IL CAPITALE

LIBRO II

SEZIONE I

LE METAMORFOSI DEL CAPITALE E IL LORO CICLO

CAPITOLO 4

LE TRE FIGURE DEL PROCESSO CICLICO

Le tre figure possono essere rappresentate, se Ct sta per il processo della circolazione totale:

I) D — M ... P ... M’ — D’

II) P ... Ct ... P

III) Ct ... P (M’)

Se riassumiamo tutte e tre le forme, tutti i presupposti del pro cesso appaiono come un suo risultato, come un presupposto da esso stesso prodotto [e tutti i suoi risultati appaiono come suoi presupposti]. Ciascun momento appare come punto di partenza, punto intermedio e punto di ritorno. Il processo totale si presenta come unità di processo di produzione e processo di circolazione; il processo di produzione diviene mediatore del processo di circolazione e viceversa.

A tutti e tre i cicli è comune la valorizzazione del valore come scopo determinante, e come motivo propulsore. In I, ciò è espresso nella forma. La forma II inizia con P il processo di valorizzazione stesso. In III, il ciclo inizia con il valore valorizzato e conclude con valore nuovamente valorizzato, anche se il movimento viene ripetuto su scala invariata.

In quanto M — D è D — M per il compratore, e D — M è M — D per il venditore, la circolazione del capitale rappresenta la consueta metamorfosi delle merci, e valgono le leggi sviluppate a proposito di quest’ultima (Libro I, cap. III, 2 ) per la massa del denaro circolante. Se però non ci si arresta a questo lato formale, ma si considera il nesso reale delle metamorfosi dei differenti capitali individuali, dunque, di fatto, il nesso dei cicli dei capitali individuali come movimenti parziali del processo di riproduzione del capitale sociale complessivo, questo nesso non può essere spiegato dal puro e semplice scambio di forma tra denaro e merce.

In un circolo che ruota costantemente, ciascun punto è contemporaneamente punto di partenza e punto di ritorno. Se interrompiamo la rotazione, allora non ogni punto di partenza è punto di ritorno. Cosi abbiamo visto che non solo ogni ciclo particolare presuppone (implicite) l’altro, ma anche che la ripetizione del ciclo in una forma comprende il percorso del ciclo nelle altre forme. Così tutta la differenza si raffigura come una differenza puramente formale, o anche puramente soggettiva, che sussiste solo per l’osservatore.

In quanto ciascuno di questi cicli viene considerato come forma particolare del movimento in cui si trovano differenti capitali industriali individuali, anche questa differenza esiste sempre soltanto come differenza individuale. In realtà, però, ogni capitale industriale individuale si trova contemporaneamente in tutti e tre. I tre cicli, le forme di riproduzione delle tre figure del capitale, si compiono continuamente l’uno accanto all’altro. Una parte del valore-capitale, ad esempio, che ora opera come capitale-merce, si trasforma in capitale monetario ma contemporaneamente un’altra parte entra dal processo di produzione nella circolazione come nuovo capitale-merce. Così il ciclo M’ ... M’ viene descritto costantemente; così pure ambedue le altre forme. La riproduzione del capitale in ciascuna delle sue forme e in ciascuno dei suoi stadi è altrettanto continua che la metamorfosi di queste forme e Io scorrere successivo attraverso i tre stadi. Qui dunque il ciclo totale è unità reale delle sue tre forme.

Nella nostra trattazione si è presupposto che il valore-capitale, secondo la sua grandezza totale di valore, si presenti interamente come capitale monetario, o come capitale produttivo, o come capitale-merce. Così ad esempio. avevamo i 101.280 € dapprima interamente come capitale monetario, poi trasformati in capitale produttivo parimenti per l’intero loro ammontare, infine come capitale-merce: filo del valore di 120.000 € (di cui 18.720 €, plusvalore). Qui i differenti stadi costituiscono altrettante interruzioni. Ad esempio, finché i 101.280 € permangono in forma di denaro, cioè finché non sono compiuti gli acquisti D — M(L + Pm), il capitale complessivo esiste e opera soltanto come capitale monetario. Quando è trasformato in capitale produttivo, esso non opera come capitale monetario né come capitale-merce. Il suo processo totale di circolazione è interrotto, come d’altra parte è interrotto il suo processo totale di produzione non appena esso opera in uno dei due stadi della circolazione, sia come D che come M’. Così dunque il ciclo P ... P non si presenterebbe solo come rinnovo periodico del capitale produttivo, ma altresì come interruzione della sua funzione, del processo di produzione, finché non è terminato il processo della circolazione; anziché in maniera continua, la produzione si svolgerebbe a strappi e si rinnoverebbe soltanto dopo intervalli di durata casuale, secondo che i due stadi del processo di circolazione fossero compiuti più o meno rapidamente. Così, ad esempio, avviene nel caso dell’artigiano cinese, che lavora solo per clienti privati, e il cui processo di produzione cessa finché non viene rinnovata t’ordinazione.

Di fatto, ciò vale per ogni singola parte di capitale che si trova in movimento, e tutte le parti del capitale, nell’ordine, percorrono questo movimento. Ad esempio, i 10.000 q.li di filo sono il prodotto settimanale di un filandiere. Questi 10.000 q.li di filo passano interamente dalla sfera della produzione alla sfera della circolazione; il valore-capitale in esso contenuto dev’essere trasformato interamente in capitale monetario, e fino a che permane nella forma di capitale monetario, non può entrare di nuovo nel processo di produzione; deve prima entrare nella circolazione ed essere ritrasformato negli elementi del capitale produttivo L + Pm. Il processo ciclico del capitale è interruzione costante, abbandono di uno stadio, ingresso nel successivo; spogliarsi di una forma, esistere in un’altra forma; ciascuno di questi stadi non solo condiziona t’altro, ma con temporaneamente lo esclude.

La continuità è tuttavia il contrassegno caratteristico della produzione capitalistica ed è condizionata dal suo fondamento tecnico, anche se non sempre è in ogni caso raggiungibile. Vediamo dunque come avvenga la cosa nella realtà. Mentre, ad esempio, i 10.000 q.li di filo entrano nel mercato come capitale-merce e compiono la loro trasformazione in denaro (sia questo mezzo di pagamento, mezzo d’acquisto o anche solo moneta di conto), nuovo cotone, carbone, ecc. entra al loro posto nel processo di produzione, quindi si è già trasformato dalla forma di denaro e dalla forma di merce nella forma del capitale produttivo e come tale inizia la sua funzione; mentre nello stesso tempo in cui i primi 10.000 q.li di filo vengono convertiti in denaro, 10.000 q.li di filo precedenti percorrono già il secondo stadio della lo!o circolazione e da denaro si ritrasformano negli elementi del capitale produttivo. Tutte le parti del capitale percorrono nell’ordine il processo ciclico, si trovano contemporaneamente in stadi differenti di esso. Così il capitale industriale nella continuità del suo ciclo si trova contemporaneamente in tutti i suoi stadi e nelle differenti forme di funzione ad essi corrispondenti. Per quanto riguarda la parte che si trasforma per la prima volta da capitale-merce in denaro, si inizia il ciclo M’ ... M’, mentre per il capitale industriale, in quanto totalità in movimento, il ciclo M’ ... M’ è già percorso. Con una mano viene anticipato denaro, con l’altra riscosso; l’inizio del ciclo D ... D’ in un punto è contemporaneamente il suo ritorno in un altro. Lo stesso vale per il capitale produttivo.

Il ciclo reale del capitale industriale nella sua continuità, perciò, non è solo unità di processo di produzione e di processo di circolazione, ma unità di tutti e tre i suoi cicli. Ma esso può essere tale unità solo in quanto ogni differente parte del capitale può successivamente percorrere le fasi del ciclo che si susseguono, passare da una fase, da una forma di funzione, all’altra, quindi il capitale industriale, in quanto totalità di queste parti, si trova contemporaneamente nelle differenti fasi e funzioni e descrive così contemporaneamente tutti e tre i cicli. La successione di ogni parte è qui condizionata dalla contemporaneità delle parti, cioè dalla partizione del capitale. Così nel sistema articolato della fabbrica il prodotto esiste sempre tanto nei differenti gradi del suo processo di formazione, quanto nel trapasso da una fase di produzione nell’altra. Poichè il capitale industriale individuale rappresenta una determinata grandezza, che dipende dai mezzi del capitalista e che per ciascun ramo di industria ha una determinata grandezza minima, anche alla sua partizione devono mantenersi determinati termini proporzionali. La grandezza del capitale esistente condiziona il volume del processo di produzione, e questo condiziona il volume di capitale-merce e capitale monetario, in quanto essi operano accanto al processo di produzione. La contemporaneità, dalla quale viene condizionata la continuità della produzione, esiste tuttavia soltanto in virtù dei movimenti con cui le parti del capitale percorrono successivamente i differenti stadi. La contemporaneità è essa stessa unicamente un risultato della successione. Se, ad esempio, M’ — D’ si arresta per una parte, se la merce è invendibile, allora il ciclo di questa parte è interrotto e non si compie la sostituzione mediante i suoi mezzi di produzione; le parti susseguenti; che in veste di M’ provengono dal processo di produzione, trovano il loro mutamento di funzione impedito dai loro predecessori. Se questo dura per qualche tempo, la produzione si riduce e l’intero processo viene costretto a fermarsi. Ogni arresto della successione reca disordine alla contemporaneità, ogni arresto in uno stadio opera un arresto più o meno grande nel ciclo complessivo non soltanto della parte di capitale arrestatasi, ma anche nel capitale individuale complessivo.

La forma successiva nella quale si raffigura il processo è quella di una successione di fasi, cosicchè il trapasso del capitale in una nuova fase è condizionato dal suo abbandono dell’altra. Ogni ciclo particolare ha perciò anche come punto di partenza e punto di ritorno una delle forme di funzione del capitale. D’altro lato, il processo complessivo è di fatto l’unità dei tre cicli, che sono le differenti forme nelle quali si esprime la continuità del processo. Il ciclo totale si rappresenta per ogni forma di funzione del capitale come il suo ciclo specifico, e cioè ciascuno di questi cicli condiziona la continuità del processo complessivo; il ciclo di una forma funzionale condiziona quello dell’altra. È una condizione necessaria per il processo complessivo di produzione, particolarmente per il capitale sociale, che esso sia contemporaneamente processo di riproduzione e perciò ciclo di ciascuno dei suoi momenti. Frazioni differenti del capitale percorrono successivamente i differenti stadi e forme di funzione. Ogni forma di funzione, sebbene si presenti in essa una parte sempre diversa del capitale, percorre con ciò contemporaneamente alle altre il suo proprio ciclo. Una parte del capitale, ma una sempre in mutamento, sempre riprodotta, esiste come capitale- merce che si trasforma in denaro; un’altra, come capitale monetario che si trasforma in capitale produttivo; una terza, come capitale produttivo che si trasforma in capitale-merce. La presenza costante di tutte e tre le forme è mediata dal ciclo del capitale complessivo appunto attraverso queste tre fasi.

Nel suo insieme il capitale si trova poi contemporaneamente, spazialmente contiguo, nelle sue differenti fasi. Ma ciascuna parte passa costantemente, nell’ordine, da una fase, da una forma di funzione, nell’altra, opera così, nell’ordine, in tutte. Le forme sono così forme che fluiscono, la cui contemporaneità è mediata dalla loro successione. Ciascuna forma segue l’altra e la precede, cosicchè il ritorno di una parte di capitale ad una forma è condizionato dal ritorno dell’altra ad un’altra forma. Ogni parte descrive incessantemente il suo proprio giro, ma è una parte sempre diversa del capi tale che si trova in questa forma, e questi giri particolari costituiscono solo momenti contemporanei e successivi del decorso totale.

Solo nell’unità dei tre cicli è attuata la continuità del processo complessivo anziché l’interruzione descritta sopra. Il capitale sociale complessivo possiede sempre questa continuità e il suo processo possiede sempre l’unità dei tre cicli.

Nei capitali individuali, la continuità della riproduzione viene in qualche punto più o meno interrotta. In primo luogo, spesso le masse di valore sono ripartite in diverse epoche in porzioni disuguali tra i differenti stadi e forme di funzione. In secondo luogo, queste porzioni si possono ripartire in modo differente, secondo il carattere della merce da produrre, dunque secondo le particolari sfere di produzione in cui è investito il capitale. In terzo luogo, la continuità può venire più o meno interrotta nei rami di produzione che dipendono dalla stagione, sia in seguito a condizioni naturali (agricoltura, pesca delle aringhe, ecc.), sia in seguito a circostanze convenzionali, come, ad esempio, nei cosiddetti lavori stagionali. Dove il processo scorre con la massima regolarità e uniformità è nella fabbrica e nella miniera. Ma questa differenza dei rami di produzione non produce alcuna differenza nelle forme generali del processo ciclico.

In quanto valore che si valorizza, il capitale non include solo dei rapporti di classe, un determinato carattere sociale che si fonda sull’esistenza del lavoro come lavoro salariato. Esso è un movimento, un processo ciclico attraverso stadi differenti, che a sua volta implica tre differenti forme del processo ciclico. Perciò può essere concepito soltanto come movimento e non come cosa in riposo. Coloro che considerano questo autonomizzarsi del valore come pura e semplice astrazione, dimenticano che il movimento del capitale industriale è questa astrazione in actu. Il valore percorre qui forme differenti, differenti movimenti, nei quali si conserva e contemporaneamente si valorizza, si ingrandisce. Poiché noi abbiamo qui a che fare innanzitutto con la pura e semplice forma di movimento, non si tiene conto delle rivoluzioni che il valore-capitale può subire nel suo processo ciclico; ma è chiaro che, nonostante tutte le rivoluzioni di valore, la produzione capitalistica esiste e può continuare a esistere soltanto finché il valore-capitale venga valorizzato, cioè finché quale valore autonomizzato descrive il suo processo ciclico, quindi finché le rivoluzioni di valore in un modo qualsiasi vengono superate e composte. I movimenti del capitale appaiono come azioni del singolo capitalista industriale, in modo che questi opera come compratore di merci e di lavoro, come venditore di merci e come capitalista produttivo, dunque con la sua attività fa da mediatore del ciclo. Se il valore-capitale sociale subisce una rivoluzione di valore, può avvenire che il suo capitale individuale le soccomba e perisca, poichè non può adempiere le condizioni di questo movimento di valore. Quanto più acute e frequenti diventano le rivoluzioni di valore, tanto più il movimento del valore autonomizzato, automatico, operante con la violenza di un processo elementare di natura, si fa valere contro la previsione e il calcolo del singolo capitalista, tanto più il corso della produzione normale viene ad assoggettarsi alla speculazione anormale, tanto più grande diviene il pericolo per l’esistenza dei capitali singoli. Queste periodiche rivoluzioni di valore confermano dunque proprio ciò che, a quanto si dice, dovrebbero confutare: l’autonomizzazione, che il valore in quanto capitale consegue e che mediante il suo movimento mantiene e consolida.

L’ordine di successione delle metamorfosi del capitale in processo implica un continuo confronto tra il valore originario e le variazioni della grandezza di valore del capitale, compiute nel ciclo. Se l’autonomizzazione del valore di fronte alla forza creatrice di valore, la forza-lavoro, viene iniziata nell’atto D — L (acquisti della forza- lavoro) e attuata durante il processo di produzione come sfruttamento della forza-lavoro, questa autonomizzazione del valore non compare di nuovo in questo ciclo in cui denaro, merce, elementi di produzione, sono soltanto forme alterne del valore-capitale in processo. e la trascorsa grandezza di valore si confronta con la presente mutata grandezza di valore del capitale.

«Il valore» dice Bailey contro l’autonomizzazione del valore, che caratterizza il modo capitalistico di produzione e che egli tratta come illusione di certi economisti, «è una relazione tra merci contemporanee, poiché queste soltanto possono essere scambiate tra loro». Questo egli dice contro il confronto dei valori delle merci in epoche differenti, un confronto che, una volta fissato il valore del denaro per ciascuna epoca, significa solo un confronto del dispendio di lavoro occorrente nelle differenti epoche per la produzione della stessa specie di merci. Ciò scaturisce dal suo equivoco generale, secondo cui valore di scambio è uguale a valore, la forma del valore è il valore stesso; dunque valori-merci non sono più confrontabili quando non operano attivamente come valori di scambio, dunque non possono essere realiter (concretamente) scambiati uno con l’altro. Egli dunque non sospetta neppure minimamente che un valore ha funzione di valore capitale o di capitale solo in quanto nelle differenti fasi del suo ciclo, che non sono affatto contemporary ma si succedono l’una all’altra, rimane identico a se stesso e viene confrontato con se stesso.

Per mantenere pura la formula del ciclo, non è sufficiente supporre che le merci vengano vendute al loro valore, ma bisogna supporre che questo avvenga in circostanze per il resto invariate. Prendiamo, ad esempio, la forma P ... P, prescindendo da tutte le rivoluzioni tecniche entro il processo di produzione, che possono svalorizzare il capitale produttivo di un determinato capitalista; prescindendo parimenti da ogni contraccolpo di un cambiamento degli elementi di valore del capitale produttivo sul valore del capitale-merce presente, che può venire elevato o abbassato, se ve ne è una riserva. M’, i 10.000 q.li di filo, siano venduti al loro valore di 120.000 €; 8.440 q.li pari a 101.280 € sostituiscono il valore-capitale contenuto in M’. Ma se il valore di cotone, carbone ecc. è salito (poiché prescindiamo qui da pure e semplici oscillazioni di prezzo), allora forse questi 101.280 € non sono sufficienti a sostituire per intero gli elementi del capitale produttivo; è necessario capitale monetario addizionale, capitale monetario viene vincolato. Inversamente, se quei prezzi cadono, capitale monetario viene liberato. Il processo continua del tutto normalmente solo se i rapporti di valore restano costanti; esso continua di fatto, fin tanto che le perturbazioni nella ripetizione del ciclo si compensano; quanto maggiori sono le perturbazioni, tanto maggiore capitale monetario deve possedere il capitalista industriale per essere in grado di attendere la compensazione; e poiché col procedere della produzione capitalistica si allarga la scala di ogni processo individuale di produzione e con essa la grandezza minima del capitale da anticipare, quella circostanza si aggiunge alle: altre che sempre più trasformano la funzione del capitalista industriale in un monopolio di grandi capitalisti monetari, isolati o associati.

Si deve qui osservare incidentalmente: se interviene un cambiamento di valore degli elementi di produzione, si manifesta una differenza tra la forma D... D’ da una parte e
P... P’ e M... M’ dall’altra.

In D... D’, in quanto formula del capitale investito ex novo che si presenta dapprima come capitale monetario, una caduta del valore dei mezzi di produzione, ad es. materie prime, materie ausiliarie ecc., richiederà minore esborso di capitale monetario per iniziare un’impresa di determinata entità che non prima della caduta, poiché l’entità del processo di produzione (restando invariato lo sviluppo della forza di produzione) dipende dalla massa e dall’entità dei mezzi di produzione che una data quantità di forza-lavoro può dominare; ma non dal valore di questi mezzi di produzione né da quello della forza-lavoro (quest’ultimo ha influenza solo sulla grandezza della valorizzazione). Inversamente: se ha luogo un aumento di valore negli elementi di produzione delle merci che costituiscono gli elementi del capitale produttivo, allora è necessario più capitale monetario per fondare un’impresa di entità data. In ambedue i casi, viene toccata solo la quantità del capitale monetario da investire ex novo: nel primo, capitale monetario diviene eccedente, nel secondo, capitale monetario viene vincolato, nella misura in cui l’accrescimento di nuovi capitali industriali individuali procede nel modo consueto in un dato ramo della produzione.

I cicli P... P e M’... M’ si presentano come D... D’ solo in quanto il movimento di P e M’ è contemporaneamente accumulazione,cioè d addizionale, denaro, viene trasformato in capitale monetario.

Prescindendo da ciò, essi vengono toccati diversamente che D... D’ da cambiamenti di valore degli elementi del capitale produttivo;prescindiamo qui di nuovo dalla ripercussione di tale cambiamento di valore sulle parti costitutive del capitale impegnate nel processo di produzione. Non è qui l’esborso originario ad essere direttamente toccato, ma un capitale industriale impegnato nel suo processo di riproduzione, non nel suo primo ciclo; cioè
M’... M la riconversione del capitale-merce nei suoi elementi di produzione, in quanto questi constano di merci. Nella caduta di valore (rispettivamente caduta di prezzo), sono possibili tre casi: il processo di riproduzione viene continuato sulla stessa scala; quindi una parte del capitale monetario fin qui presente viene liberata e ha luogo ammassamento di capitale monetario, senza che abbia avuto luogo accumulazione reale (produzione su scala allargata), o la trasformazione, che l’introduce e l’accompagna, di d (plusvalore) in fondo di accumulazione; oppure, se le proporzioni tecniche lo consentono, il processo di riproduzione viene allargato su scala maggiore di quanto non sarebbe altrimenti avvenuto; oppure ancora, ha luogo una maggiore formazione di scorte di materie prime, ecc.

Il contrario avviene nel caso di rialzo del valore degli elementi sostitutivi del capitale-merce. Allora la riproduzione non ha più luogo nel suo volume normale (ad esempio, si lavora per un tempo più breve); ovvero deve intervenire capitale addizionale per continuarla nel primitivo volume (viene vincolato capitale monetario); ovvero, il fondo monetario di accumulazione, se c’è, serve del tutto o in parte anziché per l’allargamento del processo di riproduzione, per il suo svolgimento nella primitiva scala. Anche qui viene vincolato capitale monetario, solo che qui il capitale monetario addizionale non proviene dall’esterno, dal mercato monetario, ma dai mezzi del capitalista industriale stesso.

Ma in P... P, M ... M’, possono verificarsi circostanze modificanti. Se, ad esempio, il nostro filandiere in cotone ha una grande scorta di cotone (dunque, gran parte del suo capitale produttivo in forma di scorta di cotone), allora una parte del suo capitale produttivo viene svalorizzata da una caduta dei prezzi del cotone-; se invece questi ultimi sono saliti, ha luogo un rialzo di valore di questa parte del suo capitale produttivo. D’altra parte, se egli ha fissato grandi masse nella forma del capitale-merce, ad esempio in filo di cotone, alla caduta del cotone una parte del suo capitale-merce, quindi in generale del suo capitale che si trova nel ciclo, viene svalorizzata; il contrario accade con il rialzo dei prezzi del cotone. Infine, nel processo M —- D — M(L+pm) se M’ —- D, realizzo del capitale-merce, ha avuto luogo prima del cambiamento di valore negli elementi di M, allora il capitale viene toccato solo nel modo esaminato nel primo caso, cioè nel secondo atto della circolazione, D — M(L+pm) ; se invece ha avuto luogo prima del compimento di M’ — D, allora, restando per il resto invariate le circostanze, la caduta del prezzo del cotone opera una caduta corrispondente nel prezzo del filo; e, inversamente, il rialzo del prezzo del cotone, un rialzo di prezzo del filo. L’effetto sui differenti capitali singoli investiti nello stesso ramo di produzione può essere molto differente, secondo le differenti circostanze in cui essi possono trovarsi. Liberazione e vincolo di capitale monetario possono altresì scaturire da differenze nella durata del processo di circolazione, dunque anche nella velocità di circolazione. Questo, tuttavia, rientra nell’esame che faremo della rotazione. Qui a noi interessa solo la differenza reale che, in relazione a cambiamenti di valore degli elementi del capitale produttivo, si manifesta tra D — D’ e ambedue le altre forme del processo ciclico.

Nella sezione della circolazione D — M(L+pm) nell’epoca del modo capitalistico di produzione già sviluppato, perciò predominante, una gran parte delle merci di cui constano Pm, i mezzi di produzione, sarà essa stessa capitale-merce estraneo in funzione. Dunque, dal punto di vista del venditore ha luogo M’ — D’, trasformazione di capitale-merce in capitale monetario. Ma questo non vale in assoluto. Al contrario. Entro il suo processo di circolazione, dove il capitale industriale opera o come denaro o come merce, il ciclo del capitale industriale, sia in quanto capitale monetario sia in quanto capitale-merce, si incrocia con la circolazione di merci dei pi differenti modi sociali di produzione, purché insieme si tratti di produzione di merci. Siano le merci il prodotto della produzione fondata sulla schiavitù, o di contadini (cinesi, ryots indiani) o di comunità (Indie orientali olandesi) o della produzione di Stato (come quella che, fondata sulla servitù della gleba, si presenta in epoche passate della storia russa), o di popolazioni semiselvagge di cacciatori, ecc.: come merci e denaro esse si trovano di fronte al denaro e alle merci in cui si presenta il capitale industriale ed entrano sia nel ciclo di questo sia in quello del plusvalore contenuto nel capitale-merce, in quanto questo plusvalore viene speso come reddito; dunque, in ambedue i rami di circolazione del capitale merce. È indifferente il carattere del processo di produzione dal quale provengono; come merci esse operano sul mercato, come merci entrano sia nel ciclo del capitale industriale, che nella circolazione del plusvalore in esso contenuto. È dunque il carattere omnilaterale della loro origine, l’esistenza del mercato come mercato mondiale che contrassegna il processo di circolazione del capitale industriale. Ciò che vale per merci straniere vale per denaro straniero; come il capitale-merce di fronte ad esso opera solo come merce, così di fronte ad esso questo denaro opera solo come denaro: il denaro qui opera come moneta mondiale.

Tuttavia ci sono qui due cose da osservare.

Primo. Le merci (Pm) non appena compiuto l’atto D — Pm cessano di essere merci e diventano uno dei modi di essere del capitale industriale nella sua forma di funzione come P, capitale produttivo. Ma con ciò è cancellata la loro origine; esse esistono ormai solo come forme di esistenza del capitale industriale, sono ad esso incorporate. Ma resta pur sempre il fatto che la loro riproduzione è necessaria alla loro sostituzione, e in tal senso il modo capitalistico di produzione è condizionato da modi di produzione che giacciono al di fuori del suo grado di sviluppo. Ma la sua tendenza è di convertire possibilmente tutta la produzione in produzione di merci; in quest’opera il suo mezzo principale è appunto quello di attirarle nel proprio processo di circolazione; e la stessa produzione di merci sviluppata è produzione capitalistica di merci. L’intromissione del capitale industriale favorisce dovunque questa conversione, ma con essa anche la trasformazione di tutti i produttori di retti in operai salariati.

Secondo. Le merci che entrano nel processo di circolazione del capitale industriale (cui appartengono anche i mezzi necessari di sussistenza, nei quali si converte il capitale variabile dopo che è stato pagato agli operai, al fine di riprodurre la forza-lavoro), qualunque sia la loro origine, la forma sociale del processo di produzione dal quale discendono si trovano dinanzi al capitale industriale stesso già nella forma di capitale-merce, nella forma di capitale mercantile o commerciale; ma questo, per sua natura, abbraccia merci di tutti i modi di produzione.

Il modo capitalistico di produzione presuppone come una produzione su vasta scala, così anche necessariamente una vendita su vasta scala; dunque vendita al commerciante, non al singolo consumatore. In quanto questo consumatore è anche consumatore produttivo, cioè capitalista industriale, cioè in quanto il capitale industriale di un ramo di produzione fornisce all’altro ramo mezzi di produzione, avviene (nella forma di ordinazione, ecc.) anche vendita diretta da parte di un capitalista industriale a molti altri. Ogni capitalista industriale, in quanto venditore diretto, è commerciante di se stesso, ciò che, del resto, è anche nella vendita al commerciante.

Il commercio, in quanto funzione del capitale commerciale, è presupposto e si sviluppa sempre più con lo sviluppo della produzione capitalistica. Noi lo introduciamo, quindi, occasionalmente, per l’illustrazione di singoli aspetti del processo capitalistico di produzione; ma nella analisi generale di questo, presupponiamo la vendita diretta senza intervento del commerciante, poiché questo intervento cela diversi momenti del movimento.

Vediamo Sismondi, che rappresenta con un po’ di ingenuità la cosa:

«Il commercio impiega un capitale considerevole, che a prima vista non sembra affatto far parte di quello di cui -abbiamo descritto particolareggiatamente il movimento. Il valore delle stoffe accumulate nei magazzini del commerciante di stoffe sembra dapprima del tutto estraneo a questa parte della produzione annuale che il ricco dà al povero come salario per farlo lavorare. Tuttavia questo capitale ha semplicemente sostituito quello di cui abbiamo parlato. Per cogliere con chiarezza il progresso della ricchezza, noi l’abbiamo seguito dal momento della sua creazione fino al suo consumo. Allora il capitale impiegato nella manifattura delle stoffe, per esempio, ci è parso sempre lo stesso; scambiato con il reddito del consumatore, non si è diviso che in due parti: l’una, come profitto, rappresenta il reddito del fabbricante, l’altra, come salario, rappresenta il reddito degli operai, mentre fabbricano nuova stoffa.

«Ma si trovò ben presto che, per il vantaggio di tutti, era meglio che le diverse parti di questo capitale si sostituissero l’una con l’al tra, e che se centomila scudi erano sufficienti a fare tutta la circolazione tra il fabbricante e il consumatore, questi centomila scudi si dividessero ugualmente tra il fabbricante, il commerciante all’in grosso e il commerciante al minuto. Il primo, con un terzo sola mente, fece lo stesso lavoro che aveva fatto con la totalità, perché al momento in cui la sua fabbricazione era terminata trovava il commerciante acquirente assai più presto che non avrebbe trovato il consumatore. Il capitale del commerciante all’ingrosso, da parte sua, si trovava sostituito assai più presto da quello del commerciante al minuto... La differenza tra le somme dei salari anticipati e il prezzo d’acquisto dell’ultimo consumatore doveva costituire il profitto dei capitali. Essa si ripartì tra il fabbricante, il commerciante e il dettagliante, dacché ebbero diviso tra loro le loro funzioni e il lavoro compiuto fu lo stesso, sebbene avesse impiegato tre persone e tre frazioni di capitali anziché una» (Nouveaux principes, I, pp. 139-140). «Tutti (i commercianti) concorrevano indirettamente alla produzione; poiché questa, avendo per oggetto il consumo, non può essere considerata compiuta se non quando abbia messo la cosa prodotta alla portata del consumatore» (Ivi, p. 137).Nel considerare le forme generali del ciclo, e in generale in tutto questo secondo Libro, noi supponiamo il denaro come moneta metallica, escludendo la moneta simbolica, puri e semplici segni di valore che costituiscono solo la specialità di certi Stati, e la moneta creditizia, che non è ancora sviluppata. In primo luogo, questo è il corso della storia: la moneta di credito ha una parte nulla o insignificante nella prima epoca della produzione capitalistica. In secondo luogo, la necessità di questo corso è dimostrata anche teoricamente dal fatto che tutta la critica sviluppata fino ad oggi da Tooke e altri sulla circolazione della moneta di credito li ha costretti a ritornare sempre alla considerazione di come si sarebbe presentata la cosa sulla base di una circolazione puramente metallica. Ma non si dimentichi che la moneta metallica può operare sia come mezzo di acquisto che come mezzo di pagamento. A scopo di semplificazione, noi la consideriamo in generale in questo secondo Libro solo nella prima forma di funzione.

Il processo di circolazione del capitale industriale, che costituisce solo una parte del suo processo ciclico individuale, è determinato, in quanto rappresenta solo una serie di fasi entro la circolazione generale delle merci, dalle leggi generali sviluppate in precedenza (Libro I, cap. III). La stessa massa di denaro, ad es. di 120.000 €, pone in circolazione successivamente capitali industriali (o anche capitali individuali nella forma di capitali-merce) tanto più numerosi quanto più grande è la velocità di circolazione del denaro, cioè quanto più rapidamente ogni singolo capitale percorre la serie delle sue metamorfosi di merce o di denaro. La stessa massa di valore di capitale esige di conseguenza per la sua circolazione tanto meno denaro, quanto più il denaro opera come mezzo di pagamento, perciò, ad esempio, quanto più nella sostituzione di un capitale-merce con i suoi mezzi di produzione c’è solo da fare un semplice saldo di bilancio, e quanto più brevi sono i termini di pagamento, ad esempio, nel pagamento del salario. D’altra parte, premesse come invariate la velocità di circolazione e tutte le altre circostanze, la massa del denaro che deve circolare come capitale monetario è determinata dalla somma dei prezzi delle merci (il prezzo moltiplicato per la massa delle merci), ovvero, dati massa e valori delle merci, dal valore del denaro stesso.

Ma le leggi della circolazione generale delle merci valgono soltanto in quanto il processo di circolazione del capitale è una serie di semplici fasi della circolazione, ma non in quanto queste ultime costituiscono sezioni funzionalmente determinate del ciclo di capitali industriali individuali.

Per rendere chiaro ciò è meglio considerare il processo di circolazione nella sua ininterrotta connessione, come appare nelle due forme:

Forma II

 

 

M

D

M

(L+Pm)

......P(P’)

P.....

M’

D’

 

 

 

 

 

 

 

m

d

m

 

 

Forma III

 

M

D

M

(L+Pm)

......P

.......M’

M’

D’

 

 

 

 

 

 

 

m

d

m

 

 

 

Come serie di fasi della circolazione in generale, il processo di circolazione rappresenta (sia come M — D — M, sia come D — M — D) solo le due opposte serie di metamorfosi di merci, di cui ogni singola metamorfosi implica nuovamente la metamorfosi opposta dal lato della merce estranea o del denaro estraneo, che le si trova di fronte.

M — D da parte del possessore di merci è D — M da parte del compratore; la prima metamorfosi della merce M — D è la seconda metamorfosi della merce che si presenta come D; inversamente in D — M. Dunque, ciò che venne mostrato sull’intrecciarsi della metamorfosi della merce in uno stadio con quella di un’altra merce in un altro stadio, vale per la circolazione del capitale, in quanto il capitalista opera come compratore e venditore di merce, perciò il suo capitale opera come denaro di fronte a merce estranea, o come merce di fronte a denaro estraneo. Ma questo intrecciarsi non è contemporaneamente espressione dell’intrecciarsi delle metamorfosi di capitali.

Primo, D — M (Pm), come vedemmo, può rappresentare un intrecciarsi delle metamorfosi di differenti capitali individuali. Ad esempio, il capitale-merce del filandiere, filo, viene in parte sostituito con carbone. Una parte del suo capitale si trova in forma di denaro e da questa viene convertita in forma di merce, mentre il capitale del produttore capitalistico di carbone si trova in forma di merce e viene perciò convertito in forma di denaro; lo stesso atto di circolazione rappresenta qui opposte metamorfosi di due capitali industriali (appartenenti a rami differenti di produzione), dunque intrecciarsi della serie di metamorfosi di questi capitali. Tuttavia, come abbiamo visto, il Pm in cui si è convertito D non deve necessariamente essere capitale-merce in senso categorico, cioè forma di funzione di capitale industriale, e neppure essere prodotto da un capita lista. È sempre
D — M da una parte, M — D dall’altra, ma non sempre intrecciarsi di metamorfosi di capitale. Inoltre, D — L, l’acquisto della forza-lavoro, non è mai intrecciarsi di metamorfosi di capitale, poichè la forza-lavoro è si merce dell’operaio, ma diviene capitale soltanto quando sia venduta al capitalista. D’altro lato, nel processo M’ — D’, D’ non deve necessariamente essere capitale merce trasformato; esso può essere monetizzazione della merce forza-lavoro (salario) o di un prodotto da lavoratori indi pendenti, da schiavi, da servi della gleba, da comunità.

In secondo luogo, poi, non è affatto vero che la parte funzionalmente determinata che ha ogni metamorfosi svolgentesi entro il processo di circolazione di un capitale individuale, rappresenti nel ciclo dell’altro capitale l’opposta metamorfosi corrispondente, se noi consideriamo esercitata capitalisticamente la produzione complessiva del mercato mondiale. Ad esempio, nel ciclo P... P il D’ che monetizza M’ dalla parte del compratore può essere soltanto monetizzazione del suo plusvalore (se la merce è articolo di consumo); o in D’ — M(L+pm) (dove dunque il capitale entra come capitale accumulato) per il venditore di Pm esso può entrare soltanto come sostituzione del suo anticipo di capitale, ovvero può non entrare affatto di nuovo nella sua circolazione di capitale, se cioè devia nella spesa del reddito.

Come dunque le differenti parti costitutive del capitale sociale complessivo, di cui i singoli capitali sono solamente parti costitutive che operano in modo autonomo, si sostituiscano reciprocamente nel processo di circolazione — con riferimento sia al capitale sia al plusvalore — non risulta dal semplice intrecciarsi delle metamorfosi della circolazione delle merci, che i processi della circolazione del capitale hanno in comune con ogni altra circolazione delle merci, ma esige un altro modo di indagine. Fino ad ora ci si è, al riguardo, contentati di frasi che, analizzate più da vicino, non contengono se non rappresentazioni indeterminate, essendo attinte esclusivamente all’intrecciarsi di metamorfosi inerente ad ogni circolazione di merci.

Una delle peculiarità più tangibili del processo ciclico del capitale industriale, dunque anche della produzione capitalistica, è la circostanza per cui, da un lato, gli elementi di formazione del capitale produttivo derivano dal mercato delle merci e devono essere costantemente rinnovati dallo stesso, essere comprati come merci; dal l’altro, che il prodotto del processo di lavoro esce da esso come merce e deve essere costantemente venduto di nuovo come merce. Si paragoni, ad esempio, un moderno fittavolo della Scozia meridionale con un antiquato piccolo agricoltore continentale. Il primo vende l’intero suo prodotto e perciò deve sostituire sul mercato tutti gli elementi di esso, anche la semenza, l’altro consuma direttamente la maggior parte del suo prodotto, compra e vende il meno che può, e per quanto è possibile si appronta da sé utensili di lavoro, vestiario, ecc.

Conformemente a ciò, sono state contrapposte l’una all’altra economia naturale, economia monetaria ed economia creditizia, come le tre caratteristiche forme economiche di movimento della produzione sociale.

In primo luogo, queste tre forme non rappresentano fasi di sviluppo equivalenti. La cosiddetta economia creditizia non è altro che una forma dell’economia monetaria, in quanto ambedue le definizioni esprimono funzioni o modi di traffico tra i produttori stessi. Nella produzione capitalistica sviluppata, l’economia monetaria appare ormai soltanto come fondamento dell’economia creditizia. Economia monetaria ed economia creditizia corrispondono così soltanto a differenti gradi di sviluppo della produzione capitalistica, ma non sono per nulla forme differenti e autonome di traffico, di fronte all’economia naturale. Con lo stesso diritto si potrebbero contrapporre a quelle due, come loro equivalenti, le forme assai differenti dell’economia naturale.

In secondo luogo: poiché nelle categorie economia monetaria, economia creditizia, è accentuato ed emerge come contrassegno distintivo non l’economia, cioè il processo di produzione stesso, ma il modo di traffico, corrispondente all’economia, tra i differenti agenti di produzione o produttori, lo stesso dovrebbe avvenire per la prima categoria. Anziché economia naturale, dunque, economia di baratto. Una economia naturale completamente chiusa, ad esempio quella dello Stato peruviano degli Incas, non cadrebbe sotto nessuna di queste categorie.

In terzo luogo: l’economia monetaria è comune ad ogni produzione di merci, e il prodotto appare come merce nei più differenti organismi sociali di produzione. A caratterizzare la produzione capitalistica sarebbe soltanto il volume in cui il prodotto viene prodotto come articolo di commercio, come merce, il volume in cui dunque anche i suoi propri elementi di formazione devono di nuovo entrare come merci, come articoli di commercio, nell’economia da cui esso proviene.

Di fatto, la produzione capitalistica è la produzione di merci come forma generale della produzione, ma essa lo è, e lo diventa sempre più nel suo sviluppo, soltanto perché il lavoro stesso qui appare come merce, perché il lavoratore vende il lavoro, cioè la funzione della sua forza-lavoro, e lo vende, come noi presupponiamo, al suo valore determinato dai suoi costi di riproduzione. Nella misura in cui il lavoro diventa lavoro salariato, il produttore diventa capitalista industriale; perciò la produzione capitalistica (dunque anche la produzione di merci) appare nella sua intera estensione soltanto quando anche il produttore agricolo diretto è operaio salariato. Nel rapporto tra capitalista e operaio salariato, il rapporto monetario, il rapporto di compratore e venditore, diventa un rapporto immanente alla produzione stessa. Ma questo rapporto, riguardo alla base, si fonda sul carattere sociale della produzione, non del modo di traffico; inversamente, questo scaturisce da quello. Del resto corrisponde all’orizzonte borghese, in cui il concludere affarucci occupa tutta la mente, di non vedere nel carattere del modo di produzione il fondamento del modo di traffico ad esso corrispondente, ma viceversa[7]

Il capitalista immette nella circolazione meno valore nella forma di denaro di quanto ne estrae, poiché vi immette più valore nella forma di merce di quel che ne ha sottratto in forma di merce. In quanto egli opera meramente come personificazione del capitale, come capitalista industriale, la sua offerta di valore-merce è sempre più grande della sua domanda di valore-merce. Il coincidere della sua offerta e della sua domanda, a questo riguardo, sarebbe uguale a una non-valorizzazione del suo capitale; esso non avrebbe avuto funzione di capitale produttivo; il capitale produttivo si sarebbe trasformato in capitale-merce non fecondato di plusvalore; durante il processo di produzione non avrebbe estratto dalla forza-lavoro plusvalore in forma di merce, cioè non avrebbe avuto affatto funzione di capitale; in realtà, egli deve «vendere più caro di quel che ha comperato», ma ciò gli riesce appunto solo perché, mediante il processo capitalistico di produzione, egli ha trasformato la merce più a buon mercato, perché di minor valore, che ha comperato, in una di valore maggiore, dunque più cara. Egli vende più caro non perché venda al di sopra del valore della sua merce, ma perché vende merce di un valore superiore alla somma di valore dei suoi ingredienti di produzione.

Il saggio a cui il capitalista valorizza il suo capitale è tanto maggiore, quanto maggiore è la differenza tra la sua offerta e la sua domanda, cioè quanto più grande è l’eccedenza del valore delle merci che ha immesso sul valore delle merci che richiede. Anziché la coincidenza dei due, è suo scopo la maggiore non coincidenza possibile, la sovraeccedenza della sua offerta sulla sua domanda.

Ciò che vale del singolo capitalista, vale della classe capitalistica.

In quanto il capitalista impersona semplicemente il capitale industriale, la sua domanda consiste soltanto nella domanda di mezzi di produzione e forza-lavoro. La sua domanda di Pm, considerata secondo la sua valenza, è minore del capitale anticipato; egli compra mezzi di produzione di un valore minore del valore del suo capitale, e perciò di valore ancora molto minore di quello del capitale-merce che egli offre.

Per quanto riguarda la sua domanda di forza-lavoro, per la sua valenza essa è determinata dal rapporto del suo capitale variabile col suo capitale complessivo, ossia v/C, e perciò nella produzione capitalistica, considerata secondo la proporzione, è progressivamente minore della sua domanda di mezzi di produzione. Egli è, in misura costantemente crescente, maggior compratore di Pm che di L in quanto l’operaio converte per lo più il suo salario in mezzi di sussistenza, e per la massima parte in mezzi di sussistenza necessari, la domanda di forza-lavoro da parte del capitalista è insieme, indirettamente, domanda dei mezzi di consumo che entrano nel consumo della classe operaia. Ma questa domanda è uguale a v e non un atomo più grande (se l’operaio risparmia dal suo salario — necessariamente lasciamo qui da parte tutti i rapporti di credito ciò significa che egli tesaurizza una parte del suo salario, e pro tanto non compare come richiedente, come compratore). Il limite massimo della domanda del capitalista è uguale a C = c + v, ma la sua offerta è c + v + pv; se dunque la costituzione del suo capitale-merce è 80c + 20v + 20pv, la sua domanda è uguale a 80c + 20v, dunque, considerata secondo la valenza, è di 1/5 minore della sua offerta. Quanto maggiore è la percentuale della massa pv da lui prodotta (il saggio di profitto), tanto minore diventa la sua domanda in rapporto alla sua offerta. Sebbene la domanda di forza-lavoro da parte del capitalista, e perciò indirettamente di mezzi di sussistenza necessari, diventi, con il progredire della produzione progressivamente minore della sua domanda di mezzi di produzione, d’altro lato non si deve dimenticare che la sua domanda di Pm è sempre minore del suo capitale, calcolato giorno per giorno. La sua domanda di mezzi di produzione deve dunque essere sempre di valore minore del prodotto-merce del capitalista, che gli fornisce questi mezzi di produzione, il quale lavori con uguale capitale e in condizioni per il resto uguali. Che si tratti di più capitalisti e non di uno solo, non cambia nulla alla cosa. Posto che il suo capitale sia 240.000 €, la parte costante di esso uguale a 192.000 €; la sua domanda nei confronti di quelli, nella loro totalità, è così pari a 192.000 €; quelli, messi insieme, per 240.000 € (qualunque sia la quantità di queste che tocca a ciascuno di loro e la parte che questa quantità costituisce nel capitale complessivo di ciascuno), forniscono, a pari saggio di profitto, mezzi di produzione del valore di 288.000 €; dunque la sua domanda copre soltanto 2/3 della loro offerta, mentre la sua propria domanda totale pari a 4/5 soltanto della sua propria offerta, considerata secondo la grandezza di valore.

Dobbiamo ora inoltre premettere, incidentalmente, la considerazione della rotazione. Posto che il suo capitale complessivo sia 1.200.000 €, di cui 960.000 € fisso e 240.00 €. circolante; questi 240.000 € sono uguali a 192.000c + 48.000v, secondo l’assunto precedente. Il suo capitale circolante deve compiere cinque rotazioni in un anno, affinché il suo capitale complessivo compia una rotazione all’anno, il suo prodotto-merce è allora pari a 1.440.000 €, dunque di 240.000 € maggiore del suo capitale anticipato, dal che risulta lo stesso rapporto di plusvalore di cui sopra:

1.200.000C : 240.000pv = 100 (c + v) : 20 pv.

Questa rotazione, dunque, non muta nulla nel rapporto tra la sua domanda complessiva e la sua offerta complessiva; la prima rimane di 1/5 più piccola della seconda.

Il suo capitale fisso sia da rinnovare in 10 anni. Egli ammortizza dunque annualmente 1/10 pari a 96.000 €. Con ciò egli ha ancora un valore di 864.000 € in capitale fisso più 96.000 € in denaro. Le riparazioni necessarie, che non vadano oltre la media, non sono altro che investimenti di capitale, che egli fa soltanto posticipatamente. Noi possiamo considerare la cosa come se egli, nella valutazione del suo capitale d’investimento, in quanto questo entra nel prodotto-merce annuo, avesse già calcolato i costi di riparazione, in modo che essi siano compresi nell’1/10 di ammortamento. (Se di fatto il suo bisogno di riparazioni è sotto la media, ciò è per lui un di più, proprio come è un danno se è al di sopra. Ma ciò si compensa per l’intera classe dei capitalisti occupati nello stesso ramo d’industria). In ogni caso, sebbene con un’unica rotazione del suo capitale complessivo in un anno la sua domanda annua rimanga pari a 1.200.000 €, uguale al suo valore-capitale originariamente anticipato, essa cresce in relazione alla parte circolante di capitale, mentre decresce costantemente in relazione alla parte fissa dello stesso.

Veniamo ora alla riproduzione. Poniamo che il capitalista consumi l’intero plusvalore d e converta nuovamente in capitale produttivo solo l’originaria grandezza di capitale C. Ora la domanda del capitalista è equivalente alla sua offerta. Non però in relazione al movimento del suo capitale; invece, come capitalista, egli esercita una domanda soltanto per 4/5 della sua offerta (secondo la grandezza di valore); 1/5 lo consuma come non-capitalista, non nella sua funzione di capitalista, ma per suoi bisogni o piaceri privati.

I suoi conti, calcolati in percentuale, sono:

 

domanda

offerta

come capitalista

100

120

come gaudente

20

-

totale

120

120

Postulare questo è parimenti postulare la non esistenza della produzione capitalistica, e perciò la non esistenza del capitalista industriale stesso. Infatti il capitalismo è soppresso fin dalle fondamenta se si postula che il godimento, e non l’arricchimento stesso, ne sia il motivo propulsore.

Ma il postulato è impossibile anche tecnicamente. Il capitalista non deve soltanto costituirsi un capitale di riserva contro oscillazioni di prezzi e per poter attendere le congiunture più favorevoli per la compra-vendita; egli deve accumulare capitale per estendere così la produzione e incorporare al suo organismo produttivo i progressi tecnici.

Per accumulare capitale egli deve dapprima sottrarre alla circolazione una parte del plusvalore in forma di denaro che è affluito a lui dalla circolazione, lasciare che si accresca come tesoro finché abbia assunto le dimensioni richieste per l’ampliamento della vecchia impresa o per l’impianto di una impresa collaterale. Fino a che dura la tesaurizzazione, essa non aumenta la domanda del capitalista; il denaro è immobilizzato; esso non sottrae al mercato delle merci alcun equivalente in merce in cambio dell’equivalente in denaro che gli ha sottratto per la merce immessa sul mercato.

Si prescinde qui dal credito; e appartiene al credito il fatto che il capitalista, ad esempio, depositi in conto corrente fruttifero presso una banca il denaro man mano che si accumula.

NOTE


[7] Fin qui manoscritto V. Quanto segue, fino alla chiusa del capitolo, è una nota che si trova in un quaderno del 1877 o 1878, tra estratti di libri.