IL CAPITALE LIBRO II SEZIONE II LA ROTAZIONE DEL CAPITALE CAPITOLO 10
TEORIE SUL
CAPITALE FISSO E CIRCOLANTE. In Quesnay la distinzione tra capitale fisso e capitale circolante compare come avances primitives e avances annuelles (anticipi originari e anticipi annuali). Egli rappresenta esattamente questa distinzione come distinzione entro il capitale produttivo incorporato nel processo immediato di produzione. Poichè per lui il capitale impiegato nell’agricoltura, cioè il capitale del fittavolo, è il solo veramente produttivo, anche queste distinzioni esistono soltanto per il capitale del fittavolo. Da ciò deriva pure che il tempo di rotazione di una parte del capitale è annuale e quello del l’altra è più che annuale (decennale). Incidentalmente, i fisiocratici nel corso dello sviluppo trasferirono queste distinzioni anche su altre specie di capitale, sul capitale industriale in generale. Per la società, la distinzione tra anticipi annuali e pluriennali rimane così importante che molti economisti, perfino dopo A. Smith, tornano a stabilirla. La distinzione tra le due specie di anticipi sorge soltanto quando denaro anticipato è trasformato negli elementi del capitale produttivo. È una distinzione puramente e semplicemente entro il capitale produttivo. Perciò a Quesnay non viene in mente di annoverare il denaro né tra gli anticipi originari né tra quelli annui. In quanto anticipi della produzione — cioè in quanto capitale produttivo — ambedue si contrappongono tanto al denaro quanto alle merci che si trovano sul mercato. Inoltre, la distinzione tra questi due elementi del capitale produttivo si riduce per Quesnay, molto esattamente, ai differenti modi con cui essi entrano nel valore del prodotto finito, perciò ai differenti modi in cui il loro valore viene fatto circolare insieme con il valore dei prodotti, e perciò ai differenti modi della loro sostituzione o della loro riproduzione, essendo il valore dell’uno sostituito per intero ogni anno, quello dell’altro pezzo per pezzo, in periodi più lunghi[22]. L’unico passo avanti che A. Smith faccia è la generalizzazione delle categorie. Per lui, essa non si riferisce più ad una forma speciale del capitale, il capitale del fittavolo, ma a ciascuna forma del capitale produttivo. Ne viene perciò da sé che, al posto della distinzione tolta all’agricoltura tra rotazione annuale e pluriennale, compare la distinzione generale di rotazione a tempi differenti, cosicché una rotazione del capitale fisso abbraccia sempre più di una rotazione del capitale circolante, qualunque sia la durata di queste rotazioni del capitale circolante, annuale, più che annuale o meno che annuale. Così per Smith le avances annuelles si trasformano in capitale circolante e le avances primitives in capitale fisso. Ma il suo passo in avanti si limita a questa generalizzazione delle categorie. L’esposizione rimane assai più indietro che in Quesnay. Già il modo rozzamente empirico con cui Smith inizia la ricerca, introduce la confusione: «Vi sono due differenti modi in cui un capitale può essere impiegato in modo da fruttare un reddito o un guadagno al suo possessore.» (Wealth of Nations, Libro II, cap. I, p. 189, ed. Aberdeen, 1848). I modi in cui un valore può essere investito per operare come capitale, per fruttare al suo possessore un plusvalore, sono altrettanto differenti, altrettanto molteplici quanto le sfere d’investimento del capitale. È la questione dei differenti rami di produzione nei quali può essere investito capitale. La questione così formulata va ancora oltre. Essa comprende la questione come possa un valore, anche se non viene investito come capitale produttivo, operare per il suo possessore come capitale, ad esempio come capitale fruttifero, come capitale commerciale, ecc. Qui dunque siamo già lontani le mille miglia dall’oggetto reale dell’analisi, cioè dalla questione: come la suddivisione del capitale produttivo nei suoi differenti elementi, prescindendo dalle loro differenti sfere d’investimento, agisce sulla loro rotazione? A. Smith prosegue poi subito: «In primo luogo esso può essere investito per produrre, fabbricare, o acquistare beni e rivenderli con un profitto». A. Smith qui non ci dice altro se non che capitale può essere impiegato nell’agricoltura, nell’industria e nel commercio. Egli parla dunque soltanto delle differenti sfere d’investimento del capitale, e vi comprende anche quelle in cui, come nel commercio, il. capitale non è incorporato nel processo immediato di produzione, dunque non opera come capitale produttivo. Con ciò egli abbandona già i fondamenti sui quali i fisiocratici rappresentano la distinzione del capitale produttivo e la sua influenza sulla rotazione. Anzi, egli prende subito il capitale commerciale come esempio in una questione in cui si tratta esclusivamente di differenze del capitale produttivo nel processo di formazione del prodotto e del valore, le quali pure generano a loro volta differenze nella sua rotazione e nella sua riproduzione. Egli continua: «Il capitale investito in questo modo non frutta reddito o profitto al suo possessore, fino a che rimane in suo possesso o conserva la stessa figura». Il capitale investito in questo modo! Ma Smith parla di capitale che è investito nell’agricoltura, nell’industria, e più avanti ci dice che il capitale così investito si suddivide in fisso e circolante! L’investimento del capitale in questo modo, dunque, non può rendere il capitale né fisso né circolante. Oppure egli intendeva che un capitale investito per produrre merci e per vendere queste merci con un profitto, dopo la sua trasformazione in merci dev’essere venduto e, mediante la vendita, in primo luogo passare dal possesso del venditore a quello del compratore, in secondo luogo convertirsi dalla sua forma naturale di merce nella sua forma di denaro, e che perciò per il possessore è Inutile fino a che o rimane in suo possesso o per lui — nella stessa forma? Ma allora ecco dove va a parare la cosa: lo stesso valore-capitale che prima operava nella forma del capitale produttivo, in una forma appartenente al processo di produzione, opera ora come capitale-merce e capitale monetario, nelle sue forme appartenenti al processo di circolazione, dunque non è più né capitale fisso né capitale circolante. E ciò vale tanto per gli elementi di valore che vengono aggiunti per mezzo delle materie prime e ausiliarie, cioè per mezzo del capitale circolante, quanto per quelli che vengono aggiunti con il consumo dei mezzi di lavoro, cioè con il capitale fisso. Anche così non ci avviciniamo di un passo alla distinzione tra capitale fisso e capitale circolante. Ancora: «Al commerciante i suoi beni non fruttano reddito o profitto finché egli non li vende per denaro, e altrettanto poco gli frutta il denaro finché non è nuovamente scambiato con beni. Il suo capitale si allontana continuamente da lui in una figura e ritorna a lui in un’altra, ed è soltanto per mezzo di tale circolazione o di successivi scambi che può fruttargli qualche profitto. Perciò con molta esattezza tali capitali si possono chiamare circolanti». Ciò che A. Smith definisce qui come capitale circolante è ciò che io intendo chiamare capitale di circolazione, capitale nella forma appartenente al processo di circolazione, al mutamento di forma mediante lo scambio (cambiamento di materia e cambiamento di mani), cioè capitale-merce e capitale monetario, in contrapposizione alla sua forma appartenente al processo di produzione, quella di capitale produttivo. Queste non sono specie particolari in cui il capitalista industriale suddivide il suo capitale, ma sono forme differenti che lo stesso valore-capitale anticipato di volta in volta sempre di nuovo assume e depone nel suo curriculum vitae. A. Smith le mette tutte in un fascio — ed è un gran passo indietro rispetto ai fisiocratici — insieme con le differenze di forma che scaturiscono entro la circolazione del valore-capitale nel suo ciclo attraverso le sue forme successive, mentre il valore-capitale si trova nella forma del capitale produttivo; e cioè scaturiscono dai modi differenti con cui i diversi elementi del capitale produttivo partecipano al processo di formazione del valore e trasferiscono il loro valore nel prodotto. Vedremo più oltre le conseguenze di questa fondamentale confusione tra il capitale produttivo e quello che si trova nella sfera della circolazione (capitale-merce e capitale monetario) da un lato, e tra capitale fisso e capitale circolante, dall’altro. Il valore-capitale anticipato nel capitale fisso viene fatto circolare per mezzo del prodotto, quanto quello anticipato nel capitale circolante, e per mezzo della circolazione del capitale-merce si trasforma in capitale monetario quanto l’altro. La distinzione scaturisce soltanto da ciò, che il suo valore circola a frammenti e perciò anche, sostituito in periodi più o meno lunghi, deve essere riprodotto a frammenti nella forma naturale. Che per capitale circolante A. Smith qui non intenda altro che capitale di circolazione, cioè il valore capitale nelle sue forme appartenenti al processo di circolazione (capitale-merce e capitale monetario) lo dimostra l’esempio da lui scelto in modo particolarmente maldestro. Egli prende come esempio una specie di capitale che non appartiene affatto al processo di produzione, ma dimora unicamente nella sfera della circolazione, consta solo di capitale di circolazione il capitale commerciale. Quanto insulso sia cominciare con un esempio in cui il capitale non figura affatto come capitale produttivo, egli stesso dice subito dopo: «Il capitale di un commerciante è interamente un capitale circolante». Ma la distinzione tra capitale fisso e circolante, come ci verrà detto più tardi, deve in realtà essere una distinzione che scaturisce da differenze essenziali entro il capitale produttivo. Da un lato, A. Smith ha in mente la distinzione fisiocratica, dall’altro, le differenze di forma che il valore-capitale percorre nel suo ciclo. E ambedue si mescolano alla rinfusa. Ma non si riesce assolutamente a vedere come un profitto possa nascere dal mutamento di forma di denaro e merce, dalla pura e semplice trasformazione del valore di una di queste forme nell’altra. La spiegazione diventa anzi del tutto impossibile, perchè egli comincia qui col capitale commerciale, che si muove soltanto nella sfera della circolazione. Ritorneremo ad esso; ascoltiamo prima che cosa egli dice del capitale fisso. «In secondo luogo, esso (il capitale) può essere impiegato nel miglioramento del suolo, nell’acquisto di macchine utili e strumenti di lavoro, o simili, che fruttino un reddito o un profitto senza cambiare di possessore, o comunque circolare. Tali capitali, perciò, possono essere chiamati con assoluta esattezza capitali fissi. Occupazioni differenti esigono proporzioni assai differenti tra i capitali fissi e i capitali circolanti in esse investiti... Una determinata parte del capitale di qualsiasi mastro artigiano o industriale dev’essere fissata negli strumenti del suo lavoro. Questa parte, tuttavia, è molto piccola per alcuni, molto grande per altri. La parte di gran lunga più grande del Capitale di questi mastri artigiani (come sarti, calzolai, tessitori) circola comunque o nei salari dei loro lavoratori o nel prezzo della loro materia prima, e viene ripagata con un profitto dal prezzo del lavoro». Prescindendo dalla puerile determinazione della fonte del profitto, la debolezza e la confusione si manifestano subito in questo: Per un fabbricante di macchine, ad esempio, la macchina è prodotto che circola come capitale-merce, dunque, con le parole di A. Smith, «dalla quale ci si distacca, che cambia possessori, che vien fatta circolare ulteriormente». La macchina, dunque, secondo la sua propria definizione, non sarebbe capitale fisso ma circolante. Questa confusione scaturisce ancora una volta dal fatto che Smith scambia la differenza tra capitale fisso e circolante, che scaturisce dalla circolazione eterogenea dei differenti elementi del capitale produttivo, con le differenze di forma che lo stesso capitale attraversa operando come capitale produttivo entro il processo di produzione, mentre entro il processo di circolazione opera come capitale di circolazione, cioè come capitale-merce o capitale monetario. Secondo la posizione che assumono nel processo di vita del capitale, le stesse cose possono perciò, per Smith, operare come capitale fisso (come mezzi di lavoro, elementi del capitale produttivo) e come capitale «circolante», capitale-merce (in quanto prodotto che viene espulso dalla sfera della produzione e immesso nella sfera della circolazione). Ma improvvisamente Smith muta tutto il fondamento della suddivisione e contraddice a ciò con cui, poche righe più sopra, aveva iniziato tutta l’indagine. Ciò era avvenuto precisamente con la frase: «Vi sono due differenti modi in cui il capitale può essere impiegato in modo da fruttare un reddito o un profitto al suo possessore», cioè come capitale circolante o capitale fisso. Quindi questi sarebbero differenti modi di impiego di differenti capitali indipendenti l’uno dall’altro, come, ad esempio, dei capitali possono essere impiegati nell’agricoltura o nell’industria. Ma ora si dice: «Occupazioni differenti esigono proporzioni assai differenti tra i capitali fissi e i capitali circolanti in esse investiti». Ora capitale fisso e capitale circolante non sono più investimenti differenti, autonomi, di capitale, ma differenti porzioni dello stesso capitale produttivo, che in differenti sfere d’investimento fanno parte in modo differente del valore complessivo di questo capitale. Sono dunque differenze che scaturiscono dall’opportuna divisione del capitale produttivo stesso, e che perciò valgono soltanto in rapporto a questo. Ma a ciò contraddice nuova mente il fatto che il capitale commerciale in quanto capitale pura mente circolante viene contrapposto al capitale fisso, perché A. Smith stesso dice: «Il capitale di un commerciante è interamente un capitale circolante». Di fatto, è un capitale che opera soltanto entro la sfera della circolazione, e in quanto tale si contrappone al capitale produttivo, al capitale incorporato nel processo di produzione in generale, ma appunto perciò non può contrapporsi come parte costitutiva fluida (circolante) del capitale produttivo alla parte costitutiva fissa del capitale produttivo. Negli esempi che Smith fornisce, egli definisce capitale fisso gli instruments of trade (strumenti di lavoro) e capitale circolante la porzione di capitale sborsata in salari e materie prime, incluse le materie ausiliarie (repaid with a profit by the price of the work - ripagata con un profitto dal prezzo di lavoro). Dunque, dapprima si parte soltanto dalle differenti parti costitutive del processo lavorativo, forza-lavoro (lavoro) e materie prime da una parte, strumenti di lavoro dall’altra. Ma queste sono parti costitutive di capitale perché è sborsata in essi una somma di valore che deve operare come capitale. In questo senso, essi sono gli elementi materiali, i modi di esistenza del capitale produttivo, cioè del capitale che opera nel processo di produzione. Perché ora una parte si chiama fissa? Perché «una determinata parte del capitale dev’essere fissata negli strumenti di lavoro». Ma anche l’altra parte è fissata in salario e materie prime. Intanto macchine e «strumenti di lavoro.., cose simili.., fruttano un reddito o profitto senza cambiare di possessore (changing masters), o comunque circolare. Tali capitali, perciò, possono essere chiamati con assoluta esattezza capitali fissi». Prendiamo ad esempio, l’industria mineraria. Qui non vengono affatto impiegate materie prime, essendo l’oggetto del lavoro, ad esempio il rame, un prodotto naturale che ci si deve appropriare solo attraverso il lavoro. Il rame che ci si deve prima appropriare, il prodotto del processo che in seguito circola come merce, cioè come capitale-merce, non Costituisce un elemento del capitale produttivo. Non è sborsata in esso una parte del suo valore. D’altro lato, gli altri elementi del processo di produzione, forza-lavoro e materie ausiliarie, come carbone, acqua e così via, entrano materialmente altrettanto poco nel prodotto. Il carbone viene consumato interamente ed entra nel prodotto soltanto il suo valore, proprio come entra nel prodotto una parte di valore della macchina, ecc. Infine, il lavoratore rimane autonomo di fronte al prodotto, il rame, quanto la macchina. Soltanto il valore che egli produce mediante il suo lavoro è ora parte costitutiva del valore del rame. Dunque, in questo esempio, nessuna parte costitutiva del capitale produttivo cambia mano (masters : possessori) ossia nessuna di esse viene fatta circolare ulteriormente, perché nessuna di esse entra materialmente nel prodotto. Dove rimane dunque qui il capitale circolante? Secondo la definizione propria di A. Smith, la totalità del capitale che viene ad essere impiegato in una miniera di rame, consisterebbe soltanto in capitale fisso. Prendiamo invece un’altra industria, che impiega materie prime che costituiscono la sostanza del prodotto, e inoltre materie ausiliarie che, come ad esempio carbone da riscaldamento, entrano nel prodotto corporalmente, e non soltanto secondo il valore. Insieme al prodotto, ad esempio il filo, anche la materia di cui esso consta, il cotone, cambia di mano e passa dal processo di produzione nel processo di consumo. Ma fino a che il cotone opera come elemento del capitale produttivo, il possessore non lo vende ma lo lavora, ne fa fabbricare filo. Non lo dà via. O, per usare l’espressione grossolanamente falsa e triviale di Smith, egli non trae un profitto dal parting with it, by its changing masters or by circulating it (dall’allontanarlo da sè, dal suo cambiare possessori, dal farlo circolare). Egli non fa circolare i suoi materiali come non fa circolare le sue macchine. Essi sono fissati nel processo di produzione così come le macchine per filare e gli edifici delle fabbriche. Anzi una parte del capitale produttivo dev’essere altrettanto costantemente fissata nella forma di carbone, cotone, ecc., quanto in quella di mezzi di lavoro. La differenza è solo questa, che il carbone, cotone, ecc., necessari alla produzione, ad esempio settimanale, di filo, vengono costantemente consumati per intero nella produzione del prodotto settimanale, perciò devono essere sostituiti da nuovi esemplari di cotone, carbone, ecc.; dunque, questi elementi del capitale produttivo, sebbene, quanto alla specie, rimangano identici, consistono costantemente di nuovi esemplari della stessa specie, mentre la stessa individuale macchina per filare, lo stesso individuale edificio della fabbrica continuano a cooperare ad una intera serie di produzioni settimanali, senza sostituzione di un nuovo esemplare della loro specie. In quanto elementi del capitale produttivo, tutte le sue parti costitutive sono costantemente fissate nel processo di produzione, perché questo non può avvenire senza di esse. E tutti gli elementi del capitale produttivo, i fissi come i circolanti, in quanto capitale produttivo si contrappongono in ugual misura al capitale di circolazione, cioè al capitale-merce e al capitale monetario. Altrettanto avviene per la forza-lavoro. Una parte del capitale produttivo deve costantemente essere fissata in essa, e sono le stesse identiche forze-lavoro, come le stesse macchine, ad essere dovunque impiegate per un tempo piuttosto lungo dallo stesso capitalista. La differenza tra esse e le macchine non consiste nel fatto che la macchina è comperata una volta per tutte (ciò che neppure avviene se essa, ad esempio, viene pagata a rate) e l’operaio no, ma nel fatto che la macchina è comperata una volta per tutte (ciò che neppure avviene se essa, ad esempio, viene pagata a rate) e l’operaio no, ma nel fatto che il lavoro che questi vende entra per intero nel valore del prodotto, mentre il valore della macchina vi entra soltanto a frammenti. Smith confonde tra loro determinazioni differenti quando dice del capitale circolante in contrapposizione a quello fisso: «Il capitale investito in questo modo non frutta al suo possessore che lo investe né reddito né profitto fino a che rimane in suo possesso o conserva la stessa figura». Egli pone sullo stesso piano la metamorfosi soltanto formale della merce, che il prodotto, il capitale-merce, compie nella sfera della circolazione e mediante la quale si attua il cambiamento di mano delle merci, e la metamorfosi materiale che i diversi elementi del capitale produttivo compiono durante il processo di produzione. Trasformazione di merce in denaro e di denaro in merce, compra e vendita, egli qui li mette senz’altro tutte in un fascio insieme con la trasformazione in prodotto di elementi di produzione. Il suo esempio di capitale circolante è il capitale commerciale, che si trasforma da merce in denaro, da denaro in merce, il mutamento di forma M — D — M appartenente alla circolazione delle merci. Ma questo mutamento di forma entro la circolazione, per il capitale industriale in funzione significa che le merci in cui il denaro viene ritrasformato sono elementi di produzione (mezzi di lavoro e forza-lavoro), che per mezzo di esso dunque si attua la continuità della sua funzione, il processo di produzione come processo continuativo o di riproduzione. Tutto questo mutamento di forma avviene nella circolazione; è esso a mediare il reale passaggio delle merci da una mano all’altra. Viceversa, le metamorfosi che il capitale produttivo compie entro il suo processo di produzione sono metamorfosi appartenenti al processo lavorativo, necessarie per trasformare gli elementi di produzione nel prodotto voluto. A. Smith si attiene al fatto che una parte dei mezzi di produzione (i veri e propri mezzi di lavoro) servono nel processo di lavoro (ciò che egli erroneamente esprime: «yield a profitto their master» fruttano un profitto al loro possessore), non mutando la propria forma naturale e consumandosi solo gradualmente; mentre un’altra parte, le materie, si muta e appunto col suo mutamento assolve il suo compito di mezzi di produzione. Questo differente comportamento degli elementi del capitale produttivo nel processo lavorativo costituisce però soltanto il punto di partenza della distinzione tra capitale fisso e non fisso, non questa distinzione stessa, ciò che risulta già dal fatto che sussiste in ugual misura per tutti i modi di produzione, capitalistici e non capitalistici. A questo differente comportamento materiale corrisponde però la cessione di valore al prodotto, cui a sua volta corrisponde la sostituzione del valore attraverso la vendita del prodotto; e questo soltanto costituisce quella distinzione. Il capitale dunque non è fisso perché fissato nei mezzi di lavoro, ma perché una parte del suo valore sborsato in mezzi di lavoro rimane fissata in essi, mentre un’altra parte circola come parte costitutiva del valore del prodotto. «Se esso» (il capitale iniziale) «è investito per procurare un futuro profitto, deve procurare tale profitto o rimanendo presso di lui» (il possessore) «o abbandonandolo. Nell’un caso è capitale fisso, nell’altro, capitale circolante» (p. 189). Innanzitutto colpisce qui la rappresentazione rozzamente empirica del profitto, attinta al modo di concepire proprio dei comuni capitalisti, e che contraddice totalmente alle migliori concezioni esoteriche di A. Smith. Nel prezzo del prodotto è stato sostituito tanto il prezzo delle materie quanto quello della forza-lavoro, ma è stata sostituita anche la parte di valore trasferita dagli strumenti di lavoro nel prodotto con il logorio. Da questa sostituzione non sgorga in nessun caso il profitto. Che un valore anticipato per la produzione del prodotto venga sostituito per intero o pezzo per pezzo, in una sola volta o gradualmente, mediante la vendita di quello, ciò può mutare soltanto il modo e il tempo della sostituzione; ma non certo trasformare ciò ch’è comune ad ambedue — la sostituzione di valore — in creazione di plusvalore. A fondamento di tutto ciò sta qui la comune concezione, secondo la quale, poiché il plusvalore viene realizzato soltanto mediante la vendita del prodotto, la sua circolazione, esso deve scaturire soltanto dalla vendita, dalla circolazione. Di fatto, la differente genesi del profitto è qui solo un’espressione errata, per indicare che i differenti elementi del capitale produttivo servono in modo differente, in quanto elementi produttivi operano in modo differente nel processo lavorativo. Infine, la distinzione non viene fatta derivare dal processo lavorativo, rispettivamente di valorizzazione, dalla funzione del capitale produttivo stesso, ma deve valere solo soggettivamente per il singolo capitalista., al quale una parte del capitale sia utile. in questo modo, l’altra in quello. Viceversa, Quesnay aveva dedotto la distinzione dal processo di riproduzione e dalle sue stesse necessità. Affinché questo processo sia continuativo, il valore degli anticipi annui dev’essere annualmente sostituito per intero dal valore del prodotto annuo, mentre il valore del capitale d’investimento dev’essere sostituito solo pezzo per pezzo; cosicché dev’essere per intero sostituito e perciò per intero riprodotto (sostituito mediante nuovi esemplari della stessa specie) soltanto in una serie, ad esempio, di dieci anni. A. Smith, dunque, fa molti passi indietro rispetto a Quesnay. Così ad A. Smith per definire il capitale fisso non rimane null’altro se non che ci sono mezzi di lavoro che nel processo di produzione non mutano la loro figura e continuano a servire nella produzione fino al loro consumo, di fronte ai prodotti alla cui formazione essi cooperano. Si dimentica che tutti gli elementi del capitale produttivo nella loro forma naturale (in quanto mezzi di lavoro, materie e forza-lavoro) stanno costantemente di fronte al prodotto ed al prodotto circolante come merce, e che la differenza tra la parte che consta di materie e di forza-lavoro e la parte che consta di mezzi di lavoro, rispetto alla forza-lavoro, risiede soltanto in ciò: che essa viene sempre comperata nuova (non viene comperata per tutta la sua durata, come i mezzi di lavoro); rispetto alle materie: che nel processo lavorativo non sono in funzione sempre le stesse identiche materie ma sempre nuovi esemplari della stessa specie. Contemporaneamente si crea la falsa apparenza secondo la quale il valore del capitale fisso non circolerebbe anch’esso, sebbene prima A. Smith abbia naturalmente trattato del logorio del capitale fisso come parte del prezzo del prodotto. Per il capitale circolante in contrapposizione a quello fisso, non viene messo in risalto che esso è in tale contrapposizione solo in quanto è quella parte costitutiva del capitale produttivo che dev’essere sostituita per intero dal valore del prodotto e deve perciò compiere per intero le metamorfosi di questo, mentre così non avviene per il capitale fisso. Esso viene piuttosto messo in un sol mucchio con le figure che il capitale assume nel suo passaggio dalla sfera della produzione alla sfera della circolazione, come capitale-merce e capitale monetario. Ma ambedue le forme, capitale-merce e capitale monetario, sono depositarie del valore tanto delle parti costitutive fisse quanto di quelle circolanti del capitale produttivo. Ambedue sono capitale di circolazione in contrapposizione al capitale produttivo, ma non capitale circolante (fluido) in contrapposizione al capitale fisso. Infine: con la spiegazione completamente errata che al profitto dia origine il capitale .fisso, rimanendo nel processo di produzione e quello circolante, abbandonandolo e circolando, a causa dell’identità della forma che il capitale variabile e la parte costitutiva circolante del capitale costante hanno nella rotazione, viene nascosta la differenza essenziale che li contraddistingue nel processo di valorizzazione e nella formazione del plusvalore, dunque viene reso ancor più oscuro tutto il segreto della produzione capitalistica; mediante la designazione comune di capitale circolante, viene soppressa questa distinzione essenziale; ciò che l’economia posteriore, poi, portò ancor oltre, non mantenendo più come essenziale e sola distintiva la contrapposizione tra capitale variabile e costante, ma quella tra capitale fisso e capitale circolante. Dopo aver designato capitale fisso e capitale circolante come due modi particolari di investire capitali, che, considerati ognuno per sé, fruttano un profitto, A. Smith dice: «Nessun capitale fisso può fruttare un reddito se non con l’aiuto di un capitale circolante. Le macchine più utili e gli strumenti di lavoro non produrranno nulla senza il capitale circolante, il quale fornisce i materiali che vengono lavorati e il sostentamento dei lavoratori dai quali essi vengono posti in attività» (p. 188). Risulta chiaro qui il significato delle precedenti espressioni: yield a revenue, make a profit (fruttare un reddito, rendere un profitto.) ecc., cioè che ambedue le parti del capitale servono da formatrici di prodotto. A. Smith fornisce poi il seguente esempio: «La parte del capitale del fittavolo che è impiegata negli attrezzi agricoli è capitale fisso, quella impiegata nei salari e nel sostentamento dei suoi lavoratori è capitale circolante». (Qui dunque la distinzione tra capitale fisso e circolante si riferisce giustamente soltanto alla differente circolazione, alla rotazione di differenti parti costitutive del capitale produttivo). «Egli trae un profitto dall’uno col tenerlo in suo proprio possesso, e dall’altro col cederlo. Il prezzo o valore del suo bestiame da lavoro è capitale fisso» (qui di nuovo l’osservazione esatta che è al valore che si riferisce la distinzione, non all’elemento materiale); «come quello degli strumenti agricoli; il suo sostentamento» (del bestiame da lavoro) «è un capitale circolante, così come lo è quello dei lavoratori. Il fittavolo consegue il suo profitto conservando il suo bestiame da lavoro e cedendo il sostentamento di esso». (Il fittavolo conserva il foraggio, non lo vende. Egli lo adopera per nutrire il bestiame, mentre adopera il bestiame stesso come strumento di lavoro. La differenza è soltanto questa: il foraggio che entra nel sostentamento del bestiame da lavoro, viene consumato interamente e deve essere sostituito mediante nuovo foraggio dal prodotto agricolo o dalla sua vendita; il bestiame stesso viene sostituito soltanto nella misura in cui ogni capo via via diviene inabile al lavoro). «Tanto il prezzo quanto il sostentamento del bestiame che venne comperato e ingrassato non per il lavoro ma per la vendita, sono capitale circolante. Il fittavolo consegue il suo profitto cedendo il bestiame». (Ogni produttore di merci, quindi anche quello capitalistico, vende il suo prodotto il risultato del suo processo di produzione, ma non perciò questo prodotto forma parte costitutiva fissa o circolante del suo capitale produttivo. Piuttosto, ora sussiste in una forma nella quale viene espulso dal processo di produzione e deve aver funzione di capitale-merce. Il bestiame da ingrasso nel processo di produzione ha funzione di materia prima, non di strumento come il bestiame da lavoro. Perciò entra nel prodotto come sostanza ed entra in esso l’intero suo valore, come quello delle materie ausiliarie [il suo foraggio]. Perciò esso è parte circolante del capitale produttivo, non perché il prodotto venduto — il bestiame da ingrasso — abbia qui la stessa forma naturale della materia prima, il bestiame non ancora ingrassato. Ciò è casuale. Nello stesso tempo, Smith avrebbe potuto vedere da questo esempio come non sia la figura oggettiva dell’elemento di produzione a dare al valore che in esso risiede la determinazione di fisso e circolante, ma la sua funzione entro il processo di produzione). «L’intero valore della semenza è anch’esso un vero e proprio capitale fisso. Sebbene vada avanti e indietro tra il terreno e il granaio, tuttavia non cambia mai di possessore (it never changes masters) e perciò propriamente non circola. L’agricoltore trae il suo profitto non dalla sua vendita ma dal suo incremento). Qui balza alla luce tutta la vacuità della distinzione smithiana. Secondo lui, la semenza sarebbe capitale fisso, purché non abbia luogo un change of masters, cioè la semenza venga sostituita direttamente dal prodotto annuo, detratta da esso. Sarebbe viceversa capitale circolante se l’intero prodotto fosse venduto e con una parte del valore di esso fosse comperato grano da semina estraneo. Nell’un caso avviene un change of masters, nell’altro no. Smith scambia qui nuovamente capitale circolante e capitale-merce. Il prodotto è il portatore materiale del capitale-merce. Ma, naturalmente, è tale soltanto la parte di esso che entra realmente in circolazione e non entra di nuovo direttamente nel processo di produzione dal quale provenne come prodotto. Sia che la semenza venga detratta direttamente come parte del prodotto o che l’intero prodotto venga venduto e una parte del suo valore convertita nell’acquisto di semenza estranea, in ambedue i casi avviene Soltanto una sostituzione, e da questa sostituzione non viene tratto alcun profitto. Nell’un caso, la semenza entra in circolazione come merce con il resto del prodotto, nell’altro figura soltanto nella contabilità come parte costitutiva di valore del capitale anticipato. Ma in ambedue i casi, essa rimane parte costitutiva circolante del capitale produttivo. Essa viene consumata per intero per preparare il prodotto, e deve essere sostituita da esso per intero, per rendere possibile la riproduzione. «La materia prima e i materiali ausiliari perdono la forma indipendente con la quale sono entrati come valori d’uso nel processo lavorativo. Altrimenti per i mezzi di lavoro veri e propri. Un attrezzo, una macchina, l’edificio di una fabbrica, un recipiente ecc. servono nel processo lavorativo solo in quanto conservarlo la loro forma originaria, e domani tornano a entrare nel processo lavorativo nella stessa forma che avevano ieri. E conservano la loro forma indipendente di fronte al prodotto così durante la loro vita, che è il processo lavorativo, come anche dopo la loro morte. I cadaveri delle macchine, degli attrezzi, degli edifici da lavoro ecc, continuano a esistere separati dai prodotti che avevano contribuito a produrre (Libro I, cap. VI). Questi differenti modi con cui i mezzi di produzione vengono utilizzati per la formazione del prodotto, tanto che gli uni di fronte al prodotto conservano la loro forma indipendente, gli altri la mutano o la perdono interamente — questa distinzione appartenente al processo lavorativo in quanto tale, distinzione che perciò si realizza altresì per processi lavorativi che sono diretti al mero bisogno personale, ad esempio della famiglia patriarcale, senza alcuno scambio, senza produzione di merci — vengono da Smith falsificati, in quanto egli 1) introduce qui la determinazione del tutto indebita del profitto, per cui gli uni arrecano profitto al possessore conservando la loro forma, gli altri perdendola; 2) mette in un sol fascio i mutamenti di una parte degli elementi di produzione nel processo lavorativo, e il mutamento di forma appartenente allo scambio dei prodotti, alla circolazione delle merci (compera e vendita), che comprende insieme lo scambio della proprietà sulle merci circolanti. La rotazione presuppone che la riproduzione sia mediata dalla circolazione, dunque dalla vendita del prodotto, dalla sua trasformazione in denaro e ritrasformazione da denaro nei suoi elementi di produzione. Ma in quanto una parte del suo proprio prodotto serve di nuovo direttamente da mezzo di produzione alto stesso produttore capitalistico, il produttore appare come venditore del prodotto a se stesso e come tale figura la cosa nella sua contabilità. Questa parte della riproduzione non è quindi mediata dalla circolazione, ma è immediata. La parte del prodotto che serve cosi di nuovo da mezzo di produzione sostituisce però capitale circolante, non capitale fisso, in quanto 1) il suo valore entra per intero nel prodotto, e 2) esso stesso dev’essere sostituito per intero in natura dal nuovo prodotto con un nuovo esemplare. A. Smith ci dice ora in che cosa consistano capitale circolante e capitale fisso. Egli enumera le cose, gli elementi materiali che costituiscono capitale fisso e quelli che costituiscono capitale circolante, come se tale determinazione spettasse a queste cose materialmente, per natura, e non scaturisse piuttosto dalla loro determinata funzione entro il processo capitalistico di produzione. E tuttavia nello stesso capitolo (Libro Il, cap. I) egli osserva che sebbene una data cosa, come ad esempio una casa d’abitazione, che è riservata al consumo diretto, «possa fruttare un reddito al suo proprietario e così servirgli in qualità di capitale, non può fruttare qualcosa alla comunità né servirle in qualità di capitale, e il reddito dell’intera popolazione non può essere minimamente aumentato da essa (p. 186). Qui dunque Smith esprime chiaramente come la qualità di capitale non spetti alle cose in quanto tali e in tutte le circostanze, ma sia una funzione che esse rivestono oppure no, secondo le circostanze. Ma ciò che vale per il capitale in genere vale anche per le sue suddivisioni. Le stesse cose sono parte costitutiva del capitale circolante o di quello fisso secondo che compiano nel processo lavorativo l’una o l’altra funzione. Ad esempio, un animale in quanto animale da lavoro (mezzo di lavoro) costituisce un modo materiale di esistenza del capitale fisso, invece come animale da ingrasso (materia prima) una parte costitutiva del capitale circolante del fittavolo. D’altro lato, la stessa cosa ora può aver funzione di parte costitutiva del capitale produttivo, ora appartenere al fondo di consumo diretto. Una casa, ad esempio, se ha funzione di locale di lavoro è parte costitutiva fissa del capitale produttivo; se di casa di abitazione, qua (in qualità di) casa d’abitazione, non è affatto una forma del capitale. Gli stessi mezzi di lavoro in molti casi possono aver funzione ora di mezzi di produzione ora di mezzi di consumo. Era questo uno degli errori derivanti dalla concezione di Smith: concepire i caratteri di capitale fisso e circolante come caratteri spettanti alle cose. Già l’analisi del processo lavorativo (Libro I, cap. V) mostra come le determinazioni di mezzi di lavoro, materie di lavoro, prodotto, mutino secondo le differenti funzioni che una stessa cosa assume nel processo. Le determinazioni di capitale fisso e non fisso sono invece, per parte loro, fondate sulle determinate funzioni che questi elementi sostengono nel processo lavorativo e perciò anche nel processo di formazione del valore. In secondo luogo, nell’enumerazione delle cose di cui constano il capitale fisso e il capitale circolante, viene alla luce il fatto che Smith mette in un sol fascio la distinzione, avente validità e senso unicamente in rapporto al capitale produttivo (il capitale nella sua forma produttiva), tra parti costitutive fisse e circolanti dello stesso, e la distinzione tra capitale produttivo e le forme proprie del capitale nel suo processo di circolazione: capitale-merce e capitale monetario. Egli dice nel medesimo passo (pp. 187-188): «Il capitale circolante consta dei mezzi di sussistenza, materie e prodotti finiti di ogni specie che si trovano nelle mani dei loro rispettivi commercianti, e nella moneta che è necessaria per farli circolare, distribuirli ecc.». Di fatto, se guardiamo più da vicino, qui, in contrasto a quanto è detto prima, il capitale circolante è nuovamente equiparato a capitale- merce e capitale monetario, dunque a due forme del capitale che non appartengono affatto al processo di produzione, che non costituiscono capitale circolante (fluido) in contrapposizione a fisso, ma capitale di circolazione in contrapposizione a capitale produttivo. Solo accanto a queste figurano poi di nuovo le parti costitutive del capitale produttivo anticipate in materie. (materie prime o semilavorati) e realmente incorporate nel processo di produzione. Egli dice: «La terza ed ultima delle tre porzioni nelle quali si divide naturalmente la scorta generale della società, è il capitale circolante, la cui caratteristica è che esso apporta un reddito soltanto circolando o cambiando possessore. Esso è composto ugualmente di quattro parti: primo, del denaro...» (Ma il denaro non è mai una forma del capitale produttivo, del capitale che opera nel processo di produzione. Esso è sempre soltanto una delle forme che il capitale assume entro il suo processo di circolazione). «... secondo, della scorta di mezzi di sussistenza che sono in possesso del macellaio, dell’allevatore, del fittavolo... e dalla vendita dei quali essi si attendono di ricavare un profitto... Quarto ed ultimo, del prodotto che è finito e compiuto, ma che è sempre nelle mani del commerciante o del fabbricante». E « terzo, delle materie o interamente grezze o più o meno lavorate, di vestiti, mobili e edifici, che non sono ancora elaborate in una di queste tre forme ma rimangono nelle mani dei coltivatori, dei fabbricanti, dei merciai e venditori di stoffe, dei commercianti in legname, dei carpentieri e falegnami, dei fabbricanti di mattoni, ecc.». I numeri 2 e 4 non contengono se non prodotti che, in quanto tali, sono espulsi dal processo di produzione e devono essere venduti; insomma che hanno funzione soltanto di merci, perciò rispettivamente di capitale-merce, dunque possiedono una forma e assumono nel processo una posizione in cui non costituiscono un elemento del capitale produttivo qualunque sia la loro definitiva desti nazione, cioè sia che da ultimo secondo il loro fine (valore d’uso) debbano toccare al consumo individuale o a quello produttivo. Questi prodotti nel n. 2 sono viveri, nel n. 4 tutti gli altri prodotti finiti, che quindi constano a loro volta soltanto di mezzi di lavoro finiti o di beni di consumo finiti (diversi dai viveri contenuti nel n. 2). Il fatto che Smith qui menzioni anche il commerciante, mostra la sua confusione. In quanto il produttore ha venduto al commerciante il suo prodotto, questo non costituisce più affatto una forma del suo capitale. Socialmente considerato, certamente è ancor sempre capitale-merce, anche se in altre mani che non quelle del suo produttore; ma appunto perché capitale-merce non è capitale fisso né circolante. In ogni produzione che non è volta a soddisfare direttamente il bisogno personale, il prodotto deve circolare come merce, cioè essere venduto, non per trarne un profitto ma affinché il produttore possa in generale vivere. Nella produzione capitalistica si aggiunge il fatto che con la vendita della merce viene realizzato anche il plusvalore che è in essa. Il prodotto esce dal processo di produzione come merce, dunque non è suo elemento fisso né circolante. Del resto, Smith qui si confuta da sé. I prodotti finiti, qualunque sia la loro forma materiale o il loro valore d’uso, il loro effetto utile, sono qui tutti capitale-merce, dunque capitale in una forma appartenente al processo di circolazione. Trovandosi in questa forma essi non sono parti costitutive dell’eventuale capitale produttivo del loro possessore; ciò non impedisce affatto che, non appena vendute, diventino nelle mani del loro compratore parti costitutive di capitale produttivo, sia circolanti sia fisse. Si mostra qui che le stesse cose, che a un dato momento compaiono sul mercato come capitale-merce in contrapposizione al capitale produttivo, quando sono sottratte al mercato possono aver o no funzione di parti costitutive circolanti o fisse del capitale produttivo. Il prodotto del filandiere — filo — è la forma di merce del suo capitale, è per lui capitale-merce. Esso non può nuovamente aver funzione di parte costitutiva del suo capitale produttivo, né come materia di lavoro né come mezzo di lavoro. Ma nelle mani del tessitore che lo acquista esso viene incorporato nel suo capitale produttivo come una delle sue parti costitutive circolanti. Per il filandiere il filo è però depositano del valore di una parte tanto del suo capitale circolante quanto del suo capitale fisso (prescindendo dal plusvalore). Così una macchina, in quanto prodotto del fabbricante di macchine, è per lui forma di merce del suo capitale, capitale- merce; e fino a che permane in questa forma non è capitale circolante né capitale fisso. Venduta ad un fabbricante che la impiega, essa diviene parte costitutiva fissa di un capitale produttivo. Anche se, secondo la sua forma d’uso, il prodotto può di nuovo entrare in parte come mezzo di produzione nel processo dal quale è provenuto, come ad esempio carbone nella produzione di carbone, proprio la parte del prodotto carbone destinata alla vendita non rappresenta capitale circolante né fisso, ma capitale-merce. D’altro lato, il prodotto per la sua forma d’uso può essere del tutto inadatto a costituire un qualsiasi elemento del capitale produttivo, sia come materia di lavoro sia come mezzo di lavoro. Ad esempio: un qualsiasi mezzo di sussistenza. Ciò non di meno, esso è capitale- merce per il suo produttore, depositario di valore così del capitale fisso come di quello circolante; e dell’uno o dell’altro, secondo se il capitale impiegato nella sua produzione debba essere sostituito interamente o in parte, abbia trasferito su di esso il proprio valore interamente o in parte. Per Smith, nel n. 3 il materiale grezzo (materie prime, semi-lavorati, materie ausiliarie) figura da un lato non come una parte costitutiva già incorporata nel capitale produttivo, ma, di fatto, solo come una specie particolare dei valori d’uso dei quali consta in generale il prodotto sociale, della massa di merci, accanto alle parti costitutive materiali, mezzi di sussistenza ecc., annoverati sub 2 e 4. D’altro lato, essi vengono tuttavia rappresentati come incorporati nel capitale produttivo, e perciò anche come elementi di esso nelle mani del produttore. La confusione si mostra nel fatto che essi in parte vengono intesi come funzionanti nelle mani del produttore (nelle mani degli agricoltori, dei fabbricanti ecc. dall’altra come funzionanti nelle mani dei commercianti «dei merciai, commercianti in stoffe, in legname»), dove sono puro e semplice capitale-merce, non parti costitutive del capitale produttivo. Di fatto qui, nell’enumerazione degli elementi del capitale circolante, Smith dimentica interamente la distinzione tra capitale fisso e capitale circolante, valida soltanto in rapporto al capitale produttivo. Egli contrappone piuttosto al capitale produttivo il capitale- merce e il capitale monetario, cioè ambedue le forme del capitale appartenenti al processo di circolazione, e anche ciò solo inconsciamente. Colpisce infine il fatto che A. Smith nell’enumerare le parti costitutive del capitale circolante dimentichi la forza-lavoro. Ciò avviene per un duplice motivo. Si è visto or ora come, prescindendo dal capitale monetario, il capitale circolante non sia che un diverso nome per il capitale- merce. Ma in quanto la forza-lavoro circola sul mercato, essa non è capitale, non è una forma del capitale-merce. Essa non è affatto capitale; il lavoratore non è un capitalista, sebbene porti sul mercato una merce, cioè la sua propria pelle. Soltanto quando la forza- lavoro è venduta, incorporata nel processo di produzione, dunque dopo che ha cessato di circolare come merce, diviene parte costitutiva del capitale produttivo; capitale variabile in quanto fonte del plusvalore, parte costitutiva circolante del capitale produttivo, in rapporto alla rotazione del valore-capitale in essa sborsato. Poichè Smith qui scambia il capitale circolante con il capitale-merce, non può collocare la forza-lavoro nella sua rubrica del capitale circolante. Perciò il capitale variabile si presenta qui nella forma delle merci che il lavoratore acquista col suo salario, i mezzi di sussistenza. In questa forma, il valore-capitale sborsato nel salario apparterrebbe al capitale circolante. Ciò che viene incorporato al processo di produzione è la forza-lavoro, il lavoratore stesso, non i mezzi di sussistenza per mezzo dei quali il lavoratore si sostenta. In verità, abbiamo visto (Libro I, cap. XXI) come, considerata socialmente, anche la riproduzione del lavoratore stesso per mezzo del suo consumo individuale appartenga al processo di riproduzione del capitale sociale. Ma ciò non vale per il singolo processo di produzione preso a sé, che noi qui consideriamo. Le acquired and useful abilities (le capacità acquisite ed utili) (p. 187) che Smith annovera nella rubrica del capitale fisso, formano al contrario parti costitutive del capitale circolante, quando sono abilities (capacità) dell’operaio salariato e questi ha venduto il proprio lavoro unitamente alle sue abilities. È un grande errore di Smith l’aver egli suddiviso l’intera ricchezza sociale in 1) fondo di consumo diretto, 2) capitale fisso, 3) capitale circolante. Secondo questa suddivisione, la ricchezza dovrebbe esser divisa in 1) fondo di consumo, che non fa parte del capitale sociale in funzione, sebbene parti di esso possano costantemente aver funzione di capitale, e 2) capitale. Una parte della ricchezza ha perciò funzione di capitale, un’altra di non-capitale o di fondo di consumo. E appare qui come una necessità inevitabile per ogni capitale l’essere fisso o circolante, allo stesso modo che per un mammifero è una necessità di natura essere maschio o femmina. Ma abbiamo visto che la contrapposizione tra fisso e circolante si può applicare soltanto agli elementi del capitale produttivo, che dunque accanto a questo vi è ancora una quantità molto rilevante di capitale — capitale-merce e capitale monetario — che si trova in una forma in cui non può essere né fissa né circolante. Poichè, ad eccezione della parte dei prodotti che senza vendita né acquisto viene di nuovo utilizzata in forma naturale come mezzo di produzione dai singoli produttori capitalistici stessi, l’intera massa della produzione sociale — a fondamento capitalistico — circola sul mercato come capitale-merce, è chiaro che dal capitale-merce vengono tratti tanto gli elementi fissi e circolanti del capitale ,produttivo quanto anche tutti gli elementi del fondo di consumo; ciò che, di fatto, altro non significa se non che i mezzi di produzione, così come i mezzi di consumo, sulla base della produzione capitalistica si presentano sul mercato innanzi tutto come capitale-merce, anche se sono destinati più tardi a servire da mezzi di consumo o di produzione; così come la stessa forza-lavoro viene trovata pronta sul mercato come merce, anche se non come capitale-merce. Per cui, la seguente nuova confusione in Smith. Egli dice: «Di queste quattro parti» (del circulating capital, capitale circolante, cioè del capitale nelle sue forme di capitale-merce e capitale monetario appartenenti al processo di circolazione, due parti che si trasformano in quattro per il fatto che Smith distingue a loro volta riguardo alla materia le parti costitutive del capitale-merce) «tre, mezzi di sussistenza, materie e prodotti finiti vengono regolarmente stornati da esso o annualmente o in un periodo più lungo o più breve, e collocati nel capitale fisso o nella scorta destinata al consumo immediato; Ogni capitale fisso deriva in origine da un capitale circolante e dev’essere continuamente conservato da esso. Tutte le macchine utili e gli strumenti di lavoro derivano in origine da un capitale circolante che fornisce, le materie di cui essi sono composti e il sostentamento dei lavoratori che li fabbricano. Essi richiedono pure un capitale della stessa specie che li conservi continuamente in buono stato» (p. 188). Sempre con l’eccezione della parte del prodotto che viene direttamente consumata di nuovo come mezzo di produzione dai suoi produttori vale per la produzione capitalistica il principio generale: tutti i prodotti vengono sul mercato come merci e perciò per il capitalista circolano come forma di merce del suo capitale, come capitale- merce, sia che questi prodotti per la loro forma naturale, per il loro valore d’uso debbano o possano aver funzioni di elementi del capitale produttivo (del processo di produzione), di mezzi di produzione e perciò di elementi fissi o circolanti del capitale produttivo: sia che possano servire soltanto da mezzi del consumo individuale, non del consumo produttivo. Tutti i prodotti vengono gettati sul mercato come merci; tutti i mezzi di produzione e di consumo, tutti gli elementi del consumo individuale e produttivo devono perciò, mediante l’acquisto, essere nuovamente sottratti al mercato come merci. Questa banalità (truism) è naturalmente esatta. Ciò vale quindi tanto per gli elementi fissi quanto per quelli circolanti del capitale produttivo, per mezzi di lavoro come per materie di lavoro in tutte le forme. (A tale riguardo, viene ancora dimenticato il fatto che ci sono elementi del capitale produttivo che, essendo esistenti in natura, non sono prodotti). La macchina viene comprata sul mercato così come il cotone. Ma da ciò non consegue affatto — consegue unicamente dalla confusione operata da Smith tra capitale di circolazione e capitale circolante o fluido, cioè capitale non fisso — che ogni capitale fisso derivi originariamente da uno circolante. E, oltre a ciò, Smith si confuta da solo. Secondo le sue stesse affermazioni, le macchine in quanto merci fanno parte del n. 4 del capitale circolante. Che esse provengano dal capitale circolante significa dunque soltanto che avevano funzione di capitale-merce prima di aver funzione di macchine, che però materialmente provengono da se stesse; così come il cotone in quanto elemento circolante del capitale del filandiere deriva dal cotone sul mercato. Ma se Smith, proseguendo la sua trattazione, fa derivare il capitale fisso da quello circolante perché per costruire macchine sono necessari lavoro e materiale grezzo, innanzitutto per costruire macchine sono necessari ancora mezzi di lavoro, dunque capitale fisso, e, in secondo luogo, è parimenti necessario capitale fisso, macchinario ecc. per fabbricare materiale grezzo, perché il capitale produttivo comprende sempre mezzi di lavoro, ma non sempre materiale di lavoro. Egli stesso dice subito dopo: «Terreni, miniere e pescherie, perché siano messi in opera, richiedono tutti tanto un capitale fisso quanto uno circolante» (egli ammette dunque che per la produzione di materiale grezzo sia necessario non soltanto capitale circolante ma anche fisso) «e» (qui nuova assurdità) «il loro prodotto restituisce con un profitto non soltanto quei capitali ma tutti gli altri nella società» (p. 188). Ciò è completamente assurdo il loro prodotto fornisce il materiale grezzo, le materie ausiliarie ecc. per tutti gli altri rami d’industria. Ma il loro valore non sostituisce il valore di tutti gli altri capitali sociali; sostituisce soltanto il loro proprio valore-capitale (più plusvalore). Qui in A. Smith si fa sentire nuovamente l’influenza dei fisiocratici. Considerando la cosa socialmente, è esatto dire, per quanto riguarda la parte del capitale-merce che consta di prodotti che possono servire soltanto da mezzi di lavoro, che questi, presto o tardi — a meno che non siano prodotti affatto inutilmente, cioè non siano invendibili — hanno funzione anche di mezzi di lavoro, cioè, sulla base della produzione capitalistica, quando cessano di essere merci, devono costituire elementi reali, come prima erano già potenziali, della parte fissa del capitale produttivo sociale. Qui si manifesta una differenza che scaturisce dalla forma naturale del prodotto. Un filatoio, ad esempio, non ha valore d’uso se non viene utilizzato per filare, cioè se non ha funzione di elemento di produzione, quindi, dal punto di vista capitalistico, di parte costitutiva fissa di un capitale produttivo. Ma il filatoio è mobile. Può essere esportato fuori del paese in cui è stato prodotto, e venduto in un paese straniero, direttamente o indirettamente, sia contro materie prime ecc, sia contro champagne. Nel paese in cui è stato prodotto esso ha avuto allora soltanto funzione di capitale-merce, mai però di capitale fisso, neanche dopo la sua vendita. Viceversa, prodotti che attraverso l’incorporamento nel terreno sono localizzati e perciò anche possono essere utilizzati solo localmente, ad esempio edifici di fabbriche, ferrovie, ponti, tunnel, docks ecc., migliorie del suolo ecc., non possono essere esportati materialmente, tal quali. Essi non sono mobili, O sono inutili o, non appena venduti, devono aver funzione di capitale fisso nel paese in cui sono stati prodotti. Per il loro produttore capitalistico, il quale costruisce fabbriche o fa migliorie su terreni per speculazione, per venderli [per l’imprenditore che per fini commerciali costruisce ferrovie e ponti], queste cose sono una forma del suo capitale-merce, dunque, secondo A. Smith, una forma del capitale circolante. Ma, considerate socialmente, per non essere inutili, queste cose devono alla fine aver funzione di capitale fisso nel paese stesso, in un processo di produzione fissato dalla loro stessa località; per la qual cosa non consegue affatto che cose immobili in quanto tali siano senz’altro capitale fisso; in quanto case d’abitazione ecc. esse possono appartenere al fondo di consumo e dunque non appartenere affatto al capitale sociale, sebbene costituiscano un elemento della ricchezza sociale, della quale il capitale è soltanto una parte. Il produttore di queste cose, per esprimerci smithianamente, trae un profitto dalla loro vendita. Quindi, capitale circolante! Colui che le utilizza, il loro compratore definitivo, le può utilizzare solo impiegandole nel processo di produzione. Quindi, capitale fisso! I titoli di proprietà, ad esempio su una ferrovia, possono quotidianamente cambiare di mano, ed il loro possessore trarre un profitto dalla vendita di questi titoli perfino all’estero, cosicché i titoli di proprietà sono esportabili sebbene non lo sia la ferrovia stessa. Ciò nondimeno, nel paese stesso in cui sono localizzate, queste cose devono o giacere inattive oppure aver funzione di parte costitutiva fissa di un capitale produttivo. Parimenti, il fabbricante A può trarre un profitto dalla vendita della sua fabbrica al fabbricante B, ciò che non impedisce però alla fabbrica di aver comunque funzione di capitale fisso. Perciò se i mezzi di lavoro localmente fissati, inseparabili dal suolo, sebbene per il loro produttore possano aver funzioni di capitale-merce e non costituire elementi del suo capitale fisso (questo consiste per lui nei mezzi di lavoro di cui ha bisogno per la costruzione di edifici, stazione ecc.) tuttavia di necessità devono prevedibilmente aver funzione di capitale fisso nel paese stesso, non ne consegue affatto, all’inverso, che il capitale fisso consista unicamente di cose immobili. Una nave e una locomotiva operano soltanto mediante il loro movimento; e tuttavia hanno funzione di capitale fisso, non per il loro produttore bensì per colui che li usa. D’altro lato, cose che sono fissate nel modo più reale nel processo di produzione, in esso vivono e muoiono e una volta entratevi giammai lo abbandonano, sono parti costitutive circolanti del capitale produttivo. Ad esempio il carbone che viene consumato per far funzionare la macchina nel processo di produzione, il gas che viene consumato per l’illuminazione dell’edificio della fabbrica, ecc. Essi sono circolanti non perché abbandonino materialmente il processo di produzione insieme con il prodotto, e circolino come merce, ma perché il loro valore entra interamente nel valore della merce che essi concorrono a produrre, e quindi dev’essere anche interamente sostituito dalla vendita della merce. Nel passo citato per ultimo di A. Smith, è ancora da osservare la frase: «Un capitale circolante che fornisce.., il sostentamento dei lavoratori che le fabbricano» (macchine ecc.). Presso i fisiocratici, la parte di capitale anticipata in salario figura giustamente tra le avances annuelles in contrapposizione alle avances primitives. D’altro lato, come parte costitutiva del capitale produttivo impiegato dal fittavolo non compare, per essi, la forza-lavoro stessa ma i mezzi di sussistenza (the maintenance of the workmen, come dice Smith) (il sostentamento dei lavoratori), forniti ai lavoratori agricoli. Questo è precisamente in connessione con la loro specifica dottrina. La parte di valore che il lavoro aggiunge al prodotto (proprio come la parte di valore che il materiale grezzo, gli strumenti di lavoro ecc., insomma le parti costitutive materiali del capitale costante aggiungono al prodotto) è infatti, per essi, uguale soltanto al valore dei mezzi di sussistenza pagati ai lavoratori e da consumare necessariamente per la conservazione della loro funzione di forza-lavoro. Scoprire la differenza tra capitale costante e variabile è loro interdetto dalla loro stessa dottrina. Se è il lavoro a produrre il plusvalore (oltre alla riproduzione del suo proprio prezzo), esso lo produce nell’industria così come nell’agricoltura. Ma poiché, secondo il loro sistema, esso Io produce soltanto in un ramo della produzione, l’agricoltura, allora il plusvalore non scaturisce dal lavoro ma dalla particolare attività (cooperazione) della natura in questo ramo. E soltanto per questo il lavoro agricolo è per essi lavoro produttivo, a differenza delle altre specie di lavoro. A. Smith determina i mezzi di sussistenza del lavoratore come capitale circolante in contrapposizione a quello fisso: 1) perché confonde il capitale circolante in contrapposizione a quello fisso con le forme del capitale appartenenti alla sfera della circolazione, con il capitale di circolazione; una confusione che dopo di lui si è tramandata acriticamente in eredità. Egli confonde perciò il capitale-merce con la parte costitutiva circolante dei capitale produttivo, e allora si comprende da sè come là dove il prodotto sociale assume la forma della merce i mezzi di sussistenza dei lavoratori, come quelli dei non lavoratori, le materie come i mezzi di lavoro stessi debbano essere forniti dal capitale-merce. 2) Ma anche la concezione fisiocratica è presente in Smith, sebbene contraddica alla parte esoterica — realmente scientifica — della sua trattazione. Il capitale anticipato viene in generale convertito in capitale produttivo, cioè assume la forma di elementi di produzione, i quali a loro volta sono un prodotto di precedente lavoro. (Tra questi, la forza-lavoro). Solo in questa forma esso può operare entro il processo di produzione. Se ora al posto della forza-lavoro stessa, in cui si è convertita la parte variabile del capitale, si pongono i mezzi di sussistenza del lavoratore, è chiaro che questi mezzi di sussistenza in quanto tali, rispetto alla formazione del valore, non si distinguono dagli altri elementi del capitale produttivo, dal materiale grezzo e dai mezzi di sussistenza del bestiame da lavoro con cui Smith, secondo l’esempio dei fisiocratici, in un passo sopra citato li pone perciò su un solo piano. I mezzi di sussistenza non possono da sé valorizzare il proprio valore o aggiungergli un plusvalore. Il loro valore, come quello degli altri elementi del capitale produttivo, può soltanto ricomparire nel valore del prodotto. Essi non possono aggiungergli più valore di quanto possiedano. Così come il materiale grezzo, i semilavorati ecc., essi si distinguono dal capitale fisso, che consta di mezzi di lavoro, solo perché essi (almeno per il capitalista che li paga) vengono interamente consumati nel prodotto nella cui formazione entrano, perciò il loro valore deve essere sostituito per intero, ciò che per il capitale fisso avviene solo gradualmente, pezzo per pezzo. La parte del capitale produttivo anticipata in forza-lavoro (rispettivamente nei mezzi di sussistenza del lavoratore) quindi si distingue ora dagli altri elementi del capitale produttivo solo materialmente, non rispetto al processo lavorativo e di valorizzazione. Essa si distingue solamente in quanto entra con una parte degli elementi di formazione oggettivi del prodotto (materials, materie prime, dice Smith in generale) nella categoria del capitale circolante, in contrapposizione a un’altra parte degli elementi di formazione oggettivi del prodotto che ricade nella categoria del capitale fisso. Il fatto che la parte del capitale sborsata in salario appartenga alla parte circolante del capitale produttivo, che essa, in contrapposizione alla parte costitutiva fissa del capitale produttivo, abbia in comune con una parte degli elementi di formazione oggettivi del prodotto, le materie prime ecc., la proprietà di essere circolante, non ha assolutamente nulla a che fare con la funzione che questa parte variabile del capitale compie nel processo di valorizzazione, in contrapposizione a quella costante. Ciò si riferisce soltanto al modo come questa parte del valore-capitale anticipato debba essere sostituita, rinnovata, dunque riprodotta, dal valore del prodotto mediante la circolazione. L’acquisto e il riacquisto della forza-lavoro appartengono al processo di circolazione. Ma soltanto entro il processo di produzione il valore sborsato nella forza-lavoro si trasforma (non per il lavoratore ma per il capitalista) da una grandezza determinata, costante, in una variabile, e proprio soltanto per questo il valore anticipato si trasforma in valore-capitale, in capitale, in valore che si valorizza. Ma per il fatto che, come in Smith, quale parte costitutiva circolante del capitale produttivo viene designato non il valore sborsato in forza-lavoro ma il valore sborsato nei mezzi di sussistenza del lavoratore, viene reso impossibile comprendere la differenza tra capitale variabile e costante, dunque comprendere il processo capitalistico di produzione in generale. La definizione di questa parte di capitale come capitale variabile in contrapposizione al capitale costante sborsato in elementi di formazione oggettivi del prodotto, viene seppellita sotto la definizione secondo cui la parte di capitale sborsata in forza-lavoro, per quanto riguarda la rotazione, appartiene alla parte circolante del capitale produttivo. La sepoltura viene completata considerando come elemento del capitale produttivo al posto della forza-lavoro i mezzi di sussistenza del lavoratore. Che il valore della forza-lavoro venga anticipato in denaro o direttamente in mezzi di sussistenza, è indifferente. Sebbene, naturalmente, sulla base della produzione capitalistica quest’ultima cosa possa essere soltanto un’eccezione[23] . Poiché la definizione del capitale circolante è stata così fissata da Smith come l’elemento decisivo per il valore-capitale sborsato in forza-lavoro questa definizione fisiocratica senza i presupposti dei fisiocratici — Smith ha felicemente reso impossibile per i suoi successori di riconoscere come variabile la parte di capitale sborsata in forza-lavoro. Gli esatti e più profondi sviluppi che egli stesso ha fornito altrove non sono prevalsi, ha prevalso invece questo suo errore. Scrittori posteriori sono anzi andati più oltre, non soltanto hanno dato come determinazione decisiva della parte di capitale sborsata in forza-lavoro quella di essere capitale circolante, in contrapposizione a capitale fisso; hanno dato come determinazione essenziale del capitale circolante quella di essere sborsato in mezzi di sussistenza per i lavoratori. A ciò si è riallacciata naturalmente la teoria del fondo salari, consistente nei mezzi necessari di sussistenza, come grandezza data, che da un lato limita fisicamente la partecipazione dei lavoratori al prodotto sociale, dall’altro, però, dev’essere spesa interamente per l’acquisto di forza-lavoro. NOTE [22] Cfr. per QUESNAY l’Analyse du Tableau Èconomique (Physiocrates, ed. Daire, parte I, Parigi, 1846). Là è detto, ad esempio: «Gli anticipi annui consistono nelle spese che si fanno annualmente per il lavoro di coltivazione; questi anticipi devono essere distinti dagli anticipi originari che costituiscono il fondo per l’impianto della coltura (p. 59). Presso i fisiocratici più recenti, le avances vengono più volte designate direttamente già come capital: «capital ou avances». DUPONT DE NEMOURS, Maximes du Docteur Quesnay etc. (Daire, Physiocrates, parte I, p. 391); inoltre LE TROSNE: «In conseguenza della durata più o meno lunga dei prodotti del lavoro, una nazione possiede una scorta considerevole di ricchezze, indipendente dalla sua produzione annua, che rappresenta un capitale accumulato a lunga scadenza e, pagato in origine con prodotti, sempre si conserva ed accresce» (Daire, parte Il, p. 928). Turgot adopera già regolarmente la parola capital per avances, e identifica ancor più le avances dei manufacturiers (Industriali) con quelle degli affittuari (TURGOT, Riflexions sur la formation et la distribution des richesses, 1766). [23] Fino a che punto A. Smith si sia da sè sbarrata la strada alla comprensione della funzione della forza-lavoro nel processo di valorizzazione, lo dimostra la seguente frase, che, alla maniera dei fisiocratici, pone sullo stesso gradino il lavoro del lavoratore e quello del bestiame da lavoro «Non soltanto i suoi» (del fittavolo) «lavoratori ma anche i suoi animali da lavoro sono lavoratori produttivi » (Libro Il’ cap. V, p. 243). |