IL SALARIO DI SUSSISTENZA[1]

Stefano Lucarelli

La storia del pensiero economico è storia di teorie contrapposte e i conflitti teorici (anche quando gli scienziati sono in perfetta buona fede) costituiscono un modo elegante di affrontare gli scontri politici: al posto dei pugni si ricorre al calcolo e al potere mediatico. In Dinamica economica strutturale del 1993 Luigi Pasinetti si rifà all'insegnamento dei Classici, di Marx, di Sraffa e di Keynes per fondare un'analisi formalmente rigorosa dello sviluppo economico. Pasinetti ritiene che si debba partire dall'individuazione delle caratteristiche naturali, cioè pre-istituzionali, di un sistema economico; emergono così cinque categorie di grandezze (un insieme di prezzi delle varie merci; un insieme di quantità fisiche delle varie merci; un salario unitario; una quantità fisica di lavoro occupato; un tasso di interesse) e per ciascuna di esse ogni sistema economico reale deve affrontare un «problema istituzionale».

La teoria economica dominante inizia direttamente dal funzionamento del meccanismo dei prezzi di mercato, ossia dal particolare meccanismo istituzionale che si vuole giustificare, qui invece cambia il nucleo di riferimento: il lavoro invece dello scambio. E si hanno indicazioni preziose per chi dovrebbe avere a cuore le sorti del mondo del lavoro: «Il salario naturale emerge nel presente schema teorico come un ammontare di potere d'acquisto che può acquistare un certo paniere di beni e servizi, che in media risulta dal rapporto tra il prodotto nazionale e il numero dei lavoratori che hanno contribuito alla sua produzione. ... In presenza di classi differenti e distinte, che svolgono ruoli diversi nell'attività produttiva, il meccanismo competitivo dei prezzi di mercato non sarebbe un meccanismo istituzionale appropriato per guidare il sistema economico verso la realizzazione del salario naturale. ... Se il lavoro viene posto sul mercato senza protezioni e viene commerciato come una qualsiasi altra merce, possiamo solo attenderci che il meccanismo concorrenziale dei prezzi di mercato conduca esattamente a ciò che conduce nel caso di ogni merce: ossia conduca il prezzo verso il costo di produzione. Nel caso del lavoro, il costo di produzione è il salario di sussistenza: questo è ciò che il meccanismo competitivo dei prezzi di mercato conseguirebbe. ... La verità è che il lavoro potrebbe essere oggetto di commercio, come ogni altra merce, solo in una società di tipo schiavista. In qualsiasi sistema economico moderno, il lavoro non è una merce, proprio perché le nostre istituzioni sono state concepite in modo tale da non consentire che il lavoro venga commerciato come una qualsiasi merce. ... Nel caso dei salari, non desideriamo affatto un salario unitario che rispecchi il costo di produzione del lavoro. Desideriamo un salario unitario che attribuisca a ciascun lavoratore la sua quota di reddito nazionale».

Recentemente il governatore della Banca d'Italia, Antonio Fazio, ha ricordato l'importanza dell'indagine del professor Pasinetti, ma ha sottolineato come «le ricadute di quella visione in termini di applicazione ai fatti correnti dell'economia sono state finora, a mia conoscenza, nel complesso scarse».

Chissà cosa potrebbe accadere se sindacati e partiti politici investissero qualche soldo in centri studi che applicassero ai fatti correnti dell'economia l'indagine teorica pasinettiana? Forse coloro che nel mondo accademico sono costretti ad una ricerca astratta e pilotata dal modello dello scambio avrebbero qualche opportunità in più per lavorare su questioni rilevanti. E forse i bisogni del mondo precario non sarebbero portati all'attenzione dei più solo in occasione di shopsurfing (percepiti dai più come saccheggi).

NOTE


[1] Tratto da: “il manifesto” del 3 novembre 2004.