ABBADO STRAPAZZA BERLUSCONI[1]

Show del maestro e di Ken Loach al Premio Imperiale

PIO D'EMILIA

TOKYO

Niente Puccini, Debussy, Mozart e tantomeno i («vergognosamente») ignoti Gesualdo, Pergolesi, Monteverdi. Lo spartito che il maestro Abbado tira fuori, all'improvviso, tra lo stupore dei presenti e la costernazione degli interpreti, un foglio stropicciato senza note. Contiene invece una frase dello scrittore tedesco Peter Schneider, un reduce del `68. Il maestro scandisce le parole, e anche senza la magica bacchetta, la sua conduzione è impeccabile. «E' mai possibile che nella parte più antica e civile del continente un uomo giunga a possedere l'80% dei mezzi di informazione e diventi anche primo ministro?» Per evitare malintesi e difficoltà di traduzione, il maestro chiarisce il concetto con una replica fulminante. «Sono grato al Giappone ma al tempo stesso preoccupato: nel mio paese e nel mondo intero non si fa abbastanza per la cultura. Arrivano al potere persone ignoranti, che ci raccontano frottole, alle quali finiamo per credere. Come quella della guerra umanitaria. Se dovevano soccorrere il popolo iracheno avrebbero dovuto costruire gli acquedotti, non rabberciare gli oleodotti. L'applauso arriva lo stesso, ma di circostanza. La maggior parte dei giornalisti giapponesi non coglie l'affondo, in fondo sono venuti per celebrare un mito, parlare della Scala, che ogni anno qui compie trionfali tournee. Sponsor, funzionari, e colleghi della stampa italiana invece si interrogano, colti di sorpresa gli uni, eccitati per l'imprevisto fuori programma gli altri. Perché Abbado, e più tardi Ken Loach, che addirittura annuncia la devoluzione di parte del suo premio ai sindacalisti giapponesi licenziati durante la privatizzazione delle ferrovie e al Tribunale internazionale contro i crimini di guerra, hanno deciso di dare uno scossone all'Impero. Non era mai successo. La «politica» irrompe nell'austero parterre del Premio Imperiale, sorta di Nobel giapponese per la cultura che quest'anno è andato, oltre che alla pittrice Bridget Riley, all'architetto Rem Koolhas e al regista Ken Loach, a ben due italiani. Lo scultore Mario Mertz, protagonista del movimento dell'Arte Povera e, appunto, Claudio Abbado. Scelte motivate ed ineccepibili, come sottolineano, nei loro interventi, due «consulenti» d'eccezione: Umberto Agnelli e Yasuhiro Nakasone, l'ex premier giapponese che avviò, negli anni 80 le grandi privatizzazioni e i primi, drammatici licenziamenti. Lo sa questo, Ken Loach? «Certo che lo so, proprio per questo ho deciso di accettare il premio e di fare questo annuncio. C'è qualcosa di drammaticamente simile nella sofferenza dei lavoratori licenziati, siano essi in Inghilterra o in Giappone».

In conferenza stampa Abbado e Loach precisano: «Trovo vergognoso che in Italia vi siano ministri che ignorano il valore delle nostre opere, il patrimonio delle città, delle regioni. Che non sanno cosa contengono le nostre ricchissime miniere. E invece di sfruttarle, preferiamo importare prodotti culturalmente indecenti. Per esempio? Beh, I programmi televisivi. Gli Stati Uniti sono all'avanguardia della tecnologia, nella ricerca, producono docce bellissime. Ma perché dobbiamo importare solo la loro peggiore produzione televisiva?» Non si ferma più, il maestro, ha deciso di vuotare il sacco e non lo scuote nemmeno l'annuncio che la conferenza stampa è finita. «Mi diranno che sono musicista, e che dovrei occuparmi di musica. Ma sono un cittadino, un essere pensante. Non voglio rassegnarmi alla logica del `o per ragione o per  forza. Piuttosto, preferisco ricordare Neruda. O per ragione, o per ragione».

Ancora più politico Ken Loach. Oltre all'annuncio di voler aiutare con una parte del treno i licenziati delle ferrovie privatizzate, il regista inglese ha duramente attaccato quello che ha definito il «cinico, infame opportunismo dei cosiddetti oppositori della guerra. Dopo l'ultima risoluzione, hanno tutti cambiato idea. Adesso la guerra è giusta e legittima. L'Europa ha capito che gli Usa non sono più contrastabili e ha deciso di spartirsi la torta. Bush da bravo teppista ha spaccato le vetrine, gli europei adesso andranno a rubare l'argenteria dagli scaffali». Alla fine, un monito: «Ricordatevi: non c'è resistenza senza mobilitazione continua. E non c'è vittoria senza battaglia. Ai nuovi antagonisti, a tutti coloro che non ci stanno dico: si comincia a lottare contro il padrone, poi contro il sindacato, infine contro la polizia. E' sempre stato cosi, e sempre lo sarà».

NOTE


[1] "Il Manifesto" 23 ottobre 2003.