IL CAPITALE

LIBRO I

SEZIONE VI

IL SALARIO

CAPITOLO 18

IL SALARIO A TEMPO

Il salario assume a sua volta forme svariatissime, circostanza che non si può conoscere nei compendi di economia, i quali, brutalmente interessati alla materia, trascurano ogni differenza di forma. Tuttavia, una illustrazione di tutte queste forme rientra nella dottrina particolare del lavoro salariato, quindi non rientra in quest’opera. Invece dovremo svolgere qui in breve le due forme fondamentali dominanti.

La vendita della forza-lavoro ha luogo sempre, come si ricorderà, per periodi determinati di tempo. La forma mutata in cui si presentano immediatamente il valore giornaliero, il valore settimanale, ecc. della forza-lavoro è quindi la forma del « salario a tempo », cioè il salario giornaliero, ecc.

Ora è da osservarsi in un primo momento che le leggi sulla variazione di grandezza del prezzo della forza-lavoro e del plusvalore, esposte nel capitolo quindicesimo, si trasformano, mediante un semplice mutamento di forma, in leggi del salario. Allo stesso modo la differenza fra il valore di scambio della forza-lavoro e la massa dei mezzi di sussistenza, nei quali questo valore si converte, ora si presenta come differenza fra salario nominale e salario reale. Sarebbe inutile ripetere nella forma fenomenica quello che è già stato svolto nella forma sostanziale. Ci limiteremo quindi a pochi punti che caratterizzano il salario a tempo.

La somma di denaro[30] che l’operaio riceve per il suo lavoro giornaliero, settimanale, ecc, costituisce l’ammontare del suo salario nominale ossia del salario stimato in valore.

Ma è chiaro che uno stesso salario giornaliero, settimanale, ecc., a seconda della durata della giornata lavorativa, quindi a seconda della quantità di lavoro fornita giornalmente da questa, può rappresentare un prezzo del lavoro molto diverso, ossia somme di denaro molto diverse per una stessa quantità di lavoro[31].

Per il salario a tempo si dovrà quindi distinguere ancora fra l’ammontare complessivo del salario, salario giornaliero, salario settimanale, ecc. e il prezzo del lavoro.

Ma come trovare ora questo prezzo, ossia il valore in denaro di una quantità data di lavoro?

Il prezzo medio del lavoro risulta dalla divisione tra il valore giornaliero medio della forza-lavoro ed il numero delle ore della giornata lavorativa media.

Se per esempio il valore giornaliero della forza - lavoro è di 36 €, prodotto di valore di 6 ore lavorative e se la giornata lavorativa è di 12 ore, il prezzo di 1 ora di lavoro è pari a 36 : 12 = 3 €

Il prezzo dell’ora lavorativa così ricavato serve da misura unitaria del prezzo del lavoro.

Ne consegue quindi che il salario giornaliero, settimanale, ecc. può rimanere invariato, benché il prezzo del lavoro scenda costantemente.

Se per esempio la giornata lavorativa usuale era di 10 ore e il valore giornaliero della forza-lavoro ammontava a 36 €, il prezzo dell’ora lavorativa ammontava a 3,6 €; esso scende a 3 € appena la giornata lavorativa sale a 12 ore, e a 2,4 €, appena la giornata sale a 15 ore. Ciò nonostante il salario giornaliero o settimanale rimane invariato.

Valore giornaliero della forza lavoro

Giornata lavorativa

Prezzo dell’ora lavorativa

ore

36

10

3,6

36

12

3

36

15

2,4

Viceversa, il salario giornaliero o settimanale può salire, benchè il prezzo del lavoro rimanga costante o addirittura scenda.

Se per esempio la giornata lavorativa è di 10 ore e se il valore giornaliero della forza - lavoro ammonta a 36 €, il prezzo di un’ora lavorativa ammonta a 3,6 €. Qualora l’operaio, a causa di un aumento di occupazione e invariato rimanendo il prezzo del lavoro, lavori 12 ore, il suo salario giornaliero salirà a 43,2 €, senza variazione alcuna del prezzo del lavoro. Lo stesso risultato si potrebbe avere se invece della grandezza del lavoro in estensione aumentasse la sua grandezza in intensità[32].

Valore giornaliero della forza lavoro

Giornata lavorativa

Prezzo dell’ora lavorativa

ore

36

10

3,6

43,2

12

3,6

Quindi, un aumento del salario giornaliero o settimanale nominale può essere accompagnato da un prezzo del lavoro invariato o in diminuzione. Lo stesso vale per le entrate della famiglia operaia, appena la quantità di lavoro fornita dal capofamiglia viene aumentata dal lavoro degli altri componenti della famiglia. Vi sono dunque metodi per la riduzione del prezzo del lavoro[33] indipendenti dall’assottigliamento del salario giornaliero o settimanale nominale.

Come legge generale ne consegue: data la quantità del lavoro giornaliero, settimanale, ecc., il salario giornaliero o settimanale dipende dal prezzo del lavoro, il quale varia a sua volta o con il valore della forza-lavoro o con le deviazioni del prezzo di quest’ultima dal suo valore.

Viceversa, dato il prezzo del lavoro, il salario giornaliero o settimanale dipende dalla quantità del lavoro giornaliero o settimanale.

L’unità di misura del salario a tempo, il prezzo dell’ora lavorativa, è il quoziente del valore giornaliero della forza-lavoro, diviso per il numero delle ore della giornata lavorativa usuale.

Supponiamo che quest’ultima sia di 12 ore, che il valore giornaliero della forza-lavoro sia di 36 €, prodotto di valore di 6 ore lavorative. A queste condizioni il prezzo dell’ora lavorativa sarà di 3 € e la sua produzione di valore sarà di 6 €. Ora se l’operaio viene fatto lavorare meno di 12 ore al giorno (o meno di sei giorni alla settimana), p. es. solo 8 o 6 ore, egli riceverà con questo prezzo del lavoro, solo 24 € o 18 € di salario giornaliero[34].

Valore giornaliero della forza lavoro

Giornata lavorativa

Prezzo dell’ora lavorativa

ore

36

12

3

24

8

3

18

6

3

Siccome, secondo il nostro presupposto, egli deve lavorare in media sei ore al giorno per produrre un salario corrispondente al valore della sua forza-lavoro, giacchè sempre secondo lo stesso presupposto su ogni ora egli lavora soltanto mezz’ora per se stesso e mezza invece per il capitalista, è chiaro che se l’operaio è occupato per meno di dodici ore non riesce a ottenere il prodotto di valore di sei ore. Come prima si sono viste le conseguenze distruttrici del sopralavoro, così si scoprono qui le fonti delle sofferenze che derivano all’operaio dalla sua sottooccupazione.

Qualora il salario a ora venga fissato in modo che il capitalista non si impegni al pagamento di un salario giornaliero o settimanale, ma solo al pagamento delle ore lavorative durante le quali egli si compiace di occupare l’operaio, potrà occuparlo al di sotto del tempo che in origine sta alla base della valutazione del salario a ora o dell’unità di misura del prezzo del lavoro.

Siccome quest’unità di misura è determinata dalla proporzione

valore giornaliero della forza lavoro : giornata lavorativa di un numero di ore dato

essa naturalmente non ha più senso alcuno appena la giornata lavorativa cessi di avere un determinato numero di ore. Il nesso fra lavoro retribuito e lavoro non retribuito viene soppresso. Adesso il capitalista può ricavare dall’operaio una quantità determinata di plus lavoro senza concedergli il tempo di lavoro necessario per il suo sostentamento. Egli può distruggere ogni regolarità dell’occupazione e può, secondo il solo suo comodo, arbitrio e interesse momentaneo, alternare il lavoro supplementare più mostruoso con la disoccupazione relativa o totale. Egli può prolungare la giornata lavorativa in maniera anormale con il pretesto che paga « il prezzo normale del lavoro», senza un qualsiasi compenso adeguato per l’operaio. Da ciò la ribellione razionalissima degli operai edili di Londra (1860) contro il tentativo dei capitalisti di imporre questo salario a ora. La limitazione legale della giornata lavorativa pone fine a tali abusi, benchè naturalmente non ponga fine alla sottooccupazione derivante dalla concorrenza delle macchine, dal variare della qualità degli operai occupati, dalle crisi parziali e generali.

Se il salario giornaliero o settimanale aumenta, il prezzo del lavoro può restare nominalmente costante, e scendere tuttavia al di sotto del suo livello normale.

Questo si verifica ogni volta che la giornata lavorativa viene prolungata al di là della sua durata abituale, fermo restando il prezzo del lavoro, rispettivamente dell’ora lavorativa. Se nella frazione valore giornaliero dell’ora lavorativa : giornata lavorativa cresce il denominatore, il numeratore cresce ancora più rapidamente. Il valore della forza-lavoro cresce con la durata della sua funzione, perchè cresce il logoramento della forza-lavoro stessa; e il valore cresce in proporzione più rapida che non l’incremento della durata del suo funzionamento. In molte branche d’industria dove predomina il salario a tempo, senza limiti legali del tempo di lavoro, si è quindi venuta formando spontaneamente la consuetudine che la giornata lavorativa è considerata normale solo fino a un certo punto, per esempio fino al decorso della decima ora, «normal working day», «the day’s work», «the regular hours of work». Al di là di questo limite il tempo di lavoro costituisce tempo supplementare (overtime) ed è pagato meglio (extra pay), anche se spesso in proporzioni ridicolmente esigue[35] sempre mantenendo l’ora come unità di misura. La giornata lavorativa normale esiste qui soltanto come frazione della giornata lavorativa reale, e quest’ultima spesso dura durante tutto l’anno più a lungo della prima[36]. L’aumento del prezzo del lavoro mano a mano che la giornata lavorativa viene prolungata al di là di un certo limite normale si configura in diversi rami dell’industria britannica in modo che il basso prezzo del lavoro compiuto durante il cosiddetto tempo normale impone all’operaio il lavoro supplementare meglio pagato, se egli vuole ricavare un salario sufficiente[37].

La limitazione legale della giornata lavorativa pone termine a questo divertimento[38].

È un fatto universalmente noto che quanto più lunga è la giornata lavorativa di un ramo dell’industria, tanto più basso è il salario[39]. L’ispettore di fabbrica A. Redgrave ha illustrato questo fatto con la sua rassegna comparativa del periodo che comprende il ventennio 1839-1859, dalla quale risulta che nelle fabbriche soggette alla legge delle dieci ore il salario era aumentato, mentre era diminuito nelle fabbriche in cui il lavoro dura giornalmente dalle quattordici alle quindici ore[40].

Dalla legge: « Dato il prezzo del lavoro il salario giornaliero o settimanale dipende dalla quantità di lavoro fornita », consegue in primo luogo che quanto più basso è il prezzo del lavoro, tanto maggiore deve essere la quantità di lavoro o tanto più lunga la giornata lavorativa affinchè l’operaio si assicuri sia pure un miserevole salario medio. Il basso prezzo del lavoro agisce qui di sprone al prolungamento della giornata di lavoro[41].

Ma, viceversa, il prolungamento del tempo di lavoro produce a sua volta una caduta del prezzo del lavoro e quindi del salario giornaliero o settimanale.

La determinazione del prezzo del lavoro mediante

valore giornaliero della forza lavoro : giornata lavorativa di un numero di ore dato

ha per risultato che il semplice prolungamento della giornata lavorativa abbassa il prezzo del lavoro qualora non subentri una compensazione. Ma le medesime circostanze che mettono il capitalista in grado di prolungare, a lungo andare, la giornata, prima lo mettono in grado, e infine gli impongono di abbassare il prezzo del lavoro anche nominalmente, finchè diminuisce il prezzo complessivo del numero di ore aumentato e quindi il salario giornaliero o settimanale. Basterà qui accennare a due circostanze. Se un uomo compie l’opera di un uomo e mezzo o di due uomini, l’offerta del lavoro cresce anche se l’offerta delle forze-lavoro che si trovano sul mercato rimane costante. La concorrenza originata in tal modo fra gli operai mette il capitalista in grado di abbassare ad arte il prezzo del lavoro, mentre il prezzo del lavoro in diminuzione lo mette in grado a sua volta di prolungare ad arte ancor più il tempo di lavoro[42].

Ma in poco tempo questa disponibilità di quantità anormali di lavoro non retribuito, ossia superanti il livello sociale medio, diventa un mezzo di concorrenza fra i capitalisti stessi. Una parte del prezzo delle merci consiste nel prezzo del lavoro. La parte non pagata del prezzo del lavoro non occorre che figuri nel prezzo delle merci. Essa può essere regalata al compratore di merci. Questo è il primo passo a cui spinge la concorrenza. Il secondo passo, a cui essa costringe, è il seguente: escludere dal prezzo di vendita della merce per lo meno anche una parte del plusvalore anormale prodotto dal prolungamènto della giornata lavorativa. In tal modo prima si forma sporadicamente e poi man mano si fissa un prezzo di vendita della merce anormalmente basso, che da quel momento diventa la base costante di salari stentati accompagnati da un tempo di lavoro eccessivo; in origine era il prodotto di questa situazione, ora ne è la base. Qui accenniamo semplicemente questo movimento perchè l’analisi della concorrenza non rientra in questa parte. Ma lasciamo per un momento la parola al capitalisti in persona. «A Birmingham la concorrenza fra i padroni è così grande che più d’uno fra noi è costretto a fare, in qualità di imprenditore, cose che altrimenti si vergognerebbe di fare; e tuttavia non si fa più denaro del solito (and yet no more money is made), e soltanto il pubblico ne trae vantaggio»[43]. Ci si ricorderà delle due specie di fornai londinesi, quelli che vendono il pane al suo prezzo intero (the «fullpriced» bakers) e quelli che lo vendono al di sotto del suo prezzo normale («the underpriced», «the undersellers»). I «fullpriced» denunciano i loro concorrenti davanti alla commissione d’inchiesta parlamentare: «Essi esistono soltanto in quanto, primo, truffano il pubblico (falsificando la merce) e, secondo, spremono diciotto ore lavorative dalla loro gente pagando un salario di dodici ore di lavoro... Il lavoro non retribuito (the unpaid labour) dei lavoranti è il mezzo con cui viene condotta questa lotta della concorrenza... La concorrenza fra i padroni dei forni è la causa della difficoltà che incontra l’eliminazione del lavoro notturno. Il venditore a sottoprezzo, che vende il suo pane al di sotto del prezzo di costo che varia con il prezzo della farina, si rifà del danno spremendo più lavoro dai suoi uomini. Se io ricavo dai miei uomini solo dodici ore di lavoro e il mio vicino ne ricava invece diciotto o venti, egli deve battermi nel prezzo di vendita. Se i lavoranti potessero imporre il pagamento del tempo supplementare, questa manovra sarebbe ben presto finita... Un grande numero dei lavoranti occupati dagli undersellers sono forestieri, ragazzi e altri che sono costretti ad accontentarsi quasi di qualunque salario che riescono ad avere»[44].

Questa geremiade è interessante anche perchè mostra come nel cervello del capitalista di rispecchi solo l’apparenza dei rapporti di produzione. Il capitalista non sa che anche il prezzo normale del lavoro include una determinata quantità di lavoro non retribuito e che per l’appunto questo lavoro non retribuito è la fonte normale del suo guadagno. In genere, per lui la categoria del tempo di pluslavoro non esiste, poichè essa è inclusa nella giornata lavorativa normale che egli ritiene di pagare nel salario giornaliero. Esiste bensì per lui il tempo supplementare, il prolungamento della giornata lavorativa al di là del limite corrispondente al prezzo d’uso del lavoro. Di fronte al suo concorrente che vende al di sotto del prezzo egli insiste perfino sul pagamento straordinario (extra pay) di questo tempo supplementare. Di nuovo non sa che questo pagamento straordinario include lavoro non retribuito allo stesso modo che lo include il prezzo dell’ora lavorativa usuale.

Per esempio, il prezzo di un’ora della giornata lavorativa di 12 ore sia di 3 €, produzione di valore di mezz’ora lavorativa, mentre il prezzo dell’ora lavorativa di tempo supplementare è di 4 €, produzione di valore di due terzi d’ora lavorativa. Nel primo caso il capitalista si appropria la metà di un’ora lavorativa senza pagarla, nel secondo caso un terzo.

NOTE


[30] Il valore del denaro stesso viene qui sempre presupposto costante.

[31] «Il prezzo del lavoro è la somma pagata per una data quantità di lavoro » (Sir Edward WEST, Price of Corn and Wages of Labour, Londra, 1826, p. 67). West è l’autore dello scritto anonimo che fece epoca nella storia dell’economia politica, Essay on the Application of Capital to Land. By a Fellow of Univ. College of Oxford, Londra, 1815.

[32] «I salari dipendono dal prezzo del lavoro e dalla quantità di lavoro eseguita... Un aumento dei salari non implica necessariamente un aumento del prezzo del lavoro. I salari possono aumentare notevolmente a causa dell’occupazione più lunga e del lavoro più faticoso, mentre il prezzo del lavoro può rimanere lo stesso» (WEST, ivi, pp. 67, 68 e 112). Però il problema principale: come viene determinato il  «prezzo del lavoro»? è liquidato dal West con frasi banali.

[33] Questo è sentito bene dal rappresentante più fanatico della borghesia industriale del secolo XVIII, ossia dall’autore da noi spesso citato dell’Essay on Trade and Commerce, benchè egli esponga la faccenda confusamente:  « È la quantità del lavoro e non il suo prezzo (intende dire il salario nominale giornaliero o settimanale) che è determinata dal prezzo dei mezzi di sussistenza e di altri oggetti necessari: fate abbassare di molto il prezzo dei generi necessari, e naturalmente farete abbassare altrettanto la quantità del lavoro... I fabbricanti sanno che vi sono vari modi di aumentare e di abbassare il prezzo del lavoro oltre a quello che consiste nell’alterarne l’importo nominale » (ivi, pp. 48, 61). Nelle sue Three Lectures on the Rate of Wages, Londra, 1830, in cui N. W. Senior si serve dello scritto del West senza citarlo, egli dice fra l’altro: «Il lavoratore è principalmente interessato all’ammontare del salario » (p. 15). Dunque il lavoratore è interessato principalmente a quello che riceve, all’importo nominale del salario, e non a quello che dà, la quantità del lavoro!

[34] L’effetto di simile sottooccupazione anormale è diversissimo da quello di una riduzione generale della giornata lavorativa in base a leggi coercitive. La prima non ha nulla a che vedere con la durata assoluta della giornata lavorativa e può verificarsi sia con una giornata lavorativa di quindici ore sia con una di sei ore. Il prezzo normale del lavoro è calcolato nel primo caso sul fatto che l’operaio lavori quindici ore, nel secondo che egli lavori sei ore al giorno in media. L’effetto rimane quindi lo stesso sia che nell’un caso l’operaio venga occupato solo sette ore e mezza e nell’altro solo tre ore.

[35] «Il saggio del pagamento del tempo supplementare (nella manifattura dei merletti) è talmente esiguo, mezzo penny ecc, all’ora, che viene a trovarsi in penoso contrasto con il grandissimo danno che reca alla salute e alla forza vitale degli operai... Inoltre, la piccola eccedenza così guadagnata deve essere spesso spesa di nuovo in nutrimento straordinario» (Child. Empl. Comm. II rep., p. XVI, n. 117).

[36] Per es. nella stampa delle carte da parati prima della recente introduzione dell’Atto sulle fabbriche. «Lavoriamo senza interruzione per i pasti, così che l’opera giornaliera di dieci ore e mezza è compiuta alle quattro e mezzo del pomeriggio, e tutto quello che si fa dopo è tempo supplementare che di rado finisce prima delle sei di sera, così che effettivamente lavoriamo per tutto l’anno con tempo supplementare» (Deposizione di Mr. Smith in Child. Empl. Comm. I rep., p. 125).

[37]  Per es. nelle officine di candeggio scozzesi. In alcune parti della Scozia questa industria (prima dell’introduzione dell’Atto sulle fabbriche del 1862) veniva esercitata secondo il sistema del lavoro supplementare, ossia dieci ore erano considerate la giornata lavorativa normale. Il compenso era di uno scellino e due pence per uomo. Ma a queste ore si aggiungeva giornalmente un tempo supplementare di tre o quattro ore, per il quale venivano pagati tre pence all’ora. Conseguenza di questo sistema: un uomo che lavorava solo durante il tempo normale poteva guadagnare un salario settimanale di soli otto scellini. Senza ore straordinarie il salario non bastava, (Reports of Insp. of Fact. 3Oth April 1863, p. 10). Il « pagamento straordinario per le ore straordinarie è una tentazione cui gli operai non sanno resistere » (Rep. of. Insp. of Fact. 3Oth April 1848, p. 5). La legatoria di libri nella City di Londra impiega moltissime ragazze giovani dai tredici e quattordici anni in su e le impiega precisamente in base al contratto d’apprendistato che prescrive determinate ore di lavoro. Ciò nondimeno, nella ultima settimana di ogni mese, esse lavorano fino alle dieci, le undici, le dodici e l’una di notte, insieme con gli operai più anziani, in compagnia molto mista. « I padroni le allettano (tempt) con il salario straordinario e con il denaro per una buona cena a che fanno in osterie vicine. La grande leggerezza di costumi provocata così fra queste a «young immortals»  [ giovani immortali ] (Child. Empl. Comm. V rep., p. 44, n. 191) viene compensata dal fatto che rilegano fra l’altro anche molte bibbie e molte opere di edificazione.

[38] Vedi Reports of Insp. of Fact. 30th April 1863, ivi. Con una critica esattissima del rapporto reale, gli operai edili londinesi dichiararono, durante il grande sciopero e il lock-out [serrata] del 1860, che erano disposti ad accettare il salario a ora solo a due condizioni: 1. che con il prezzo dell’ora lavorativa venisse anche stabilita una giornata lavorativa normale di nove e dieci ore, e che il prezzo per ora fosse maggiore per la giornata di dieci ore che non per quella di nove; 2. che ogni ora in più della giornata normale fosse pagata proporzionalmente di più, in quanto tempo supplementare.

[39]  «È inoltre un fatto molto notevole che là dove le ore lunghe sono la regola, siano la regola anche i bassi salari » (Rep. of Insp. of Fact. 3lst Oct. 1863, p. 9). «Il lavoro che riceve razioni di fame (the scanty pittance) di alimenti, è quasi sempre lavoro prolungato eccessivamente » (Public Health, VI rep. 1863, p. 15).

[40]  Reports of Insp. of Fact. 30th April 1860, pp. 31, 32.

[41] P. es., in Inghilterra, a causa del basso prezzo del lavoro, i chiodaiuoli a mano devono lavorare quindici ore al giorno per poter realizzare un salario settimanale miserrimo. « Sono molte, molte ore del giorno e durante tutto quel tempo egli devo sgobbare duramente per ricavare undici pence o uno scellino, e di questa somma due pence e mezzo fino a tre sono da detrarsi per il consumo degli strumenti, per il combustibile e per gli scarti del ferro» (Child. Empl. Comm. III report, p. 136, n. 671). Le donne guadagnano, lavorando per lo stesso tempo, solo un salario settimanale di cinque scellini (ivi, p. 137. n. 674).

[42] Se p. es. un operaio di fabbrica si rifiutasse di lavorare per il lungo numero di ore invalso,  «sarebbe ben presto sostituito da qualcun altro disposto a lavorare per qualunque tempo, e si troverebbe così disoccupato» (Reports of Insp. of Fact. 3lst Oct. 1848, Evidence, p. 39, n. 58). «Se un uomo solo compie il lavoro di due... il saggio del profitto salirà generalmente... perchè questa offerta addizionale di lavoro ha abbassato il prezzo di quest’ultimo « (Sanior, Three Lectures on the Rate of Wages,9. 15).

[43] Child, Empl, Comm. III rep., Evidence, p. 66, n. 22.

[44] Report ecc, relative to the Grievances complained of by the journeymen bakers, Londra, 1862, p. LII e ivi, Evidence, nn. 479, 359, 27. Ma anche i fullpriced, come già è stato detto e come ammette lo stesso loro portavoce Bennett, fanno « cominciare il lavoro ai loro uomini alle undici di sera o prima e lo prolungano spesso fino alle sette della sera successiva » (ivi, p. 22).

 

 AVVERTENZA PER IL LETTORE

Il testo del I libro del Capitale che viene qui riportato NON È UNA DELLE TRADUZIONI INTEGRALI DEL TESTO ORIGINALE che sono disponibili: esso infatti è una rivisitazione delle traduzioni esistenti (in italiano ed in francese) a cui sono state apportate le seguenti modifiche:

1  negli esempi numerici, per facilitare la lettura, sono state cambiate le unità di misura e le grandezze;

2 –  diversi dati richiamati nella forma di testo sono stati trasformati in tabelle ed in grafici;

3 – in alcuni esempi numerici le cifre decimali indicate sono state limitate a due e nel caso di numeri periodici, ad esempio 1/3 o 2/3, la cifra periodica è stata indicata ponendovi a fianco un apice ().

Ci rendiamo conto che leggere un testo del Capitale in cui Marx formula esempi in Euro (€) invece che in Lire Sterline (Lst) o scellini potrebbe far sorridere e far pensare ad uno scherzo o ad una manipolazione che ha  travisato il pensiero dell’Autore, avvertiamo invece il lettore che il testo è assolutamente fedele al pensiero originale  e che ci siamo permessi di introdurre alcune “varianti” per consentire a coloro che non hanno dimestichezza con le unità di misura e monetarie inglesi di non bloccarsi di fronte a questa difficoltà e di facilitarne così la lettura o lo studio. In altre parti si è invece mantenuto le unità di misura e monetarie inglesi originali perchè la lettura non creava problemi di comprensione e per ragioni di fedeltà storica.

Ci facciamo altresì carico dell’osservazione che Engels ha formulato nelle “considerazioni supplementari” poste all’inizio del III Libro,laddove, di fronte alle molteplici interpretazioni del testo che vennero fatte dopo la prima edizione, sostiene: “Nella presente edizione ho cercato innanzitutto di comporre un testo il più possibile autentico, di presentare, nel limite del possibile, i nuovi risultati acquisiti da Marx, usando i termini stessi di Marx, intervenendo unicamente quando era assolutamente necessario, evitando che, anche in quest’ultimo caso, il lettore potesse avere dei dubbi su chi gli parla. Questo sistema è stato criticato; si è pensato che io avrei dovuto trasformare il materiale a mia disposizione in un libro sistematicamente elaborato, en faire un livre, come dicono i francesi, in altre parole sacrificare l’autenticità del testo alla comodità del lettore. Ma non è in questo senso che io avevo interpretato il mio compito. Per una simile rielaborazione mi mancava qualsiasi diritto; un uomo come Marx può pretendere di essere ascoltato per se stesso, di tramandare alla posterità le sue scoperte scientifiche nella piena integrità della sua propria esposizione. Inoltre non avevo nessun desiderio di farlo: il manomettere in questo modo perchè dovevo considerare ciò una manomissione l’eredità di un uomo di statura così superiore, mi sarebbe sembrato una mancanza di lealtà. In terzo luogo sarebbe stato completamente inutile. Per la gente che non può o non vuole leggere, che già per il primo Libro si è data maggior pena a interpretarlo male di quanto non fosse necessario a interpretarlo bene — per questa gente è perfettamente inutile sobbarcarsi a delle fatiche”.

Marx ed Engels non ce ne vogliano, ma posti di fronte alle molteplici “fughe” dallo studio da parte di persone che non possedevano una cultura accademica, fughe che venivano imputate alla difficoltà presentate dal testo, abbiamo deciso di fare uno “strappo” alle osservazioni di Engels, intervenendo in alcune parti  avendo altresì cura di toccare il testo il meno possibile. Nel fare questo “strappo” eravamo tuttavia confortati dal fatto che, a differenza  della situazione in cui Engels si trovava, oggi chi vuole accedere al testo “originale”, dispone di diverse edizioni in varie lingue.

Coloro che volessero accostarsi al testo originale in lingua italiana si consigliano le seguenti edizioni:

  • Il capitale, Le Idee, Editori Riuniti, traduzione di Delio Cantimori;
  • Il capitale, Edizione Einaudi, traduzione di Delio Cantimori;
  • Il capitale, Edizione integrale - I mammut – Newton Compton, a cura di Eugenio Sbardella.

Chi volesse accedere ad edizioni del Capitale e di altri testi di Marx in lingue estere, si propone di consultare il sito internet di seguito riportato:

http://www.marxists.org/xlang/marx.htm