ANTONIO
LABRIOLA Lo studioso marxista moriva in una clinica romana il 2 febbraio 1904 LIVIO MAITAN Al di là di un rituale ricordo da parte del presidente della Camera, è passato quasi inosservato il centesimo anniversario della morte di Antonio Labriola, un uomo che merita di essere definito gramscianamente un intellettuale organico, per la sua esemplare attività culturale e per il suo impegno militante nelle lotte dei lavoratori (partecipò tra l'altro all'organizzazione dei primi scioperi di Roma nel 1890 e 1891). Nato a Cassino nel 1843, a trent'anni vinceva il concorso per la cattedra di filosofia morale e pedagogia di Roma e nell'anno successivo diveniva ordinario della stessa università, dove avrebbe insegnato egualmente filosofia della storia. Nel 1890 era ormai uno studioso sistematico del marxismo, intrattenendo, tra l'altro, una corrispondenza con Federico Engels sino alla morte di quest'ultimo. Può sembrare oggi singolare che abbia esercitato una notevole influenza su Benedetto Croce, che, prima di imporsi per oltre mezzo secolo come l'intellettuale egemone della società esistente, avrebbe conosciuto un trascorso giovanile marxista. Avrebbe continuato il suo insegnamento sino alla sua scomparsa, quando era ormai afflitto da un cancro alla gola che gli impediva di parlare e doveva scrivere le sue lezioni lette in aula dai suoi discepoli. Nel quadro delle battaglie culturali del movimento socialista Labriola si inseriva nel dibattito di quella che già allora era presentata come crisi del marxismo, prendendo le distanze da una lettura "ortodossa", in realtà, il più delle volte infarcita di positivismo, e contemporaneamente combattendo le concezioni revisioniste del socialdemocratico tedesco Eduard Bernstein. Avrebbe avuto uno scambio epistolare anche con il socialista francese Georges Sorel, raccolto nel volume "Discorrendo di socialismo e di filosofia" (1898). Ma il merito maggiore di Labriola è stato di aver dato un contributo decisivo alla definizione della concezione materialistica della storia, in particolare con il saggio intitolato appunto "Del materialismo storico" da cui non è forse inutile riprendere qualche citazione. «La nostra dottrina suppone lo sviluppo ampio, chiaro, cosciente ed incalzante della tecnica moderna; e con questa la società che produce le merci negli antagonismi nella concorrenza, la società che suppone come sua condizione iniziale, e come mezzo indispensabile al suo perpetuarsi, l'accumulazione capitalistica nella forma della proprietà privata, la società che produce e riproduce di continuo i proletari, e a reggersi ha bisogno di rivoluzionare incessantemente i suoi istrumenti, compreso lo stato e gl'ingranaggi giuridici di questo. Questa società, che, per le leggi stesse del suo movimento, ha messa a nudo la propria autonomia, produce di contraccolpo la concezione materialistica. Essa, come ha prodotto nel socialismo la sua negazione positiva, così ha generato nella sua nuova dottrina storica la sua negazione ideale. Se la teoria è il prodotto, non arbitrario, ma necessario e normale, degli uomini in quanto si sviluppano, e si sviluppano in quanto socialmente esperimentano, ed esperimentano in quanto perfezionano e raffinano il lavoro, ed accumulano e serbano i prodotti e risultati di questo, la fase di sviluppo in cui noi ora viviamo non può esser l'ultima e definitiva, e i contrasti a questa intimi ed inerenti sono le forze produttive di nuove condizioni. Ed ecco come il periodo delle grandi rivoluzioni economiche e politiche di questi due ultimi secoli ha maturato nelle menti questi due concetti: l'immanenza e costanza del processo nei fatti storici, e la dottrina materialistica, che in fondo è la teoria obiettiva delle rivoluzioni sociali». Quel che va sottolineato, d'altra parte, è che Labriola non ha mai dato spazio a interpretazioni deterministiche o semplicistiche del suo metodo. «Il seguace del materialismo storico, che si metta ad esporre o a raccontare - dice nello stesso scritto - non deve far ciò schematizzando. La storia è sempre determinata, configurata, infinitamente accidentata e variopinta. Essa ha combinatoria e prospettiva. Non basta di avere eliminato preventivamente il presupposto dei fattori; perché chi narra si trova di continuo a fronte di cose, che paiono disparate, indipendenti e per sé stanti. Cogliere l'insieme come insieme, e scorgervi i rapporti continuativi di serrati accadimenti, ecco la difficoltà. La somma degli accadimenti strettamente consecutivi e serrati, è tutta la storia; il che è quanto dire è tutto quello che noi sappiamo dell'esser nostro in quanto siamo esseri sociali, e non più semplicemente animali». Per tornare a Croce, don Benedetto non perse troppo tempo non solo nel concludere il suo rapporto con il marxismo, ma addirittura nel proclamarne frettolosamente la morte prima che il diciannovesimo secolo volgesse al fine. Gli va, tuttavia, dato atto di aver contribuito mezzo secolo più tardi alla conoscenza del "Manifesto dei comunisti" e dell'opera di Labriola tra i giovani dei licei e dell'università che iniziavano allora l'attività antifascista. Che oggi si proclami un'ennesima volta una crisi del marxismo è dinnanzi agli occhi di tutti. A voler essere ottimisti si potrebbe dire che la furia iconoclasta non ha sinora esplicitamente contestato il materialismo storico. La realtà è tuttavia che questa concezione, se non è esplicitamente rigettata, viene sostituita da impostazioni metodologiche più o meno fantasiose, che, pretendendo di essere l'ultimo grido della modernità, e ritornano, consapevolmente o meno, al socialismo utopico premarxiano. |