IL CAPITALE

LIBRO I

SEZIONE III

LA PRODUZIONE DEL PLUSVALORE ASSOLUTO

CAPITOLO 6

CAPITALE COSTANTE E CAPITALE VARIABILE

I differenti fattori del processo lavorativo prendono parte differente alla formazione del valore del prodotto.

L'operaio aggiunge nuovo valore all'oggetto del lavoro, mediante l'aggiunta della sua determinata quantità di lavoro, fatta astrazione dal contenuto determinato, dallo scopo e dal carattere tecnico del suo lavoro. D'altra parte ritroviamo come parti costitutive del valore del prodotto i valori dei mezzi di produzione consumati: per esempio nel valore del refe, i valori del cotone e del fuso. Il valore dei mezzi di produzione viene dunque conservato attraverso il suo trasferimento nel prodotto. Questo trasferimento avviene nel processo lavorativo durante la trasformazione dei mezzi di produzione in prodotto. È mediato dal lavoro. Ma come?

L'operaio non fa un lavoro duplice nello stesso periodo di tempo: non lavora per un momento ad aggiungere un valore al cotone col proprio lavoro, e per un altro momento a conservare il vecchio valore di questo, ossia, il che è la stessa cosa, o trasferire il valore del cotone che lavora e del fuso col quale lavora nel prodotto, che è il refe; ma conserva il vecchio valore mediante la semplice aggiunta di nuovo valore. Però, siccome l'aggiunta di nuovo valore all'oggetto del lavoro e la conservazione dei vecchi valori nel prodotto sono due risultati completamente differenti, prodotti nello stesso periodo di tempo dall'operaio benché in tale periodo questi faccia un lavoro solo, questa bilateralità del risultato può essere spiegata evidentemente soltanto con la bilateralità del suo stesso lavoro. Per una delle sue qualità, il lavoro deve creare valore, e per un'altra deve conservare o trasferire valore, nello stesso istante.

In che modo ogni operaio fa questa aggiunta di tempo di lavoro e quindi di valore? Sempre e soltanto nella forma del suo modo particolare di lavoro. Il filatore aggiunge tempo di lavoro solo filando, il tessitore solo tessendo, il fabbro battendo il ferro. Ma i mezzi di produzione, cotone e fuso, refe e telaio, ferro e incudine, diventano elementi costitutivi d'un prodotto, d'un nuovo valore d'uso, appunto mediante la forma idonea a un fine nella quale filatore, tessitore, fabbro aggiungono lavoro in genere e quindi nuovo valore[20]. La vecchia forma del loro valore d'uso trapassa, ma soltanto per passare in una nuova forma di valore d'uso. Ma quando è stato studiato il processo di formazione del valore, è risultato che, in quanto un valore d'uso è consumato in modo idoneo per la produzione di un nuovo valore d'uso, il tempo di lavoro necessario per la produzione del valore d'uso consumato costituisce una parte del tempo di lavoro necessario per la produzione del valore d'uso nuovo, e che dunque quel che vien trasferito dal mezzo di produzione consumato al nuovo prodotto, è il tempo di lavoro. Dunque l'operaio conserva i valori dei mezzi di produzione consumati, cioè li trasferisce nel prodotto come parti costitutive del valore, non attraverso la sua aggiunta di lavoro in genere, ma attraverso il carattere utile particolare, attraverso la forma produttiva specifica di questo lavoro aggiuntivo. Il lavoro, col suo semplice contatto, risveglia dal regno dei morti i mezzi di produzione, li anima a fattori del processo lavorativo e si combina con essi in nuovi prodotti, ma soltanto in quella sua qualità di attività produttiva idonea a un fine: filare, tessere, battere il ferro.

Se il lavoro produttivo specifico dell'operaio non fosse filare, questi non trasformerebbe il cotone in refe, e quindi non trasferirebbe i valori del cotone e del fuso nel refe. Se invece lo stesso operaio cambia mestiere e diventa falegname, aggiungerà valore al suo materiale anche allora, con una giornata lavorativa. Dunque l'operaio aggiunge valore al materiale mediante il suo lavoro e non in quanto si tratti di lavoro di filatura o lavoro di falegnameria, ma in quanto si tratta di lavoro astratto, sociale in genere;e aggiunge una determinata grandezza di valore non perché il suo lavoro abbia un particolare contenuto utile, ma perchè dura un tempo determinato. Dunque il lavoro del filatore aggiunge neovalore ai valori del cotone e del fuso, nella sua qualità astratta e generale, come dispendio di forza-lavoro umana; e trasferisce il valore di questi mezzi di produzione nel prodotto, conservandone così il valore nel prodotto, nella sua qualità utile, concreta, particolare di processo di filatura. Di qui la bilateralità del suo risultato nello stesso istante.

Con l'aggiunta semplicemente quantitativa di lavoro si aggiunge nuovo valore, con la qualità del lavoro aggiunto vengono conservati nel prodotto i vecchi valori dei mezzi di produzione. Questo duplice effetto dello stesso lavoro in conseguenza del suo carattere bilaterale si vede tangibilmente in vari fenomeni.

Si supponga che una qualche invenzione metta il filatore in grado di filare in 6 ore tanto cotone quanto ne filava prima in 36. Il suo lavoro come attività utile e idonea, produttiva, ha sestuplicato la propria forza. Il suo prodotto è un sestuplo, 36 qli. di refe invece di 6 qli. Ma ora i 36 qli. di refe assorbono soltanto il tempo di lavoro che prima ne assorbivano 6; di lavoro nuovo viene loro aggiunto un sesto soltanto di quanto accadeva col vecchio metodo, e quindi soltanto un sesto del valore di prima. D'altra parte nel prodotto, nei 36 qli. refe, c'è un valore sestuplo di cotone. Nelle 6 ore di filatura viene conservato un valore di materia prima sei volte più grande che viene poi trasferito nel prodotto, benché allo stesso materiale venga aggiunto un neovalore sei volte minore. Questo mostra come la proprietà per la quale il lavoro conserva valori durante il medesimo e indivisibile processo sia essenzialmente distinta dalla proprietà per la quale crea valore. Quanto più tempo di lavoro necessario passa durante l'operazione della filatura nella stessa quantità di cotone, tanto maggiore è il neovalore che viene aggiunto al cotone, ma quanti più chilogrammi di cotone vengono filati nello stesso tempo di lavoro, tanto maggiore risulterà il valore vecchio che vien conservato nel prodotto.

Supponiamo inversamente che la produttività del lavoro di filatura rimanga inalterata, che dunque il tessitore abbia ancora bisogno come prima della identica quantità di tempo per trasformare in refe 1 qle. di cotone; ma cambi il valore di scambio del cotone, 1 qle. di cotone salga o scenda a sei volte il suo prezzo. In entrambi i casi il filatore continua ad aggiungere alla stessa quantità di cotone lo stesso tempo di lavoro di prima, cioè lo stesso valore, e in entrambi i casi produce, in eguale periodo di tempo, eguale quantità di refe. Tuttavia il valore ch'egli trasferisce dal cotone nel refe, cioè nel prodotto, è o diminuito di sei volte, o di sei volte aumentato. Altrettanto accade quando i mezzi di lavoro rincarano o scendono di prezzo, ma rendono sempre lo stesso servizio nel processo lavorativo.

Se le condizioni tecniche del processo di filatura rimangono inalterate, e se analogamente non si ha nessuna variazione di valore dei suoi mezzi di produzione, il filatore continua ancora a consumare come prima, in tempi di lavoro eguali, quantità eguali di materia prima e di macchine, di valori invariabili. Il valore che egli conserva nel prodotto sta allora in rapporto diretto al neovalore che aggiunge. In due settimane aggiunge il doppio di lavoro, quindi il doppio di valore che in una; e insieme consuma il doppio di materiale del doppio valore e logora il doppio di macchine del doppio valore, quindi conserva nel prodotto di due settimane il doppio di valore che nel prodotto di una settimana. Date condizioni di produzione invariate, l'operaio conserva tanto più valore quanto più ne aggiunge; però non conserva più valore perché ne aggiunga di più, bensì perché l'aggiunge in condizioni invariate e indipendenti dal suo proprio lavoro.

Naturalmente, si può dire, in senso relativo, che l'operaio conserva valori vecchi sempre nella stessa proporzione con cui aggiunge neovalore. Che il cotone salga da 12 a 24 € o che cali a 6 €, egli conserva sempre nel prodotto d'un'ora solo la metà del valore di cotone, quali che ne siano le variazioni, di quanto ne conserva nel prodotto di due ore. Se inoltre varia la produttività del suo lavoro, che salga o che cali, l'operaio filerà in un'ora lavorativa più o meno cotone di prima, e analogamente conserverà più o meno valore di cotone nel prodotto d'un'ora lavorativa: ma ciò nonostante in due ore lavorative conserverà il doppio del valore che conserva in un'ora lavorativa.

Il valore, fatta astrazione dalla sua rappresentazione puramente simbolica nei segni di valore, esiste soltanto in un valore d'uso, in una cosa. (L'uomo stesso, considerato come semplice presenza di forza lavorativa, è un oggetto naturale, una cosa, se anche cosa vivente e autocosciente, e il lavoro stesso è espressione in cose di quella forza). Quindi se va perduto il valore d'uso va perduto anche il valore. I mezzi di produzione non perdono il loro valore simultaneamente alla perdita del valore di uso, perché di fatto attraverso il processo lavorativo essi perdono la forma originaria del loro valore d'uso soltanto per raggiungere nel prodotto la forma d'un altro valore d'uso. Ma se per il valore è importante esistere in qualche valore d'uso, è altrettanto indifferente quale sia il valore d'uso nel quale esiste, come mostra la metamorfosi delle merci. Da ciò segue che nel processo lavorativo si ha trapasso di valore dal mezzo di produzione al prodotto solamente in quanto il mezzo di produzione perde assieme al suo valore d'uso indipendente anche il suo valore di scambio; esso da al prodotto solo il valore che perde come mezzo di produzione. Ma sotto questo riguardo i fattori oggettivi del processo lavorativo si comportano in maniera differente.

Il carbone col quale si riscalda la macchina scompare senza lasciar traccia, come pure l'olio col quale si unge l'asse della ruota, e così via. Il colore e altri materiali ausiliari scompaiono, ma si manifestano nelle qualità del prodotto. La materia prima costituisce la sostanza del prodotto, ma ha mutato la propria forma. Dunque, la materia prima e i materiali ausiliari perdono la forma indipendente con la quale sono entrati, come valori d'uso, nel processo lavorativo. Altrimenti per i mezzi di lavoro veri e propri. Un attrezzo, una macchina, l'edificio d'una fabbrica, un recipiente, ecc., servono nel processo lavorativo solo in quanto conservano la loro forma originaria, e domani tornano a entrare nel processo lavorativo proprio nella stessa forma che avevano ieri. E conservano la loro forma indipendente di fronte al prodotto così durante la loro vita, che è il processo lavorativo, come anche dopo la loro morte. I cadaveri delle macchine, degli attrezzi, degli edifici da lavoro, ecc., continuano ad esistere separati dai prodotti che avevano contribuito a produrre. Ora, se consideriamo l'intero periodo durante il quale un mezzo di lavoro del genere presta servizio, dal giorno del suo ingresso nell'officina fino al giorno del suo esilio nel deposito dei rifiuti, durante questo periodo il suo valore d'uso è stato consumato completamente dal lavoro, e quindi il suo valore di scambio è trapassato completamente nel prodotto. Per esempio, se una filatrice meccanica è vissuta dieci anni, il suo valore complessivo è trapassato durante il decennale processo lavorativo nel prodotto del decennio. Il periodo di vita d'un mezzo di produzione comprende dunque un numero grande o piccolo di processi lavorativi che si sono continuamente tornati a ripetere con esso. E per i mezzi di lavoro succede come per gli uomini. Ogni uomo va morendo di ventiquattro ore al giorno. Ma a prima vista non si riconosce precisamente in nessun uomo di quanti giorni egli sia già avanzato verso la morte. Però questo non impedisce alle società d'assicurazione sulla vita di trarre dalla durata media della vita degli uomini conclusioni sicurissime, e, quel che è molto più, assai profittevoli. Altrettanto vale per i mezzi di lavoro. Si sa per esperienza quanto resiste in media un mezzo di lavoro, per esempio una macchina d'un certo tipo. Posto che il suo valore d'uso nel processo lavorativo duri soltanto sei giorni, essa perde in media un sesto del suo valore di uso ogni giornata lavorativa, e quindi cede un sesto del suo valore al prodotto giornaliero. A questo modo si calcola il logoramento di tutti i mezzi di lavoro, quindi, la loro perdita per esempio giornaliera di valore d'uso, e la loro corrispondente cessione di valore al prodotto.

Così è chiaro e lampante che un mezzo di lavoro non cede mai al prodotto più valore di quanto ne perda nel processo lavorativo attraverso la distruzione del proprio valore d'uso. Se non avesse valore da perdere, cioè se non fosse anche esso prodotto di lavoro umano, non cederebbe nessun valore al prodotto. Sarebbe servito a formare valore d'uso, senza servire a formare valore di scambio; questo dunque è il caso di tutti i mezzi di produzione dati in natura, senza intervento umano, terra, vento, acqua, ferro nel filone, legname nella foresta vergine, ecc.

Qui incontriamo un altro fenomeno interessante. Sia una macchina per esempio del valore di 240.000 €, e si logori in mille giorni. In questo caso un millesimo del valore della macchina passa giornalmente da questa al suo prodotto giornaliero. Contemporaneamente la macchina opera nel suo insieme, sia pure con vitalità decrescente, nel processo lavorativo. Si vede dunque che un fattore del processo lavorativo, un mezzo di produzione, entra completamente nel processo lavorativo, ma solo parzialmente nel processo di valorizzazione. La distinzione fra processo lavorativo e processo di valorizzazione si riflette qui sui loro fattori oggettivi, poiché lo stesso mezzo di produzione conta nello stesso processo di produzione per intero come elemento del processo lavorativo e solo parzialmente come elemento della formazione di valore[21].

Ma viceversa un mezzo di produzione può entrare completamente nel processo di valorizzazione, benché passi solo parzialmente nel processo lavorativo. Si supponga che nella filatura del cotone per ogni 115 qli. se ne abbiano 15 di cascame che non danno refe ma solo devil's dust (polvere lanosa). Eppure, se questo scarto del 15 % è normale, inseparabile dalla lavorazione media del cotone, il valore dei 15 qli. di cotone che non sono elemento del refe, affluisce nel valore del refe altrettanto dei 100 qli. che ne costituiscono la sostanza. Il valore d'uso di 15 qli. di cotone deve andare in polvere per fare 100 qli. di refe. Dunque la scomparsa di questo cotone è una condizione di produzione del refe, e appunto per questo esso cede il suo valore al refe. Questo vale per tutti gli escrementi del processo lavorativo, per lo meno nella misura che questi rifiuti non tornino a costituire nuovi mezzi di produzione e quindi nuovi valori di uso indipendenti. Così nelle grandi fabbriche di macchine a Manchester la sera si vedono mucchi di cascami di ferro andare su grandi carri dalla fabbrica alla fonderia, come trucioli piallati da macchine gigantesche, che ritorneranno il giorno dopo dalla fonderia alla fabbrica come ferro massiccio.

I mezzi di produzione trasferiscono valore nella nuova forma del prodotto solo in quanto durante il processo lavorativo perdono valore nella forma dei loro vecchi valori d'uso. II massimo di perdita di valore che essi possono tollerare nel processo lavorativo è evidentemente limitato dalla grandezza di valore iniziale con la quale sono entrati nel processo lavorativo, ossia dal tempo di lavoro richiesto per la loro propria produzione. Dunque i mezzi di produzione non possono mai aggiungere al prodotto più valore di quanto ne posseggano indipendentemente dal processo lavorativo al quale servono. Per quanto utile possa essere un materiale da lavoro, una macchina, un mezzo di produzione: se costa 36.000 €, si dicano 500 giornate lavorative, esso non aggiungerà mai più di 36.000 € al prodotto complessivo alla cui formazione esso serve. Il suo valore è determinato non mediante il processo lavorativo, nel quale trapassa come mezzo di produzione, ma dal processo lavorativo dal quale proviene come prodotto. Nel processo lavorativo esso serve soltanto come valore d'uso, come cosa con proprietà utili, e quindi non darebbe nessun valore al prodotto, se non avesse posseduto valore prima della sua immissione nel processo[22].

Mentre il lavoro produttivo cambia mezzi di produzione in elementi costitutivi di un nuovo prodotto, il loro valore subisce una metempsicosi: trasmigra dal corpo consumato nel corpo di nuova formazione. Ma questa metempsicosi avviene, per così dire, alle spalle del lavoro reale. L'operaio non può aggiungere nuovo lavoro, dunque non può creare nuovo valore, senza conservare valori vecchi, poiché deve aggiungere il lavoro sempre in forma utile determinata, e non lo può aggiungere in forma utile senza fare dei prodotti mezzi di produzione di un nuovo prodotto, trasferendo così il loro valore nel nuovo prodotto. Dunque, conservare valore aggiungendo valore è una dote di natura della forza-lavoro in atto, del lavoro vivente; dote di natura che non costa niente all'operaio ma frutta molto al capitalista: gli frutta la conservazione del valore esistente di capitale22a. Finché gli affari vanno bene, il capitalista è troppo sprofondato nel far plusvalore per vedere questo dono gratuito del "lavoro. Ma le interruzioni violente del processo lavorativo, le crisi, glielo fanno notare in maniera tangibile[23].

Quel che si logora, in genere, nei mezzi di produzione è il loro valore di uso, consumando il quale il lavoro crea prodotti. Di fatto, il loro valore non viene consumato[24], e quindi non può neppure esser riprodotto: viene conservato, ma non perché nel processo lavorativo si compia un'operazione con esso, ma perché il valore d'uso nel quale esso inizialmente esiste, scompare, certo, ma scompare in un altro valore d'uso.

Il valore dei mezzi di produzione torna quindi a presentarsi nel valore del prodotto, ma, parlando con esattezza, non viene riprodotto. Quel che viene prodotto, è il nuovo valore d'uso, nel quale si ripresenta il vecchio valore di scambio[25].

Altrimenti vanno le cose per il fattore soggettivo del processo del lavoro, cioè per la forza-lavoro. Mentre il lavoro, mediante la sua forma idonea al fine, trasferisce e conserva nel prodotto il valore dei mezzi di produzione, ogni momento del moto del lavoro crea valore aggiuntivo, neovalore. Supponiamo che il processo di produzione si interrompa al punto nel quale l'operaio ha prodotto l'equivalente per il valore della propria forza-lavoro, per esempio al punto nel quale l'operaio ha aggiunto, con un lavoro di 6 ore, un valore di 36 €. Questo valore costituisce l'eccedenza del valore del prodotto sulle sue parti costitutive dovute al valore dei mezzi di produzione. È l'unico valore originale che sia nato entro questo processo, la unica parte di valore del prodotto che sia prodotta mediante il processo stesso. Certo, reintegra soltanto il denaro anticipato dal capitalista per la compera della forza-lavoro, speso poi dall'operaio stesso in mezzi di sussistenza. In riferimento ai 36 €, il neovalore di essi appare solo come riproduzione: ma esso è riprodotto realmente, non solo apparentemente, come il valore dei mezzi di produzione. La reintegrazione di un valore mediante un altro qui è mediata da una nuova creazione di valore.

Tuttavia sappiamo già che il processo lavorativo continua a durare oltre il punto nel quale sarebbe riprodotto e aggiunto all'oggetto del lavoro solo un puro e semplice equivalente del valore della forza-lavoro. Invece delle 6 ore a ciò sufficienti il processo dura per esempio 12 ore. Dunque con la messa in atto della forza-lavoro non viene riprodotto solo il suo proprio valore ma viene anche prodotto un valore eccedente. Questo plusvalore costituisce l'eccedenza del valore del prodotto sul valore dei fattori del prodotto consumati, cioè dei mezzi di produzione e della forza-lavoro.

Con l'esposizione delle parti differenti avute dai differenti fattori del processo lavorativo nella formazione del valore del prodotto abbiamo di fatto caratterizzato le funzioni delle differenti componenti del capitale nel suo proprio processo di valorizzazione. L'eccedenza del valore complessivo del prodotto sulla somma dei valori dei suoi elementi costitutivi è l'eccedenza del capitale valorizzato sul valore del capitale inizialmente anticipato. I mezzi di produzione da una parte, la forza-lavoro dall'altra, sono solo le differenti forme d'esistenza assunte da valore iniziale del capitale quando s'è svestito della sua forma di denaro e s'è trasformato nei fattori del processo lavorativo Dunque la parte del capitale che si converte in mezzi di produzione, cioè in materia prima, materiali ausiliari e mezzi di lavoro, non cambia la propria grandezza di valore nel processo di produzione. Quindi la chiamo parte costante del capitale, o, in breve, capitale costante.

Invece la parte del capitale convertita in forza-lavoro cambia il proprio valore nel processo di produzione. Riproduce il proprio equivalente e inoltre produce un'eccedenza, il plusvalore, che a sua volta può variare, può essere più grande o più piccolo. Questa parte del capitale si trasforma continuamente da grandezza costante in grandezza variabile. Quindi la chiamo parte variabile del capitale, o in breve: capitale variabile. Le medesime parti costitutive del capitale che dal punto di vista del processo lavorativo si distinguono come fattori oggettivi e fattori soggettivi, mezzi di produzione e forza-lavoro, dal punto di vista del processo di valorizzazione si distinguono come capitale costante e capitale variabile.

Il concetto del capitale costante non esclude affatto una rivoluzione nei valori delle sue componenti. Supponiamo che 1 qle. di cotone oggi costi 6 €, e domani, essendo venuto a mancare il raccolto del cotone, salga a 12 €. Il vecchio cotone, che continua ad essere lavorato, è comprato al valore di 6 €, ma ora aggiunge al prodotto una frazione di valore di 12 €. E il cotone già filato, forse già circolante sul mercato come refe, aggiunge anch'esso al prodotto il doppio del suo valore originario. Tuttavia è chiaro che queste variazioni di valore sono indipendenti dalla valorizzazione del cotone entro il processo della filatura propriamente detto. Se il vecchio cotone non fosse ancora entrato affatto nel processo lavorativo, ora potrebbe essere rivenduto a 12 € invece che a 6 €. Viceversa: questo risultato tanto più è certo quanti meno processi lavorativi ha percorso il cotone. È quindi legge della speculazione, in tali rivoluzioni dei valori, speculare sulle materie prime nella loro forma meno lavorata, cioè piuttosto sul refe che sul tessuto e piuttosto sul cotone stesso che sul refe. In questi casi, il cambiamento di valore sorge nel processo che produce cotone, non nel processo nel quale il cotone funziona da mezzo di produzione, e quindi come capitale costante. Il valore di una merce è certo determinato dalla quantità del lavoro in essa contenuto, ma tale quantità è a sua volta determinata socialmente. Se è cambiato il tempo di lavoro richiesto socialmente per la produzione di quella data quantità - e nei raccolti sfavorevoli la stessa quantità di cotone, per esempio, rappresenta una quantità di lavoro maggiore che non nei raccolti favorevoli - si ha una reazione sulla vecchia merce che vale sempre e soltanto come unico esemplare della propria specie[26], il cui valore viene misurato sempre per mezzo del lavoro socialmente necessario, cioè necessario sempre, anche nelle condizioni sociali presenti.

Come il valore del materiale grezzo, può cambiare il valore dei mezzi di lavoro che già sono in servizio nel processo produttivo, delle macchine, ecc., e con essi la porzione di valore che cedono al prodotto. Per esempio, se in seguito ad una nuova invenzione una macchina dello stesso tipo può essere riprodotta con diminuito dispendio di lavoro, la macchina vecchia si svalorizza più o meno, e quindi trasmette corrispondentemente meno valore al prodotto. Ma anche qui il cambiamento di valore ha origine al di fuori del processo di produzione, dove la macchina funziona come mezzo di produzione. In quel processo essa non cede mai più valore di quanto ne possegga indipendentemente da esso.

Allo stesso modo che una variazione nel valore dei mezzi di produzione, pur se reagisce su di essi anche dopo che già sono stati immessi nel processo, non altera il loro carattere di capitale costante, così neppure una variazione nella proporzione fra capitale costante e capitale variabile influisce sulla loro distinzione funzionale. Le condizioni tecniche del processo lavorativo possono per esempio essere trasformate in modo che dove una volta dieci operai lavoravano con dieci attrezzi di scarso valore una massa di materia prima relativamente piccola, ora un operaio lavori un materiale cento volte maggiore, con una macchina più cara. In questo caso il capitale costante, cioè la massa di valore dei mezzi di produzione adoperati, sarebbe cresciuta di molto, e la parte variabile del capitale, cioè quella anticipata in forza-lavoro, sarebbe di molto diminuita. Eppure questa variazione cambia soltanto il rapporto di grandezza fra capitale costante e capitale variabile, ossia le proporzioni dello scindersi del capitale complessivo in componenti costanti e variabili, ma non intacca la distinzione fra costante e variabile.

NOTE


[20] «II lavoro dà una nuova creazione in cambio d'una creazione estinta » (An essay on the political economy of nations, Londra, 1821, p. 13).

[21] Qui non si tratta di riparazioni dei mezzi di lavoro, come macchine, edifizi, ecc. Una macchina in riparazione non funziona come mezzo di lavoro, ma come materiale di lavoro. Con essa non si fa lavoro, ma è essa che viene lavorata, per aggiustare il suo valore d'uso. Per il nostro scopo, questi lavori di riparazione si possono sempre pensare come inclusi nel lavoro richiesto per la produzione dei mezzi di lavoro. Nel testo si tratta del logoramento che non può esser curato da nessun dottore, e che porta a poco a poco alla morte, di « quella specie di logoramento che non può essere riparato ogni tanto, e che, nel caso di un coltello, lo ridurrebbe all'ultimo in quello stato che farebbe dire al coltellinaio: non merita una nuova lama ». Abbiam visto nel testo che una macchina passa per esempio interamente in ogni singolo processo lavorativo, ma solo parzialmente nel contemporaneo processo di valorizzazione. Da questo punto di vista va giudicato il seguente scambio di concetti: « II Ricardo parla della porzione di lavoro del meccanico nel fare macchine da calzettaio » come contenuta per esempio in alcune paia di calze. « Tuttavia il lavoro totale che ha prodotto ogni singolo paio di calze... include l'intero lavoro del meccanico, non una porzione di esso; perché una macchina ne fa molte paia, e nessuno di queste paia potrebbe essere stato fatto senza la minima parte della macchina » (Observations on certain verbal disputes in political economy, particularly relating to value and to demand and supply, Londra, 1821, p. 54). L'autore, un « wiseacre » [saccente] pieno di non comune sufficienza, ha ragione con la sua confusione e con la polemica che ne consegue solo perché né il Ricardo né nessun altro economista, prima o dopo di lui, ha distinto esattamente i due aspetti del lavoro, e quindi ha analizzato, meno che mai, la loro parte differente nella formazione del valore.

[22] Si capisce quindi l'assurdità dell'insipido J. B. Say, che vuol dedurre il plusvalore (interesse, profitto, rendita), dai « services productifs » forniti nel processo lavorativo dai mezzi di produzione terra, strumenti, cuoio, ecc. mediante i loro valori d'uso. Il sig. Wilhelm Roscher, che tralascia solo a malincuore di registrare nero su bianco idee apologetiche ammodino, esclama: «Giustissima l'osservazione di J. B. SAY, Traité, vol. I, cap. 4: "il valore prodotto da un frantoio, detratti tutti i costi, è insomma qualcosa di nuovo, essenzialmente differente dal lavoro col quale è stato costruito il frantoio stesso" (Die Grundlagen der Nationalökonomie, 3. ed., 1858, p. 82, nota). Giustissimo! L'"olio" prodotto dal frantoio è qualcosa di assai differente dal lavoro che è costata la costruzione del frantoio. E per "valore" il sig. Roscher intende una cosa come "olio", poiché l'"olio" ha valore, "in natura" però si trova petrolio, anche se relativamente "non molto", al che mira probabilmente anche la sua altra osservazione: "Essa (la natura!) non produce quasi per niente valori di scambio" [p. 79]. La natura roscheriana col suo valore di scambio assomiglia a quella vergine folle col suo bambino che era però "si petit". Lo stesso "dotto" ("savant sérieux") osserva ancora, nell'occasione sopraccitata: «La scuola del Ricardo suole sussumere anche il capitale sotto il concetto del lavoro, come "lavoro economizzato". Ciò è inabile (!) perché (!) insomma (!) il possessore del capitale (!) ha pure (!) fatto più (!) della semplice (?!) produzione (?) e (??) conservazione dello stesso (di quale stesso?): appunto (?!?) l'astinenza dal proprio godimento, in cambio di che egli per esempio (!!!) esige un interesse" (lui).Com'è « abile » ! questo « metodo automatico-fisiologico » dell'economia politica, che pure sviluppa da un semplice    « esigere » per l'appunto « valore »!

22a «Fra tutti gli strumenti dell'attività agricola, il lavoro dell'uomo... è quello sul quale l'agricoltore deve contare di più per la reintegrazione del suo capitale. Gli altri due, - l'insieme del bestiame da lavoro e... i carri, gli aratri, le vanghe, ecc. –non sono proprio niente senza una data porzione del primo » (EDMUND BURKE, Thoughts and details on scarcity, originally presented to the Rt. Hon. W. Pitt in the month of November 1795, ediz. Londra, 1800, p. 10).

[23] Nel Times del 26 nov. 1862 un fabbricante la cui filanda occupa ottocento operai e consuma in media centocinquanta balle di cotone dell'India orientale ossia circa centotrenta balle di cotone americano alla settimana, si lamenta davanti al pubblico dei costi annuali della sospensione del lavoro nella .sua fabbrica, e li valuta a seimila sterline. Fra queste spese ci sono molte voci che qui non c'interessano, come rendita fondiaria, imposte, premi di assicurazione, stipendi dei lavoratori ingaggiati annualmente, manager, ragioniere, ingegnere, ecc. Ma poi calcola centocinquanta sterline di carbone, per riscaldare di tanto in tanto la fabbrica e per mettere in movimento ogni tanto la macchina a vapore, e inoltre i salari per gli operai che con lavoro occasionale mantengono « in corso » le macchine. Infine, calcola milleduecento sterline per il deterioramento di queste ultime, poiché: « il tempo e il principio naturale del deterioramento non sospendono la loro attività per il fatto che la macchina a vapore cessa di girare ». Egli rileva espressamente che questa somma di milleduecento sterline è tenuta cosi bassa perché le macchine sono già in stato di avanzato logoramento.

[24] «Consumo produttivo: dove il consumo di una merce è parte del processo di produzione... In questi casi non c'è consumo di valore » (S. P. NEWMAN, Elements of political economy, p. 296).

[25] In un compendio nord-americano, che ha avuto forse venti edizioni, si legge: «Non importa in qual forma il capitale riappaia ». Dopo una prolissa enumerazione di tutti i possibili ingredienti della produzione il cui valore riappare nel prodotto, si dichiara a mo' di conclusione: « Le varie specie di cibo, vestiario ed alloggio necessarie per l'esistenza e il comodo dell'essere umano, cambiano anch'esse. Esse sono consumate di tempo in tempo e il loro valore riappare nel nuovo vigore conferito al corpo e alla mente dell'uomo, formando nuovo capitale, che viene riadoperato nel processo di produzione » (F. WAYLAND, Elements of political economy, pp. 31, 32). Astrazion fatta da tutte le altre stravaganze, non è per esempio il prezzo del pane che riappare nella forma rinnovata, ma le sue sostanze ematopoietiche. Invece quel che riappare come valore della forza non sono i mezzi di sussistenza, ma il loro valore. Gli identici mezzi di sussistenza, se costano solo la metà, producono altrettanto di muscoli, ossa, ecc., in breve, la stessa forza, ma non forza dello stesso valore. Questa conversione di « valore » in « forza » e tutta la farisaica indeterminatezza nascondono il tentativo, del resto vano, di estorcere un plusvalore dal puro e semplice ripresentarsi di valori anticipati.

[26] «Tutti i prodotti di una stessa specie formano veramente una sola massa, il cui prezzo viene determinato in generale e senza riguardo allo circostanze particolari » (LE TROSNE, De l'interêt social, p. 893).

 

 AVVERTENZA PER IL LETTORE

Il testo del I libro del Capitale che viene qui riportato NON È UNA DELLE TRADUZIONI INTEGRALI DEL TESTO ORIGINALE che sono disponibili: esso infatti è una rivisitazione delle traduzioni esistenti (in italiano ed in francese) a cui sono state apportate le seguenti modifiche:

1  negli esempi numerici, per facilitare la lettura, sono state cambiate le unità di misura e le grandezze;

2 –  diversi dati richiamati nella forma di testo sono stati trasformati in tabelle ed in grafici;

3 – in alcuni esempi numerici le cifre decimali indicate sono state limitate a due e nel caso di numeri periodici, ad esempio 1/3 o 2/3, la cifra periodica è stata indicata ponendovi a fianco un apice ().

Ci rendiamo conto che leggere un testo del Capitale in cui Marx formula esempi in Euro (€) invece che in Lire Sterline (Lst) o scellini potrebbe far sorridere e far pensare ad uno scherzo o ad una manipolazione che ha  travisato il pensiero dell’Autore, avvertiamo invece il lettore che il testo è assolutamente fedele al pensiero originale  e che ci siamo permessi di introdurre alcune “varianti” per consentire a coloro che non hanno dimestichezza con le unità di misura e monetarie inglesi di non bloccarsi di fronte a questa difficoltà e di facilitarne così la lettura o lo studio. In altre parti si è invece mantenuto le unità di misura e monetarie inglesi originali perchè la lettura non creava problemi di comprensione e per ragioni di fedeltà storica.

Ci facciamo altresì carico dell’osservazione che Engels ha formulato nelle “considerazioni supplementari” poste all’inizio del III Libro,laddove, di fronte alle molteplici interpretazioni del testo che vennero fatte dopo la prima edizione, sostiene: “Nella presente edizione ho cercato innanzitutto di comporre un testo il più possibile autentico, di presentare, nel limite del possibile, i nuovi risultati acquisiti da Marx, usando i termini stessi di Marx, intervenendo unicamente quando era assolutamente necessario, evitando che, anche in quest’ultimo caso, il lettore potesse avere dei dubbi su chi gli parla. Questo sistema è stato criticato; si è pensato che io avrei dovuto trasformare il materiale a mia disposizione in un libro sistematicamente elaborato, en faire un livre, come dicono i francesi, in altre parole sacrificare l’autenticità del testo alla comodità del lettore. Ma non è in questo senso che io avevo interpretato il mio compito. Per una simile rielaborazione mi mancava qualsiasi diritto; un uomo come Marx può pretendere di essere ascoltato per se stesso, di tramandare alla posterità le sue scoperte scientifiche nella piena integrità della sua propria esposizione. Inoltre non avevo nessun desiderio di farlo: il manomettere in questo modo perchè dovevo considerare ciò una manomissione l’eredità di un uomo di statura così superiore, mi sarebbe sembrato una mancanza di lealtà. In terzo luogo sarebbe stato completamente inutile. Per la gente che non può o non vuole leggere, che già per il primo Libro si è data maggior pena a interpretarlo male di quanto non fosse necessario a interpretarlo bene — per questa gente è perfettamente inutile sobbarcarsi a delle fatiche”.

Marx ed Engels non ce ne vogliano, ma posti di fronte alle molteplici “fughe” dallo studio da parte di persone che non possedevano una cultura accademica, fughe che venivano imputate alla difficoltà presentate dal testo, abbiamo deciso di fare uno “strappo” alle osservazioni di Engels, intervenendo in alcune parti  avendo altresì cura di toccare il testo il meno possibile. Nel fare questo “strappo” eravamo tuttavia confortati dal fatto che, a differenza  della situazione in cui Engels si trovava, oggi chi vuole accedere al testo “originale”, dispone di diverse edizioni in varie lingue.

Coloro che volessero accostarsi al testo originale in lingua italiana si consigliano le seguenti edizioni:

  • Il capitale, Le Idee, Editori Riuniti, traduzione di Delio Cantimori;
  • Il capitale, Edizione Einaudi, traduzione di Delio Cantimori;
  • Il capitale, Edizione integrale - I mammut – Newton Compton, a cura di Eugenio Sbardella.

Chi volesse accedere ad edizioni del Capitale e di altri testi di Marx in lingue estere, si propone di consultare il sito internet di seguito riportato:

http://www.marxists.org/xlang/marx.htm