NEL NOME DI CAFFE' CAPITALISTI DOC[1] Alexandre Kojève. Una rilettura particolare del Capitale di Marx: Henry Ford è stato il solo marxista autentico e ortodosso. GIORGIO LUNGHINI Galapagos mi aveva sconsigliato di inaugurare questa rubrica con Marx, dunque comincerò con Alexandre Kojève, che del Capitale fornisce questo riassunto provocatorio. Lo scritto, del 1957, si trova in Il silenzio della tirannide, Adelphi, Milano 2004. La parola 'capitalismo', scrive Kojève, fu creata nel XIX secolo e Marx gli diede un senso preciso, specificamente economico. Marx chiamò ”capitalismo” un sistema economico caratterizzato da tre tratti principali. Anzitutto, l'economia definita capitalista è una economia altamente industrializzata. In secondo luogo, i mezzi di produzione industriali, nel sistema capitalistico, appartengono non alla maggioranza, bensì a una minoranza o a una élite che non lavora manualmente, ma orienta e dirige la vita economica, politica e culturale. Infine, il sistema capitalistico è organizzato in modo tale che la maggioranza operaia, chiamata “proletariato”, non si avvantaggia assolutamente del progresso tecnico, ossia della industrializzazione, e neppure della razionalizzazione della produzione. Il progresso incrementa il prodotto del lavoro e la produttività, e dunque crea un plusvalore da lavoro. Tuttavia tale plusvalore non era destinato alle masse lavoratrici. Nonostante il progresso tecnico in generale e lo sviluppo della industrializzazione in particolare, la maggioranza lavoratrice della popolazione era mantenuta a un livello di vita talmente vicino a quello minimo di sussistenza, da non poter essere ulteriormente abbassato. Di conseguenza, progresso tecnico e industrializzazione servivano unicamente a aumentare il reddito della minoranza capitalista. Si badi bene: aumentare il reddito, non alzare il livello di vita. Così come esiste un minimo vitale, esiste anche un massimo, o più esattamente un optimum che non potrebbe essere superato. Tale livello di vita ottimale era stato raggiunto dalla élite o minoranza dirigente molto tempo prima dell'avvento della industrializzazione e del capitalismo. Il plusvalore ricavato dalla industrializzazione o dalla razionalizzazione della produzione non serviva dunque a elevare il livello di vita della popolazione: né quello della maggioranza lavoratrice, vicina al minimo vitale, né quello della minoranza dirigente, che aveva già raggiunto o superato l'optimum. In altre parole, solo una parte praticamente trascurabile del plusvalore industriale è stata destinata dai capitalisti al loro consumo. La quasi totalità di questo plusvalore percepito veniva investita dai capitalisti, servendo così al progresso tecnico. Il capitalismo analizzato da Marx era però organizzato in modo tale che il continuo progresso economico non arrecava alcun vantaggio alla maggioranza lavoratrice. Benché non si impoverisse in assoluto, essa diventava più povera in senso relativo: la differenza tra il reddito globale delle masse e quello della élite si accresceva sempre più. Dalla teoria economica del plusvalore e della formazione del capitale, lo stesso Marx e i marxisti del XIX secolo hanno tratto le conseguenze sociali e politiche che conosciamo. Hanno predetto la rivoluzione sociale come una necessità storica, ragionando in questi termini: la formazione del capitale fondata sulla appropriazione del plusvalore da parte dei soli capitalisti aumenta necessariamente lo squilibrio sociale; il sistema capitalistico è quindi la causa della sua propria rovina; prima o poi ci sarà necessariamente una rottura; questa rottura dell'equilibrio sociale è ciò che si chiama rivoluzione sociale. Oggi si può affermare, seguita Kojève, che i profeti marxisti hanno sbagliato le loro previsioni: proprio nei paesi capitalisti la rivoluzione sociale non si è verificata. Se ne può forse cavare che Marx si è sbagliato nelle sue profezie rivoluzionarie perché i fondamenti teorici delle sue previsioni erano errati? No, risponde Kojève: Marx si è sbagliato nelle sue previsioni non già perché avesse torto dal punto di vista teorico, ma perché aveva ragione; si è sbagliato perché questo capitalismo ha eliminato da solo i suoi difetti socio-economici o, se si vuole, le sue contraddizioni interne; e l'ha fatto mettendosi sulla via indicata da Marx, in modo pacifico e democratico. L'unico vero errore di Marx e dei vecchi marxisti è che essi hanno tacitamente supposto che i capitalisti sarebbero rimasti in perpetuo ciechi e irragionevoli, quanto lo sono stati gli economisti antimarxisti e gli intellettuali borghesi, che credevano fermamente di avere confutato Marx con i loro più o meno ponderosi libri. Ebbene, se le cose si fossero realmente svolte in questo modo, Marx non si sarebbe di certo sbagliato nelle sue previsioni. I capitalisti hanno finanziato la pubblicazione di libri antimarxisti; talvolta in gioventù li hanno anche letti; ma ciò non ha impedito loro, diventati adulti, di fare esattamente il contrario di ciò che avevano letto. Quei capitalisti hanno trasformato il capitalismo agendo in accordo con la teoria marxista. Insomma, i capitalisti hanno finito col vedere essi stessi proprio ciò che Marx aveva visto e detto, ossia che alla lunga il capitalismo non può svilupparsi, e neppure mantenersi, se il plusvalore ottenuto grazie al progresso della tecnica industriale non viene suddiviso tra la minoranza capitalista e la maggioranza lavoratrice. In altre parole, i capitalisti che vennero dopo Marx capirono da sé che il capitalismo moderno ha portato a una produzione di massa che rende non solo possibile, ma anche assolutamente necessario, un incremento permanente del reddito e quindi del potere d'acquisto, e persino un innalzamento progressivo del livello di vita, delle masse popolari. I capitalisti hanno fatto esattamente quello che, secondo Marx; dovevano fare per rendere la rivoluzione sociale impossibile, perché inutile, ossia senza oggetto. Tale trasformazione marxista del capitalismo primitivo si è prodotta più o meno anonimamente; ma, come sempre succede in questi casi, anche qui c'è stato un grande ideologo. Questo ideologo, conclude Kojève, si chiama Henry Ford; e quindi possiamo dire che Henry Ford è stato il solo grande marxista autentico o ortodosso. Per disintossicarsi dalla intelligenza hegeliana di Kojève, e per intendere come la soluzione fordista delle contraddizioni interne del capitalismo non poteva essere definitiva, si potrà utilmente rileggere il Gramsci di «Americanismo e fordismo». NOTE [1] Estratto da “il manifesto” del 7 maggio 2004. |