IL CAPITALE

LIBRO I

SEZIONE IV

LA PRODUZIONE DEL PLUSVALORE RELATIVO

CAPITOLO 11

COOPERAZIONE

La produzione capitalistica comincia realmente, come abbiamo visto, solo quando il medesimo capitale individuale impiega allo stesso tempo un numero piuttosto considerevole di operai, e quindi il processo lavorativo s’estende e si ingrandisce e fornisce prodotti su scala quantitativa piuttosto considerevole. L’operare di un numero piuttosto considerevole di operai, allo stesso tempo, nello stesso luogo (o, se si vuole, nello stesso campo di lavoro), per la produzione dello stesso genere di merci, sotto il comando dello stesso capitalista, costituisce storicamente e concettualmente il punto di partenza della produzione capitalistica. Per esempio, in riferimento al modo della produzione in sè, la manifattura non si distingue ai suoi inizi dalla industria artigiana delle corporazioni quasi per altro che per il maggior numero degli operai occupati contemporaneamente dallo stesso capitale. Si ha soltanto un ingrandimento dell’officina del mastro artigiano.

In un primo momento la differenza è dunque semplicemente quantitativa. Si è visto che la massa del plusvalore prodotta da un dato capitale è eguale al plusvalore fornito dal singolo operaio moltiplicato per il numero degli operai occupati allo stesso tempo. Questo numero, in sè e per sè, non cambia per niente il saggio del plusvalore, ossia il grado di sfruttamento della forza-lavoro; e ogni cambiamento qualitativo del processo lavorativo sembra indifferente per quanto riguarda la produzione di valore in merci in generale. Questo consegue dalla natura del valore. Se 1 giornata lavorativa di 12 ore si oggettiva in 72 €, 1.200 giornate come quella si oggettivano in 72 € x 1.200. In quest’ultimo caso si sono incorporate nei prodotti 12 x 1.200 ore lavorative, nell’altro 12. Nella produzione di valore molti contano sempre soltanto come molti singoli. Dunque per la produzione di valore non fa nessuna differenza che 1200 operai producano singolarmente, oppure riuniti sotto il comando dello stesso capitale.

Tuttavia, entro certi limiti, ha luogo una modificazione. Lavoro oggettivato in valore è lavoro di qualità sociale media; dunque esplicazione di una forza-lavoro media. Ma una grandezza media esiste sempre soltanto come media di molte differenti grandezze individuali dello stesso genere. In ogni ramo d’industria l’operaio individuale, Pietro o Paolo, s’allontana più meno dall’operaio medio. Queste differenze individuali, che in matematica si chiamano «errori», si compensano e scompaiono appena si riunisca un numero piuttosto considerevole di operai. Il famoso sofista e sicofante Edmund Burke pretende addirittura di sapere, per le sue esperienze pratiche di fittavolo, che già per « un plotone così poco numeroso » come quello costituito da cinque lavoranti di fattoria, scompare ogni differenza individuale di lavoro e che quindi i primi cinque qualsiasi lavoranti agricoli inglesi in età adulta presi insieme forniscono nello stesso tempo proprio la stessa quantità di lavoro di altri cinque lavoranti qualsiasi inglesi[8]. Comunque sia, è chiaro che la giornata lavorativa complessiva d’un numero piuttosto considerevole di operai occupati nello stesso tempo, divisa per il numero degli operai è in sè e per sè una giornata di lavoro sociale medio. La giornata lavorativa del singolo sia per esempio di 12 ore. Allora la giornata lavorativa di 12 operai occupati nello stesso tempo costituisce una giornata lavorativa complessiva di 144 ore e benchè il lavoro di ognuno di quei 12 operai possa differire o meno dal lavoro sociale medio e quindi benchè il singolo possa abbisognare di più o meno tempo per la stessa operazione, tuttavia la giornata lavorativa di ogni singolo possiede la qualità media sociale, in quanto è un dodicesimo della giornata lavorativa complessiva di centoquarantaquattro ore. Ma per il capitalista che occupa una dozzina di operai, la giornata lavorativa esiste come giornata lavorativa complessiva di quei dodici operai. La giornata lavorativa di ogni singolo esiste come parte aliquota della giornata lavorativa complessiva, in maniera del tutto indipendente dal fatto che i 12 operai compiano operazioni connesse l’una all’altra, o che invece tutto il nesso fra il lavoro dell’uno e quello dell’altro consista nel fatto di lavorare per lo stesso capitalista. Se invece questi 12 operai vengono occupati a coppie, ognuna da un piccolo mastro artigiano, diventa un fatto casuale che ognuno dei mastri artigiani produca la stessa massa di lavoro, e quindi che realizzi il saggio generale del plusvalore. Si avrebbero differenze individuali.

 Se un operaio consumasse nella produzione d’una merce molto più tempo di quanto è richiesto socialmente, se il tempo di lavoro necessario per lui individualmente differisse molto dal tempo socialmente necessario ossia dal tempo di lavoro medio, il lavoro di questo operaio non sarebbe considerato lavoro medio, la sua forza- lavoro non sarebbe considerata forza-lavoro media; essa non troverebbe da vendersi, oppure troverebbe, ma solo al di sotto del valore medio della forza-lavoro.

Dunque si presuppone un minimo determinato di abilità nel lavoro e più avanti vedremo che la produzione capitalistica trova i mezzi per misurare questo minimo. Ciò non di meno il minimo differisce dalla media benchè dall’altra parte debba venire pagato il valore medio della forza-lavoro. Quindi dei sei piccoli mastri artigiani, l’uno riceverebbe qualcosa in più, l’altro riceverebbe qualcosa in meno del saggio generale del plusvalore. Le ineguaglianze si compenserebbero per la società, ma non per il singolo mastro artigiano. Dunque la legge della valorizzazione, in genere, si realizza completamente per il singolo produttore soltanto quando egli produce come capitalista, impiega molti operai allo stesso tempo e quindi mette in moto fin da principio lavoro sociale medio[9].

Anche se il modo di lavoro rimane identico, l’impiego contemporaneo d’un numero piuttosto considerevole d’operai effettua una rivoluzione nelle condizioni oggettive del processo lavorativo. Edifici nei quali lavori molta gente, depositi di materie prime, ecc., recipienti, strumenti, apparecchi, ecc. che servono a molti nello stesso tempo o a turno, in breve, una parte dei mezzi di produzione viene ora consumata in comune nel processo lavorativo. Da una parte il valore di scambio delle merci e quindi anche dei mezzi di produzione, non viene affatto accresciuto per via d’un qualsiasi aumento nello sfruttamento del loro valore d’uso. Dall’altra parte, cresce la scala dei mezzi di produzione usati in comune. Una stanza nella quale lavorino 20 tessitori coi loro 20 telai dev’essere per forza più ampia della camera del tessitore indipendente con 2 garzoni. Ma la produzione di un laboratorio per 20 persone costa meno lavoro della produzione di 10 laboratori da 2 persone ognuno, e così in genere il valore di mezzi di produzione concentrati in massa e comuni non cresce in proporzione del loro volume e del loro effetto utile. I mezzi di produzione consumati in comune cedono al singolo prodotto una minor parte costitutiva del loro valore, in parte perchè il valore complessivo che cedono si distribuisce simultaneamente su una maggior massa di prodotti, in parte perchè essi entrano nel processo della produzione con un valore che in assoluto è maggiore, mantenendo presente la loro sfera d’azione è relativamente minore di quello dei mezzi di produzione isolati. Così cala una parte costitutiva del valore del capitale costante, e proporzionalmente alla sua grandezza cala dunque anche il valore complessivo della merce L’effetto è lo stesso che se i mezzi di produzione della merce venissero prodotti più a buon mercato. Questa economia nell’impiego dei mezzi di produzione deriva soltanto dal loro consumo comune nel processo di lavoro di molte persone. Ed essi vengono ad avere questo carattere in quanto sono condizioni di lavoro sociale ossia sono condizioni sociali del lavoro, a differenza dei mezzi di produzione dispersi e relativamente costosi di singoli operai o piccoli maestri artigiani indipendenti, anche quando i molti lavorano insieme soltanto perchè si trovano nello stesso locale, e non lavorano l’un con l’altro. Una parte dei mezzi di lavoro acquista questo carattere sociale prima c’ne lo acquisti lo stesso processo lavorativo.

L’economia di mezzi di produzione va considerata, in generale, da un duplice punto di vista. Primo, in quanto riduce le merci più a buon mercato e con ciò fa calare il valore della forza-lavoro. Secondo, in quanto altera il rapporto fra plusvalore e capitale complessivo anticipato, cioè fra plusvalore e la somma in valore delle parti costitutive costanti e variabili del capitale complessivo. Quest’ultimo punto sarà discusso soltanto nella prima sezione del terzo libro di quest’opera, alla quale rimandiamo, per mantenere i nessi, anche molte cose che rientrerebbero già in questo capitolo. L’andamento dell’analisi impone questa lacerazione dell’argomento trattato; scomposizione che corrisponde anche allo spirito della produzione capitalistica. Infatti, poichè qui le condizioni di lavoro si contrappongono per  conto proprio all’operaio, anche la loro economia appare come operazione particolare che non lo riguarda affatto ed è quindi separata dai metodi che accrescono la sua produttività personale.

La forma del lavoro di molte persone che lavorano l’una accanto all’altra e l’una assieme all’altra secondo un piano, in uno stesso processo di produzione, o in processi di produzione differenti ma connessi, si chiama cooperazione[10].

Come la forza d’attacco di uno squadrone di cavalleria o la forza di resistenza di un reggimento di fanteria è sostanzialmente differente dalle forze di attacco e di resistenza sviluppate da ogni singolo cavaliere o fante, così la somma meccanica delle forze dei lavoratori singoli è sostanzialmente differente dal potenziale sociale di forza che si sviluppa quando molte braccia cooperano contemporaneamente a una stessa operazione indivisa; per esempio, quando c’è da sollevare un peso, da girare una manovella, o da rimuovere un ostacolo[11]. Qui il lavoro singolo non potrebbe produrre affatto l’effetto del lavoro combinato oppure potrebbe produrlo soltanto in periodi molto più lunghi oppure soltanto su infima scala. Qui non si tratta soltanto di aumento della forza produttiva individuale mediante la cooperazione, ma di creazione d’una forza produttiva che dev’essere in sè e per sè forza di massa.11a

Fatta astrazione dal nuovo potenziale di forza che deriva dalla fusione di molte forze in una sola forza complessiva, il semplice contatto sociale genera nella maggior parte dei lavori produttivi una emulazione e una peculiare eccitazione degli spiriti vitali (animal spirits) le quali aumentano la capacità di rendimento individuale dei singoli, cosicchè una dozzina di persone insieme forniscono in una giornata lavorativa di 144 ore un prodotto complessivo molto maggiore di quello di 12 operai singoli che lavorino ognuno 12 ore, o di un operaio che lavori 12 giorni di seguito[12]. Questo deriva dal fatto che l’uomo è per natura un animale, se non politico[13], come pensa Aristotele, certo sociale.

Benché molte persone compiano insieme e contemporaneamente la stessa operazione, oppure operazioni dello stesso genere, il lavoro individuale di ciascuno può tuttavia rappresentare, come parte del lavoro complessivo, differenti fasi del processo di lavoro di per sè preso, fasi che l’oggetto del lavoro percorre più rapidamente in conseguenza della cooperazione. Per esempio, quando dei muratori fanno catena per passare le pietre da costruzione di mano in mano dai piedi fino alla cima d’una impalcatura, ciascuno di essi fa la stessa cosa, ma tuttavia le singole operazioni costituiscono parti continue d’una operazione complessiva, fasi particolari che nel processo lavorativo debbono esser percorse da ogni pietra da costruzione, e attraverso le quali per esempio le ventiquattro mani dell’operaio complessivo la mandano avanti più alla svelta delle due mani di ogni singolo operaio che salga e scenda per l’impalcatura[14]. L’oggetto del lavoro percorre lo stesso spazio in un tempo più breve. D’altra parte, si ha combinazione di lavoro, per esempio quando una costruzione viene iniziata contemporaneamente da parti differenti, benchè le persone che cooperano facciano la stessa cosa o cose dello stesso genere. La giornata lavorativa combinata di 144 ore, che nello spazio attacca l’oggetto del lavoro da molte parti, poiché l’operaio combinato o operaio complessivo ha occhi e mani davanti e di dietro, e possiede fino a un certo punto la dote dell’ubiquità, fa procedere il prodotto complessivo più alla svelta che non 12 giornate lavorative di 12 ore di operai più o meno isolati, che debbono applicarsi al loro lavoro in maniera più unilaterale. Parti differenti del prodotto, separate nello spazio, maturano nello stesso tempo.

Abbiamo sottolineato il fatto che le molte persone integrantisi a vicenda fanno la stessa cosa oppure cose dello stesso genere, perchè questa, che è la forma più semplice di lavoro comune, ha grande importanza anche nella forma più perfezionata della cooperazione. Se il processo di lavoro è complicato, la semplice massa dei collaboranti permette di distribuire fra differenti braccia le differenti operazioni, e quindi di compierle contemporaneamente, e di abbreviare così il tempo di lavoro necessario a fabbricare il prodotto complessivo[15].

In molti rami di produzione si hanno momenti critici, cioè periodi di tempo determinati dalla natura del processo lavorativo stesso, durante i quali debbono essere raggiunti nel lavoro determinati. risultati. Se per esempio si ha da tosare un gregge di pecore o da mietere e immagazzinare il grano d’un certo numero di iugeri, la quantità e la qualità del prodotto dipendono dal cominciare e dal finire l’operazione a un certo momento. Qui lo spazio di tempo che può esser preso dal processo di lavoro è prescritto come per esempio per la pesca delle aringhe. Da una giornata il singolo può ritagliarsi solo una giornata lavorativa, diciamo di dodici ore, ma la cooperazione per esempio di cento persone amplia una giornata di dodici ore a una giornata lavorativa di milleduecento ore. La brevità del termine nel quale si può lavorare è compensata dalla grandezza della massa di lavoro gettata nel campo di produzione al momento decisivo. Che l’effetto si raggiunga nel tempo debito, qui dipende dall’impiego simultaneo di molte giornate lavorative combinate; e l’ampiezza dell’effetto utile dipende dal numero degli operai, che tuttavia rimane sempre inferiore al numero degli operai che raggiungerebbero lo stesso effetto nello stesso tempo rimanendo isolati[16]. Proprio perchè manca questa cooperazione, nella parte occidentale degli Stati Uniti va sciupata ogni anno una gran quantità di grano, e nelle parti delle Indie orientali dove il dominio inglese ha distrutto la antica comunità, va sciupata ogni anno una gran quantità di cotone[17].

Da una parte, la cooperazione permette di dilatare l’ambito spaziale del lavoro, e quindi per certi processi lavorativi è richiesta già dall’estensione stessa dell’oggetto del lavoro, come per il prosciuga mento di terreni, per la costruzione di argini, per la irrigazione, per la costruzione di canali, strade, ferrovie, ecc. Dall’altra parte, la cooperazione rende possibile, relativamente alla scala della produzione, una contrazione spaziale del campo di produzione. Tale restrizione dell’ambito spaziale del lavoro, accompagnata dalla dilatazione della sua sfera d’azione, per la quale si risparmiano una gran quantità di false spese (faux frais), deriva dalla conglomerazione degli operai, dalla riunione di diversi processi di lavoro e dalla concentrazione dei mezzi di produzione[18].

La giornata di lavoro combinata produce quantità di valore d’uso maggiori della somma di un eguale numero di giornate lavorative individuali singole, e quindi diminuisce il tempo di lavoro necessario per produrre un determinato effetto utile. Che la giornata lavorativa combinata riceva tale forza produttiva accresciuta, nel caso dato, perché essa eleva il potenziale meccanico del lavoro, o perché dilata nello spazio la sfera d’azione del lavoro, o perché contrae nello spazio, in rapporto alla scala di produzione, il campo di produzione, o perchè nel momento critico rende liquido molto lavoro in poco tempo, o perchè eccita l’emulazione dei singoli intensificandone gli spiriti vitali, o perché imprime alle operazioni dello stesso genere compiute da molte persone il carattere della continuità e della multilateralità, o perchè compie contemporaneamente operazioni differenti, o perchè economizza i mezzi di produzione mediante l’uso in comune di essi, o perchè conferisce al lavoro individuale il carattere di lavoro sociale medio, — in ogni caso, la forza produttiva specifica della giornata lavorativa combinata è forza produttiva sociale del lavoro, ossia forza produttiva del lavoro sociale. E deriva dalla cooperazione stessa. Nella cooperazione pianificata con altri l’operaio si spoglia dei suoi limiti individuali e sviluppa la facoltà della sua specie[19].

Poichè in generale non si può avere cooperazione diretta fra lavoratori senza che stiano insieme, e quindi il loro agglomeramento in uno spazio determinato è condizione della loro cooperazione, non si può avere cooperazione fra salariati senza che lo stesso capitale, lo stesso capitalista, li impieghi nello stesso tempo, cioè comperi nello stesso tempo le loro forze-lavoro. Il valore complessivo di queste forze-lavoro, ossia il totale del salario per il giorno, la settimana, ecc. dev’essere quindi riunito nella tasca del capitalista prima che quelle forze-lavoro vengano riunite nel processo produttivo. Il pagamento di trecento operai d’un sol tratto, anche per un giorno solo, esige un esborso di capitale maggiore del pagamento di pochi operai settimana per settimana durante tutto l’anno. Dunque, il numero degli operai impegnati nella cooperazione, ossia la scala della cooperazione, dipende in primo luogo dalla grandezza del capitale che il capitalista singolo è in grado di sborsare per l’acquisto di forza-lavoro; cioè, dipende dalla misura nella quale ogni singolo capitalista dispone di volta in volta dei mezzi di sussistenza di molti operai.

E per il capitale costante le cose stanno come per il capitale variabile.

Per esempio la spesa per le materie prime del capitalista che impiega trecento operai è trenta volte maggiore di quella di ognuno dei trenta capitalisti che impiegano ciascuno dieci operai. Certo, il volume del valore e la massa materiale dei mezzi di lavoro usati in comune non crescono nella stessa proporzione del numero degli operai impiegati, tuttavia crescono in maniera considerevole. Dunque, la concentrazione di masse piuttosto grandi di mezzi di produzione in mano di singoli capitalisti costituisce la condizione materiale della cooperazione degli operai salariati e la misura della cooperazione, ossia la scala della produzione, dipende dalla misura di tale concentrazione.

In principio era apparsa necessaria una certa grandezza minima del capitale individuale affinché il numero degli operai simultaneamente sfruttati e quindi la massa del plusvalore prodotto, fosse sufficiente a esimere dal lavoro manuale la persona che impiegava gli operai, e a farne da piccolo mastro artigiano un capitalista, istituendo così formalmente il rapporto capitalistico. Adesso, quella grandezza minima si presenta come condizione materiale della trasformazione di molti processi lavorativi individuali dispersi e indipendenti gli uni dagli altri in un processo lavorativo sociale combinato.

Così pure in principio il comando del capitale sul lavoro si presentava solo come conseguenza formale del fatto che l’operaio, invece di lavorare per sè, lavora per il capitalista, e quindi sotto il capitalista. Con la cooperazione di molti operai salariati il comando del capitale si evolve a esigenza della esecuzione del processo lavorativo stesso, cioè a condizione reale della produzione. Ora l’ordine del capitalista sul luogo di produzione diventa indispensabile come l’ordine del generale sul campo di battaglia.

Ogni lavoro sociale in senso immediato, ossia ogni lavoro in comune, quando sia compiuto su scala considerevole, abbisogna, più o meno, d’una direzione che procuri l’armonia delle attività individuali e compia le funzioni generali che derivano dal movimento del corpo produttivo complessivo, in quanto differente dal movimento degli organi autonomi di esso. Un singolo violinista si dirige da solo, un’orchestra ha bisogno di un direttore. Questa funzione di direzione, sorveglianza, coordinamento, diventa funzione del capitale appena il lavoro ad esso subordinato diventa cooperativo. La funzione direttiva riceve note caratteristiche specifiche in quanto funzione specifica del capitale.

Motivo propulsore e scopo determinante del processo capitalistico di produzione è in primo luogo la maggior possibile autovalorizzazione del capitale[20], cioè la produzione di plusvalore più grande possibile, e quindi il maggiore sfruttamento possibile della forza-lavoro da parte del capitalista. Con la massa degli operai simultaneamente impiegati cresce la loro resistenza, e quindi necessariamente la pressione del capitale per superare tale resistenza. La direzione del capitalista non è soltanto una funzione particolare derivante dalla natura del processo lavorativo sociale e a tale processo pertinente; ma è insieme funzione di sfruttamento di un processo lavorativo sociale ed è quindi un portato dell’inevitabile antagonismo fra lo sfruttatore e la materia prima da lui sfruttata. Così pure, col crescere del volume dei mezzi di produzione che l’operaio salariato si trova davanti come proprietà altrui, cresce la necessità del controllo affinchè essi vengano adoprati convenientemente[21]. Inoltre, la cooperazione degli operai salariati è un semplice effetto del capitale che li impiega simultaneamente; la connessione delle loro funzioni e la loro unità come corpo produttivo complessivo stanno al di fuori degli operai salariati, nel capitale che li riunisce e li tiene insieme. Quindi agli operai salariati la connessione fra i loro lavori si contrappone, idealmente come piano, praticamente come autorità del capitalista, come, potenza d’una volontà estranea che assoggetta al proprio fine la loro attività.

Dunque la direzione capitalistica è, quanto al contenuto, di duplice natura a causa della duplice natura del processo produttivo stesso che dev’essere diretto, il quale da una parte è processo lavorativo sociale per la fabbricazione di un prodotto, dall’altra parte processo di valorizzazione del capitale; ma quanto alla forma è dispotica. Questo dispotismo sviluppa poi le sue forme peculiari mano a mano che la cooperazione si sviluppa su scala maggiore. Prima, il capitalista viene esentato dal lavoro manuale appena il suo capitale ha raggiunto quella grandezza minima che sola permette l’inizio della produzione capitalistica; ora torna a cedere a sua volta a un genere particolare di operai salariati la funzione della sorveglianza diretta e continua dei singoli operai e dei singoli gruppi di operai. Allo stesso modo che un esercito ha bisogno di ufficiali e sottufficiali militari, una massa di operai operanti insieme sotto il comando dello stesso capitale ha bisogno di ufficiali superiori (dirigenti, managers) e di sottufficiali (sorveglianti, capireparto, controllori) industriali, i quali durante il processo di lavoro comandano in nome del capitale. Il lavoro di sorveglianza si consolida diventando loro funzione esclusiva. Chi tratta di economia politica, quando confronta il modo di produzione dei contadini indipendenti o degli artigiani autonomi con il sistema delle piantagioni fondato sulla schiavitù, annovera questo lavoro di sorveglianza fra i faux frais de production21a Invece, quando esamina il modo di produzione capitalistico, egli identifica la funzione direttiva, in quanto deriva dalla natura stessa del processo lavorativo comune, con la stessa funzione, in quanto portato del carattere capitalistico, quindi antagonistico, di questo processo[22]. Il capitalista non è capitalista perchè dirigente industriale ma diventa comandante industriale perchè è capitalista. Il comando supremo nell’industria diventa attributo del capitale, come nell’età feudale il comando supremo in guerra e in tribunale era attributo della proprietà fondiaria22a.

L’operaio è proprietario della propria forza-lavoro finchè negozia col capitalista come venditore di essa; ed egli può vendere solo quello che possiede: la sua individuale, singola forza lavorativa. Questo rapporto non viene in alcun modo cambiato per il fatto che il capitalista comperi cento forze-lavoro invece di una e invece di concludere un contratto con un singolo operaio lo concluda con cento operai indipendenti l’uno dall’altro. Può impiegare i cento operai senza farli cooperare. Il capitalista paga quindi il valore delle cento forze-lavoro autonome, ma non paga la forza-lavoro combinata dei cento operai. Come persone indipendenti gli operai sono dei singoli i quali entrano in rapporto con lo stesso capitale ma non in rapporto reciproco fra loro. La loro cooperazione comincia soltanto nel processo lavorativo, ma nel processo lavorativo hanno già cessato d’appartenere a se stessi. Entrandovi, sono incorporati nel capitale. Come cooperanti, come membri d’un organismo operante, sono essi stessi soltanto un modo particolare d’esistenza del capitale. Dunque, la forza produttiva sviluppata dall’operaio come operaio sociale è forza produttiva del capitale.

La forza produttiva sociale del lavoro si sviluppa gratuitamente appena gli operai vengono posti in certe condizioni; e il capitale li pone in quelle condizioni. Siccome la forza produttiva sociale del lavoro non costa nulla al capitale, perchè d’altra parte non viene sviluppata dall’operaio prima che il suo stesso lavoro appartenga al capitale, essa si presenta come forza produttiva posseduta dal capitale per natura, come sua forza produttiva immanente.

L’effetto della cooperazione semplice si manifesta in maniera straordinaria nelle opere colossali degli asiatici, degli egiziani, degli etruschi ecc. dell’antichità. « In tempi passati avvenne che questi Stati asiatici, dopo avere provveduto alle loro spese civili e militari, si trovassero in possesso d’un sovrappiù di mezzi di sussistenza, che potevano spendere per opere di magnificenza e di utilità. Avevano a disposizione le mani e le braccia di quasi tutta la popolazione non agri cola, il monarca e i sacerdoti avevano potere esclusivo su quel sovrappiù: ciò offriva loro i mezzi di erigere quegli imponenti monumenti dei quali riempirono il paese... Per muovere le statue colossali e le masse enormi il cui trasporto ci fa stupire, si adoperava prodigalmente quasi solo lavoro umano. Erano sufficienti il numero dei lavoratori e la concentrazione dei loro sforzi. Così vediamo potenti scogliere di coralli emergere dalle profondità dell’oceano, ingrossarsi a formare isole e terraferma, benchè ogni depositante (depositary) singolo sia piccolissimo, debole, trascurabile. I lavoratori non agricoli d’una monarchia asiatica possono contribuire ben poco all’opera, fuor che con i loro sforzi fisici individuali, ma la loro forza è il loro numero; e il potere di dirigere quelle masse ha dato origine a quelle opere titaniche. Ed è stata la concentrazione in una o in poche mani dei prodotti con cui sostentavano la vita quei lavoratori, a render possibili tali imprese»[23]. Questa potenza dei re asiatici ed egiziani o dei teocrati etruschi ecc., si è trasferita nella società moderna al capitalista, sia che si presenti come capitalista singolo, sia che si presenti come capitalista collettivo, come avviene nelle società per azioni.

La cooperazione nel processo di lavoro che troviamo predominante agli inizi dell’incivilimento dell’umanità, presso popoli cacciatori23a o, per esempio, nell’agricoltura delle comunità indiane, poggia da una parte sulla proprietà comune delle condizioni di produzione, dall’altra sul fatto che il singolo individuo non si è ancora strappato dal cordone ombelicale della tribù o della comunità, come l’ape singola non si stacca dall’alveare. Entrambi questi fatti la distinguono dalla cooperazione capitalistica. L’applicazione sporadica della cooperazione su larga scala nel mondo antico, nel medioevo e nelle colonie moderne poggia su rapporti immediati di signoria e servitù, e per la maggior parte dei casi sulla schiavitù. Invece la forma capitalistica presuppone fin da principio, l’operaio salariato libero, il quale vende al capitale la sua forza-lavoro. Tuttavia storicamente questa forma si sviluppa in antagonismo all’economia contadina e all’esercizio artigiano indipendente, abbia questo forma corporativa o meno[24]. Di fronte al contadino o all’artigiano indipendenti, non è la cooperazione capitalistica che si presenta come una forma storica particolare della cooperazione, ma è proprio la cooperazione di per sè che si presenta come una forma storica peculiare del processo di produzione capitalistico, la quale lo distingue specificamente.

Come la forza produttiva sociale del lavoro sviluppata mediante la cooperazione si presenta quale forza produttiva del capitale, così la cooperazione stessa si presenta quale forma specifica del processo produttivo capitalistico, in opposizione al processo produttivo dei singoli operai indipendenti o anche dei piccoli mastri artigiani. È il primo cambiamento al quale soggiace il reale processo di lavoro per il fatto della sua sussunzione sotto il capitale. Questo cambiamento avviene in maniera naturale e spontanea. Il suo presupposto che è l’impiego simultaneo di un numero considerevole di salariati nello stesso processo lavorativo, costituisce il punto di partenza della produzione capitalistica. E questo coincide con l’esistenza dello stesso capitale. Se quindi il modo capitalistico di produzione da una parte si presenta come necessità storica affinchè il processo lavorativo si trasformi in un processo sociale, dall’altra parte questa forma sociale del processo lavorativo si presenta come metodo applicato dal capitale per sfruttare il processo stesso più profittevolmente mediante l’accrescimento della sua forza produttiva.

Nella sua forma semplice che abbiamo finora considerato, la cooperazione coincide con la produzione su scala di una certa grandezza, ma non costituisce affatto una forma fissa, caratteristica di un’epoca particolare dello sviluppo del modo capitalistico di produzione. Tutt’al più si presenta approssimativamente come tale agli inizi della manifattura, ancora artigianali[25] e in quel genere di grande agricoltura che corrisponde al periodo della manifattura e si distingue dall’economia contadina sostanzialmente solo per la massa dei lavoratori simultaneamente impiegati e per il volume dei mezzi di produzione concentrati. La cooperazione semplice è ancora sempre la forma predominante di quei rami di produzione nei quali il capitale opera su larga scala, senza che la divisione del lavoro o le macchine vi abbiano una parte importante.

La cooperazione rimane la forma fondamentale del modo di produzione capitalistico, benché la sua figura semplice, per sè presa, si presenti come forma particolare accanto alle sue altre forme più evolute.

NOTE


[8] « Senza dubbio, c’è una notevole differenza fra il valore del lavoro d’un uomo e quello d’un altro, per forza, destrezza, e onesta applicazione. Ma sono sicurissimo, per le mie osservazioni assai accurate, che qualsiasi dato gruppo di cinque uomini, nell’insieme fornirà una porzione di lavoro eguale a quella di ogni altro gruppo di cinque, entro i limiti d’età che ho accennato; cioè, che fra quei cinque uomini ce ne sarà uno che possiede tutte le qualificazioni d’un buon lavoratore, uno cattivo, e gli altri tre mediocri, avvicinantisi al primo e all’ultimo. Cosicchè anche in un piccolo plotone, come quello di soli cinque uomini, troverete l’insieme di tutto quel che cinque uomini possono dare » (E. BURKE, Thoughts and Details ecc., pp. 15, 16). Cfr. il Quételet sull’individuo medio.

[9] Il signor Professore Roscher pretende d’aver scoperto che una cucitrice, occupata per due giornate dalla Signora del Professore, fornisce più lavoro che non due cucitrici occupate dalla Signora del Professore nella stessa giornata. Il signor Professore non faccia le sue osservazioni sul processo di produzione del capitale nella camera dei bambini, e non le faccia in circostanze nelle quali manca il personaggio principale, il capitalista.

[10] « Concours de forces » (DESTUTT DE TRACY Traité de la Volonté ecc., p. 80).

[11] « Ci sono numerosi lavori di specie così semplice da non ammettere una divisione in parti, che però non possono esser compiuti senza la cooperazione di molte paia di braccia. Per esempio, il sollevare un grosso tronco e metterlo su un carro... in breve, ogni cosa che non possa esser fatta senza che molte paia di braccia si aiutino reciprocamente nella stessa attività indivisa e compiuta nello stesso tempo » (E. G. WAKEF IELD, A View of the Art of Colonization, Londra, 1849, p. 168).11a  « Mentre un uomo non è capace, e dieci debbono fare uno sforzo per sollevare una tonnellata, pure cento uomini la possono sollevare con la sola forza di un dito d’ognuno » (JOHN BELLERS, Proposals for raising a Colledge of Industry, Londra, 1696, p. 21).

[12] « C’è anche» (se lo stesso numero di lavoranti viene impiegato da un fittavolo solo per trecento, invece che da dieci fittavoli per trenta acri)  « nella proporzione dei servi di fattoria un vantaggio che non sarà compreso tanto facilmente, fuorchè dagli uomini pratici; perchè è naturale dire: come uno sta a quattro, così tre sta a dodici; ma questo non vale in pratica; poichè nel periodo del raccolto e in molte altre operazioni che richiedono anch’esse d’esser affrettate, col mettere molte braccia insieme il lavoro è fatto meglio e più speditamente: p. es., nel raccolto, due guidatori, due caricatori, due legatori, due rastrellatori, e il resto al pagliaio e al fienile faranno insieme il doppio del lavoro che lo stesso numero di braccia farebbe se diviso in differenti squadre e in differenti masserie » ([J. ARBUTHNOT,] An Inquiry into the Connection between the present price of provisions and the size of farms. By a farmer, Londra, 1773, pp. 7, 8).

[13] Propriamente, la definizione di Aristotele dice che l’uomo è per natura cittadino. Essa è caratteristica dell’antichità quanto è caratteristica dello spirito yankee la definizione del Franklin, che l’uomo è per natura e « facitore di strumenti ».

[14] « Si deve osservare inoltre che questa divisione parziale del lavoro può aversi anche quando gli operai sono occupati in una sola operazione. Per esempio, dei muratori occupati a far passare dei mattoni di mano in mano su un’impalcatura più alta, fanno tutti la stessa operazione, eppure si ha fra loro una specie di divisione del lavoro, la quale consiste in ciò: ciascuno di essi fa passare il mattone per uno spazio dato, e tutti insieme lo fanno arrivare al punto destinato molto più alla svelta di quanto farebbero se ciascuno portasse il suo mattone separatamente sull’impalcatura più alta » (F. SKARBEK, Théorie des richesses sociales, 2 ed., Parigi, 1839, voI. I, pp. 97, 98).

[15] « Se si tratta di eseguire un lavoro complicato, parecchie cose debbono esser fatte simultaneamente. Uno ne fa una mentre un altro ne fa un’altra; e tutti contribuiscono all’effetto che un uomo solo non avrebbe potuto produrre. Uno rema mentre un altro tiene il timone, e un altro ancora getta la rete o lancia la fìocina sul pesce; e la pesca ha una riuscita che senza questa collaborazione sarebbe impossibile » (DESTUTT DE TRACY, Traité de la Volonté ecc., p. 78).

[16] « La sua (del lavoro agricolo) esecuzione nel momento critico ha tanto maggiore importanza »     ( [ARBUTHNOT,] An Inquiry into the Connection between the present price ecc., [ Londra 1773, p. .. 7]). « Nell’agricoltura non c’è fattore più importante del fattore tempo » (LIEBIG, Uber Theorie und Praxis in der Landwirtschaft, [ Brunswick], 1856, p. 23).

[17] « L’altro malanno è uno che non ci si aspetterebbe di trovare in un paese che esporta più lavoro di ogni altro paese del mondo, ad accezione, forse, della Cina e dell’Inghilterra: l’impossibilità di procurarsi un sufficiente numero di braccia per il raccolto del cotone. La conseguenza è che gran quantità della messe non viene colta, mentre un’altra parte viene raccolta da terra quando è caduta, ed è naturalmente macchiata e in parte guasta cosicchè per mancanza di lavoratori nella stagione dovuta il coltivatore è di fatto costretto ad adattarsi alla perdita di una gran parte di quel raccolto che l’Inghilterra aspetta con tanta ansia » (Bengal Hurkaru, Bimonthly Overland Summary of News, 22 luglio 1861).

[18] « Col progresso della coltivazione, tutto il capitale e il lavoro che prima si applicavano, disseminati, a cinquecento acri e forse più ancora, ora sono concentrati in una coltivazione più completa di cento acri ». Benchè « relativamente all’ammontare del capitale e del lavoro impiegati, lo spazio sia più ristretto, si ha ora una sfera allargata di produzione, in confronto con la sfera di produzione prima posseduta ossia coltivata da un singolo agente indipendente della produzione » (R. JONES, An Essay on the Distribution of Wealth. On Rent, Londra, 1831, p. 191).

[19] « La forza di ciascun uomo è minima, ma la riunione delle minime forze forma una forza totale maggiore anche della somma delle forze medesime fino a che le forze per essere riunite possono diminuire il tempo ed accrescere io spazio della loro azione » (G. R. CARLI, Nota a P. VERRI, Meditazioni ecc., vol. XV, p. 196).

[20] « Profit... is the sole end of trade » (J. VANDERLINT, Money answers ecc., p. 11).

[21]  Un foglio filisteo inglese, lo Spectator del 26 maggio 1866, riferisce che, in seguito all’introduzione di una specie di compartecipazione fra capitalista ed operai nella Wirework company of Manchester [Compagnia per la fabbricazione dei fili metallici di Manchester], « il primo risultato fu un’improvvisa diminuzione dello sciupio di materiale, poichè gli operai non vedevano perchè dovessero sperperare la loro proprietà più di qualsiasi altro padrone; e lo sperpero di materiale è, assieme ai cattivi crediti, la maggior fonte di perdite per le manifatture ». Lo stesso foglio scopre che il difetto fondamentale dei Rochdale cooperative experiments era: « They showed that association of workmen could manage shops, mills, and almost all forms of industry with success, and they immensely improved the condition of the men, but then they did not leave a clear piace for masters » (Hanno dimostrato che le associazioni di operai possono gestire con successo negozi, fabbriche, e quasi tutte le forme d’industria, e hanno immensamente migliorato la situazione di quella gente; ma!... ma, poi non han lasciato disponibile nessun posto pei capitalisti. Quelle horreur!).

21a Il professor Cairnes, dopo aver rappresentato la superintendence of labour come uno dei caratteri principali della produzione schiavistica negli Stati meridionali dell’America del Nord, continua: « Siccome il contadino proprietario (del Nord) riceve l’intero prodotto del suo terreno, egli non abbisogna di particolare sprone per darsi da fare. Qui la sorveglianza si rende del tutto superflua » (CAIRNES, The Slave Power, pp. 48, 49).

[22] Sir James Steuart, che in genere si contraddistingue per l’occhio aperto alle differenze sociali caratteristiche fra differenti modi di produzione, osserva: « Perchè le grandi imprese manifatturiere rovinano l’industria privata, se non perchè si avvicinano di più alla semplicità dei lavoro degli schiavi? » (Principles of Politica! Economy, Londra, 1767, vol I, pp. t67 168).

22a August Comte e la sua scuola avrebbero quindi potuto dimostrare l’eterna necessità dei signori feudali, alla stessa maniera come hanno fatto per i signori del capitale.

[23] R. JONES, Textbook of Lectures, ecc., pp. 77, 78. Le collezioni assire, egiziane, ecc, antiche in Londra e in altre capitali europee ci rendono testimoni oculari di quei processi di lavoro cooperativo.

23a Forse non ha torto il LINGUET nella sua Théorie des Lois civiles, quando dice che la caccia è la prima forma di cooperazione e la caccia all’uomo (guerra) è una delle prime forme di caccia.

[24] La piccola economia contadina e l’esercizio artigiano indipendente, che entrambi costituiscono in parte la base del modo di produzione feudale, in parte si presentano dopo la dissoluzione di quest’ultimo accanto all’impresa capitalistica, costituiscono allo stesso tempo il fondamento economico della comunità classica nella sua epoca migliore, dopo che si fu disciolta la originaria proprietà comune orientale, e prima che la schiavitù si fosse impadronita seriamente della produzione.

[25] «Che l’unione di abilità, industriosità ed emulazione di molte persone insieme nella stessa opera non sia la via di farli progredire? E sarebbe stato altrimenti possibile per l’Inghilterra aver condotto la sua manifattura laniera a tanta perfezione ? » (BERKELEY, The Querist, Londra. 1750, p. 56, par. 521).

 

 AVVERTENZA PER IL LETTORE

Il testo del I libro del Capitale che viene qui riportato NON È UNA DELLE TRADUZIONI INTEGRALI DEL TESTO ORIGINALE che sono disponibili: esso infatti è una rivisitazione delle traduzioni esistenti (in italiano ed in francese) a cui sono state apportate le seguenti modifiche:

1  negli esempi numerici, per facilitare la lettura, sono state cambiate le unità di misura e le grandezze;

2 –  diversi dati richiamati nella forma di testo sono stati trasformati in tabelle ed in grafici;

3 – in alcuni esempi numerici le cifre decimali indicate sono state limitate a due e nel caso di numeri periodici, ad esempio 1/3 o 2/3, la cifra periodica è stata indicata ponendovi a fianco un apice ().

Ci rendiamo conto che leggere un testo del Capitale in cui Marx formula esempi in Euro (€) invece che in Lire Sterline (Lst) o scellini potrebbe far sorridere e far pensare ad uno scherzo o ad una manipolazione che ha  travisato il pensiero dell’Autore, avvertiamo invece il lettore che il testo è assolutamente fedele al pensiero originale  e che ci siamo permessi di introdurre alcune “varianti” per consentire a coloro che non hanno dimestichezza con le unità di misura e monetarie inglesi di non bloccarsi di fronte a questa difficoltà e di facilitarne così la lettura o lo studio. In altre parti si è invece mantenuto le unità di misura e monetarie inglesi originali perchè la lettura non creava problemi di comprensione e per ragioni di fedeltà storica.

Ci facciamo altresì carico dell’osservazione che Engels ha formulato nelle “considerazioni supplementari” poste all’inizio del III Libro,laddove, di fronte alle molteplici interpretazioni del testo che vennero fatte dopo la prima edizione, sostiene: “Nella presente edizione ho cercato innanzitutto di comporre un testo il più possibile autentico, di presentare, nel limite del possibile, i nuovi risultati acquisiti da Marx, usando i termini stessi di Marx, intervenendo unicamente quando era assolutamente necessario, evitando che, anche in quest’ultimo caso, il lettore potesse avere dei dubbi su chi gli parla. Questo sistema è stato criticato; si è pensato che io avrei dovuto trasformare il materiale a mia disposizione in un libro sistematicamente elaborato, en faire un livre, come dicono i francesi, in altre parole sacrificare l’autenticità del testo alla comodità del lettore. Ma non è in questo senso che io avevo interpretato il mio compito. Per una simile rielaborazione mi mancava qualsiasi diritto; un uomo come Marx può pretendere di essere ascoltato per se stesso, di tramandare alla posterità le sue scoperte scientifiche nella piena integrità della sua propria esposizione. Inoltre non avevo nessun desiderio di farlo: il manomettere in questo modo perchè dovevo considerare ciò una manomissione l’eredità di un uomo di statura così superiore, mi sarebbe sembrato una mancanza di lealtà. In terzo luogo sarebbe stato completamente inutile. Per la gente che non può o non vuole leggere, che già per il primo Libro si è data maggior pena a interpretarlo male di quanto non fosse necessario a interpretarlo bene — per questa gente è perfettamente inutile sobbarcarsi a delle fatiche”.

Marx ed Engels non ce ne vogliano, ma posti di fronte alle molteplici “fughe” dallo studio da parte di persone che non possedevano una cultura accademica, fughe che venivano imputate alla difficoltà presentate dal testo, abbiamo deciso di fare uno “strappo” alle osservazioni di Engels, intervenendo in alcune parti  avendo altresì cura di toccare il testo il meno possibile. Nel fare questo “strappo” eravamo tuttavia confortati dal fatto che, a differenza  della situazione in cui Engels si trovava, oggi chi vuole accedere al testo “originale”, dispone di diverse edizioni in varie lingue.

Coloro che volessero accostarsi al testo originale in lingua italiana si consigliano le seguenti edizioni:

  • Il capitale, Le Idee, Editori Riuniti, traduzione di Delio Cantimori;
  • Il capitale, Edizione Einaudi, traduzione di Delio Cantimori;
  • Il capitale, Edizione integrale - I mammut – Newton Compton, a cura di Eugenio Sbardella.

Chi volesse accedere ad edizioni del Capitale e di altri testi di Marx in lingue estere, si propone di consultare il sito internet di seguito riportato:

http://www.marxists.org/xlang/marx.htm