IL CAPITALE LIBRO I SEZIONE V
LA PRODUZIONE DEL
PLUSVALORE ASSOLUTO CAPITOLO 15
VARIAZIONE DI
GRANDEZZA NEI PREZZI Il valore della forza-lavoro è determinato dal valore dei mezzi di sussistenza che per consuetudine sono necessari all’operaio medio. In un’epoca determinata di una società determinata, la massa di questi mezzi di sussistenza è data, benché la sua forma possa variare, e va quindi trattata come grandezza costante. Quello che varia è il valore di questa massa. Nella determinazione del valore della forza-lavoro entrano altri due fattori: da un lato le spese del suo sviluppo che cambiano col cambiare del modo di produzione, dall’altro la sua differenza naturale cioè il suo essere maschile o femminile, matura o immatura. Il consumo di queste forze-lavoro differenti, che a sua volta è un portato del modo di produzione, costituisce una grande, differenza nelle spese di riproduzione della famiglia operaia e nel valore dell’operaio maschio adulto. Entrambi questi fattori rimangono tuttavia esclusi dalla seguente indagine9b. Noi presupponiamo, 1 - che le merci vengano vendute al loro valore, 2 - che il prezzo della forza-lavoro possa certo salire talvolta al di sopra del suo valore, ma non scenda mai al di sotto di esso. Dati questi presupposti, si è trovato che le grandezze relative del prezzo della forza-lavoro e del plusvalore sono determinate da tre circostanze: 1 - La durata della giornata lavorativa, ossia la grandezza estensiva del lavoro; 2 - l’intensità normale del lavoro, ossia la sua grandezza intensiva, cosicchè una determinata quantità di lavoro viene spesa entro un tempo determinato; 3 - infine la forza produttiva del lavoro, cosicchè una stessa quantità di lavoro fornisca, a seconda del grado di sviluppo delle condizioni di produzione, una maggiore o minore quantità di prodotti entro lo stesso tempo. Evidentemente sono possibili combinazioni diversissime, a seconda che l’uno dei tre fattori sia costante e due variabili oppure due. fattori siano costanti e uno variabile o infine tutti e tre siano contemporaneamente variabili. Queste combinazioni vengono moltiplicate ancora dal fatto che, variando insieme fattori diversi, la grandezza e la tendenza della variazione possono essere diverse. Nell’esposizione che segue sono presentate solo le combinazioni principali. I. GRANDEZZA DELLA GIORNATA LAVORATIVA E INTENSITÀ DEL LAVORO COSTANTI (DATE), FORZA PRODUTTIVA DEL LAVORO VARIABILE. Dato questo presupposto il valore della forza-lavoro e il plusvalore sono determinati da tre leggi. Primo: La giornata lavorativa di grandezza data si rappresenta sempre nello stesso prodotto di valore, in qualunque modo vani la produttività del lavoro e con essa la massa dei prodotti e quindi il prezzo della merce singola. Il prodotto di valore di una, giornata lavorativa di 12 ore è per esempio di 72 €, benché la massa dei valori d’uso prodotti vari con la forza produttiva del lavoro e quindi il valore di 72 € si ripartisca su più o su meno merci. Secondo: valore della forza-lavoro e plusvalore variano in direzione inversa l’uno nei confronti dell’altro. una variazione nella forza produttiva del lavoro, il suo aumento o la sua diminuzione, agisce in direzione inversa sul valore della forza-lavoro, e nella stessa direzione sul plusvalore. Il prodotto di valore della giornata lavorativa di dodici ore è una grandezza costante, per esempio 72 €. Questa grandezza costante è eguale alla somma del plusvalore e del valore della forza-lavoro che l’operaio reintegra con un equivalente. È ovvio che di due parti di una grandezza costante nessuna parte può aumentare senza che l’altra diminuisca. Il valore della forza-lavoro non può salire da 36 a 48 € senza che il plusvalore scenda da 36 a 24 €, e il plusvalore non può salire da 36 a 48 € senza che il valore della forza-lavoro scenda da 36 € a 24. In queste circostanze non è dunque possibile alcuna variazione nella grandezza assoluta sia del valore della forza-lavoro sia del plusvalore, senza che al tempo stesso varino le loro grandezze relative ossia proporzionali. È impossibile che diminuiscano o aumentino allo stesso tempo. Inoltre, il valore della forza-lavoro non può diminuire e quindi il plusvalore non può aumentare senza che aumenti la forza produttiva del lavoro, nel nostro caso per esempio il valore della forza-lavoro non può scendere da 36 a 24 € se l’aumento della forza produttiva non consente di produrre in quattro ore la stessa massa di mezzi di sussistenza che prima ne richiedeva sei per la propria produzione. Viceversa, il valore della forza-lavoro non può salire da 36 € a 48 senza che la forza produttiva del lavoro diminuisca, cioè senza che siano richieste otto ore per la produzione di quella stessa massa di mezzi di sussistenza per la quale prima bastavano sei ore. Ne consegue che l’aumento nella produttività del lavoro abbassa il valore della forza-lavoro e con ciò aumenta il plusvalore, mentre, viceversa, la diminuzione della produttività aumenta il valore della forza-lavoro e diminuisce il plusvalore. Nel formulare questa legge il Ricardo trascurò una circostanza: benché la variazione nella grandezza del plusvalore, ossia del pluslavoro, determini una variazione inversa nella grandezza del valore della forza-lavoro, ossia del lavoro necessario, non ne consegue affatto che le due grandezze varino nella stessa proporzione. Aumentano o diminuiscono della stessa quantità: ma la proporzione in cui ogni parte del prodotto di valore oppure della giornata lavorativa aumenta o diminuisce, dipende dalla ripartizione originaria che ha avuto luogo prima della variazione nella forza produttiva del lavoro. Se il valore della forza-lavoro era di 48 € o se il tempo di lavoro necessario era di 8 ore, il plusvalore di 24 € o il pluslavoro di 4 ore, e se, a causa di un aumento della forza produttiva del lavoro, il valore della forza-lavoro scende a 36 €, o il lavoro necessario scende a 6 ore, il plusvalore sale a 36 € ossia il pluslavoro sale a 6 ore. È la medesima quantità di due ore o di 12 € che là viene aggiunta, qua tolta. Ma la variazione proporzionale della grandezza è diversa da una parte e dall’altra. Mentre il valore della forza-lavoro scende da 48 € a 36, quindi diminuisce di un quarto ossia del venticinque per cento, il plusvalore sale da 24 € a 36, aumenta quindi della metà ossia del cinquanta per cento. Ne consegue quindi che l’aumento o la diminuzione proporzionale del plusvalore a causa di una variazione data nella forza produttiva del lavoro, risulta tanto maggiore quanto era minore originariamente la parte della giornata lavorativa che si rappresenta in plusvalore, e risulta tanto minore quanto maggiore era quest’ultima parte. Terzo: Aumento o diminuzione del plusvalore sono sempre conseguenza e mai causa della corrispondente diminuzione e del corrispondente aumento del valore della forza-lavoro[10]. Siccome la giornata lavorativa è una grandezza costante, si rappresenta in una grandezza di valore costante, e ad ogni variazione di grandezza del plusvalore corrisponde una variazione di grandezza inversa nel valore della forza-lavoro, e il valore della forza-lavoro può variare solo quando vari la forza produttiva del lavoro, date queste condizioni consegue evidentemente che ogni variazione di grandezza del plusvalore deriva da una variazione inversa di grandezza nel valore della forza-lavoro. Quindi, se si è visto che nessuna variazione assoluta di grandezza nel valore della forza-lavoro e nel plusvalore è possibile senza una variazione delle loro grandezze relative, ne segue allora che non è possibile nessuna variazione delle loro grandezze di valore relative senza una variazione nella grandezza di valore assoluta della forza-lavoro. Secondo la terza legge la variazione di grandezza del plusvalore presuppone un movimento di valore della forza-lavoro causato dalla variazione nella forza produttiva del lavoro. Il limite di tale variazione è dato dal nuovo limite di valore della forza-lavoro. Ma possono aver luogo movimenti intermedi anche se le circostanze consentono che la legge agisca. Se per esempio a causa di un aumento della forza produttiva del lavoro il valore della forza-lavoro scende da 48 a 36 €, ossia il tempo di lavoro necessario scende da 8 a 6 ore, il prezzo della forza-lavoro potrebbe scendere soltanto a 44 €, 42 €, 38 €, ecc., il plusvalore potrebbe quindi salire soltanto a 40 €, 42 €, 48 € ecc. Il grado della diminuzione, il cui limite minimo è costituito da 36 €, dipende dal peso relativo che la pressione del capitale da un lato e la resistenza degli operai dall’altro gettano sulla bilancia. Il valore della forza-lavoro è determinato dal valore di una determinata quantità di mezzi di sussistenza. Quello che varia con il variare della forza produttiva del lavoro, è il valore di questi mezzi di sussistenza, non la loro massa. La massa stessa può, aumentando la forza produttiva del lavoro, crescere contemporaneamente e nella stessa proporzione per l’operaio e per il capitalista, senza che si abbia una variazione di grandezza fra prezzo della forza- lavoro e plusvalore. Se il valore originario della forza-lavoro è di 36 € e se il tempo di lavoro necessario ammonta a 6 ore, se il plusvalore è anch’esso di 36 € ossia se il pluslavoro ammonta anch’esso a 6 ore, un raddoppiamento della forza produttiva del lavoro, rimanendo immutata la ripartizione della giornata lavorativa, lascerebbe immutati il prezzo della forza-lavoro e il plusvalore. Entrambi si rappresenterebbero semplicemente in una quantità di valori d’uso raddoppiata, ma relativamente più a buon mercato. Benché immutato, il prezzo della forza-lavoro sarebbe salito al di sopra del valore di quest’ultima. Se il prezzo della forza-lavoro scendesse, ma non sino al limite minimo di 18 € che è dato dal suo nuovo valore, bensì a 34 €, 30 €, ecc., questo prezzo in diminuzione rappresenterebbe ancor sempre una massa crescente di mezzi di sussistenza Così, a forza produttiva del lavoro in aumento, il prezzo della forza-lavoro potrebbe essere in costante caduta, mentre la massa dei mezzi di sussistenza dell’operaio potrebbe contemporaneamente e costantemente aumentare: però relativamente, cioè a paragone del plusvalore, il valore della forza-lavoro scenderebbe costantemente e così si allargherebbe l’abisso fra le condizioni di vita dell’operaio e quelle del capitalista[11]. Il Ricardo ha dato per primo una formulazione rigorosa alle tre leggi sopra esposte. Le deficienze della sua esposizione sono: 1), che egli considera le condizioni particolari entro le quali quelle leggi sono valide come le condizioni ovvie, universali ed esclusive della produzione capitalistica. Egli non conosce nessuna variazione, né nella durata della giornata lavorativa né nell’intensità del lavoro, cosicchè nei suoi scritti la produttività del lavoro diviene automaticamente l’unico fattore variabile: ma, 2), — e ciò falsa la sua analisi in grado molto maggiore — come gli altri economisti, neppure il Ricardo ha mai indagato il plusvalore come tale, ossia indipendentemente dalle sue forme particolari quali il profitto, la rendita fondiaria, ecc. Egli mette quindi direttamente in un sol fascio le leggi del saggio del plusvalore con le leggi del saggio del profitto. Come già è stato detto, il saggio del profitto è il rapporto fra plusvalore e capitale complessivo anticipato, mentre il saggio del plusvalore è il rapporto fra il plusvalore e la sola parte variabile di questo capitale. Supponiamo che un capitale di 6.000 € (C) sia ripartito in materie prime, mezzi di lavoro, ecc. per un insieme di 4.800 € (c) e 1200 € di salario (v); supponiamo inoltre che il plusvalore sia eguale a 1.200 € (p). In tal caso il saggio del plusvalore (pv’) pv’ = (p : v) ∙ 100 = (1.200 : 1200) ∙ 100 = 100 % Ma il saggio del profitto (p’) p’ = (p : C) ∙ 100 = (1.200 : 6.000) ∙ 100 = 20 % % E’chiaro per di più che il saggio del profitto può dipendere da circostanze che non agiscono affatto sul saggio del plusvalore. Dimostrerò più avanti nel libro terzo, che, date determinate circostanze, uno stesso saggio del plusvalore può esprimersi in differentissimi saggi del profitto e che differenti saggi del plusvalore possono esprimersi in uno stesso saggio del profitto. II. GIORNATA LAVORATIVA COSTANTE, FORZA PRODUTTIVA DEL LAVORO COSTANTE, INTENSITÀ DEL LAVORO VARIABILE. Intensità crescente del lavoro presuppone aumento del dispendio di lavoro entro uno stesso periodo di tempo. La giornata di lavoro più intensa s’incarna quindi in più prodotti che la giornata meno intensa d’eguale numero di ore. È vero che, a forza produttiva aumentata, anche la medesima giornata lavorativa fornisce più prodotti. Ma in quest’ultimo caso il valore del prodotto singolo diminuisce perchè il prodotto costa meno lavoro di prima; nel primo caso rimane invariato perchè il prodotto costa, sia prima che dopo, la stessa quantità di lavoro. In questo caso il numero dei prodotti aumenta senza diminuzione del loro prezzo. Col crescere del loro numero cresce la somma dei loro prezzi, mentre nell’altro caso la medesima somma di valore si presenta semplicemente in una massa maggiore di prodotti. Quindi la giornata lavorativa più intensa s’incarna, invariato rimanendo il numero delle ore, in un più alto prodotto di valore, e quindi, invariato rimanendo il valore del denaro, in più denaro. Il prodotto di valore della giornata più intensa varia col deviare della sua intensità dal grado sociale normale. La medesima giornata lavorativa non si rappresenta dunque, come prima, in una produzione di valore costante, ma in una produzione variabile di valore, la giornata lavorativa di 12 ore più intensa si rappresenta per esempio in 84 €, 96 €, ecc. invece che in 72 € come avviene per la giornata lavorativa di dodici ore d’intensità normale. E chiaro: se la produzione di valore della giornata lavorativa varia, p. es. da 72 a 96 €, possono aumentare contemporaneamente, sia in grado eguale sia in grado ineguale, entrambe le parti di questa produzione di valore, cioè prezzo della forza lavoro e plusvalore. Se la produzione di valore sale da 72 a 96 €, prezzo della forza-lavoro e plusvalore possono entrambi aumentare nel medesimo tempo da 36 € a 48 €. In questo caso l’aumento del prezzo della forza-lavoro non implica necessariamente l’aumento del suo prezzo al di sopra del suo valore. Quest’aumento può essere, viceversa, accompagnato da una diminuzione del valore della forza-lavoro. Ciò accade sempre nei casi in cui l’aumento del prezzo della forza-lavoro non compensa il suo più rapido consumo. Si sa che, con qualche eccezione transitoria, una variazione della produttività del lavoro determina una variazione nella grandezza di valore della forza-lavoro e quindi nella grandezza del plusvalore solo quando i prodotti dei rami d’industria toccati rientrano nel consumo consuetudinario dell’operaio. Qui tale limite viene a cadere. Che la grandezza del lavoro vari per estensione o intensità, alla sua variazione di grandezza corrisponde una variazione nella grandezza del suo prodotto di valore, indipendentemente dalla natura dell’articolo in cui questo valore si presenta. Se l’intensità del lavoro aumentasse contemporaneamente e uniformemente in tutti i rami d’industria, il nuovo grado d’intensità più elevato diventerebbe il grado normale sociale e comune e cesserebbe con ciò di contare come grandezza estensiva. Tuttavia, anche allora i gradi d’intensità medi rimarrebbero differenti nelle differenti nazioni, e modificherebbero perciò l’applicazione della legge del valore alle differenti giornate lavorative nazionali. La giornata lavorativa più intensa di una nazione si rappresenta in una espressione monetaria più alta che non quella meno intensa di un’altra[12]. III. FORZA PRODUTTIVA E INTENSITÀ DEL LAVORO COSTANTI, GIORNATA LAVORATIVA VARIABILE. La giornata lavorativa può variare in due direzioni. Può essere abbreviata o prolungata. 1. Nelle condizioni date, ossia eguali rimanendo la forza produttiva e l’intensità del lavoro, l’abbreviamento della giornata lavorativa lascia invariato il valore della forza-lavoro e quindi il tempo di lavoro necessario. Abbrevia il pluslavoro e diminuisce il plusvalore. Insieme con la grandezza assoluta di quest’ultimo diminuisce anche la sua grandezza relativa ossia la sua grandezza in rapporto alla grandezza di valore invariata della forza-lavoro. Solo abbassando il prezzo di questa al di sotto del suo valore il capitalista potrebbe evitare una perdita. Tutte le frasi correnti contro l’abbreviamento della giornata lavorativa presuppongono che il fenomeno avvenga nelle circostanze qui presupposte, mentre viceversa in realtà la variazione nella forza produttiva e nell’intensità del lavoro o precede l’abbreviamento della giornata lavorativa o lo segue immediatamente[13]. 2. Prolungamento della giornata lavorativa: sia il tempo di lavoro necessario di 6 ore ossia il valore della forza-lavoro sia di 36 € euro e così pure sia il pluslavoro di 6 ore e il plusvalore di 36 €. La giornata lavorativa complessiva ammonta allora a 12 ore e si rappresenta in un prodotto di valore di 72 €. Se la giornata lavorativa viene prolungata di 2 ore e se il prezzo della forza-lavoro rimane invariato, insieme colla grandezza assoluta crescerà la grandezza relativa del plusvalore. Benché la grandezza di valore della forza-lavoro rimanga invariata in assoluto, essa diminuisce relativamente. Alle condizioni di I la grandezza di valore relativa della forza-lavoro non poteva variare senza una variazione della sua grandezza assoluta. Qui, al contrario, la variazione della grandezza relativa del valore della forza-lavoro è il risultato di una variazione della grandezza assoluta del plusvalore. Siccome il prodotto di valore nel quale si rappresenta la giornata lavorativa cresce con il prolungarsi della giornata lavorativa stessa, il prezzo della forza-lavoro e il plusvalore possono crescere contemporaneamente sia di un incremento eguale sia di un incremento ineguale. Questo aumento contemporaneo è dunque possibile in due casi: è possibile con un prolungamento assoluto della giornata lavorativa e con un aumento della intensità del lavoro, senza quel prolungamento. A giornata lavorativa prolungata, il prezzo della forza-lavoro può scendere al di sotto del suo valore, benché nominalmente rimanga invariato o anzi salga. Il valore giornaliero della forza-lavoro è in fatti valutato, come si ricorderà, in base alla durata media normale ossia al periodo di vita normale dell’operaio, e in base alla corrispondente conversione di sostanza vitale in movimento, conversione normale e commisurata alla natura umana[14]. Fino a un certo punto il maggiore logoramento della forza-lavoro, inseparabile dal prolungamento della giornata lavorativa, può essere compensato da maggiore reintegrazione. Al di là di questo punto il logoramento cresce in progressione geometrica, e insieme vengono distrutte tutte le condizioni normali di riproduzione e attività della forza-lavoro. Il prezzo della forza-lavoro e il grado del suo sfruttamento cessano di essere grandezze commensurabili tra di loro. IV. VARIAZIONI CONTEMPORANEE NELLA DURATA, FORZA PRODUTTIVA E INTENSITÀ DEL LAVORO. Evidentemente qui è possibile un grande numero di combinazioni. Possono variare due fattori alla volta e uno rimanere costante, oppure possono variare tutti e tre insieme. Possono variare in grado eguale o in grado ineguale, nella stessa direzione o in quella opposta, e quindi le loro variazioni possono annullarsi in parte o del tutto. Ma dopo le indicazioni date ai numeri I, II e III, l’analisi di tutti i casi possibili sarà facile. Si troverà il risultato di ogni combinazione possibile considerando uno dopo l’altro un fattore per volta variabile e gli altri in un primo tempo costanti. Quindi prenderemo ancora nota brevemente solo di due casi importanti. 1. Forza produttiva del lavoro in diminuzione con prolungamento contemporaneo della giornata lavorativa: Quando parliamo di forza produttiva del lavoro in diminuzione, si tratta di rami di lavoro i cui prodotti determinano il valore della forza-lavoro, dunque per esempio di forza produttiva del lavoro in diminuzione a causa di un’aumentata sterilità del terreno e di un corrispondente rincaro dei prodotti del terreno. Sia la giornata lavorativa di 12 ore, sia il suo prodotto di valore di 72 €, dei quali una metà reintegri il valore della forza-lavoro e l’altra costituisca il plusvalore. La giornata lavorativa si divide dunque in 6 ore di lavoro necessario e in 6 ore di pluslavoro. A causa del rincaro dei prodotti del suolo il valore della forza-lavoro sale, poniamo, da 36 a 48 € e quindi il tempo necessario sale da 6 ore a 8. Se la giornata lavorativa rimane invariata, il pluslavoro scende da 6 ore a 4, il plusvalore da 36 € a 24. Se la giornata lavorativa viene prolungata di 2 ore, quindi va da 12 ore a 14, il pluslavoro resterà di 6 ore, il plusvalore resterà di 36 €, ma la sua grandezza diminuirà a paragone del valore della forza-lavoro misurato mediante il lavoro necessario. Se la giornata lavorativa viene prolungata di 4 ore, da 12 ore a 16, le grandezze proporzionali del plusvalore e del valore della forza-lavoro, del pluslavoro e del lavoro necessario rimangono invariate, ma la grandezza assoluta del plusvalore aumenta da 36 a 48 €, quella del pluslavoro da 6 a 8 ore lavorative, aumenta dunque di un terzo ossia del trentatre e un terzo per cento. Quindi, diminuendo la forza produttiva del lavoro e prolungandosi contemporaneamente la giornata lavorativa la grandezza assoluta del plusvalore può rimanere invariata, mentre diminuirà la sua grandezza proporzionale; la sua grandezza proporzionale può rimanere invariata, mentre la sua grandezza assoluta aumenta; e, a seconda del grado di prolungamento, possono aumentare entrambe. Nel periodo dal 1799 al 1815 l’aumento dei prezzi dei mezzi di sussistenza provocò in Inghilterra un aumento nominale dei salari, benché i salari reali, espressi in mezzi di sussistenza, diminuissero. Il West e il Ricardo ne trassero la conclusione che la caduta del saggio del plusvalore fosse stata causata dalla diminuzione della produttività del lavoro agricolo, e fecero di questa ipotesi, valida nella loro fantasia soltanto, il punto di partenza di importanti analisi circa il rapporto relativo di grandezza di salario, profitto e rendita fondiaria. Ma grazie all’aumento dell’intensità del lavoro e al forzato prolungamento del tempo di lavoro, allora il plusvalore era cresciuto, tanto in assoluto che relativamente. Fu quello il periodo in cui il prolungamento smisurato della giornata lavorativa acquistò il diritto di cittadinanza[15], fu il periodo caratterizzato specificamente da un aumento accelerato qua del capitale, là del pauperismo[16]. 2. Intensità e forza produttiva del lavoro in aumento e contemporaneo abbreviamento della giornata lavorativa: L’aumento della forza produttiva del lavoro e la sua crescente intensità agiscono uniformemente in una direzione. Entrambi aumentano la massa dei prodotti ottenuta in ciascun periodo di tempo. Entrambi accorciano quindi quella parte della giornata lavorativa di cui l’operaio abbisogna per la produzione dei propri mezzi di sussistenza o del loro equivalente. Il limite minimo assoluto della giornata lavorativa è in genere formato da questa sua parte costitutiva necessaria ma contrattile. Se tutta la giornata lavorativa si riducesse a quella parte, il pluslavoro scomparirebbe, il che è impossibile sotto il regime del capitale. L’eliminazione della forma di produzione capitalistica permette di limitare la giornata lavorativa al lavoro necessario. Tuttavia quest’ultimo, invariate rimanendo le altre circostanze, estenderebbe la sua parte: da un lato, perchè le condizioni di vita dell’operaio si farebbero più ricche e le esigenze della sua vita maggiori. Dall’altro lato, una parte dell’attuale pluslavoro rientrerebbe allora nel lavoro necessario, cioè nel lavoro necessario per ottenere un fondo sociale di riserva e di accumulazione. Quanto più cresce la forza produttiva del lavoro, tanto più può essere abbreviata la giornata lavorativa, e quanto più viene abbreviata la giornata lavorativa, tanto più potrà crescere l’intensità del lavoro. Da un punto di vista sociale la produttività del lavoro cresce anche con la sua economia. Quest’ultima comprende non soltanto il risparmio nei mezzi di produzione, ma l’esclusione di ogni lavoro senza utilità. Mentre il modo di produzione capitalistico impone risparmio in ogni azienda individuale, il suo anarchico sistema della concorrenza determina lo sperpero più smisurato dei mezzi di produzione sociali e delle forze-lavoro sociali oltre a un numero stragrande di funzioni attualmente indispensabili, ma in sè e per sè superflue. Date l’intensità e la forza produttiva del lavoro, la parte della giornata lavorativa sociale necessaria per la produzione materiale sarà tanto più breve, e la parte di tempo conquistata per la libera attività mentale e sociale degli individui sarà quindi tanto maggiore, quanto più il lavoro sarà distribuito proporzionalmente su tutti i membri della società capaci di lavorare, e quanto meno uno strato della società potrà allontanare da sè la necessità naturale del lavoro e addossarla ad un altro strato. Il limite assoluto dell’abbreviamento della giornata lavorativa è sotto questo aspetto l’obbligo generale del lavoro. Nella società capitalistica si produce tempo libero per una classe mediante la trasformazione in tempo di lavoro di tutto il tempo di vita delle masse. NOTE 9b Anche il caso trattato a p. 332 è qui naturalmente escluso (Nota alla terza edizione F.E). [10] A questa terza legge il MacCulloch fra gli altri ha fatto l’assurda aggiunta che il plusvalore può aumentare senza che si abbia una diminuzione nel valore della forza-lavoro, mediante l’abolizione di imposte che il capitalista prima era tenuto a pagare. L’abolizione di tali imposte non cambia nulla, assolutamente, nella quantità di plusvalore che il capitalista industriale estorce in primo luogo all’operaio. Essa cambia soltanto la proporzione in cui egli mette il plusvalore nelle proprie tasche o lo deve dividere con terze persone. Non cambia dunque nulla nella proporzione fra il valore della forza-lavoro e il plusvalore. L’eccezione avanzata dal MacCulloch dimostra quindi soltanto che egli ha frainteso la regola, disgrazia che a lui accade quando volgarizza il Ricardo altrettanto spesso che a J. B. Say quando volgarizza A. Smith. [11] « Se si verifica un mutamento nella produttività dell’industria, cosicchè mediante una quantità data di lavoro e di capitale viene prodotto di più o di meno, la proporzione dei salari può ovviamente variare, mentre la quantità che questa proporzione rappresenta rimane la stessa, oppure può variare la quantità, mentre la proporzione rimane la stessa » ( CAZENOVE, Outlines of Political Economy ecc., p. 67). [12] « In circostanze altrimenti identiche il fabbricante inglese può ottenere, entro un determinato tempo, una quantità di lavoro (work) notevolmente maggiore che non un fabbricante estero, tanto maggiore da compensare la differenza delle giornate lavorative fra sessanta ore settimanali qui e settantadue fino a ottanta altrove » (Rep. of Insp. of Fact. for 3lst October 1855, p. 65). Un maggior abbreviamento legale della giornata lavorativa nelle fabbriche del continente sarebbe il rimedio più infallibile per diminuire questa differenza fra l’ora lavorativa continentale e quella inglese. [13] « Vi sono circostanze compensatrici... che sono state portate alla luce dall’azione della Legge delle dieci ore » (Rep. of Insp. of Fact. for 3lst October 1848, p. 7). [14] «La quantità di lavoro alla quale un uomo è stato sottoposto nel corso di ventiquattro ore, può essere determinata approssimativamente da un esame dei cambiamenti chimici verificatisi nel suo corpo, giacchè la mutazione delle forme della materia indica la precedente azione di una forza dinamica » (GROVE, On the Correlation of Physical Forces [Londra 1846, pp. 308, 309]). [15] « Grano e lavoro raramente procedono del tutto di pari passo; ma vi è un limite evidente al di là del quale non possono essere separati. Quanto agli sforzi non comuni che fanno le classi lavoratrici in periodi di caro prezzo che provocano la diminuzione dei salari, alla quale si accenna nelle deposizioni (nelle deposizioni davanti ai comitati d’inchiesta parlamentari 1814-1815), bisogna riconoscere che sono molto meritori per gli individui singoli e certamente favoriscono l’aumento del capitale. Ma nessuna persona che abbia sentimenti umani potrebbe augurarsi di vederli continuare costanti e immutati. Questi sforzi sono ammirevolissimi come rimedio temporaneo, ma se fossero compiuti costantemente, si avrebbero conseguenze simili a quelle che si avrebbero se la popolazione di un paese fosse ridotta al limite estremo dei suoi alimenti » (MALTHUS, Inquiry into the Nature and Progress of Rent, Londra, 1815, p. 48, nota). Torna a grande onore di Malthus che egli ponga l’accento sul prolungamento della giornata lavorativa, discusso direttamente anche in altri passi del suo opuscolo, mentre il Ricardo e altri, in vista dei dati di fatto più stridenti, fondavano tutte le loro indagini sulla grandezza costante della giornata lavorativa. Ma gli interessi conservatori, di cui il Malthus era schiavo, gli impedivano di vedere che il prolungamento smisurato della giornata lavorativa unito ad uno sviluppo straordinario delle macchine e allo sfruttamento del lavoro di donne e di fanciulli, doveva ridurre in «soprannumero» una gran parte della classe operaia, in ispecie non appena fossero cessati e la richiesta per ragioni belliche e il monopolio inglese sul mercato mondiale. Naturalmente era molto più comodo e molto più rispondente agli interessi delle classi dominanti, idolatrate dal Malthus proprio da quel prete che era, spiegare questa « sovrappopolazione» con le leggi eterne della natura anzichè con le leggi naturali esclusivamente storiche della produzione capitalistica. [16] « Una delle cause fondamentali dell’aumento del capitale durante la guerra stava nei maggiori sforzi e forse anche nelle maggiori privazioni delle classi lavoratrici, le quali in tutte le società sono le più numerose. Sotto la pressione delle circostanze donne e fanciulli in maggior numero furono costretti ad assumere lavoro, e coloro che già prima erano operai furono costretti, per lo stesso motivo, a dedicare una parte maggiore del loro tempo all’incremento della produzione » (Essays on Political Economy in which are illustrated the Principal Cause: of the Present National Distress, Londra, 1830, p. 248). |
AVVERTENZA PER IL LETTORE Il testo del I libro del Capitale che viene qui riportato NON È UNA DELLE TRADUZIONI INTEGRALI DEL TESTO ORIGINALE che sono disponibili: esso infatti è una rivisitazione delle traduzioni esistenti (in italiano ed in francese) a cui sono state apportate le seguenti modifiche: 1 – negli esempi numerici, per facilitare la lettura, sono state cambiate le unità di misura e le grandezze; 2 – diversi dati richiamati nella forma di testo sono stati trasformati in tabelle ed in grafici; 3 – in alcuni esempi numerici le cifre decimali indicate sono state limitate a due e nel caso di numeri periodici, ad esempio 1/3 o 2/3, la cifra periodica è stata indicata ponendovi a fianco un apice (’). Ci rendiamo conto che leggere un testo del Capitale in cui Marx formula esempi in Euro (€) invece che in Lire Sterline (Lst) o scellini potrebbe far sorridere e far pensare ad uno scherzo o ad una manipolazione che ha travisato il pensiero dell’Autore, avvertiamo invece il lettore che il testo è assolutamente fedele al pensiero originale e che ci siamo permessi di introdurre alcune “varianti” per consentire a coloro che non hanno dimestichezza con le unità di misura e monetarie inglesi di non bloccarsi di fronte a questa difficoltà e di facilitarne così la lettura o lo studio. In altre parti si è invece mantenuto le unità di misura e monetarie inglesi originali perchè la lettura non creava problemi di comprensione e per ragioni di fedeltà storica. Ci facciamo altresì carico dell’osservazione che Engels ha formulato nelle “considerazioni supplementari” poste all’inizio del III Libro,laddove, di fronte alle molteplici interpretazioni del testo che vennero fatte dopo la prima edizione, sostiene: “Nella presente edizione ho cercato innanzitutto di comporre un testo il più possibile autentico, di presentare, nel limite del possibile, i nuovi risultati acquisiti da Marx, usando i termini stessi di Marx, intervenendo unicamente quando era assolutamente necessario, evitando che, anche in quest’ultimo caso, il lettore potesse avere dei dubbi su chi gli parla. Questo sistema è stato criticato; si è pensato che io avrei dovuto trasformare il materiale a mia disposizione in un libro sistematicamente elaborato, en faire un livre, come dicono i francesi, in altre parole sacrificare l’autenticità del testo alla comodità del lettore. Ma non è in questo senso che io avevo interpretato il mio compito. Per una simile rielaborazione mi mancava qualsiasi diritto; un uomo come Marx può pretendere di essere ascoltato per se stesso, di tramandare alla posterità le sue scoperte scientifiche nella piena integrità della sua propria esposizione. Inoltre non avevo nessun desiderio di farlo: il manomettere in questo modo perchè dovevo considerare ciò una manomissione l’eredità di un uomo di statura così superiore, mi sarebbe sembrato una mancanza di lealtà. In terzo luogo sarebbe stato completamente inutile. Per la gente che non può o non vuole leggere, che già per il primo Libro si è data maggior pena a interpretarlo male di quanto non fosse necessario a interpretarlo bene — per questa gente è perfettamente inutile sobbarcarsi a delle fatiche”. Marx ed Engels non ce ne vogliano, ma posti di fronte alle molteplici “fughe” dallo studio da parte di persone che non possedevano una cultura accademica, fughe che venivano imputate alla difficoltà presentate dal testo, abbiamo deciso di fare uno “strappo” alle osservazioni di Engels, intervenendo in alcune parti avendo altresì cura di toccare il testo il meno possibile. Nel fare questo “strappo” eravamo tuttavia confortati dal fatto che, a differenza della situazione in cui Engels si trovava, oggi chi vuole accedere al testo “originale”, dispone di diverse edizioni in varie lingue. Coloro che volessero accostarsi al testo originale in lingua italiana si consigliano le seguenti edizioni:
Chi volesse accedere ad edizioni del Capitale e di altri testi di Marx in lingue estere, si propone di consultare il sito internet di seguito riportato:http://www.marxists.org/xlang/marx.htm |