I; e, quando ciò non avviene, egli sostituisce v con oro che attinge direttamente dal suo prodotto. Ma nella misura in cui gli rifluisce da Il il v da lui anticipato come denaro, in Il una parte della circolazione già esistente (denaro affluitogli da I, e non ritornato a I) viene trasformata in tesoro e perciò una parte del suo plusvalore non viene spesa in mezzi di consumo. Poiché continuamente si aprono nuove miniere d’oro oppure si riprende il lavoro in vecchie miniere, una determinata aliquota del denaro da sborsare in v da parte di Io fa sempre parte della massa di denaro presente prima della nuova produzione d’oro, massa di denaro che Io immette in Il per mezzo dei suoi operai, e, in quanto non ritorni da Il a Io, costituisce là elemento di tesaurizzazione. Quanto a (Io)pv, Io qui può sempre intervenire come compratore; esso immette nella circolazione il suo pv in forma di oro e ne ritrae in cambio mezzi di consumo IIc; qui l’oro viene utilizzato in parte come materiale, e opera perciò come elemento reale della parte costitutiva costante c del capitale produttivo; e, ove ciò non avviene, ridiventa elemento della tesaurizzazione come parte di IIc che per mane in forma di denaro. Appare qui — anche prescindendo dal Ic[55] che dovrà essere esaminato più tardi — come anche nella riproduzione semplice, pur essendo esclusa qui l’accumulazione nel senso proprio della parola, cioè la riproduzione su scala allargata, sia invece necessariamente compresa l’accumulazione di denaro o tesaurizzazione. E poiché ciò si ripete ogni anno, si spiega con ciò la premessa da cui si è partiti nell’esaminare la produzione capitalistica: che all’inizio della riproduzione una massa di mezzi monetari, corrispondente alla scambio delle merci, si trova nelle mani dei capitalisti delle classi I e Il. Tale accumulazione si verifica anche detraendo l’oro che va perduto per il logorio del denaro circolante. Va da sè che, quanto più è progredita l’era della produzione capitalistica, tanto maggiore è la massa di denaro accumulata dovunque, e tanto minore è quindi l’aliquota aggiunta dalla nuova produzione d’oro annua a questa massa, sebbene questa aggiunta, per la sua quantità assoluta, possa essere rilevante. In linea generale vogliamo solo ritornare ancora una volta all’obiezione fatta a Tooke: come è possibile che ogni capitalista estragga dal prodotto annuo un plusvalore, cioè estragga dalla circolazione più denaro che non vi immetta, poichè, in ultima istanza, la classe capitalistica stessa dev’essere considerata la sola fonte che immette denaro nella circolazione? Osserviamo a questo proposito, riassumendo quanto già esposto prima (cap. XVII): 1) L’unico presupposto qui necessario: che, in generale, sia presente denaro sufficiente per rendere possibile lo scambio dei diversi elementi della massa annua della riproduzione, non viene toccato in alcun modo dal fatto che una parte del valore-merce consta di plusvalore. Posto che l’intera produzione appartenga agli operai stessi, che il loro pluslavoro sia cioè soltanto pluslavoro per essi stessi, non per i capitalisti, la massa del valore-merce circolante sarebbe la stessa, e, rimanendo invariate le altre circostanze, richiederebbe per la sua circolazione la stessa massa di denaro. In ambedue i casi, quindi, la sola questione è la seguente: donde proviene il denaro per convertire questo valore-merce complessivo? Non già: donde proviene il denaro per monetizzare il plusvalore? Invero, per ritornare ancora una volta su questo argomento, ogni singola merce consta di c + v + pv, e per la circolazione della massa complessiva di merci è necessaria, quindi, da un lato, una determinata somma di denaro per la circolazione del capitale c + v, e, dall’altro, un’altra somma di denaro per la circolazione del reddito dei capitalisti, del plusvalore pv. Come per i singoli capitalisti, così per l’intera classe, il denaro in cui essa anticipa capitale è diverso dal denaro in cui spende il reddito. Donde proviene quest’ultimo denaro? Semplicemente da ciò, che della massa di denaro che si trova nelle mani della classe capitalistica, quindi, all’incirca, dell’intera massa di denaro che si trova nella società, una parte [opera come capitale monetario, e l’altra parte] fa circolare il reddito dei capitalisti. Abbiamo già visto sopra come ogni capitalista che dia inizio a una nuova impresa, ripeschi nuovamente il denaro che egli ha speso in mezzi di sussistenza per il suo sostentamento, come denaro che serve alla monetizzazione del suo plusvalore, una volta che l’impresa sia avviata. Ma, generalmente parlando, tutta la difficoltà proviene da due fonti. Primo: se consideriamo solamente la circolazione e la rotazione del capitale, e quindi anche il capitalista soltanto come personifica ione del capitale — non come consumatore capitalistico e come gaudente — lo vediamo bensì immettere costantemente nella circolazione plusvalore come parte costitutiva del suo capitale-merce, ma non vediamo mai nelle sue mani il denaro come forma del reddito; non lo vediamo mai immettere nella circolazione del denaro per consumare il plusvalore. Secondo: se la classe capitalistica mette in circolazione una certa somma di denaro in forma di reddito, sembra che essa paghi un equivalente per questa parte del prodotto complessivo annuo, e che quest’ultima cessi così di rappresentare plusvalore. Ma il plusprodotto, in cui si rappresenta il plusvalore, non costa nulla alla classe capitalistica. Come classe, essa lo possiede e ne gode gratuitamente, e la circolazione monetaria non può cambiare nulla a questo fatto. L’unico cambiamento che si verifica per mezzo della circolazione monetaria è che ogni capitalista anziché consumare il suo plusprodotto in natura, ciò che per lo più non è effettuabile, estrae e si appropria dallo stock complessivo del plusprodotto sociale annuo merci di ogni specie fino all’ammontare del plusvalore che si è appropriato. Ma il meccanismo della circolazione ha mostrato che la classe capitalistica, se immette nella circolazione denaro per spendere il plusvalore, sottrae anche dalla circolazione lo stesso denaro e può quindi ricominciare sempre di nuovo lo stesso processo; che quindi, in quanto classe capitalistica, rimane sempre in possesso di questa somma di denaro necessaria alla monetizzazione del plusvalore. Se dunque non soltanto il plusvalore in forma di merci viene sottratto al mercato delle merci dal capitalista per il suo fondo di consumo, ma insieme rifluisce a lui il denaro con cui egli acquista queste merci, egli ha, manifestamente, sottratto alla circolazione le merci senza equivalente. Esse non gli costano nulla, sebbene le paghi in denaro. Se acquisto merci per una sterlina e il venditore delle merci mi ridà indietro la sterlina come plusprodotto che non mi è costato nulla, è chiaro che ho ricevuto le merci gratuitamente. La costante ripetizione di questa operazione non cambia nulla al fatto che io sottraggo costantemente merci e costantemente rimango in possesso della sterlina, sebbene temporaneamente me ne privi per l’acquisto delle merci. Il capitalista riottiene costantemente questo denaro come monetizzazione di plusvalore che non gli è costato nulla. Abbiamo visto come, per Smith, il valore complessivo sociale dei prodotti si risolva in reddito, in v + pv, come dunque il valore-capitale costante venga posto uguale a zero. Ne segue perciò necessariamente che il denaro richiesto per la circolazione del reddito annuo è sufficiente anche per la circolazione del prodotto annuo complessivo; ossia, nel nostro caso, il denaro occorrente per la circolazione dei mezzi di consumo del valore di 3.000 è sufficiente per la circolazione del prodotto annuo complessivo del valore di 9.000. Questa è, di fatto, l’opinione di A. Smith, che è ribadita da Th. Tooke. Questa errata concezione del rapporto tra la massa di denaro occorrente per la monetizzazione del reddito e la massa di denaro che fa circolare il prodotto complessivo sociale è un risultato necessario dell’incomprensione e della rappresentazione superficiale del modo con cui i diversi elementi materiali e di valore del prodotto complessivo annuo si riproducono e vengono annualmente sostituiti. Essa è perciò già confutata. Ascoltiamo gli stessi Smith e Tooke. Dice Smith, libro II, cap. 2: «La circolazione di ogni paese può essere divisa in due parti: la circolazione dei commercianti tra loro e la circolazione tra commercianti e consumatori. Anche se le stesse monete — carta o metallo — possono essere impiegate ora nell’una, ora nell’altra circolazione, tuttavia ambedue procedono sempre contemporaneamente una accanto all’altra, e ciascuna delle due ha bisogno perciò di una determinata massa di denaro, di questa o quella specie, affinché possa svolgersi. Il valore delle merci circolanti tra i diversi commercianti non può mai superare il valore delle merci che circolano tra i commercianti e i consumatori; poichè tutto ciò che possono comprare i commercianti, alla fine dev’essere pure venduto ai consumatori. Poichè la circolazione tra i commercianti avviene en gros, in generale richiede una somma abbastanza grande per ogni singolo scambio. La circolazione tra commercianti e consumatori, invece, avviene per lo più en détail, e spesso richiede solo quantità di denaro assai piccole; talvolta basta uno scellino o addirittura un mezzo penny. Ma le somme piccole circolano assai più rapidamente delle grandi... Sebbene gli acquisti annui di tutti i consumatori, perciò, per valore siano per lo meno» (bello questo «per lo meno»!) «pari a quelli di tutti i commercianti, tuttavia di regola possono essere compiuti con una massa di denaro di gran lunga minore» e così via. Riguardo a questo passo di Adam, Th. Tooke osserva (An Inquiry into the Currency Principle, Londra, 1844, pp. 34-36, sgg.): «Non può sussistere alcun dubbio sul fatto che la distinzione qui tracciata sia sostanzialmente esatta... Lo scambio tra commercianti e consumatori comprende anche il pagamento del salario, che costituisce l’entrata principale (the principal means) dei consumatori... Tutti gli scambi da commerciante a commerciante, cioè tutte le vendite da parte di produttori o importatori, attraverso tutti i gradi dei processi intermedi della manifattura ecc. giù fino al commerciante al dettaglio o all’esportatore, possono essere ricondotti a movimenti di trasferimento di capitale. Ma i trasferimenti di capitale non presuppongono necessariamente, né, in pratica, comportano, nella grande massa degli scambi, una cessione reale di banconote o monete — intendo una cessione reale, non figurata — al momento del trasferimento... L’ammontare complessivo degli scambi tra commercianti e commercianti, in ultima istanza, deve essere determinato e delimitato dall’ammontare degli scambi tra commercianti e consumatori». Se l’ultima frase stesse isolata, si potrebbe credere che Tooke si limiti a constatare che esiste un rapporto tra gli scambi da commercianti a commercianti e quelli da commercianti a consumatori, in altre parole, tra il valore del reddito complessivo annuo e il valore del capitale con cui esso viene prodotto. Ma non è così. Egli aderisce espressamente alla concezione di A. Smith. E’ quindi superfluo sottoporre ad una critica particolare la sua teoria della circolazione. 2) Ogni capitale industriale al suo inizio mette in una sola volta in circolazione denaro per tutta la sua parte costitutiva fissa, denaro che riprende solo gradatamente in una serie di anni, con la vendita del suo prodotto annuo. In un primo momento, quindi, esso immette nella circolazione più denaro di quanto non le sottragga. Ciò si ripete ogni volta al rinnovo del capitale complessivo in natura; si ripete ogni anno per un determinato numero di imprese, il cui capitale fisso deve essere rinnovato in natura; si ripete parzialmente ad ogni riparazione, ad ogni rinnovo solo frammentario del capitale fisso. Se dunque da un lato viene sottratto alla circolazione più denaro di quanto non vi sia immesso, dall’altro avviene in contrario. In tutti i rami d’industria il cui periodo di produzione (in quanto differente dal periodo di lavoro) abbracci un tempo relativamente lungo, nel corso di questo periodo, denaro viene costantemente immesso dai produttori capitalistici nella circolazione, parte in pagamento della forza-lavoro impiegata, parte in acquisto dei mezzi di produzione da consumare; vengono così sottratti al mercato delle merci direttamente mezzi di produzione, mezzi di consumo in parte indirettamente, per mezzo degli operai che spendono il loro salario, in parte direttamente per mezzo dei capitalisti che non interrompono affatto il loro consumo, e ciò in un primo momento senza che questi capitalisti gettino nello stesso tempo sul mercato un equivalente in merci. Durante questo periodo, il denaro da essi immesso nella circolazione serve alla monetizzazione del valore-merce, incluso il plusvalore ivi contenuto. In una produzione capitalistica sviluppata, questo momento diviene molto importante in imprese a largo respiro, eseguite da società per azioni ecc., come costruzione di ferrovie, canali, docks, grandi edifici urbani, costruzioni navali in ferro, prosciugamento di terre su vasta scala, ecc. 3) Mentre gli altri capitalisti, prescindendo dall’esborso in capitale fisso, estraggono dalla circolazione più denaro di quel che vi hanno immesso con l’acquisto della forza-lavoro e degli elementi circolanti, i capitalisti produttori d’oro e d’argento, prescindendo dal metallo prezioso che serve come materia prima, immettono nella circolazione soltanto denaro, mentre vi hanno sottratto soltanto merci. Il capitale costante, ad eccezione della parte di logorio, la maggior parte del capitale variabile e l’intero plusvalore, ad eccezione del tesoro che si può accumulare nelle loro proprie mani, viene immesso nella circolazione come denaro. 4) Da un lato, circolano come merci svariate cose che non sono state prodotte entro l’anno, terreni, case ecc., e inoltre prodotti il cui periodo di produzione si estende per più di un anno, bestiame, legname, vino ecc. Per questi ed altri fenomeni è importante ricordare che oltre alla somma richiesta per la circolazione immediata, si trova sempre presente una certa quantità [di denaro] in stato latente, non operante, la quale, se si presenta la necessità, può entrare in funzione. Ancora, il valore di tali prodotti spesso circola in modo frazionato e graduale, come ad esempio. il valore di case nell’affitto di una serie di anni. D’altro lato, non tutti i movimenti del processo di riproduzione vengono mediati dalla circolazione monetaria. L’intero processo di produzione, una volta procurati i suoi elementi, ne è escluso. Ne sono esclusi, inoltre, tutti i prodotti che lo stesso produttore consuma direttamente, sia individualmente sia produttivamente, e tra questi l’alimentazione dei lavoratori agricoli. La massa di denaro che fa circolare il prodotto annuo è quindi presente nella società, è stata via via accumulata. Non appartiene al prodotto-valore di quest’anno, eccettuato forse l’oro destinato alla sostituzione di monete logorate. In questa esposizione è stata presupposta una esclusiva circolazione di denaro in metalli preziosi, e qui, ancora, la forma più semplice di compravendita, quella in contanti; sebbene, sulla base della pura e semplice circolazione metallica, il denaro possa anche operare come mezzo di pagamento, e storicamente, in realtà, abbia avuto questa funzione, e sebbene su questa base si sia sviluppato un sistema di credito e determinati aspetti del suo meccanismo. Questo presupposto viene fatto non solo per motivi metodologici, il cui peso si mostra già nel fatto che tanto Tooke e la sua scuola quanto i loro avversari nelle loro controversie si sono visti continuamente costretti, nella discussione sulla circolazione delle banconote, a ritornare all’ipotesi della circolazione puramente metallica. Essi erano costretti a far ciò post festum ma lo facevano allora assai superficialmente, e doveva essere necessariamente così, perchè in tal modo il punto di partenza sostiene nell’analisi unicamente la parte di un punto d’incidenza. Ma il più semplice esame della circolazione monetaria rappresentata nella sua forma primordiale — e questa è qui un momento immanente del processo annuo di riproduzione — mostra: a) Presupposta una produzione capitalistica sviluppata, ossia il predominio del sistema del lavoro salariato, il capitale monetario sostiene manifestamente una parte di importanza fondamentale, in quanto è la forma in cui viene anticipato il capitale variabile. Nella misura in cui sviluppa il sistema del lavoro salariato, ogni prodotto si trasforma in merce, e di conseguenza deve compiere nel suo complesso la trasformazione in denaro — con qualche importante eccezione — come una fase del suo movimento. La massa del denaro circolante deve essere sufficiente a questa monetizzazione delle merci, e la parte di gran lunga maggiore di questa massa viene fornita nella forma del salario, del denaro che, anticipato come forma di denaro del capitale variabile da parte dei capitalisti industriali in pagamento della forza-lavoro, nelle mani degli operai — nella sua gran massa opera soltanto come mezzo di circolazione (mezzo di acquisto). Ciò è totalmente in contrasto con l’economia naturale, così come prevale sulla base di ogni sistema di servaggio (compresa la servitù della gleba) e più ancora sulla base delle comunità più o meno primitive, combinato o no con rapporti di servaggio o di schiavitù. Nel sistema schiavistico il capitale monetario che viene sborsato nell’acquisto della forza-lavoro sostiene la parte di forma di denaro del capitale fisso, che viene sostituito solo gradatamente, trascorso il periodo attivo di vita dello schiavo. Presso, gli ateniesi, perciò, anche il guadagno che un proprietario di schiavi ritrae direttamente, utilizzando industrialmente il suo schiavo, o, indirettamente, affidandolo ad un altro imprenditore industriale (ad esempio. per il lavoro minerario) viene considerato soltanto come interesse (accanto all’ammortamento) del capitale monetario anticipato, proprio come nella produzione capitalistica il capitalista industriale computa una parte del plusvalore, più il logorio del capitale fisso, come interesse e sostituzione del suo capitale fisso; e tale, del resto, è la regola anche presso i capitalisti che danno in affitto capitale fisso (case, macchine ecc.). Gli schiavi esclusivamente domestici, sia che servano a fornire servizi utili o soltanto per sfoggio di lusso, non rientrano in questa analisi, essi corrispondono alla nostra classe di domestici. Ma anche il sistema schiavistico — in quanto nell’agricoltura, manifattura, navigazione ecc., sia la forma predominante del lavoro produttivo, come nei progrediti Stati della Grecia e in Roma — conserva un elemento dell’economia naturale. Lo stesso mercato degli schiavi viene costantemente rifornito della sua merce, la forza-lavoro, mediante guerre, pirateria ecc., e questa rapina, a sua volta, non è mediata da un processo di circolazione, ma è un’appropriazione naturale di forza-lavoro straniera mediante costrizione fisica diretta. Anche negli Stati Uniti, dopo che il territorio situato tra gli Stati a lavoro salariato del Nord e gli Stati schiavisti del Sud si era trasformato in un territorio di. allevamento di schiavi per il Sud, nel quale perciò lo schiavo gettato sul mercato era divenuto esso stesso un elemento della riproduzione annua, per un tempo piuttosto lungo ciò non fu sufficiente, ma, fino a quando fu possibile, si continuò ad esercitare il traffico di schiavi africani per soddisfare il mercato. b) I flussi e riflussi del denaro nello scambio del prodotto annuo, che si compiono naturalmente sulla base della produzione capitalistica; gli anticipi di capitale fisso, fatti, in tutta la loro grandezza di valore in una sola volta, e la successiva sottrazione del loro valore alla circolazione, che si protrae per periodi di alcuni anni, ossia la loro graduale ricostituzione in forma di denaro mediante la tesaurizzazione annua, una tesaurizzazione totalmente diversa, per sua natura, dall’altra tesaurizzazione che procede parallelamente, e che si fonda sulla nuova produzione annua di oro; la diversa durata del tempo in cui, a seconda della lunghezza dei periodi di produzione delle merci, deve essere anticipato denaro, che quindi già in precedenza dev’essere ammassato sempre di nuovo, prima che possa essere ritirato dalla circolazione mediante la vendita della merce; la diversa durata del tempo di anticipo, che, se non altro, deriva dalla diversa distanza del luogo di produzione dal mercato di smercio; parimenti la differenza nella grandezza e nel periodo del riflusso secondo lo stato o la grandezza relativa delle scorte produttive in diverse imprese e tra i diversi capitalisti singoli dello stesso ramo d’industria, ossia la diversità nel momento degli acquisti di elementi del capitale costante, tutto ciò durante l’anno di riproduzione: è bastato che l’esperienza rendesse visibili e evidenti tutti questi momenti differenti del movimento naturale perchè essi mettessero sistematicamente in moto tanto i mezzi ausiliari meccanici del sistema creditizio, quanto anche il ricupero effettivo dei capitali presenti che possono essere prestati. A ciò si aggiunge ancora la differenza tra le imprese la cui produzione, restando normali le altre condizioni, procede continuativamente sulla stessa scala, e quelle in cui la quantità della forza-lavoro impiegata varia secondo diversi periodi dell’anno, come l’agri coltura. XIII.- LA TEORIA DELLA RIPRODUZIONE DI DESTUTT DE TRACY[56] Come esempio della sconsideratezza confusa e insieme boriosa di cui danno prova gli economisti nell’esaminare la riproduzione sociale, serva il grande logico Destutt de Tracy (cfr. Libro I, pp. 170-171, nota 30), che lo stesso Ricardo prende sul serio e chiama a very distinguished writer (un autore molto illustre) (Principles ecc., p. 333). Questo illustre autore dà i seguenti chiarimenti sul processo complessivo sociale di -riproduzione e di circolazione: «Mi si domanderà in qual modo questi imprenditori industriali fanno profitti così grandi e donde possono trarli. Rispondo che fanno ciò vendendo tutto quello che producono più caro di quanto non sia loro costato produrlo; e che lo vendono: 1) l’uno all’altro per l’intera parte del loro consumo, destinato al soddisfacimento dei loro bisogni, che pagano con una parte dei loro profitti; 2) agli operai salariati, tanto a quelli che essi stipendiano, quanto a quelli stipendiati dai capitalisti oziosi; dai quali operai salariati, per questa via, essi riottengono l’intero loro salario, eccezion fatta forse per i loro piccoli risparmi; 3) ai capitalisti oziosi, che li pagano con una parte del loro reddito che non hanno già dato agli operai salariati da essi direttamente occupati; cosicchè l’intera rendita che essi pagano loro annualmente rifluisce loro per l’una o l’altra di queste vie» (DESTUTT DE TRACY, Traité de la volonté et de ses effets, Parigi, 1826, p. 239). Dunque i capitalisti si arricchiscono, primo in quanto nello scambio della parte del plusvalore che dedicano al loro consumo privato ossia consumano come rendita, si truffano tutti reciprocamente. Dunque, se questa parte del loro plusvalore, ossia dei loro profitti pari a 400 Lst., queste 400 Lst. diventano, poniamo, 500 Lst. per il fatto che ciascun compartecipante alle 400 Lst. vende all’altro la sua parte rincarata del 25%. Ma poichè tutti fanno così, il risultato è lo stesso che se vendessero reciprocamente al valore giusto. Solo che, per la circolazione di un valore-merce di 400 Lst., essi hanno bisogno di una massa di denaro di 500 Lst., e questo appare piuttosto un metodo per impoverirsi che per arricchirsi, poichè essi devono conservare improduttivamente nella forma infruttuosa di mezzi di circolazione una gran parte del loro patrimonio complessivo. Tutto ciò si riduce al fatto che la classe dei capitalisti, nonostante l’universale rialzo nominale dei prezzi delle sue merci, ha soltanto uno stock di merci del valore di 400 Lst. da dividersi per il suo consumo privato, ma che essi si fanno il reciproco piacere di far circolare un valore-merce di 400 Lst. con una massa di denaro che è richiesta per un valore-merce di 500 Lst. E ciò prescindendo totalmente dal fatto che qui è presupposta «una parte dei loro profitti» e quindi in generale una scorta di merci in cui si rappresenta un profitto. Ma Destutt vuole spiegarci proprio donde provenga questo profitto. La massa di denaro occorrente per farlo circolare, rappresenta una questione del tutto subordinata. La massa di merci in cui si rappresenta il profitto sembra provenire dal fatto che i capitalisti non soltanto si vendono reciprocamente questa massa di merci, cosa già molto bella e profonda, ma se la vendono tutti l’un l’altro ad un prezzo troppo alto. Ora finalmente conosciamo una fonte dell’arricchimento dei capitalisti. Essa equi vale al segreto dell’Entspektor Bräsig (L’ispettore Bräsig è il personaggio di un romanzo dello scrittore dialettale tedesco Fritz Reuter.), che la grande povertà deriva dalla grande pauvreté. 2) Gli stessi capitalisti vendono inoltre «agli operai salariati, tanto a quelli che essi stipendiano quanto a quelli stipendiati dai capitalisti oziosi; dai quali operai salariati, per questa via, essi riottengono l’intero salario, eccezion fatta forse per i loro piccoli risparmi». Il riflusso ai capitalisti del capitale monetario, nella forma del quale essi hanno anticipato il salario all’operaio, costituisce, per il signor Destutt, la seconda fonte di arricchimento di tali capitalisti. Se dunque la classe capitalistica ha pagato in salario agli operai 100 Lst. e poi gli stessi operai comprano dalla stessa classe capitalistica merce del valore di 100 Lst., e perciò la somma di 100 Lst. che i capitalisti hanno anticipato come acquirenti della forza-lavoro, rifluisce loro con la vendita di merci per 100 Lst. agli operai, ecco che per questo i capitalisti si arricchiscono. Dal punto di vista del normale intelletto umano, sembra che mediante questo procedimento i capitalisti si trovino di nuovo in possesso delle 100 Lst. che possedevano prima del procedimento. All’inizio del procedimento possiedono 100 Lst. in denaro, con queste 100 Lst. acquistano forza-lavoro. Per queste 100 Lst. in denaro il lavoro acquistato produce merci di un valore, per quanto sappiamo finora, di 100 Lst. Vendendo agli operai le 100 Lst. in merce i capitalisti riottengono 100 Lst. in denaro. I capitalisti possiedono dunque di nuovo 100 Lst. in denaro, gli operai invece possiedono merce per 100 Lst., che essi stessi hanno prodotto. In qual modo i capitalisti possano qui arricchirsi, non è dato vedere. Se le 100 Lst. in denaro non rifluissero loro, essi, in primo luogo, avrebbero dovuto pagare agli operai 100 Lst. in denaro per il loro lavoro, e, in secondo luogo, avrebbero dovuto dar loro gratuitamente il prodotto di questo lavoro, mezzi di consumo per 100 Lst. Il riflusso potrebbe quindi spiegare tutt’al più perchè questa operazione non abbia reso i capitalisti più poveri, ma non certo perchè li abbia resi più ricchi. Un’altra questione è, certo, come i capitalisti possiedano le 100 Lst. in denaro e perchè gli operai, anziché produrre essi stessi merci per proprio conto, siano costretti a scambiare la loro forza-lavoro contro queste 100 Lst. Ma per pensatori del calibro di Destutt questo va da sè. Ma Destutt stesso non è del tutto soddisfatto di questa soluzione. Egli non ci aveva affatto detto che ci si arricchisce spendendo una somma di 100 Lst. e riscuotendo poi di nuovo una somma di denaro di 100 Lst., non ci si arricchisce quindi per il riflusso delle 100 Lst. in denaro, che infatti mostra soltanto perchè le 100 Lst. in denaro non vanno perdute. Egli ci aveva detto che i capitalisti si arricchiscono «vendendo tutto ciò che producono più caro di quanto non sia costato loro acquistarlo». I capitalisti devono quindi arricchirsi anche nella loro transazione con gli operai perchè vendono ad essi a prezzi troppo alti. Splendido! «Essi pagano salari.., e tutto questo rifluisce loro attraverso le spese di tutta questa gente che ad essi paga» (i prodotti) «più cari di quel che ad essi» (i capitalisti) «siano costati mediante questi salari» (p. 240). Dunque i capitalisti pagano agli operai 100 Lst. in salario e poi rivendono agli operai il loro proprio prodotto a 120 Lst., cosicchè non solo rifluiscono loro le 100 Lst., ma vengono ancora guadagnate 20 Lst.? Ciò è impossibile. Gli operai possono pagare unicamente con il denaro che hanno ricevuto in forma di salario. Se ricevono dai capitalisti 100 Lst. in salario, possono comprare soltanto per 100 Lst. e non per 120 Lst. Dunque, per questa via non si giunge a nulla. Ma vi è ancora un’altra via. Gli operai comprano dai capitalisti merce per 100 Lst., ma di fatto ricevono soltanto merce del valore di 80 Lst. Sono perciò incondizionatamente depredati di 20 Lst. E il capitalista si è incondizionatamente arricchito di 20 Lst., poichè di fatto ha pagata la forza-lavoro del 20% al di sotto del suo valore ovvero indirettamente ha compiuto una sottrazione dal salario nominale dell’ammontare del 20%. La classe capitalistica raggiungerebbe lo stesso scopo se fin dal principio pagasse agli operai 80 Lst. soltanto in salario e poi per queste 80 Lst. in denaro fornisse loro di fatto 80 Lst. in valore-merce. Considerata l’intera classe, questa appare la via normale, poichè, sempre secondo il signor Destutt, la classe operaia deve ricevere «un salario sufficiente» (p. 219), poiché questo salario deve almeno bastare a conservare la sua esistenza e la sua attività, deve metterla in grado «di procurarsi i mezzi di sussistenza indispensabili» (p. 180). Se gli operai non ricevono questi salari sufficienti, ciò equivale, secondo lo stesso Destutt, «alla morte dell’industria» (p. 208), dunque, a quanto pare, non è un mezzo di arricchimento per i capitalisti. Ma qualunque sia il livello dei salari che la classe capitalistica paga alla classe operaia, essi hanno un determinato valore, ad esempio. 80 Lst. Se quindi la classe capitalistica paga agli operai 80 Lst., deve fornire loro 80 Lst. di valore-merce per queste 80 Lst., ed il riflusso delle 80 Lst. non la arricchisce. Se essa paga loro 100 Lst. in denaro e vende loro per 100 Lst. un valore-merce di 80 Lst., essa pagherebbe loro in denaro il 25% di più del loro salario normale e fornirebbe per esso in merci il 25% di meno. In altre parole: il fondo da cui la classe capitalistica trae in genere il suo profitto, verrebbe formato operando una detrazione dal salario normale pagando la forza-lavoro al di sotto del suo valore, cioè al di sotto del valore dei mezzi di sussistenza che sono necessari alla riproduzione normale della forza-lavoro stessa quale operaio salariato. Se quindi venisse pagato il salario normale, come, secondo Destutt, deve avvenire, non esisterebbe alcun fondo di profitto né per gli industriali né per i capitalisti oziosi. Il signor Destutt, quindi, avrebbe dovuto ridurre tutto il segreto dell’arricchimento della classe capitalistica ad una detrazione dal salario: gli altri fondi del plusvalore di cui parla sub 1 e 3, allora, non esisterebbero. In tutti i paesi in cui il salario base degli operai è ridotto al valore dei mezzi di consumo necessari alla loro sussistenza in quanto classe, non esisterebbe quindi né un fondo di consumo né un fondo di accumulazione per i capitalisti, ossia non vi sarebbe nemmeno un fondo di esistenza della classe capitalistica, cioè non vi sarebbe nemmeno una classe capitalistica. E ciò si verificherebbe in tutti i paesi ricchi e sviluppati di antica civiltà, secondo Destutt, perché qui «nelle nostre società dalle antiche radici, il fondo da cui viene sostenuto il salario.., è una grandezza quasi costante» (p. 202). Anche nel caso della detrazione del salario, l’arricchimento dei capitalisti non deriva dal fatto che essi dapprima pagano all’operaio 100 Lst. in denaro e poi per queste 100 Lst. gli forniscono 80 Lst. in merce, ossia, di fatto, fanno circolare 80 Lst. di merce per mezzo della somma in denaro di 100 Lst., del 25% più grande del necessario, bensì dal fatto che il capitalista dal prodotto dell’operaio oltre al plusvalore — cioè alla parte del prodotto in cui è rappresentato il plusvalore — si appropria anche il 25% della parte del prodotto che dovrebbe toccare all’operaio nella forma del salario. Nell’insulsa maniera con cui Destutt concepisce la cosa, la classe capitalistica non guadagnerebbe assolutamente nulla. Essa paga 100 Lst. per il salario e per queste 100 Lst. restituisce all’operaio 80 Lst. di valore-merce del suo proprio prodotto. Ma nella successiva operazione deve di nuovo anticipare 100 Lst. per la medesima procedura. Essa si accontenta quindi della sterile soddisfazione di anticipare 100 Lst. in denaro e di fornire per esse Lst. 80 in merce, anziché anticipare 80 Lst. in denaro e fornire per esse 80 Lst. in merce. Ciò significa che essa anticipa costantemente un capitale monetario del 25% maggiore del necessario per la circolazione del suo capitale variabile, ciò che è un metodo molto singolare per arricchirsi. 3) La classe capitalistica vende infine «ai capitalisti oziosi, che la pagano con quella parte del loro reddito che non hanno già ceduto agli operai salariati da essi direttamente occupati; cosicché l’intera rendita, che paga a quelli» (gli oziosi) «annualmente, le rifluisce di nuovo per l’una o per l’altra di queste vie». Abbiamo visto prima che i capitalisti industriali «con una parte dei loro profitti pagano tutta la parte del loro consumo che è destinata al soddisfacimento dei loro bisogni». Posto quindi che i loro profitti siano di 200 Lst., essi ne spendano, ad esempio, 100 Lst. per il loro consumo individuale. Ma l’altra metà pari a 100 Lst. non appartiene ad essi bensì ai capitalisti oziosi, cioè a quelli che vivono della rendita fondiaria e ai capitalisti che prestano ad interesse. Essi devono quindi pagare a questa gente 100 Lst. Poniamo che questi ultimi adoperino 80 Lst. di questo denaro per il loro proprio consumo e 20 Lst. per l’acquisto di servitori ecc. Con le 80 Lst. essi acquistano quindi mezzi di consumo dai capitalisti industriali. In tal modo mentre si allontana da essi un prodotto pari a 80 Lst., rifluiscono ad essi 80 Lst. in denaro, ossia i 4/5 delle 100 Lst. che hanno pagato ai capitalisti oziosi sotto il nome di rendita, interessi ecc. Inoltre la classe dei servitori, i salariati diretti dei capitalisti oziosi, hanno ricevuto dai loro padroni 20 sterline. Con esse acquistano parimenti dai capitalisti industriali mezzi di consumo per 20 Lst. Così ai capitalisti industriali, mentre si allontana da essi un prodotto per 20 Lst., rifluiscono in denaro 20 Lst., ossia l’ultimo quinto delle 100 Lst. in denaro che essi hanno pagato ai capitalisti oziosi come rendita, interessi ecc. Alla fine della transazione, ai capitalisti industriali sono rifluite le 100 Lst. in denaro che essi avevano ceduto ai capitalisti oziosi come pagamento di rendita, interessi ecc., mentre la metà del loro plusprodotto pari a 100 Lst. è passata dalle loro mani nel fondo di consumo dei capitalisti oziosi. Quanto alla questione di cui si tratta, è dunque manifestamente del tutto superfluo tirare in ballo in un modo o nell’altro la ripartizione delle 100 Lst. tra i capitalisti oziosi ed i loro salariati diretti. La cosa è semplice: le loro rendite, gli interessi, in breve, la parte che ad essi spetta del plusvalore di 200 Lst., viene ad essi pagata in denaro dai capitalisti industriali, ossia con 100 Lst. Con queste 100 Lst., essi acquistano direttamente o indirettamente mezzi di consumo dai capitalisti industriali. Essi dunque restituiscono loro 100 Lst. in denaro e sottraggono loro mezzi di consumo per 100 Lst. Così si è compiuto il riflusso delle 100 Lst. in denaro pagate dai capitalisti industriali ai capitalisti oziosi. Tale riflusso di denaro è forse, come vaneggia Destutt, un mezzo di arricchimento per i capitalisti industriali? Prima della transazione avevano una somma di valore di 200 Lst.; 100 Lst. in denaro e 100 Lst. in mezzi di consumo. Dopo la transazione, posseggono soltanto la metà della somma di valore originaria. Hanno nuovamente le 100 Lst. in denaro, ma hanno perduto le 100 Lst. in mezzi di consumo, che sono passate nelle mani dei capitalisti oziosi. Sono dunque di 100 Lst. più poveri, non già di 100 Lst. più ricchi. Se invece di compiere questo giro, di pagare cioè dapprima 100 Lst. in denaro e poi riottenere queste 100 Lst. in denaro, a pagamento di 100 Lst. in mezzi di consumo, avessero pagato direttamente rendite, interessi ecc., col loro prodotto nella sua forma naturale, non rifluirebbero più ad essi 100 Lst. in denaro dalla circolazione, poichè non vi avrebbero immesso 100 Lst. in denaro. Scegliendo la via del pagamento in natura, la cosa si sarebbe presentata semplicemente nel modo seguente: del plusprodotto di 200 Lst. essi avrebbero trattenuto per sè la metà e ceduto l’altra metà ai capitalisti oziosi, senza equivalente. Neppure Destutt sarebbe stato tentato di spiegare questo come un mezzo per arricchirsi. La terra ed il capitale che i capitalisti industriali prendono a prestito dai capitalisti oziosi e per cui devono pagare ad essi una parte del plusvalore nella forma di rendita fondiaria, interessi ecc., sono stati naturalmente per essi redditizi, poichè erano una delle condizioni della produzione sia del prodotto in generale che di quella parte del prodotto che costituisce plusprodotto, nella quale, cioè, è rappresentato il plusvalore. Tale profitto scaturisce dall’utilizzazione della terra e del capitale prestati, non già dal prezzo per essi pagato. Anzi, questo prezzo rappresenta una detrazione da esso. Altrimenti bisognerebbe sostenere che i capitalisti industriali anziché arricchirsi si impoverirebbero, se potessero trattenere per sè l’altra metà deI plusvalore, invece di cederla. E a tale confusione si arriva quando si mettono in un sol fascio fenomeni della circolazione, come il riflusso del denaro, e la distribuzione del prodotto, nella quale tali fenomeni hanno solo una funzione mediatrice. Eppure lo stesso Destutt è tanto astuto da osservare: «Donde provengono i redditi di questi oziosi? Non provengono forse dalla rendita che pagano loro dal proprio profitto coloro che fanno lavorare i loro capitali cioè coloro che con i loro fondi retribuiscono un lavoro che produce più di quanto non costi; in una parola, gli industriali? A costoro bisogna dunque risalire sempre, per trovare le fonti della ricchezza. Sono essi in realtà a nutrire anche i salariati occupati dai primi» (p. 246). Il pagamento di questa rendita ecc, è dunque ora una detrazione dal profitto degl’industriali. Prima era invece per essi un mezzo d’arricchimento. Pure, una consolazione è rimasta al nostro Destutt. Questi bravi industriali si comportano verso i capitalisti oziosi così come si sono comportati tra di loro e verso gli operai. Essi vendono loro tutte le merci con un aumento, ad esempio, del 20%. Ora, due casi sono possibili. Gli oziosi oltre alle 100 Lst. che annualmente ricevono dagli industriali hanno anche altri mezzi finanziari, oppure non ne hanno. Nel primo caso, gli industriali vendono loro merce del valore di 100 Lst. ad un prezzo, poniamo, di 120 Lst. Con la vendita delle loro merci, quindi, non rifluiscono loro soltanto le 100 Lst. pagate agli oziosi, ma altresì 20 Lst. che realmente costituiscono per essi un valore nuovo. Ma allora come risulta il conto? Essi hanno ceduto gratuitamente merce per 100 Lst., poichè le 100 Lst. in denaro che rappresentano una parte del pagamento ricevuto erano il loro proprio denaro. La loro propria merce, quindi, è stata loro pagata con il loro proprio denaro. Dunque, una perdita di 100 Lst. Ma hanno ricevuto inoltre 20 Lst. per l’eccedenza del prezzo sul valore. Dunque, 20 Lst. di guadagno; più la perdita di 100 Lst. fa complessivamente una perdita di 80 Lst., ma non diventa mai un plus, resta sempre un minus. La truffa perpetrata ai danni degli oziosi ha diminuito la perdita degli industriali ma non per questo trasformato in mezzo di arricchimento una perdita di ricchezza. Ma alla lunga questo metodo non può andare, poichè non è possibile che gli oziosi siano in grado di pagare annualmente 120 Lst. in denaro se riscuotono annualmente soltanto 100 Lst. Passiamo allora all’altro metodo. Gli industriali vendono merci del valore di 80 sterline per le 100 sterline in denaro che hanno pagato agli oziosi. In questo caso, cedono ancora gratuitamente 80 sterline, nella forma di rendita, interesse ecc. Con questa truffa riducono il tributo agli oziosi, ma esso esiste ancora, e gli oziosi, secondo la stessa teoria per cui i mezzi dipenderebbero dalla buona volontà dei venditori, possono in futuro esigere per la loro terra e il loro capitale 120 sterline di rendita, di interesse ecc., anziché come prima 100 sterline. Questa splendida analisi è del tutto degna del profondo pensatore il quale, da un lato, ricopia da A. Smith l’asserzione che «il lavoro è la fonte di ogni ricchezza» (p. 242), che i capitalisti industriali «impiegano il loro capitale per pagare lavoro che lo riproduce con un profitto» (p. 246) e, dall’altro lato, conclude che questi capitalisti industriali «forniscono il nutrimento a tutti gli altri uomini, essi soli aumentano la ricchezza pubblica e creano tutti i nostri mezzi di godimento» (p. 242), che non i capitalisti vengono nutriti dagli operai ma gli operai dai capitalisti, e ciò con la brillante motivazione che il denaro con cui gli operai vengono pagati non rimane nelle loro mani ma ritorna costantemente ai capitalisti in pagamento delle merci prodotte dagli operai. «Essi non fanno che ricevere con una mano e restituire con l’altra. Il loro consumo dev’essere quindi considerato come creato da coloro che li stipendiano» (p. 235). Dopo questa esauriente esposizione del modo come la riproduzione e il consumo sociali vengono mediati dalla circolazione monetaria, Destutt prosegue: «È ciò che rende completo questo perpetuum mobile della ricchezza, un movimento che, sebbene mal compreso» (mal connu! senza dubbio!) «viene chiamato a buon diritto circolazione; perchè di fatto esso è un ciclo e ritorna sempre al suo punto di partenza. Questo punto è quello in cui si compie la produzione» (pp. 239, 240). Destutt, that very distinguished writer, membre de l’Institut de France et de la Société Philosophique de Philadelphie e, di fatto, in certo qual modo un luminare tra gli economisti volgari, sollecita infine il lettore ad ammirare la mirabile chiarezza con cui egli espone lo svolgimento del processo sociale, il fascio di luce che egli ha proiettato sull’argomento, ed è perfino tanto accondiscendente da comuni care al lettore donde provenga tutta questa luce. Ma questo dev’essere riportato nell’originale: «Si osserverà, io spero, come questa maniera di esaminare il consumo delle nostre ricchezze concordi con quanto abbiamo detto riguardo alla loro produzione e alla loro distribuzione, e, nello stesso tempo, quale luce essa proietti sull’intero movimento della società. Donde deriva questa concordanza e questa illuminazione? Dal fatto che abbiamo scoperto la verità. Ciò fa pensare all’effetto di quegli specchi nei quali gli oggetti si riproducono nettamente e nelle loro esatte proporzioni quando ci si pone nel giusto punto di vista, e nei quali tutto appare confuso e deformato quando ci si avvicini o ci si allontani troppo» (pp. 242, 243). Voilà le crétinisme bourgeois dans toute sa béatitude! NOTE [42] Dal Ms. II. [43] Dal Ms VIII. [44] Il testo dal Ms. II. Lo schema dal Ms. VIII. [45] Da qui innanzi nuovamente Ms. VIII. [46] Ad notam per eventuali seguaci della teoria delle crisi del Rodbertus. F. E [47] L’esposizione differisce qui alquanto da quella data precedentemente. Là anche I immetteva nella circolazione una somma indipendente di 500. Qui II fornisce il materiale monetario addizionale per la circolazione. Ciò non muta tuttavia affatto il risultato. F. E. [48] Di qui dal Ms. II [49] Di qui dal Ms VIII. [50] «Quando il selvaggio fabbrica degli archi, egli esercita un’industria ma non pratica l’astinenza» (SENIOR, Principes fondamentaux de l’économie politique, trad. Arrivabene, Parigi, 1836, p. 342). «Quanto più la società progredisce, tanto maggiore astinenza si richiede» (ib., p. 342). Cfr. Il Capitale, Libro I, cap. XXII, 3 [51] E. B. TYLOR, Forschungen über die Urgeschichte der Menschheit, traduzione di H. Müller, Lipsia, s. d., p. 240. [52] Le cifre ancora una volta non corrispondono ai dati precedenti. Ma ciò è indifferente, poichè contano solo i rapporti. F. E. [53] AD. SOETBEER, Edelmetall-Produktion, Gotha, 1879. [54] «Una considerevole quantità di lingotti d’oro (gold bullion)... viene portata dal produttore d’oro direttamente alla zecca di San Francisco» (Reports of H. M. Secretaries of Embassy and Legation, 1879, parte III, p, 337). [55] Il manoscritto non contiene l’indagine sullo scambio dell’oro prodotto ex novo all’interno del capitale costante della categoria I. F. E. [56] Dal Ms. Il. |