NEL NOME DI CAFFE' LE MACCHINE DI DAVID RICARDO[1] GIORGIO LUNGHINI Nella terza edizione dei Principi dell'economia politica e della tassazione (1821), David Ricardo aggiunge un capitolo circa l'influenza delle macchine sugli interessi delle diverse classi della società. È uno scritto ammirevole per onestà intellettuale e lucidità analitica (leggendo Ricardo, De Quincey si libererà dall'oppio). «Fin da quando ho rivolto la mia attenzione all'economia politica, sono stato dell'avviso che l'uso di macchine che fanno risparmiare lavoro in un ramo di produzione fosse un bene per tutti, accompagnato soltanto dagli inconvenienti che conseguono al trasferimento del capitale e del lavoro da un impiego all'altro. Mi sembrava che i proprietari terrieri, finché ricevessero le stesse rendite, si sarebbero avvantaggiati della riduzione nei prezzi delle merci in cui venivano spese quelle rendite. Il capitalista, pensavo, alla lunga avrà lo stesso vantaggio. L'inventore della macchina, o chi per primo l'avesse utilmente impiegata, verrebbe a godere un vantaggio supplementare, realizzando per un certo tempo profitti ingenti; ma se la macchina diventasse di uso generale, il prezzo della merce prodotta, per effetto della concorrenza, scenderebbe al suo costo di produzione. Il capitalista otterrebbe allora gli stessi profitti di prima, e parteciperebbe al vantaggio generale solo in qualità di consumatore, venendo messo in grado di disporre, con lo stesso reddito, di una quantità supplementare di agi e di godimenti. Anche la classe dei lavoratori, pensavo, verrebbe avvantaggiata dall'impiego delle macchine, poiché con gli stessi salari potrebbe comprare più merci e non subirebbe alcuna riduzione di salari, poiché il capitalista avrebbe i mezzi per impiegare la stessa quantità di lavoro di prima, eventualmente nella produzione di una nuova merce. Se, con le macchine perfezionate, la quantità di calze prodotte con la stessa quantità di lavoro venisse quadruplicata, mentre la domanda di calze risultasse solo raddoppiata, alcuni lavoratori verrebbero licenziati dalla manifattura delle calze; ma poiché il capitale che dava loro impiego esisterebbe ancora e sarebbe interesse dei suoi possessori impiegarlo produttivamente, mi sembrava che tale capitale dovesse essere impiegato nella produzione di qualche merce utile alla società, per cui la domanda non potesse mancare. Poiché mi sembrava che si dovesse avere la stessa domanda di prima, e che i salari non dovessero essere più bassi, pensavo che anche la classe lavoratrice dovesse partecipare al vantaggio derivante dal buon mercato delle merci dovuto all'impiego delle macchine. Queste erano le mie opinioni, che mantengo per quanto riguarda il proprietario terriero e il capitalista; ma ora sono convinto che la sostituzione delle macchine al lavoro umano sia spesso dannosa agli interessi della classe dei lavoratori. Il mio errore nasceva dal supporre che quando aumenta il reddito netto di una società aumenta anche il suo reddito lordo; ora però ritengo che il fondo da cui i proprietari terrieri e i capitalisti traggono il loro reddito può aumentare, mentre può diminuire l'altro fondo, da cui dipende la classe lavoratrice: così che la stessa causa che può aumentare il reddito netto del paese, può nello stesso tempo rendere esuberante la popolazione e peggiorare le condizioni dei lavoratori». Se queste opinioni sono esatte si ha 1) che l'invenzione e l'applicazione delle macchine porta sempre all'aumento del prodotto netto del paese [delle rendite e dei profitti]; 2) che un aumento del prodotto netto di un paese è compatibile con una diminuzione del prodotto lordo, e che i moventi che spingono a impiegare le macchine sono sempre sufficienti a assicurarne l'impiego, se esso aumenterà il prodotto netto; sebbene possa, e spesso debba, diminuire il prodotto lordo; 3) che l'opinione nutrita dalla classe lavoratrice, secondo cui l'impiego delle macchine è spesso dannoso ai suoi interessi, non è fondata sul pregiudizio e sull'errore, ma è conforme ai corretti principi dell'economia politica; 4) che se i mezzi di produzione, perfezionati grazie all'impiego delle macchine, dovessero aumentare il prodotto netto di un paese in misura così grande da non diminuire il prodotto lordo, allora la situazione di tutte le classi verrà migliorata. In queste poche righe Ricardo definisce con rara chiarezza il problema dei rapporti tra crescita del prodotto da spartire e conflitto distributivo (da una parte i profitti e la rendita, oggi finanziaria, dall'altra i salari). Non è sempre vero che il cosiddetto “progresso tecnico” comporti un aumento generale degli aspetti economici del benessere. Può invece darsi che esso comporti una diminuzione dei salari o un aumento della disoccupazione. NOTE [1] Estratto da “il manifesto” del 18 giugno 2004. |