IL CAPITALE LIBRO I SEZIONE V
LA PRODUZIONE DEL
PLUSVALORE ASSOLUTO CAPITOLO 16DIFFERENTI FORMULE DEL SAGGIO DEL PLUSVALORE Si è visto che il saggio del plusvalore si rappresenta nelle formule: I plusvalore (p) : capitale variabile (v) = plusvalore : valore della forza lavoro = pluslavoro : lavoro necessario Le due prime formule rappresentano come rapporto di valori quello che la terza formula rappresenta come rapporto dei tempi in cui quei valori vengono prodotti. Queste formule complementari fra loro, sono logicamente rigorose. Quindi nell’economia politica classica si ritrovano elaborate non consapevolmente, ma nella sostanza. Vi incontriamo invece le seguenti formule derivate: II pluslavoro* : giornata lavorativa = plusvalore : valore dei prodotti = plusprodotto : prodotto complessivo La medesima proporzione è qui espressa alternativamente nella forma dei tempi di lavoro, dei valori in cui essi si incarnano, dei prodotti in cui questi valori esistono. Si presuppone naturalmente che per valore del prodotto si debba intendere soltanto la produzione di valore della giornata lavorativa e che invece la parte costante del valore del prodotto sia esclusa. In tutte queste formule il grado reale di sfruttamento del lavoro ossia il saggio del plusvalore è espresso in maniera sbagliata. Poniamo che la giornata lavorativa sia di 12 ore. Con gli altri presupposti del nostro esempio di prima, in questo caso il grado reale di sfruttamento del lavoro si rappresenta nelle proporzioni: 6 ore di pluslavoro : 6 ore di lavoro necessario = plusvalore 36 € : capitale variabile 36 € = 100 % Secondo le formule II ci risulta invece: 6 ore di pluslavoro : giornata lavorativa di 12 ore = plusvalore 36 € : prodotto di valore di 72 € = 50 % Queste formule derivate esprimono effettivamente la proporzione nella quale la giornata lavorativa ossia il suo prodotto di valore si divide fra capitalista e operaio. Quindi, se queste formule valgono come espressioni immediate del grado di autovalorizzazione del capitale, vale la legge errata: il pluslavoro ossia il plusvalore non può mai raggiungere il 100%[17]. Siccome il pluslavoro non può mai costituire se non una parte aliquota della giornata lavorativa ossia il plusvalore non può mai essere se non una parte aliquota del prodotto di valore, il pluslavoro è di necessità sempre minore della giornata lavorativa ossia il plusvalore è sempre minore del prodotto di valore. Ma per essere nella proporzione del cento per cento dovrebbero essere eguali. Affinché il pluslavoro assorba l’intera giornata lavorativa (si tratta qui della giornata media della settimana lavorativa, dell’anno lavorativo, ecc.), il lavoro necessario dovrebbe scendere a zero. Ma se scompare il lavoro necessario, scompare anche il pluslavoro, giacchè quest’ultimo non è che una funzione del primo. La proporzione pluslavoro : giornata lavorativa = plusvalore : prodotto di valore non potrà quindi mai raggiungere il limite 100/100 e tanto meno potrà aumentare a (100 + x) : 100 Ma questo limite e questo aumento potranno esser ben raggiunti dal saggio del plusvalore ossia dal grado reale di sfruttamento del lavoro. Prendiamo ad esempio il computo del signor L. de Lavergne, secondo il quale l’operaio agricolo inglese viene ad avere solo un quarto, il capitalista (fittavolo) invece tre quarti del prodotto[18] ossia del suo valore, qualunque sia il modo in cui la preda torni poi ad esser ripartita fra capitalista e proprietario fondiario, ecc. Il pluslavoro dell’operaio agricolo inglese sta quindi al suo lavoro necessario come tre a uno, ossia si ha una percentuale di sfruttamento del trecento per cento. Il metodo scolastico di considerare la giornata lavorativa come grandezza costante è stato consolidato dall’applicazione delle formule II, perchè qui il pluslavoro è sempre messo a confronto con una giornata lavorativa di grandezza data. Lo stesso accade quando si esamina esclusivamente la ripartizione del prodotto di valore. La giornata lavorativa che si è già oggettivata in una produzione di valore, è sempre una giornata lavorativa di limiti dati. La rappresentazione del plusvalore e del valore della forza-lavoro come parti aliquote del prodotto di valore — maniera di rappresentarli che del resto nasce dallo stesso modo di produzione capitalistico e il cui significato si manifesterà più avanti — nasconde il carattere specifico del rapporto capitalistico ossia lo scambio del capitale variabile con la forza-lavoro vivente e la corrispondente esclusione dell’operaio dal prodotto. Subentra al suo posto la falsa parvenza di un prodotto d’associazione in cui l’operaio e il capitalista si dividono il prodotto secondo la proporzione dei differenti fattori della sua formazione[19]. Del resto, le formule II sono sempre ritrasformabili in formule I. Se abbiamo per esempio pluslavoro di 6 ore : giornata lavorativa di 12 ore allora il tempo di lavoro necessario è eguale a giornata lavorativa di dodici ore meno pluslavoro di sei ore, e in tal modo risulta: pluslavoro di 6 ore : lavoro necessario di 6 ore = 100 % III Una terza formula che ho già avuto occasione di anticipare, è: plusvalore : valore della forza lavoro = pluslavoro : lavoro necessario = lavoro non retribuito : lavoro retribuito Il malinteso a cui potrebbe condurre la formula lavoro non retribuito : lavoro retribuito cioè che il capitalista paga il lavoro e non la forza-lavoro, viene eliminato in base a quanto si è spiegato prima. lavoro non retribuito : lavoro retribuito è soltanto un espressione popolare per pluslavoro : lavoro necessario Il capitalista paga il valore della forza-lavoro, o il prezzo di essa che si scosta dal suo valore, e riceve nello scambio la facoltà di disporre della stessa forza-lavoro vivente. Il suo usufrutto di questa forza-lavoro si divide in due periodi. Durante l’uno l’operaio produce un solo valore, eguale al valore della sua forza-lavoro, quindi produce soltanto un equivalente. Il capitalista riceve in tal modo per il prezzo anticipato della forza-lavoro un prodotto del medesimo prezzo. È come se egli avesse comprato il prodotto bell’e fatto sul mercato. Nel periodo del pluslavoro invece l’usufrutto della forza-lavoro crea valore per il capitalista senza costargli una reintegrazione di valore[20]. Il capitalista ha gratis questa forza-lavoro resa liquida. In questo senso il pluslavoro può essere chiamato lavoro non retribuito. Il capitale non è soltanto potere di disporre del lavoro, come dice A. Smith. È essenzialmente potere di disporre di lavoro non retribuito. Ogni plusvalore, sotto qualunque forma particolare di profitto, interesse, rendita, ecc, esso si cristallizzi in seguito, è per la sua sostanza materializzazione di tempo di lavoro non retribuito. L’arcano dell’autovalorizzazione del capitale si risolve nel suo potere di disporre di una determinata quantità di lavoro altrui non retribuito. NOTE * Nell’edizione francese autorizzata Marx pone fra parentesi questa prima formula perchè il concetto del pluslavoro nell’economia politica borghese non si trova espresso chiaramente. [17] Così p. es. in Dritter Brief an v. Kirchniann di Rodbertus. Wideriegung der Ricardoschen Theorie von der Grundrente und Begründung einer neuen Rententheorie. Berlino, 1851. Ritornerò più avanti su questo scritto che, malgrado la sua errata teoria della rendita fondiaria, penetra la natura della produzione capitalistica. Aggiunta alla terza edizione. Si vede qui con quanta benevolenza Marx giudicasse i suoi predecessori, non appena trovava in essi un reale progresso, un’idea nuova giusta. Nel frattempo la pubblicazione delle lettere del Rodbertus a Rud. Meyer ha limitato in una certa misura il riconoscimento di Marx. Vi è detto: «Bisogna salvare il capitale non solo dal lavoro, ma anche da se stesso, e questo si farà meglio di tutto considerando l’attività del capitalista-imprenditore come un insieme di funzioni di economia politica o statale, delegategli mediante la proprietà del capitale, e considerando il suo guadagno come una forma di stipendio, giacchè non cono sciamo ancora nessun’altra organizzazione sociale. Ma sarà lecito regolare gli stipendi e anche moderarli qualora tolgano troppo al salario. Allo stesso modo si dovrà anche respingere l’irruzione che Marx fa nella società — vorrei chiamare così il suo libro — . .. In genere il libro di Marx non è tanto un’indagine sul capitale quanto una polemica contro la odierna forma del capitale che egli confonde con il concetto stesso del capitale, dal che precisamente derivano i suoi errori » (Briefe ecc, del dott. RODBERTUS-JAGETZOW, a cura del dott. Rud. Meyer, Berlino, 1881, voI. p. 111, 48 lettera del Rodbertus). In simili luoghi comuni ideologici s’insabbiano gli spunti realmente audaci delle Lettere sociali del Rodbertus. F. E. [18] La parte del prodotto che ha semplicemente reintegrato il capitale costante sborsato è naturalmente detratta in questo computo. Il signor L. de Lavergne, ammiratore cieco dell’Inghilterra, dà una proporzione che è piuttosto, troppo bassa che troppo alta. [19] Siccome tutte le forme sviluppate del processo di produzione capitalistico sono forme di cooperazione, nulla è naturalmente più facile che astrarre dal loro carattere specificamente antagonistico e trasformarle, a furia di fole, in forme di associazione libera, come accade nello scritto del conte A. DE LABORDE, De l’Esprit d’Association dan tous les intéréts de la Communauté, Parigi, 181 8. Allo yankee H. Carey riesce in qualche occasione questo pezzo di bravura, con lo stesso successo, perfino rispetto ai rapporti del sistema schiavistico. [20] Benchè i fisiocratici non penetrassero l’arcano del plusvalore, riuscivano tuttavia a vedere chiaramente che il plusvalore è una ricchezza indipendente e disponibile che egli (il suo possessore) non ha comprato e che egli vende (TURGOT. Réflexions sur la Formation et la Distribution de Richesses, p. 1l). |
AVVERTENZA PER IL LETTORE Il testo del I libro del Capitale che viene qui riportato NON È UNA DELLE TRADUZIONI INTEGRALI DEL TESTO ORIGINALE che sono disponibili: esso infatti è una rivisitazione delle traduzioni esistenti (in italiano ed in francese) a cui sono state apportate le seguenti modifiche: 1 – negli esempi numerici, per facilitare la lettura, sono state cambiate le unità di misura e le grandezze; 2 – diversi dati richiamati nella forma di testo sono stati trasformati in tabelle ed in grafici; 3 – in alcuni esempi numerici le cifre decimali indicate sono state limitate a due e nel caso di numeri periodici, ad esempio 1/3 o 2/3, la cifra periodica è stata indicata ponendovi a fianco un apice (’). Ci rendiamo conto che leggere un testo del Capitale in cui Marx formula esempi in Euro (€) invece che in Lire Sterline (Lst) o scellini potrebbe far sorridere e far pensare ad uno scherzo o ad una manipolazione che ha travisato il pensiero dell’Autore, avvertiamo invece il lettore che il testo è assolutamente fedele al pensiero originale e che ci siamo permessi di introdurre alcune “varianti” per consentire a coloro che non hanno dimestichezza con le unità di misura e monetarie inglesi di non bloccarsi di fronte a questa difficoltà e di facilitarne così la lettura o lo studio. In altre parti si è invece mantenuto le unità di misura e monetarie inglesi originali perchè la lettura non creava problemi di comprensione e per ragioni di fedeltà storica. Ci facciamo altresì carico dell’osservazione che Engels ha formulato nelle “considerazioni supplementari” poste all’inizio del III Libro,laddove, di fronte alle molteplici interpretazioni del testo che vennero fatte dopo la prima edizione, sostiene: “Nella presente edizione ho cercato innanzitutto di comporre un testo il più possibile autentico, di presentare, nel limite del possibile, i nuovi risultati acquisiti da Marx, usando i termini stessi di Marx, intervenendo unicamente quando era assolutamente necessario, evitando che, anche in quest’ultimo caso, il lettore potesse avere dei dubbi su chi gli parla. Questo sistema è stato criticato; si è pensato che io avrei dovuto trasformare il materiale a mia disposizione in un libro sistematicamente elaborato, en faire un livre, come dicono i francesi, in altre parole sacrificare l’autenticità del testo alla comodità del lettore. Ma non è in questo senso che io avevo interpretato il mio compito. Per una simile rielaborazione mi mancava qualsiasi diritto; un uomo come Marx può pretendere di essere ascoltato per se stesso, di tramandare alla posterità le sue scoperte scientifiche nella piena integrità della sua propria esposizione. Inoltre non avevo nessun desiderio di farlo: il manomettere in questo modo perchè dovevo considerare ciò una manomissione l’eredità di un uomo di statura così superiore, mi sarebbe sembrato una mancanza di lealtà. In terzo luogo sarebbe stato completamente inutile. Per la gente che non può o non vuole leggere, che già per il primo Libro si è data maggior pena a interpretarlo male di quanto non fosse necessario a interpretarlo bene — per questa gente è perfettamente inutile sobbarcarsi a delle fatiche”. Marx ed Engels non ce ne vogliano, ma posti di fronte alle molteplici “fughe” dallo studio da parte di persone che non possedevano una cultura accademica, fughe che venivano imputate alla difficoltà presentate dal testo, abbiamo deciso di fare uno “strappo” alle osservazioni di Engels, intervenendo in alcune parti avendo altresì cura di toccare il testo il meno possibile. Nel fare questo “strappo” eravamo tuttavia confortati dal fatto che, a differenza della situazione in cui Engels si trovava, oggi chi vuole accedere al testo “originale”, dispone di diverse edizioni in varie lingue. Coloro che volessero accostarsi al testo originale in lingua italiana si consigliano le seguenti edizioni:
Chi volesse accedere ad edizioni del Capitale e di altri testi di Marx in lingue estere, si propone di consultare il sito internet di seguito riportato:http://www.marxists.org/xlang/marx.htm |