LA RIPRESA SENZA OCCUPAZIONE[1]

Alcune riflessioni sulla situazione economica del paese

Luigi Frey

Vorrei portare al dibattito una serie di riflessioni, tratte dall’esame delle informazioni contenute nella Relazione generale sulla situazione economica del paese su cui ho lavorato per il Notiziario CERES, e che in parte, invece, per quanto riguarda la problematica occupazionale, compariranno sui fascicoli di Tendenze dell’occupazione. Riflessioni che si riferiscono ad un particolare sistema informativo. Vorrei che fosse chiaro come è importante assumere un preciso riferimento ad un sistema informativo poichè i dati sulla disoccupazione, sull’occupazione e così via, possono essere diversi a seconda dei vari sistemi informativi a cui si fa riferimento.

La Relazione generale, che è il documento sul sistema economico italiano riferito all’anno immediatamente precedente, si rifà al sistema informativo della cosiddetta contabilità economica nazionale e contiene tutti gli elementi informativi relativi al sistema economico-sociale. Le informazioni sono raccolte ed elaborate dall’Istat e comunicate poi agli organi di governo che rendono pubblico il documento. Talvolta sono comunicate in una situazione di confronto-scontro, perché il governo media le informazioni che acquisisce e le inserisce in una sua relazione al Parlamento. Questo sistema informativo è omogeneo metodologicamente con quello elaborato, per esempio, dall’OCSE e con il sistema informativo elaborato in sede ONU. Ciò consente di confrontare le informazioni nazionali con altre comparabili a livello internazionale.

Esistono poi altri sistemi informativi quali ad esempio le statistiche della CEE sulla disoccupazione e l’occupazione che fanno riferimento ad altri sistemi informativi ed ad altre fonti. I tre milioni e oltre di disoccupati, per esempio, rilevati ufficialmente dal Ministero del Lavoro attraverso le liste di collocamento, derivano da un sistema informativo diverso da quello a cui faccio riferimento oggi; ne deriva che i disoccupati di cui si parlerà oggi potrebbero venir stimati in gennaio intorno a due milioni e seicentomila unità. Questo non vuol dire che la disoccupazione quantificata da questo sistema informativo sia minore di quella rilevata attraverso le statistiche del Ministero del Lavoro. Si tratta infatti di  informazioni che danno entrambe un dato quantitativo che in valore assoluto non ha molto significato. Tali quantità vanno infatti lette in termini relativi.

Di un dato sistema informativo, ciò che solitamente è importante è il confronto nel tempo e nello spazio dei dati, poichè si tratta di vedere se nel tempo la disoccupazione si è aggravata o no e se in un dato spazio essa è più grave o meno rispetto ad altre realtà.

Il dato quantitativo non è rilevante in quanto tale perché è noto che la disoccupazione può essere in parte anche sottoccupazione: infatti il dato di un disoccupato medio dell’anno può riguardare persone che in parte lavorano, magari in modo precario e discontinuo, quindi con profonda insoddisfazione e posizione d’inferiorità.

Così come può darsi benissimo che il dato medio annuo non tenga conto delle punte di disoccupazione che possono essere notevolmente superiori. Potrebbe infatti darsi che in un dato istante dell’anno, i disoccupati, anziché essere tre milioni e duecentoventimila, come quelli rilevati dalle statistiche sulle iscrizioni alle liste di collocamento, siano invece 4 milioni  semplicemente perché ci sono oscillazioni nel tempo.

La ripresa dell’84

Fatta questa precisazione, la tesi fondamentale che vorrei proporre alla discussione è che in Italia, nel 1984, c’è stata non una limitata, ma una decisa ripresa produttiva, in termini relativi, accompagnata, però, da maggiore disoccupazione e sottoccupazione. Questo è un dato da tener presente con estrema attenzione perché determina ripercussioni importanti sulle strategie in materia di politica del lavoro, che possono essere adottate nel breve e medio periodo. Questo non toglie che ci sia stato un rallentamento della produzione industriale nei mesi recenti, però, nella media annua, la situazione italiana indica un deciso miglioramento rispetto all’anno precedente, presentando tuttavia  maggiori problemi di occupazione. Vediamo in che senso c’è stata una decisa ripresa produttiva. Il prodotto nazionale lordo a prezzi costanti è aumentato del 2,6%. È un aumento limitato, ma notevole in termini relativi in quanto il 3% circa di aumento del PNL, a prezzo costante, è considerato il dato medio possibile dei paesi industrializzati per i prossimi 5 anni. Gli stessi Stati Uniti, nel medio periodo, immaginano una ripresa produttiva difficilmente vicina al 4%.

Questo dato si accompagna ad una produzione industriale in Italia aumentata in misura notevole dall’83 all’84: infatti, per quanto riguarda l’industria manifatturiera, si registra un aumento deI 3,8%, ossia quasi il 4%, sempre a prezzi costanti. Ma quello che interessa è che nell’industria metallurgica l’aumento è stato del 7%, nell’industria tessile è stato del 6%, nell’industria del legno e mobilio è stato deI 6%, nella carta, cartotecnica ed editoria è stato del 7%, nella chimica farmaceutica è stato del 6,5%; quindi in alcuni settori c’è stata una decisa ripresa produttiva. Nel settore meccanico c’è solo un più 3% e nella costruzione dei mezzi di trasporto, l’industria automobilistica, cantieristica e così via, c’è stata una flessione produttiva rispetto all’anno precedente che però è stato di espansione.

La ripresa senza occupazione.

Ho voluto ricordare questi dati sulla produzione per far vedere come, in riferimento ad una situazione congiunturale favorevole, deve derivare un insegnamento piuttosto importante su come si può gestire la problematica, occupazionale nel prossimo futuro perché con questo aumento della produzione l’occupazione è andata malissimo: non male, malissimo.

Infatti, nonostante l’aumento della produzione industriale del 3,8%, l’occupazione manifatturiera è diminuita in modo notevolissimo, con un tasso negativo del 4%. Nella grande industria manifatturiera l’occupazione è diminuita addirittura del 5%. Questa situazione va tenuta sotto osservazione perché vuol dire che, se anche c’è una ripresa produttiva, la ripresa produttiva è necessaria ma non sufficiente per ottenere una riduzione della disoccupazione e non è sufficiente neanche per mantenere i livelli occupazionali preesistenti. Tra l’altro, se si guarda attentamente questo sistema informativo, si può constatare che la riduzione di occupazione non ha interessato soltanto la grande impresa manifatturiera, ma anche l’impresa medio-piccola e questo è un fatto relativamente nuovo rispetto anche al passato. Noi siamo stati abituati negli anni 70 a pensare che per aumentare l’occupazione bastasse espandere la base produttiva. Orbene, l’esame di questo sistema informativo mostra che questo non è più vero. E non solo per l’Italia; basti guardare anche alla situazione della Germania e della Francia per rendersene conto.

Si osserva inoltre che l’aumento della produzione manifatturiera è stato accompagnato da una decisissima espansione degli investimenti industriali: gli investimenti industriali sono infatti aumentati dell’ordine del 10%, a prezzi costanti. Questo è un dato impressionante. Nessuno si aspettava un’espansione degli investimenti di queste dimensioni. Espansione degli investimenti industriali vuol dire espansione della capacità produttiva in termini di capitale, espansione della cosiddetta base produttiva. Se ne trarrà un’ovvia interpretazione. Gli investimenti sono stati indirizzati verso una decisa ristrutturazione comportante una forte sostituzione di capitale al lavoro. Se aumentano gli investimenti con questo ordine di grandezza e l’occupazione diminuisce nelle dimensioni che ho ricordato prima, è chiaro che il fenomeno deve essere interpretato in questo modo. E’ sufficiente guardare le previsioni per l’85/86 - le fonti della Confindustria sono a questo proposito abbastanza significative - per rendersi conto che si continuerà ad andare nella medesima direzione. Ci si trova in presenza di una forte espansione degli investimenti, almeno in alcuni campi, accompagnata da una notevole riduzione dei livelli di occupazione.

La disoccupazione industriale

Questa forte riduzione dei livelli occupazionali si ritrova in particolare nel settore manifatturiero. Le ristrutturazioni colpiscono specificamente i lavoratori di età abbastanza avanzata e, più in generale, i lavoratori già occupati i quali concorrono così alla formazione della disoccupazione. Se si guardano i dati sulla disoccupazione, si trova che essa è aumentata dall’83 all’84 di 126.000 unità, e questo dato è completamente imputabile ad un aumento dei disoccupati già occupati di 125.000 persone, che corrisponde ad un più 14% rispetto all’anno precedente. I disoccupati già occupati riguardano in particolare quelle persone che sono state estromesse dall’attività manifatturiera. Ma ciò che è avvenuto nell’ultimo anno è solo una parte di quello che sarebbe potuto avvenire, perché insieme alla ripresa produttiva, insieme alla riduzione di occupazione e quindi alla formazione di disoccupazione, c’è stato un aumento anche delle ore di Cassintegrazione guadagni. Per la prima volta, in Italia, una ripresa produttiva di quelle dimensioni è stata accompagnata da un aumento delle ore di Cassintegrazione guadagni che ha ammortizzato un processo dalle caratteristiche sempre più strutturali.

Andando avanti nell’interpretazione del sistema informativo, c’è un’altra informazione che merita estrema attenzione. Nell’insieme la disoccupazione è aumentata soltanto di 126.000 unità, ma la riduzione di occupazione industriale è stata enormemente superiore; a secondo delle metodologie impiegate essa può essere stimata tra le 260 mila e le 310 mila unità.

L’espansione del terziario

A livello complessivo, la riduzione di occupazione industriale si è riflessa, come dato aggregato, in un aumento di disoccupazione di ordine minore soprattutto perché è aumentata moltissimo l’occupazione terziaria.

Nell’84 l’occupazione del terziario è aumentata al di là di qualunque previsione possibile. Il tasso di aumento è stato del 5%. Si è verificato un aumento dell’occupazione commerciale, che nessuno si sarebbe aspettato, dell’ordine del 4,6%. C’è poi stato un aumento dell’occupazione nei cosiddetti servizi privati vari, in cui è compreso il terziario avanzato, che è addirittura dell’ordine del 12%. Nel giro di un solo anno! Quindi nell’84 è avvenuto qualcosa di assolutamente eccezionale per quanto riguarda l’occupazione terziaria, qualcosa di non ripetibile nel futuro. Questo aumento notevolissimo di occupazione terziaria ha notevolmente diminuito la tensione occupazionale che poteva esserci nell’ambito del sistema. In pratica, nell’85 e nell’86, qualora l’occupazione terziaria aumentasse di meno, le tensioni potrebbero essere notevolmente maggiori, anche se il sistema produttivo si sviluppasse ad un tasso del 3%. Occorre tener conto di questo aspetto, perché se anche l’occupazione terziaria aumenterà di molto, ciò non consentirà tuttavia ad evitare che la problematica occupazionale si accresca. Ne deriva una conseguenza molto importante: non possiamo fare affidamento soltanto sull’occupazione terziaria. L’occupazione terziaria è importante, ma non basta, perché anche se si hanno aumenti dell’occupazione terziaria delle dimensioni sopra richiamate, si avrà ugualmente una disoccupazione ed una sottoccupazione in aumento, magari sotto forma di maggiore Cassa integrazione guadagni. Ma, sempre guardando al medesimo sistema informativo, merita fissare l’attenzione su un altro aspetto. Gli investimenti non sono aumentati soltanto nel settore industriale, sono aumentati anche in tutto il sistema produttivo, anche nel settore terziario. Gli investimenti complessivi, a prezzi costanti, sono aumentati del 7,7%, C’è stato anche un aumento del 5% circa in alcune attività terziarie. Questo è un tasso molto considerevole, rispetto al passato. Significa che c’è stata una certa ristrutturazione anche nelle attività terziarie. Si è infatti avviato un processo di ristrutturazione graduale legato, tra l’altro, all’introduzione delle nuove tecnologie. C’è dunque qualcosa di nuovo che lentamente sta emergendo e che avrà le sue ripercussioni sul piano occupazionale nel prossimo futuro.

È chiaro che l’attenzione a quanto sta avvenendo, in termini di ristrutturazione, rafforza l’esigenza del mantenimento di un sistema minimamente in espansione: se il sistema non è in espansione a un tasso dell’ordine del 3% è inutile che ci si illuda, dato che certamente la disoccupazione aumenterà, qualunque strategia si  predisponga per combatterla. E questo anche con un mutamento radicale della struttura dell’occupazione, visto che  il 55% dell’occupazione complessiva è nel settore terziario. Questo vuol dire che, a livello di sistema complessivo, l’andamento dell’occupazione del settore terziario ha una ripercussione piuttosto importante, nonostante, come abbia detto prima, occorra dare una sottolineatura decisiva all’occupazione industriale. Se il sistema non si muove ad un tasso dell’ordine del 2,5% - 3%, la disoccupazione aumenterà in modo disastroso; si tratta di una condizione necessaria, anche se non sufficiente.

Il ruolo della spesa pubblica

Nell’84 la politica economica è stata moderatamente espansiva, senza però incidere positivamente sull’occupazione e spiego subito in che senso. Nell’ambito del sistema informativo preso in considerazione si può riscontrare che la politica della spesa pubblica non è stata restrittiva, nel senso che essa mostra un’espansione, a prezzi correnti, dell’ordine di circa il 14%, che corrisponde ad un aumento analogo a quello delle risorse disponibili interne e un poco superiore a quello del prodotto interno lordo a prezzi correnti (la spesa pubblica viene espressa a prezzi correnti, quindi in termini, come si dice, monetari). Ma quando all’inizio dell’84 si è affrontata la problematica della disoccupazione in Italia, si è sostenuto, e l’avevo sostenuto io stesso in un documento CERES, che occorreva una politica della spesa pubblica espansiva, in particolare un’espansione qualificata della spesa pubblica. Questo era un indirizzo che veniva espresso da tutto il movimento sindacale europeo; per esempio l’Istituto sindacale europeo in un suo documento di John Evans aveva portato avanti posizioni analoghe alle nostre, indicando le dimensioni di questa espansione necessaria e anche in quali direzioni avrebbe dovuto essere riqualificata la spesa pubblica.

Bene, se si guarda alle esperienze dell’84 in Italia, troviamo che la politica economica italiana non ha aiutato la problematica occupazionale, non ha lottato contro la disoccupazione, perché non è stata qualificata nell’espansione. La spesa è sì aumentata del 14%, però non è stata riqualificata com’era necessario. A questo proposito basterebbe fare alcune osservazioni. E’ abbastanza curioso, per esempio, notare che per quanto riguarda la spesa pubblica corrente, c’è stata una certa restrizione, in termini relativi. L’espansione della spesa pubblica in conto capitale è stata invece molto maggiore della spesa corrente. Quest’espansione della spesa in conto capitale, però, dov’è andata? In parte è andata ad opere pubbliche, con scarsissimo coinvolgimento di lavoro, quindi con uno scarsissimo contributo positivo alla problematica occupazionale. In parte ancora maggiore è andata a trasferimenti in conto capitale alle imprese. Se si guarda l’aumento avvenuto dall’83 all’84, si vede che i contributi agli investimenti, e quindi alle imprese, sono passati da 9.000 miliardi nel 1983 a 13.500 nel 1984, un aumento del 36% in un solo anno. Gli altri trasferimenti in conto capitale, che in parte notevole sono contributi alle imprese, sono passati da 1.100 miliardi a 3.500 miliardi, con un aumento che è stato addirittura del 205%. Questo è stato l’aspetto di maggiore riqualificazione della spesa pubblica del 1984 e questo aspetto merita attenzione perché il trasferimento in conto capitale alle imprese è avvenuto senza condizioni in merito all’occupazione. Esso è stato uno strumento di politica economica non utilizzato in direzione occupazionale, ma indirizzato prevalentemente in una direzione di sostegno alle ristrutturazioni. Niente di negativo che questo sia avvenuto, tuttavia l’aspetto importante, dal punto di vista della politica economica, è che non sono state poste condizioni sul piano occupazionale.

Riqualificare la spesa, aumentare le entrate

Per queste e altre riflessioni rinvio alla lettura dei dati ed alle argomentazioni dei documenti del CERES. Qui mi interessa trarre le conclusioni dal punto di vista delle politiche dell’occupazione.

Quali sono, quindi, le conseguenze che, a mio modo di vedere, si potrebbero trarre dall’esame di questo sistema informativo per quanto riguarda le strategie in merito all’occupazione nel breve e medio periodo? In primo luogo: rimane la necessità di una riqualificazione della spesa pubblica nell’ambito di una politica espansiva della spesa e di una politica fiscale di tipo espansivo. Politica fiscale di tipo espansivo significa che per espandere maggiormente la spesa pubblica bisogna puntare maggiormente sulle entrate e, quindi, deve essere portata avanti la lotta all’evasione perché altrimenti non si ha la possibilità di andare molto oltre in questa direzione. Riqualificazione della spesa pubblica significa anche affrontare il tema grossissimo degli interessi nell’ambito della spesa corrente. Se si guardano i dati della spesa corrente, si trova che gli interessi sono aumentati moltissimo dall’83 all’84. In pratica, gli interessi passivi sono passati da 48.600 miliardi nell’83 a 59 mila miliardi nell’84, con un aumento del 21%. Questi interessi passivi rappresentano, ormai, quasi il 20% della spesa corrente italiana e oltre il 16% della spesa pubblica complessiva. Questo è un vincolo che impone uno sforzo di riqualificazione importante, in questa direzione, non ignorando, tra l’altro, che sono proprio gli oneri finanziari sul bilancio pubblico che impediscono la possibilità di una politica monetaria di tipo diverso da quella finora adottata. Tra l’altro occorre non dimenticarsi che si tratta di 60.000 miliardi esentasse, il che è un fatto profondamente iniquo nell’ambito di un sistema economico-sociale come quello in cui viviamo dato che tale somma rappresenta una quota importante del reddito distribuito in Italia.

Comunque il discorso della riqualificazione potrebbe essere fatto in modo molto articolato, cosa che tra l’altro si sta cercando di fare attraverso una serie di sforzi di ricerca anche in relazione alle strategie di medio termine. Nel breve e medio termine occorre quindi attuare una politica economica moderatamente espansiva e puntare anche sulla riqualificazione della spesa pubblica.

L’emergenza delle politiche strutturali

In materia di strategie del lavoro è impossibile nel medio periodo riuscire ad ottenere dei risultati molto rilevanti senza una profonda revisione delle politiche cosiddette strutturali, con riferimento al sistema produttivo, attinenti alla politica industriale in senso lato, alle politiche territoriali ecc. Faccio un esempio. Si è parlato di una espansione rilevante dei contributi alla produzione, agli investimenti, alle imprese, nell’anno ‘84. Orbene  nell’ambito della riqualificazione della spesa pubblica quest’espansione è opportuna, dal punto di vista delle politiche occupazionali, se si verificano due condizioni fondamentali. La prima è che dal punto di vista occupazionale si pongano degli obiettivi, ossia che non si diano soldi se non ci sono delle garanzie adeguate dal punto di vista occupazionale: posti di lavoro che vengono mantenuti e creati. La seconda condizione è che la ristrutturazione avvenga effettivamente in una prospettiva di consolidamento strutturale dell’industria nel medio e nel lungo periodo. Se queste condizioni non si realizzano, potrebbe benissimo accadere che, dopo quattro o cinque anni, si siano buttati dei soldi al vento. Fatto che nel passato è avvenuto in misura piuttosto frequente. Si ricorda ad esempio quanto è avvenuto nel settore chimico ed i problemi che si sono verificati nelle regioni meridionali; le vicende della siderurgia o le numerose altre del passato. È chiaro che questa è una prospettiva importante da assumere per il medio periodo dato che per il breve è inutile illudersi. Tuttavia occorre tener ben presente che il medio periodo si costruisce da oggi, non da domani. Il riferimento è rappresentato dalle politiche industriali che devono investire il sistema delle partecipazioni statali e tutto il sistema industriale nel suo insieme, compreso il settore terziario. Chi opera in sede europea sa bene cosa significhi confrontarsi sulle politiche industriali e sa quanto è acceso lo scontro perché investe anche il campo dell’innovazione e della ricerca in un contesto di forte competitività.

È un problema molto ampio, di medio periodo, ma non c’è dubbio che in Italia non si può combattere la disoccupazione senza politiche volte a consolidare strutturalmente l’occupazione industriale. Ciò comporta adottare una adeguata strategia circa l’assetto produttivo italiano. Le politiche strutturali devono altresì riguardare le cosiddette politiche del lavoro che in Italia, per ora, sono state avviate in modo molto insoddisfacente. Anch’esse devono guardare al medio periodo; medio periodo che parte già da oggi.

Nel breve: governare il tempo di lavoro

Nel breve periodo, al di là degli effetti che si possono avere attraverso un’espansione qualificata della spesa pubblica, non c’è altro strumento ipotizzabile se non quello, in pratica, della gestione del tempo di lavoro. Nel breve periodo, gli effetti occupazionali che si possono ottenere nel settore industriale sono essenzialmente legati a questo. Credo che nessuno possa obiettare che se non si fa questo, i livelli occupazionali nell’industria, per il periodo ’85/86, si ridurranno in modo molto sensibile. Esiste il problema della gestione dei lavoratori in Cassa integrazione guadagni: si stima che siano almeno 300 mila persone, un numero considerevole. Si deve pertanto decidere se perpetuare la Cassa integrazione guadagni o come recuperare queste persone al lavoro tenendo presente  che anche altri verranno estromessi nell’85/86. Le imprese proseguiranno infatti con le ristrutturazioni facendo ricorso alla Cassa integrazione guadagni o al prepensionamento e, nelle unità di medie e piccole dimensioni con il licenziamento. Il problema occupazionale è dunque un problema drammatico, che richiede un’accurata gestione del tempo di lavoro. Preferirei parlare di gestione del tempo di lavoro piuttosto che di riduzione del lavoro puro e semplice.  La riduzione del tempo di lavoro è importante ma essa va affrontata tenendo presente il tema dell’organizzazione del lavoro perché altrimenti alcuni istituti contrattuali, che lentamente stanno emergendo nel settore terziario, oltre che nel settore industriale, rischiano di essere gestiti in una prospettiva non favorevole al lavoratore coinvolto. Quindi occorre aprire un discorso di organizzazione dei processi produttivi in senso lato, che finisce con l’investire aspetti di gestione del tempo di lavoro che vanno anche al di là della mera riduzione delle ore mediamente lavorate per lavoratore occupato. Va molto bene l’obiettivo della riduzione delle ore mediamente lavorate, esso però va accompagnato e concepito in termini di vera e propria gestione del tempo di lavoro. Che cosa vuol dire gestione del tempo di lavoro? Vuol dire anche gestire il prepensionamento in modo adeguato, vuol dire gestire il part-time in modo adeguato, vuol dire gestire le forme organizzative diverse da quelle tradizionali e così via, come emerge ad esempio dalle vicende del settore tessile degli ultimi dieci anni. In conclusione nel breve periodo le uniche due vie che possono dare risultati rilevanti di lotta contro la disoccupazione sono:

- una politica economica moderatamente espansiva, con riqualificazione però della spesa pubblica e possibilmente anche delle modalità di finanziamento degli investimenti;

- una politica di gestione del tempo di lavoro.

NOTE


[1] Estratto da AZIMUT n° 18 rivista bimestrale di economia politica e cultura – luglio-agosto 1985

Sintesi di Redazione delle comunicazioni presentate dai due economisti Luigi Frey ed Enrico Wolleb al seminario “II diritto al lavoro”, organizzato dalla FIM di Milano, presso l’ICEI. svoltosi l’11 e 12 aprile 1985.

Testo non rivisto dall’autore