ECONOMIA CLASSICA E ECONOMIA VOLGARE

[Introduzione a Karl Marx,
Teorie sul plusvalore-Libro quarto del "Capitale"]

Giorgio Lunghini

Ogni scienza sarebbe superflua
se l'essenza delle cose e la loro forma fenomenica
direttamente coincidessero.

KARL MARX

            Un monumento di ardore teorico. Autore dell'altro monumento della storia delle teorie economiche, la Storia dell'analisi economica, di Marx Schumpeter scrive (nel 1942):

La maggior parte delle creazioni dell'intelletto o della fantasia scompaiono per sempre dopo un tempo che varia da un'ora a una generazione; per altre invece non accade così. Esse soffrono eclissi, ma poi tornano, tornano non come elementi irriconoscibili di una eredità culturale, ma nel loro abito individuale e con le loro cicatrici personali che la gente può vedere e toccare. Queste sono le creazioni che possiamo dire grandi, e non è uno svantaggio che questa definizione unisca insieme la grandezza con la vitalità. Presa in questo senso, questa parola indubbiamente si applica al messaggio di Marx. Ma c'è anche un altro vantaggio a definire la grandezza mediante la reviviscenza: così essa diviene indipendente dal nostro amore o dal nostro odio. Non abbiamo bisogno di credere che un grande contributo debba necessariamente essere una sorgente di luce e non contenere errori, tanto nelle linee fondamentali quanto nei particolari. Al contrario, possiamo ritenerlo una potenza delle tenebre; possiamo pensarlo come fondamentalmente sbagliato, oppure dissentirne in un qualsivoglia numero di punti particolari. Nel caso del sistema marxista, un siffatto giudizio negativo come una precisa confutazione, proprio per il fatto che non riescono a colpirlo mortalmente, servono soltanto a metterne in rilievo il vigore della struttura.

Gli ultimi vent'anni attestano un risveglio marxista estremamente interessante. Che il grande maestro del credo socialista sia stato valutato a pieno nella Russia sovietica non sorprende. Ed è soltanto caratteristico di siffatto processo di canonizzazione che tra il vero significato del messaggio di Marx e la pratica ed ideologia bolsceviche ci sia un abisso, almeno così grande come quello che correva tra la religione degli umili galilei e la pratica e l'ideologia dei Principi della Chiesa o dei feudatari del Medio Evo.

Genii e profeti generalmente non si distinguono per sapere professionale, e proprio a questo si deve spesso il fatto della loro eventuale originalità. Ma nella dottrina economica di Marx nulla vi è che sia da ascriversi ad una qualche deficienza di preparazione teorica o di tecnica dell'analisi teorica. Egli era un lettore insaziabile e un instancabile lavoratore; pochissimi sono i contributi importanti che gli sfuggirono. E ciò che leggeva, digeriva, pur discutendo qualsiasi fatto o argomento con una passione per il particolare che è del tutto inusitata in chi è abituato ad abbracciare con un unico sguardo intere civiltà e sviluppi secolari. Criticando e respingendo, oppure accettando e coordinando, sempre andava al fondo di qualsiasi argomento. La prova più eminente è data dalla sua opera Teorie sul plusvlore,che è un monumento di ardore teorico. Questo sforzo incessante di disciplinarsi e dominare tuttociò che era da dominare, lo ha liberato da pregiudizi e tendenze extrascientifiche, sebbene egli certamente lavorasse allo scopo di verificare una determinata concezione.

            Sovrappiù e plusvalore. Dopo il 1870 il concetto di 'sovrappiù' (termine più neutro di 'plusvalore', ne designa l'aspetto quantitativo), e con esso quello di 'classi' in conflitto fra di loro per la spartizione del prodotto sociale, scompaiono dal lessico della teoria economica egemone e dunque dal sapere comune, e vi vengono sostituiti con quelli politicamente consolatori di un reddito nazionale cui i soggetti economici attingeranno secondo il contributo ad esso dato, secondo la produttività dei fattori di cui dispongono. Le classi sociali non sono più 'sanguigne realtà' ma 'pallide astrazioni' e ne prende il posto la 'formula trinitaria': capitale, terra, lavoro. Non più conflitto, ma armonia: per ogni data configurazione produttiva, per ogni dato livello della produzione e dell'occupazione, si sostiene oggi, esisterebbe una unica configurazione distributiva, una unica divisione del reddito nazionale fra salari, profitti e rendite, tale da assicurare l'equilibrio dell'economia. Un equilibrio alla cui esistenza provvederebbe un ordine naturale, che ne garantirebbe altresì l'unicità, la stabilità e l'ottimalità. Con una ovvia ma importante implicazione politica circa quello che i governanti dovrebbero fare o non fare: Laissez faire, laissez aller.[1]

            È dunque necessaria una definizione del concetto di sovrappiù, anche per comprendere quando e come l'economia si costituisca in scienza, e come nel modo capitalistico di produzione il capitale non sia soltanto un insieme di cose o una somma di denaro, ma un rapporto sociale. Il sovrappiù può essere definito come quel che resta del prodotto sociale (tutto ciò che in un'economia viene prodotto in un dato periodo di tempo), una volta reintegrati i beni di consumo necessari per la sussistenza e la riproduzione dei lavoratori (produttivi), nonché i beni capitali che si sono consumati o logorati nel corso della produzione. Il sovrappiù sarà nullo, per definizione, in un'economia di mera sussistenza, ma normalmente sarà positivo; e positivo può essere in qualsiasi modo di produzione. Diversi, tuttavia, saranno i modi in cui il sovrappiù viene prodotto, le persone o classi che se ne appropriano, l'uso che se ne farà, e il ruolo che in tutto ciò hanno l'istituto della proprietà, il mercato e la moneta.

            In un'astratta società precapitalistica, diciamo 'feudale', il sovrappiù viene prodotto mediante il comando diretto del lavoro dei servi (la corvée, per esempio). Del sovrappiù, in natura o in denaro, il signore si appropria in virtù di un rapporto di potere strettamente politico e non di scambio economico; e lo impiega non per l'allargamento del processo produttivo, ma per quello che si può chiamare 'consumo signorile'. Al mercato si ricorre essenzialmente per gli scambi intercomunitari; la moneta ha come funzione pressoché esclusiva quella di facilitare gli scambi. Con l'avvento del capitalismo, quali che ne siano state le cause ('accumulazione originaria' o 'grande trasformazione'), si assiste ad una polarizzazione della società. Se si trascurano i residui feudali (la classe dei rentiers, gli artigiani), sul mercato si fronteggiano due classi: i capitalisti, proprietari dei mezzi di produzione, e i lavoratori salariati, liberi ma proprietari di un'unica merce: la propria forza lavoro. Il sovrappiù (se realizzato) prende la forma di profitto, e questo, il profitto e non più l'uso, diventa lo scopo della produzione. Del sovrappiù il capitalista si appropria in quanto possiede o controlla i mezzi di produzione e dopo aver pagato la forza lavoro al suo prezzo, pari al suo costo di riproduzione. La destinazione del sovrappiù, d'altra parte, non è più il consumo, bensì l'allargamento della produzione. La moneta diventa essenziale al processo di produzione-riproduzione, poiché la produzione capitalistica non è produzione di merci a mezzo di merci, ma produzione di denaro a mezzo di denaro. E il mercato, infine, pervade tutta la società: tutti i rapporti fra gli uomini passano per il mercato.

            Il processo economico acquista ora una sua autonomia: da finalizzato ad altro, diventa fine a se stesso, circolare. E soltanto ora l'economia politica si può costituire in disciplina autonoma e sistematica: in scienza del capitalismo. Alla nozione di capitale come categoria eterna (il capitale come mezzi di produzione prodotti) viene a contrapporsi quella di capitale come categoria propria e fondante di un dato modo di produzione: il modo di produzione capitalistico. Soltanto nel modo capitalistico di produzione la ricchezza prende la forma di capitale, in quanto rapporto che si instaura fra queste due classi: capitalisti e lavoratori salariati. Può allora dirsi "capitale" qualsiasi proprietà (di denaro, macchine o altre forme di potere), mediante la quale sia possibile comandare lavoro salariato in vista di un profitto realizzabile vendendone il prodotto.

            I fondatori dell'economia politica come scienza pongono il concetto di sovrappiù al centro della loro analisi. Secondo Marx, tuttavia, essi commettono l'errore di vederne soltanto l'aspetto quantitativo, e di considerare il sovrappiù non in quanto tale, in quanto plusvalore, ma nelle forme particolari di profitto e di rendita. Come scrive Engels nella prefazione al Libro II del Capitale, Smith (ad esempio) non ha distinto il plusvalore in quanto tale, come categoria propria, dalle forme particolari che esso assume nel profitto e nella rendita fondiaria: "Al contrario, il plusvalore di Marx è la forma generale della somma di valore appropriata senza equivalente dai possessori dei mezzi di produzione, la quale, secondo leggi del tutto peculiari, scoperte da Marx per primo, si scinde nelle forme particolari, trasmutate, di profitto e rendita fondiaria. Queste leggi verranno sviluppate nel III Libro, dove soltanto risulterà quanti termini medi siano necessari per giungere dalla comprensione del plusvalore in generale alla comprensione della sua trasformazione in profitto e rendita fondiaria, dunque alla comprensione delle leggi della ripartizione del plusvalore all'interno della classe dei capitalisti".

            Fra la nozione classica di sovrappiù e quella marxiana di plusvalore vi è continuità dal punto di vista quantitativo ma non da quello qualitativo. L'economia politica classica assume il sovrappiù come un dato, e anziché indagarne l'origine lo fa coincidere immediatamente con il plusvalore. Sta in questo la continuità e la differenza fra Marx e i classici.

Il concetto di modo di produzione. Ciò che manca ai classici (e ai contemporanei) è il concetto di modo di produzione. Anche per gli ortodossi intelligenti c'è stata storia prima di noi, ma gli eretici, massimamente Marx, si chiedono e ci chiedono perché mai la storia dovrebbe essere già finita (e finita così):

L'analisi scientifica del modo di produzione capitalistico dimostra al contrario che esso è un modo di produzione di tipo particolare, specificamente definito dallo sviluppo storico; che, al pari di qualsiasi altro definito modo di produzione, presuppone un certo livello delle forze produttive sociali e delle loro forme di sviluppo, come loro condizione storica; condizione, che è essa stessa il risultato storico ed il prodotto di un processo precedente, e da cui il nuovo modo di produzione prende le mosse in quanto suo fondamento dato; che i rapporti di produzione corrispondenti a questo specifico modo di produzione, storicamente determinato - rapporti, in cui gli uomini entrano nel loro processo di vita sociale, nella creazione della loro vita sociale -, hanno un carattere specifico, storico, transitorio; e che, infine, i rapporti di distribuzione sono in sostanza identici a questi rapporti di produzione, costituiscono il rovescio di questi ultimi, così che gli uni e gli altri hanno lo stesso carattere storicamente transitorio.

            L'economia politica borghese. Scrive Marx, nel poscritto alla seconda edizione del Capitale (datato Londra, 24 gennaio 1873):

L'economia politica, in quanto è borghese, cioè in quanto concepisce l'ordinamento capitalistico, invece che come grado di svolgimento storicamente transitorio, addirittura all'inverso come forma assoluta e definitiva della produzione sociale, può rimanere scienza soltanto finché la lotta delle classi rimane latente o si manifesta soltanto in fenomeni isolati.

Prendiamo l'Inghilterra. La sua economia politica classica cade nel periodo in cui la lotta fra le classi non era ancora sviluppata. Il suo ultimo grande rappresentante, il Ricardo, fa infine, consapevolmente, dell'opposizione fra gli interessi delle classi, fra salario e profitto, fra il profitto e la rendita fondiaria, il punto di partenza delle sue ricerche, concependo ingenuamente questa opposizione come legge naturale della società. Ma in tal modo la scienza borghese dell'economia era anche arrivata al suo limite insormontabile. Ancora mentre il Ricardo viveva, e in contrasto con lui, le si contrappose la critica, nella persona del Sismondi.

L'età seguente, dal 1820 al 1830, è contraddistinta in Inghilterra dalla vivacità scientifica nel campo dell'economia politica. Fu il periodo tanto della volgarizzazione e diffusione della teoria ricardiana, quanto della sua lotta contro la vecchia scuola. Si celebrarono splendidi tornei. Le imprese allora compiute sono poco conosciute sul continente europeo perché la polemica è dispersa in gran parte in articoli, scritti occasionali e pamphlets. Il carattere spregiudicato di quella polemica - benché la teoria ricardiana vi serva già, eccezionalmente, anche come arme offensiva contro l'economia borghese - si spiega con le circostanze del tempo. Da una parte, anche la grande industria stava appena uscendo dall'infanzia, com'è provato già dal fatto che essa apre il ciclo periodico della sua vita moderna soltanto con la crisi del 1825. Dall'altra parte, la lotta delle classi fra capitale e lavoro era respinta sullo sfondo, politicamente per la discordia fra i governi e l'aristocrazia feudale schierati attorno alla Santa Alleanza, e la massa popolare guidata dalla borghesia, economicamente per la contesa fra capitale industriale e proprietà fondiaria aristocratica, celata in Francia dietro l'opposizione fra piccola proprietà e grande proprietà fondiaria, apertamente scoppiata in Inghilterra dopo la legge sui grani. La letteratura economica inglese di questo periodo rammenta il periodo d'entusiasmo aggressivo per l'economia politica in Francia dopo la morte del dottor Quesnay: ma solo come l'estate di San Martino rammenta la primavera. Col 1830 subentrò la crisi che decise una volta per tutte.

La borghesia aveva conseguito il potere politico in Francia e in Inghilterra. Da quel momento la lotta fra le classi raggiunse, tanto in pratica che in teoria, forme via via più pronunciate e minacciose. Per la scienza economica borghese quella lotta suonò la campana a morto. Ora non si trattava più di vedere se questo o quel teorema era vero o no, ma se era utile o dannoso, comodo o scomodo al capitale, se era accetto o meno alla polizia. Ai ricercatori disinteressati subentrarono pugilatori a pagamento, all'indagine scientifica spregiudicata subentrarono la cattiva coscienza e la malvagia intenzione dell'apologetica. Eppure perfino gli importuni trattatelli che l'Anti Corn Law League, con i fabbricanti Cobden e Bright in testa, lanciò per il mondo, offrivano un interesse se non scientifico almeno storico, con la loro polemica contro l'aristocrazia fondiaria. La legislazione sul libero commercio dopo Sir Robert Peel ha strappato all'economia volgare anche quest'ultimo pungiglione.

La rivoluzione continentale del 1848 ebbe il  suo contraccolpo anche in Inghilterra. Uomini che ancora rivendicavano valore scientifico e volevano essere qualcosa di più di meri sofisti o sicofanti delle classi dominanti, cercarono di mettere l'economia politica del capitale d'accordo con le rivendicazioni del proletariato, che ormai non potevano essere ignorate più a lungo. Di qui un sincretismo esanime, come è rappresentato, meglio che da altri, da John Stuart Mill.

            Le Teorie sul plusvalore (Teorie) sono la storia e la critica di questa epoca memorabile del pensiero moderno, la storia e la critica della nascita, sviluppo e fioritura dell'economia politica classica, e poi della sua fine: della sua costituzione come scienza e della sua dissoluzione. I termini sono William Petty (1623-1687, fondatore dell'economia politica moderna), David Ricardo (1772-1823, la cui opera costituisce il punto più alto dell'economia politica classica) e, fra gli altri, John Stuart Mill (1806-1873, il sincretista esanime).

            Le Teorie: genesi. Per intendere il senso delle Teorie e in generale dell'opera 'economica' di Karl Marx, se ne deve tenere presente la genesi e la struttura, e la successione temporale nella quale le diverse parti della critica marxiana dell'economia politica sono state progettate e scritte.[2] Le Teorie fanno parte del manoscritto economico del 1861-1863. Questo manoscritto consiste in 23 fascicoli e costituisce la prosecuzione di Per la critica dell'economia politica, del 1859. I primi cinque fascicoli e in parte i fascicoli dal 19° al 23° riassumono il contenuto del successivo primo volume del Capitale. Nei fascicoli dal 21˚ al 23˚ vengono trattati diversi temi del Capitale, tra i quali alcuni del secondo volume. Ai problemi del terzo volume sono dedicati i fascicoli 16° e 17° (l'ordine è dunque invertito, rispetto a quello che dimostrerebbe la presunta contraddizione fra terzo e primo volume del Capitale).[3]

            Le Teorie, che sono state scritte fra il gennaio 1862 e il luglio 1863, rappresentano la parte più ampia ed elaborata del manoscritto e comprendono i fascicoli dal 6° fino al 15° e 18°, oltre ad alcuni schizzi storici di altri fascicoli. Questa è la prima e unica redazione del 'quarto' libro del Capitale, di cui secondo Marx costituisce, rispetto ai tre libri teoretici, la parte storica, storico-critica o storico-letteraria. Marx cominciò a scrivere le Teorie seguendo il piano originario della sua Critica all'economia politica. Circa questo piano Marx ci informa nella prefazione a Per la critica all'economia politica, in numerose lettere del periodo compreso tra il 1858 e il 1862, e nello stesso manoscritto del 1861-1863. Da queste fonti si può trarre una rappresentazione schematica della struttura progettata da Marx per la sua opera, dalla quale risulta che le Teorie erano state inizialmente concepite come digressione storica al capitolo "Il processo di produzione del capitale".

Piano della "Critica dell'economia politica" (1858-1862)

I - Dal Capitale

1. Il capitale in generale      
    a) la merce    
    b) il denaro Il processo di produzione del capitale

1. La trasformazione del denaro in capitale

        2. Il plusvalore assoluto
        3. Il plusvalore relativo
        4. La combinazione di entrambi
        5. Teorie del plusvalore
    c) il capitale

Il processo di circolazione del capitale

 
      L’unione di entrambi o capitale profitto e interesse  
  2. La concorrenza      
  3. Il credito      
  4. Il capitale azionario      
II - Proprietà fondiaria        
III - Lavoro salariato        
IV - Stato        
V - Commercio estero        
VI - Mercato mondiale        

Per comprendere l'originalità e la portata delle Teorie si deve tenere presente che quando Marx cominciò quest'opera era stata progettata solo la prima delle tre parti teoretiche del Capitale ("Il processo di produzione del capitale"), mentre esistevano soltanto singoli capitoli della seconda e terza parte in forma di appunti provvisori nel manoscritto del 1857-58. Durante l'elaborazione delle Teorie Marx non poteva quindi riferirsi a questo o quel punto della parte teoretica, bensì doveva affrontare già qui le questioni teoriche che emergevano nel corso delle sue ricerche di storia delle teorie. Infatti nelle Teorie alcuni problemi vengono trattati in maniera molto più ampia che nei successivi tre volumi teorici del Capitale. Questo vale, ad esempio, per il problema del lavoro produttivo e improduttivo, per la teoria delle crisi, per la teoria della rendita, e per alcune parti della teoria marxiana del valore e dei prezzi. Ancora nel gennaio 1863 Marx era intenzionato a ripartire il materiale storico-critico nei capitoli teorici delle sue ricerche sul "Capitale in generale". In modo analogo, d'altra parte, Marx aveva proceduto nel 1859 con Per la critica dell'economia politica, aggiungendo tre appendici di storia delle teorie ai due capitoli sulla merce e il denaro.

Nel corso dell'opera, tuttavia, le tre parti teoriche assunsero contorni sempre più chiari e definiti, e in Marx si radicò la convinzione che le Teorie dovessero costituire una parte autonoma, il quarto libro, del Capitale. Il Capitale, il cui titolo vero è: Critica dell'economia politica, critica dell'ambivalente scienza del capitalismo. Le categorie centrali del Capitale, valore e plusvalore, prezzi e profitto, sono categorie proprie del modo capitalistico di produzione-riproduzione, e non della produzione in generale. Capitale, lavoro, sfruttamento, alienazione, merce, denaro, sono, per gli ortodossi, categorie eterne. La grandezza dell'eretico Marx sta in questo: nel prendere a oggetto dell'indagine non il denaro, la merce, l'alienazione, lo sfruttamento, il lavoro, il capitale nella loro forma astratta (astratta dalle loro determinazioni storiche), ma nelle forme che queste categorie assumono nel modo capitalistico di produzione.

            Marx, Engels, Kautsky. Quando Marx morì, nel 1883, non solo le Teorie ma anche il secondo e il terzo volume del Capitale non erano ancora stati pubblicati. Curatore degli inediti avrebbe voluto e dovuto essere Engels, che riuscì a pubblicare secondo e terzo volume del Capitale ma non le Teorie.[4] Engels menziona le Teorie per l'ultima volta in una lettera (a Stephan Bauer) del 10 aprile 1895. Quattro mesi dopo muore. Le Teorie furono pubblicate per la prima volta negli anni dal 1905 al 1910 da Karl Kautsky. L'edizione kautskyana delle Teorie, tuttavia, è filologicamente e metodologicamente dubbia. Kautsky rifiutò l'idea di pubblicare le Teorie come quarto volume del Capitale, poiché considerava le Teorie come opera parallela al Capitale e sosteneva che essa fosse priva di una struttura logica ordinata, né seppe cogliere l'importanza che in essa avevano i collegamenti e gli intrecci tra gli studi storico-critici e le trattazioni teoretiche. Bisognerà aspettare gli anni cinquanta (1954, 1957 e 1961) per disporre dell'edizione critica curata dall'Istituto per il marxismo-leninismo presso il Comitato centrale del PCUS, edizione sulla quale si basa la presente traduzione italiana.

            Le Teorie: contenuto. La prima parte delle Teorie tratta principalmente delle visioni dei fisiocrati e di Adam Smith. Come per tutti i grandi classici, Marx ne coglie da un lato la capacità di individuare il 'nesso interno' dell'economia borghese, dall'altro l'incapacità di risalire alle sue determinazioni storiche. Ai fisiocrati Marx riconosce due grandi meriti: l'aver spostato lo studio circa l'origine del plusvalore dalla sfera della circolazione alla sfera della produzione immediata, e l'aver concepito e rappresentato il processo di riproduzione del capitale come un processo circolare. Il Tableau économique di François Quesnay si regge su di un'idea che Marx non esita a definire "un'idea estremamente geniale, indiscutibilmente la più geniale di cui si sia fin qui resa responsabile l'economia politica", e che infatti ispira gli stessi schemi di riproduzione di Marx e i moderni contributi di von Neumann, Leontief e Sraffa. A fronte di questa lucidità analitica sta però l'incapacità dei fisiocrati di cogliere le determinazioni storiche delle loro categorie analitiche, il che li induce a concepire il valore non come una forma del lavoro sociale ma come semplice valore d'uso, come semplice materia, e il plusvalore non come pluslavoro ma come un semplice dono della natura.

            Nella prima parte Marx illustra anche la contraddizione di fondo che pervade l'opera di Adam Smith, il quale da un lato intuisce e tende a disvelare il nesso interno, occulto, del modo capitalistico di produzione e dall'altro si limita a descriverne, catalogarne e rappresentarne il nesso esteriore, apparente. Soltanto quando percorre la prima via Smith riesce a pervenire ad una definizione esatta del valore attraverso il tempo di lavoro e a cogliere l'origine del plusvalore. Altrimenti si ferma alla superficie delle cose. È questo Smith quello su cui si basano le teorie 'volgari' ed apologetiche dei suoi epigoni. Prendendo spunto dal 'dogma fantastico' di Smith, secondo il quale il valore del prodotto sociale si risolverebbe completamente in redditi, Marx elabora una teoria della riproduzione del capitale sociale nella sua interezza, con particolare riguardo al reintegro del capitale costante (questione trascurata da Smith e poi da Ricardo, ma non da Quesnay). Sempre muovendo da Smith, Marx dedica pagine fondamentali, e talora esilaranti, alla distinzione fra lavoro produttivo e lavoro improduttivo ("Un filosofo produce idee, un poeta poesie, un pastore prediche, un professore manuali ecc. Un delinquente produce delitti. Se si esamina più da vicino la connessione che esiste tra quest'ultima branca di produzione e l'insieme della società, ci si ravvede da tanti pregiudizi. (...) La sola tortura ha dato occasione alle più ingegnose invenzioni meccaniche, e ha impiegato nella produzione dei suoi strumenti una massa di onesti artefici.")

            La seconda parte delle Teorie tratta principalmente della teoria economica di David Ricardo e in particolare della sua teoria della rendita fondiaria. Con Ricardo ("il suo massimo rappresentante") l'economia politica classica raggiunge il suo punto più alto. La grandezza di Ricardo sta nell'essersi coerentemente attenuto alla definizione del valore in termini di giornata lavorativa e nell'aver indagato come le categorie economiche sviluppate dagli economisti precedenti corrispondessero o contrastassero con questo principio. Di qui, tuttavia, deriva l'insufficienza scientifica del metodo ricardiano, una insufficienza che si dimostra non solo nel metodo di esposizione (formale), ma che conduce anche a risultati errati, secondo Marx, perché trascura i termini medi del ragionamento e cerca invece di dimostrare in modo immediato la congruenza delle categorie economiche tra di loro. In particolare Marx critica l'incapacità di Ricardo di collegare la legge del saggio generale di profitto con la legge del valore, confondendo (identificando) profitto e plusvalore. Insieme alle critiche agli errori teorici di Ricardo Marx sviluppa le proprie visioni sul rapporto tra valore e prezzo di costo, sulla rendita fondiaria assoluta differenziale, sulla formazione del saggio medio di profitto e le cause della sua caduta, sul processo di accumulazione del capitale e le sue conseguenze, e così sul problema delle crisi.

            Nella terza parte delle Teorie Marx studia le critiche che al sistema ricardiano sono state mosse sia da destra, da Malthus, sia da sinistra, dai ricardiani socialisti. Marx descrive la dissoluzione della scuola ricardiana e mostra come con l'inasprimento della lotta di classe tra il proletariato e la borghesia, la volgarizzazione del sistema ricardiano, sotto la parvenza di una sua prosecuzione coerente, riguardi gli stessi principî dell'economia politica classica, il suo punto di partenza e le sue categorie principali. All'inizio della terza parte Marx svela l'essenza reazionaria della teoria economica di Malthus; egli condanna e respinge in modo particolare quella tesi apologetica secondo la quale la prodigalità delle classi improduttive rappresenterebbe il mezzo migliore contro la sovrapproduzione. Nel capitolo sulla dissoluzione della scuola ricardiana Marx descrive la caduta dell'economia politica borghese, che si manifesta nell'abbandono degli elementi fecondi del sistema ricardiano e nella riduzione ad una sterile scolastica o ad una cinica apologetica del modo capitalistico di produzione. Nel capitolo sui socialisti ricardiani Marx sottolinea con favore la loro critica al capitalismo, ma contemporaneamente ne mostra l'incapacità di superare le premesse borghesi della teoria ricardiana, di staccarsi da esse e di sviluppare insegnamenti socialisti su nuove basi.[5]

La differenza essenziale. Scrive Marx, a conclusione delle Teorie:

L'economia classica cerca di ricondurre analiticamente le differenti forme rigide e reciprocamente estranee della ricchezza alla loro intima unità e di spogliarle della figura di indifferente giustapposizione; [essa] vuol comprendere il nesso interiore a differenza della molteplicità delle forme di manifestazione. (...) L'economia classica si contraddice occasionalmente in quest'analisi; cerca spesso di intraprendere la riduzione e di dimostrare immediatamente l'identità della sorgente delle differenti forme, senza gli anelli intermedi. Ma questo deriva necessariamente dal suo metodo analitico col quale devono cominciare la critica e la comprensione. Non ha interesse a sviluppare geneticamente le differenti forme, ma vuole ricondurle analiticamente alla loro unità, poiché muove da esse come presupposti dati. L'analisi però è il presupposto necessario dell'esposizione genetica, della comprensione del vero processo di formazione nelle sue diverse fasi. L'economia classica ha infine il difetto di concepire la forma fondamentale del capitale, la produzione rivolta all'appropriazione di lavoro altrui, non come forma storica, ma come forma naturale della produzione sociale, concezione alla cui eliminazione essa apre tuttavia la strada con la sua stessa analisi.

Ben diversamente stanno le cose per l'economia volgare la quale intanto si fa largo solo quando l'economia stessa con la sua analisi ha già dissolto e reso vacillanti i propri presupposti, e quindi l'opposizione all'economia esistente già in forma più o meno economica, utopistica, critica e rivoluzionaria. Infatti lo sviluppo dell'economia politica e dell'opposizione da essa stessa creata va di pari passo con lo sviluppo reale degli antagonismi sociali e delle lotte di classe presenti nella produzione capitalistica. Solo quando l'eeconomia politica ha raggiunto una certa ampiezza di sviluppo - e quindi dopo A. Smith - e si è data forme stabili, quella sua componente, che non è altro che la riproduzione dell'apparenza come sua rappresentazione, cioè la sua componente volgare, se ne stacca come esposizione particolare dell'economia. Così [in] Say la separazione delle concezioni volgari che si incontrano in A. Smith è fissata come cristallizzazione a sé stante. Con Ricardo e lo sviluppo da lui ulteriormente consolidato dell'economia, anche l'economista volgare riceve nuovo alimento (poiché egli stesso non produce niente) e quanto più l'economia giunge a compimento, e quindi penetra in profondità e si sviluppa come un sistema dell'opposizione, tanto più autonomamente le si contrappone la sua componente volgare, arricchita di materiale che accomoda a modo suo, finché finalmente trova la sua migliore espressione in una compilazione di un sincretismo erudito e un eclettismo senza carattere. Nella stessa misura in cui l'economia penetra in profondità, essa non solo rappresenta delle antitesi, ma la sua antitesi le si contrappone come tale, contemporaneamente allo sviluppo delle antitesi reali nella vita economica della società. Nella stessa misura l'economia volgare diventa consapevolmente più apologetica e cerca di eliminare a forza di chiacchiere i pensieri e, in essi, le antitesi.(...)

L'ultima forma è la forma professorale, che procede 'storicamente' e, con saggia moderazione, raccoglie qua e là il 'meglio', senza badare a contraddizioni, bensì alla completezza. Toglie lo spirito vitale a tutti i sistemi, da cui elimina rigorosamente il mordente, cosicché si ritrovano pacificamente riuniti nella compilazione. Il calore dell'apologetica è temperato qui dall'erudizione che osserva con benevola superiorità le esagerazioni dei pensatori economici e le tollera solo come curiosità che galleggiano nella sua mediocre poltiglia. Poiché lavori di questo genere appaiono solo quando si chiude il cerchio dell'economia politica come scienza, sono nello stesso tempo le tombe di questa scienza.

Al piccolo Michele, dicembre 1992

Per una eventuale fascetta:

Uno studio della storia del pensiero

è premessa necessaria all’emancipazione della mente.

Non so che cosa renderebbe più conservatore un uomo,

se non il conoscere null’altro che il presente,

oppure null’altro che il passato.

JOHN M. KEYNES

NOTE


[1] Più precisamente: "Que faut-il faire pour vous aider?", chiese Colbert. "Nous laisser faire", rispose Legendre.

[2] Si veda la Prefazione al 26° volume delle opere di Karl Marx e Friederich Engels, Dietz Verlag, Berlino 1973; nonché quella, di Giorgio Giorgetti, alla edizione delle Teorie degli Editori Riuniti.

[3] Scrive lo stesso Marx, in una lettera a Siegmund Schott del 3 novembre 1877: "In realtà io ho cominciato, in privato, a scrivere il Capitale proprio nell'ordine inverso (iniziando con la terza parte, quella di carattere storico) rispetto a quello in cui esso viene presentato al pubblico; solo che il primo volume, cui ho posto mano per ultimo, fu subito preparato per la stampa, mentre gli altri due erano rimasti nella forma di abbozzo che all'inizio ha qualsiasi ricerca".

[4] Engels ci informa del modo in cui intendeva pubblicare le Teorie nella prefazione al secondo volume del Capitale, datata 5 maggio 1885: "Questa sezione contiene una storia critica particolareggiata del nòcciolo dell'economia politica, della teoria del plusvalore, e sviluppa accanto a ciò, in polemica opposizione con i predecessori, la maggior parte dei punti più tardi esaminati in maniera particolare e in logica concatenazione nel manoscritto per i Libri II e III [del Capitale]. Mi riservo di pubblicare come Libro IV del Capitale la parte critica di questo manoscritto, escludendo i numerosi passi già svolti nei Libri II e III. Per quanto di grande valore, tale manoscritto non era utilizzabile per la presente edizione del II Libro."

[5] Nonostante le differenze di prospettiva, proprio i 'rivoluzionari' riconoscono i meriti (critici) del socialismo feudale. Scrive Engels: "E' nelle intenzioni della Giovane Inghilterra [una frazione del partito conservatore che ebbe fra i rappresentanti più in vista Disraeli e Carlyle] di ricostruire l'antica merry England con i suoi aspetti brillanti e il suo romantico feudalismo: naturalmente questo fine è inattuabile e perfino ridicolo, è una caricatura di tutto il progresso storico, ma le buone intenzioni, il coraggio di opporsi alla realtà attuale e ai pregiudizi esistenti e di riconoscere l'infamia di questa realtà attuale hanno pure il loro valore. Giudizio analogo si dà nel Manifesto (con riferimento a Sismondi e poi al socialismo e il comunismo critico-utopistici): "Questo socialismo anatomizzò molto acutamente le contraddizioni esistenti nei moderni rapporti di produzione. Esso mise a nudo gli eufemismi ipocriti degli economisti. (...) Quanto al suo contenuto positivo, però, questo socialismo, o vuole ristabilire i vecchi mezzi di produzione e di scambio e con essi i vecchi rapporti di proprietà e la vecchia società, oppure vuole per forza imprigionare di nuovo i moderni mezzi di produzione e di scambio nel quadro dei vecchi rapporti di proprietà ch'essi hanno spezzato e che non potevano non spezzare. In ambo i casi esso è a un tempo reazionario e utopistico. (...) L'importanza del socialismo e del comunismo critico-utopistici è in ragione inversa allo sviluppo storico. (...) Perciò, anche se gli autori di questi sistemi erano per molti aspetti rivoluzionari, i loro scolari formano sempre delle sètte reazionarie". Così come fu generoso Trockij, con Carlyle e Ruskin: "S. non menziona né Carlyle, il quale da tempo ha detto che il pagamento in contanti è ancora un legame insufficiente dell'uomo con l'uomo, né Ruskin, il quale ha chiamato sdegnatamente i propri compatrioti money-making mob, una plebe che fa i soldi. Anche Ruskin voleva far rinascere la società mediante stabili idee estetico-morali. Ma egli riconobbe apertamente la loro incompatibilità con l'individualismo capitalistico, respinse del tutto l'industria contemporanea e chiese un ritorno alle corporazioni di mestiere. E' follia, naturalmente! Ma la cosa ha almeno il vantaggio di una bella coerenza".